agraria, riforma
Trasformazione agraria realizzata dallo Stato o da esso incentivata, con lo scopo finale di riequilibrare i rapporti di classe e ridistribuire le terre. L’espressione, dal contenuto incerto, si presta a molti significati ma è andata polarizzandosi essenzialmente su due concetti fondamentali.
Il primo riguarda il deciso intervento dello Stato, inteso a mutare le forme tradizionali con cui si attua la produzione agricola. L’intervento, in questo campo, è praticamente illimitato: dalla bonifica e dalla colonizzazione si passa ai rapporti contrattuali fra le categorie agricole, all’istruzione professionale, alla tutela dei prodotti, allo sviluppo della cooperazione, alla sperimentazione, al credito. Questo particolare modo di concepire la riforma a. si sostanzia, in un certo senso, nella politica a., messa in opera dallo Stato in un determinato periodo storico. In definitiva, una riforma così concepita altro non è che un mezzo per investire simultaneamente tutte le branche della complessa vita rurale, con lo scopo di sospingerle, in modi non transitori e coordinati, verso più elevati gradi di progresso tecnico ed economico.
Il secondo concetto riguarda il rinnovamento amministrativo e legislativo, promosso in diverse epoche e in vari Paesi, per riequilibrare il rapporto tra la grande proprietà terriera (➔ latifondo) e i contadini, al fine di ridistribuire le terre o almeno di limitare l’estensione delle grandi proprietà. La riforma a. si è resa necessaria soprattutto in quei Paesi in cui esistevano grandi latifondi e una miriade di contadini, spesso occupati con contratto di mezzadria (➔). L’obiettivo della riforma a. era quello di superare lo stallo, dovuto alla scarsità di nuovi investimenti sia per disinteresse del latifondista sia per mancanza di capitale dei contadini, incentivando questi ultimi, attraverso la ridistribuzione delle terre e il credito fondiario. Tale riforma ha dato esito all’istituzione di forme collettive di proprietà e coltivazione, e alla diffusione della piccola proprietà.
Un ampio dibattito sulla riforma a. si svolse, soprattutto tra i movimenti socialisti e democratici, nel 19° secolo. In Italia il tema fu introdotto da G. Ferrari e C. Pisacane, dopo il fallimento dei moti del 1848-49. La riforma a. fu realizzata nel 1950, durante il governo di A. De Gasperi, con 3 interventi legislativi che, nelle intenzioni originarie, dovevano essere parte di un più ampio programma di riordino fondiario. Il primo provvedimento, relativo alla Regione Calabria, fu adottato con la l. 230/1950 (meglio conosciuta come Legge Sila in quanto l’ambito della sua applicazione riguardò la colonizzazione dell’altopiano della Sila), cui seguì, pochi mesi dopo, la l. 841/1950 (nota come Legge stralcio), che estese la riforma ad altri territori, da individuarsi con decreto governativo (Delta padano, Maremma toscana, bacino del Fucino, alcune aree della Campania e della Puglia, bacino del Flumendosa e altre zone della Sardegna). La Regione Sicilia poi, alla fine di quello stesso anno, emanò la l. 104/1950, una riforma adeguata al peculiare territorio dell’isola. Le terre appartenenti ai grandi proprietari furono espropriate e ripartite fra i contadini, che assumevano l’impegno di ripagarne il valore in 30 anni, a un tasso d’interesse molto basso. Gli ex latifondisti furono invece indennizzati con titoli del debito pubblico, appositamente emessi.