Riforma costituzionale 2014
Il percorso di riforma intrapreso con il disegno di legge costituzionale del Governo Renzi – approvato in prima lettura al Senato l’8 agosto 2014 – presenta elementi di innovazione e potenzialità certamente rilevanti per rinsaldare il circuito Stato-autonomie e, complessivamente, per rendere più razionale ed efficiente il funzionamento dell’intero sistema costituzionale.
È tuttavia un disegno dove permangono “luci” relativamente al superamento del bicameralismo paritario e, soprattutto, alla riforma del Titolo V, ma dove persistono anche diverse “ombre”.
Il tema delle riforme costituzionali è stato oggetto di di interrogativi e discussioni già prima degli anni ’80, quando diverse vicissitudini portarono la classe politica a immaginare un “processo costituente” in grado di modificare le regole di un sistema politico ormai saturo.
I problemi di quel periodo erano legati soprattutto a strategie politiche legate al carattere “compromissorio” della Carta costituzionale; alla cd. conventio ad excludendum che bloccava il sistema politico; all’impraticabilità dell’alternanza di Governo.
Fu proprio in quegli anni che prese avvio la lunga stagione delle Commissioni bicamerali.
Si iniziò nel 1983 con la cd. Commissione Bozzi, il cui progetto consisteva, in estrema sintesi, nell’accordare al solo Presidente del Consiglio la fiducia preventiva (al momento della formazione della compagine governativa), consentendo allo stesso la facoltà di proporre al Capo dello Stato tanto la nomina quanto la revoca dei ministri. Ma le proposte formulate dai 40 Commissari non raggiunsero mai l’Aula.
La svolta avvenne qualche anno più tardi, in occasione del referendum del 1991 (che abolì il meccanismo delle preferenze multiple) e dell’approvazione delle l., 4.8.1993, nn. 276 e 277 (che trasformarono il sistema elettorale del Senato da sostanzialmente proporzionale a prevalentemente maggioritario)1.
Dopo tale spinta innovatrice offerta dall’ondata referendaria, nel 1992 il Parlamento approvò la legge costituzionale istitutiva della cd. Commissione De Mita-Iotti, con il mandato di predisporre un progetto organico di revisione della II Parte della Costituzione, con particolare riferimento alle materie della forma di Stato, della forma di Governo, del bicameralismo e del sistema delle garanzie. Il risultato finale della Commissione fu però nuovamente deludente, dal momento che portò a un nulla di fatto.
Si arrivò così alla cd. Commissione D’Alema, la terza Commissione bicamerale che operò dal 1997 al 1998. Il progetto offerto (che non ebbe comunque seguito, perché bocciato in Assemblea) si differenziava alquanto dalle precedenti proposte di riforma: elezione diretta del Presidente della Repubblica (con poteri di sola garanzia) il quale avrebbe potuto però vantare il potere di nomina e di revoca dei ministri (su proposta del Primo Ministro, nome assegnato al capo dell’Esecutivo nel sistema semipresidenziale).
Veniva altresì rafforzata la figura del Primo Ministro, non soltanto perché sarebbe stato il solo a poter presentare disegni di leggi alla Camera, ma altresì perché avrebbe potuto inserire determinati argomenti nell’ordine del giorno, chiedendo tempi certi di approvazione.
Alla luce del fallimento delle citate Commissioni bicamerali, si prese atto dell’incapacità di condurre riforme “per blocchi” e si optò per procedere “a piccoli passi” seguendo il dettato dell’art. 138 Cost.
Si riuscì così a ridisegnare gli assetti delle autonomie territoriali. Dapprima, con la riforma del sistema elettorale di Comuni e Province, si giunse all’elezione diretta dei rispettivi organi di vertice (Sindaci e Presidenti delle Province) e successivamente, con la l. cost., 22.11.1999, n. 1, si riconobbe una più ampia autonomia statutaria alle Regioni.
A tale intervento legislativo, seguì, nel 2001, la l. cost. n. 3 (18.1.2001), che intervenne soprattutto sull’art. 117 Cost., ridefinendo e ripartendo la potestà legislativa tra Stato e Regione.
Nel 2005 fu presentato un ampio progetto di riforma della II Parte della Costituzione, poi bocciato dal corpo elettorale al referendum confermativo del 2006.
Le novità principali includevano la trasformazione del Senato in “Senato federale” (eletto contestualmente dai Consigli regionali) e la modifica del procedimento legislativo ordinario. Veniva poi modificata la figura del Presidente del Consiglio, cui era riconosciuto il potere (oggi formalmente esercitato dal Presidente della Repubblica su sua proposta) di nominare e revocare i membri del Governo e di indirizzarne il lavoro. Il testo di riforma prevedeva, in più, l’introduzione nella Carta costituzionale della cd. sfiducia costruttiva. La devolution si sarebbe concretizzata nella riforma del Titolo V, con l’attribuzione di nuove competenze esclusive alle Regioni e il passaggio di alcune materie dalla competenza legislativa concorrente a quella esclusiva statale.
