Riforma dei servizi per il lavoro: assegno di ricollocazione
Il contributo analizza il nuovo sistema dei servizi per il lavoro e delle politiche attive introdotto dal d.lgs. n. 150/2015 e in particolare l’assegno di ricollocazione, esaminandone i requisiti e contestualizzando l’istituto nell’ambito dei principi generali e comuni in materia di politiche attive del lavoro. L’assegno di ricollocazione è oggetto di grande attenzione da parte dell’opinione pubblica che ripone grandi aspettative in questo nuovo strumento di politica attiva per la risoluzione della grave crisi occupazionale che sta colpendo il Paese.
L’anno appena trascorso è stato sicuramente significativo per il diritto e il mercato del lavoro. Sono otto i decreti legislativi adottati in attuazione della l. 10.12.2014, n. 183.
Il compito che il Governo Renzi si è prefissato è molto ambizioso, gli atti legislativi ci sono, ora l’attesa riguarda i provvedimenti di attuazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (di seguito Anpal).
Il Governo ha provveduto al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e politiche attive del lavoro con il d.lgs. 23.9.2015, n. 150, e strettamente legati a quest’ultimo sono il d.lgs. 4.3.2015, n. 22, che modifica la normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati e il d.lgs. 14.9.2015, n. 148, che riordina la normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro.
Il principio di condizionalità, previsto dagli artt. 21 e 22 d.lgs. n. 150/2015 e artt. 7 e 16, co. 5, d.lgs. n. 22/2015, connette “indissolubilmente” questi decreti e l’erogazione di politiche passive non può prescindere dalla partecipazione del disoccupato alle politiche attive, essendo questa la “filosofia” del cd. Jobs Act.
Tra le novità più interessanti si possono annoverare il contratto di ricollocazione (di seguito c.r.)1 previsto dell’art. 17 d.lgs. n. 22/2015 e l’assegno di ricollocazione (di seguito a.r.) di cui all’art. 23 d.lgs. n. 150/2015.
L’art. 1, co. 4, lett. p), l. n. 183/2014 delega il Governo affinché:
a) introduca principi di politica attiva del lavoro per la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure rivolte al suo reinserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati;
b) preveda adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento dei disoccupati, a fronte dell’effettivo inserimento lavorativo per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale.
È chiaro che sia il c.r. che l’a.r. rispondono ai criteri di delega stabiliti dal legislatore ed è altrettanto chiaro che il “neonato” c.r. è stato sostituito dall’a.r., ma è interessante verificare se il primo possa sopravvivere per l’effetto della mancata abrogazione dell’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 22/20152 e per l’attuale assetto costituzionale che riserva una competenza concorrente alle regioni in materia di politiche attive. Infatti, nulla esclude che le regioni possano avere delle proprie regolamentazioni sul c.r.3.
Le regioni possono, nell’ambito della programmazione delle politiche attive del lavoro, adottare e finanziarie il c.r. (art. 17, co. 1, d.lgs. n. 22/2015)4.
Il soggetto disoccupato5 che sia immediatamente disponibile allo svolgimento e alla ricerca di un’attività lavorativa, secondo modalità definite con i centri per l’impiego (di seguito cpi) o con i soggetti accreditati6, ha il diritto di stipulare il c.r. con gli stessi al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di una nuova occupazione (è questo l’oggetto del c.r.).
Il c.r. può essere finanziato dalle regioni con le risorse del Fondo per le politiche attive del lavoro (di seguito FPA); le risorse del fondo sociale europeo e con le risorse proprie.
L’art. 17 prevedeva che al disoccupato venisse rilasciato un voucher che poteva spendere per il servizio oggetto del c.r. presso i soggetti abilitati. Quest’ultimi potevano riscuotere la cd. “dote individuale” del disoccupato a risultato occupazionale raggiunto. L’importo del voucher poteva variare a seconda della classe di profilazione in cui il disoccupato sarebbe stato collocato in seguito a detta attività ad opera degli operatori. Il cd. profiling, indica la distanza del disoccupato rispetto al mercato del lavoro sulla base di un calcolo che prende a riferimento diversi indicatori (es. l’età, il genere, il titolo di studio, la durata della disoccupazione; il territorio di residenza del disoccupato e la permanenza in Italia)7.