L’8 aprile 2014 è stato presentato al Senato il disegno di legge del Governo di riforma costituzionale recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione”. L’8 agosto l’Aula del Senato ha approvato, in prima lettura, il provvedimento licenziandolo con diverse modifiche2.
Qui di seguito una breve sintesi dei contenuti più rilevanti del testo oggi all’esame della Camera in seconda lettura:
a) Funzioni delle Camere: il superamento del bicameralismo perfetto
Il disegno di legge costituzionale rivisita profondamente le funzioni proprie dei due rami del Parlamento, disponendo la fine del bicameralismo paritario e perfetto attraverso la configurazione di un diverso assetto costituzionale, caratterizzato da un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera e Senato, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti.
Rileva, in particolare, la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo alla sola Camera dei deputati, la quale esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo.
b) Composizione del Senato della Repubblica
È quindi definita una diversa composizione e una nuova modalità di elezione del Senato: in particolare, rispetto ai 315 senatori elettivi previsti dal vigente co. 2 dell’art. 57 Cost., il Senato è composto da 95 senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali, eletti dai consigli regionali. A questi si aggiungono 5 senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella dell’organo dell’istituzione territoriale in cui sono stati eletti; non è più previsto il requisito, per diventare senatori, del compimento di quaranta anni di età, né quello di venticinque anni per eleggerli. I senatori di nomina presidenziale durano in carica sette anni e non possono essere nuovamente nominati.
c) Procedimento legislativo
Pur differenziandosi i poteri che ciascuna delle due Camere esercita nella formazione delle leggi, il procedimento legislativo rimane bicamerale – con un ruolo perfettamente paritario delle due Camere – per le leggi di revisione costituzionale, le altre leggi costituzionali, le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche e di referendum popolare, le leggi in materia di ordinamento, elezioni, organi di governo e funzioni
fondamentali dei comuni e delle città metropolitane e disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni; per le leggi recanti principi fondamentali sul sistema di elezione e sui casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, leggi che stabiliscono altresì la durata degli organi elettivi regionali e i relativi emolumenti.
Tutte le altre leggi sono approvate dalla sola Camera dei deputati, con un procedimento legislativo, quindi, monocamerale. Il Senato, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre l’esame dei progetti di legge approvati dall’altro ramo del Parlamento: le proposte di modifica, deliberate dal Senato entro i successivi trenta giorni, sono sottoposte all’esame della Camera dei deputati che si pronuncia in via definitiva.
d) Giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali
Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possano essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale della Corte costituzionale. Affinché ciò avvenga, occorre che almeno un terzo dei componenti di una Camera presenti un ricorso motivato recante l‘indicazione degli specifici profili di incostituzionalità.
e) Rinvio presidenziale delle leggi
È prevista la possibilità di rinvio parziale, limitatamente a specifiche disposizioni della legge; nel caso di disegni di legge di conversione di decreto legge è contemplato un differimento di 30 giorni rispetto al termine costituzionale di 60 giorni, attualmente fissato dall’art. 77 Cost.
f) Decretazione d’urgenza
È “costituzionalizzata” una serie di elementi – già previsti dalla l. 23.8.1988, n. 400 – relativi alla decretazione di urgenza, quali il divieto di disciplinare con tale atto le materie di cui al co. 4 dell’art. 72 Cost. (per le quali è prevista la cd. riserva di Assemblea) nonché di reiterare disposizioni adottate con decreti non convertiti e di ripristinare l’efficacia di norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale.
È inoltre espressamente previsto che i decreti legge devono recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo e che nel corso dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto.
g) Presidente della Repubblica
In merito all’elezione del Presidente della Repubblica, è soppressa la previsione della partecipazione all’elezione dei delegati regionali, alla luce delle nuova composizione del Senato di cui fanno parte rappresentanti delle regioni e degli enti locali. Inoltre è modificato il sistema dei quorum per l’elezione del Capo dello Stato, aumentando il numero degli scrutini per i quali è richiesta una maggioranza qualificata dell’Assemblea: in particolare, è necessaria la maggioranza dei tre quinti dopo il quarto scrutinio (per i primi quattro scrutini è richiesta la maggioranza di due terzi) e fino all’ottavo scrutinio. A partire dal nono scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
h) CNEL
È abrogato integralmente l’art. 99 Cost. che prevede, quale organo di rilevanza costituzionale, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
i) La revisione del Titolo V
È soppresso il riferimento alle Province quali enti costitutivi della Repubblica.
È poi disciplinato il riparto di competenza legislativa relativamente agli “enti di area vasta”, attribuendo i profili ordinamentali generali alla legge statale e le ulteriori disposizioni alla legge regionale.
Con la modifica al co. 3 dell’art. 116 Cost., è disciplinata l’ipotesi di estensione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (cd. regionalismo differenziato).
È altresì riscritto l’art. 117 Cost. in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e regioni. In particolare, il catalogo delle materie è ampiamente modificato ed è soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale.
Di significativo rilievo è peraltro l’introduzione di una “clausola di supremazia”, che consente alla legge dello Stato, su proposta del Governo, di intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale.
Anche i criteri di riparto della potestà regolamentare sono modificati, introducendo un parallelismo tra competenze legislative e competenze regolamentari.
Le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori.
Il percorso intrapreso con la riforma costituzionale in discussione presenta elementi di innovazione e potenzialità certamente rilevanti per migliorare il funzionamento della forma di Stato, specie in relazione al rapporto con le Autonomie territoriali.
Tuttavia, in questa fase, appare ancora un disegno dove accanto ad alcuni tratti di “luce” (relativamente al superamento del bicameralismo paritario e alla parziale riforma del sistema delle Autonomie) persistono diverse “ombre”.
Soprattutto dopo il 2001, è emersa l’opportunità di ridisegnare il sistema bicamerale italiano nella direzione di una differenziazione di compiti e composizione a favore di una Seconda Camera, diversamente immaginata, slegata dal rapporto fiduciario, con una precipua e propria funzione di rappresentanza territoriale.
Viene oggi da chiedersi se il nuovo “Senato delle Autonomie” – così come delineato nel disegno di legge costituzionale approvato – sia davvero lo strumento per un’efficace rappresentanza territoriale, in cui riuscire a prevenire gli scontri tra lo Stato, le Regioni e gli stessi Comuni e Città metropolitane, nel confronto con il Governo e con la Camera politica, su questioni di interesse per i territori.
Se così non fosse, il Senato – come configurato – sostanzierebbe evidentemente un mero simulacro di “Seconda Camera”, che nasconderebbe in realtà una scelta (quasi) monocamerale. Scelta che rischierebbe non di rafforzare il Parlamento (e le Autonomie) nei confronti dell’Esecutivo, ma quale surrettizio strumento proprio di indebolimento del Parlamento in una “democrazia dimezzata”.
Sono chiavi di lettura fortemente critiche da sottoporre – evidentemente – alla più attenta valutazione, anche perché il disegno riformatore andrà letto unitamente alle scelte operate a livello di legge elettorale, che, come la Corte costituzionale ha definitivamente dimostrato di recente, non si muovono affatto nell’indifferenza costituzionale.
Ad ogni modo, nel testo di riforma approvato ad ora, non appare chiaro “quale” Seconda Camera si voglia avere: se federale, di garanzia o pseudo-bicamerale, rinvenendosi nel modello significativi elementi di ciascuna di tali configurazioni.
Quanto al nuovo assetto del Titolo V, ci si orienta verso un superamento della competenza concorrente, al rafforzamento della potestà esclusiva dello Stato (soprattutto con l’emersione dell’interesse nazionale) e al ripensamento della formulazione della competenza residuale. È questa non una semplice rimodulazione delle materie nel riparto, ma un ripensamento del riparto stesso per materia o funzione, al fine evidente di volere ridurre il livello di contenzioso legislativo dinanzi alla Corte costituzionale e, prima ancora, di maggiore semplificazione nell’individuazione del legislatore competente.
Al di là del ruolo che inevitabilmente dovrà comunque svolgere in ultima istanza il Giudice delle leggi nella definizione dei “confini” competenziali tra Stato e Regioni – che inevitabilmente si produrrebbero anche nel nuovo assetto – ci si domanda se alla luce dell’esperienza negativa di questi 14 anni, sia sufficiente una parziale riscrittura del rapporto fra Stato e Regioni o se non sarebbe stato opportuno orientarsi verso scelte più drastiche e nitide (ad esempio tornando al modello operante prima del 2001 oppure coinvolgendo in maniera più forte la Seconda Camera nella funzione legislativa, per evitare il successivo contenzioso).
Ad ogni modo, trattandosi di una riforma in itinere, si è certi che non mancherà tempo e modo di illimpidire il disegno riformatore.
1 Il 26.6.1991 il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga inviò un messaggio alle Camere sulla questione delle riforme istituzionali, indicando le principali questioni cui l’intervento riformatore avrebbe dovrebbe rivolgersi: la forma di governo e il sistema elettorale, il ruolo delle autonomie, la disciplina dell’ordine giudiziario, i diritti di cittadinanza e gli strumenti relativi alla finanza pubblica.
2 Cfr. XVII legislatura A.S. 1429; A.C. 2613.