Dalla stipula del c.r. scaturivano, a norma dell’art. 17, diritti e doveri per il disoccupato e per gli operatori che lo avevano preso in carico.
In particolare, l’art. 17 prevedeva per i disoccupati che stipulavano il c.r.: i) il diritto di essere seguito dall’operatore dei servizi per il lavoro che lo aveva preso in carico in maniera appropriata, programmata e strutturata nella ricerca del nuovo impiego, utilizzando «le migliori tecniche del settore»; ii) il dovere di partecipare attivamente alle iniziative proposte e definite nel c.r.; iii)il diritto/dovere di partecipazione alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi professionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dall’operatore.
L’art. 17, co. 6, d.lgs. n. 22/2015 prevedeva anche i casi di decadenza del soggetto in stato di disoccupazione dalla fruizione della dote individuale, in particolare: a)nel caso di mancata partecipazione alle iniziative proposte dal soggetto accreditato, ovvero le iniziative volte alla ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a far avere al lavoratore uno sbocco professionale coerente con quanto richiesto dal mercato del lavoro; b)nel caso di «rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro» a tempo pieno e indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo che comporti la perdita dello stato di disoccupazione; c) nel caso di perdita dello stato di disoccupazione.
Stante la mancata abrogazione dell’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 22/2015, a parere di chi scrive, le regioni possono attivare il c.r., attingendo anche dalle risorse del FPA istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell’art. 1, co. 215, l. 27.12.2013, n. 147 che consta di 20 milioni di euro per l’anno 2015 e 20 milioni di euro per l’anno 2016. Tale fondo è stato incrementato di ulteriori 32 milioni di euro provenienti dal gettito relativo al contributo di cui all’art. 2, co. 31, l. 28.6.2012, n. 92 con l’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 22/2015.
Lo stanziamento previsto per il FPA ha sollevato non poche critiche. Infatti, essendo la platea dei beneficiari così ampia nella previsione dell’art. 17, l’ammontare della somma suddivisa nel biennio 2015/2016 rischiava di essere ininfluente se si considera il dato relativo al numero di disoccupati in Italia.
È forse proprio questa la ragione che ha portato il Governo a ripensare all’istituto e a trasformarlo nell’a.r. restringendo la platea dei soggetti beneficiari. Al contempo, il legislatore ha sostituito il termine «contratto» con «assegno» e questo in ragione del fatto, a parere di chi scrive, che è difficilmente sostenibile la natura negoziale del c.r. come è stato disciplinato dall’art. 17 d.lgs. n. 22/2015 (valgono le considerazioni sulla natura negoziale del patto di servizio di cui al § 2.2).
L’art. 23 d.lgs. n. 150/2015 riconosce l’a.r. ai soli beneficiari di Naspi e che abbiamo un’anzianità di disoccupazione pari almeno a quattro mesi. Benché tale modifica privi del carattere “universalistico” alla misura della ricollocazione, essa trova una sua giustificazione alla luce dell’introduzione nel nostro ordinamento del contratto a tutele crescenti di cui al d.lgs. 4.3.2015, n. 23. Infatti, se da un lato il legislatore ha puntato sulla flexibility nel rapporto di lavoro, dall’altro sta cercando di costruire un sistema che vada verso la security nel mercato del lavoro8.
La ratio sottostante i due strumenti – c.r. e a.r. – non è molto diversa e anche se l’art. 17 d.lgs. n. 22/2015 è stato quasi totalmente abrogato, di quell’articolo rimane l’imprinting che viene ripreso come vedremo di seguito nell’a.r.
L’a.r. viene rilasciato al disoccupato, nei limiti delle disponibilità assegnate per la regione o per la provincia autonoma9, che ne faccia richiesta al cpi e che sia al contempo percettore della Naspi e abbia una durata disoccupazione superiore ai quattro mesi.
Il disoccupato deve avere anche effettuato la profilazione e stipulato il patto di servizio presso il cpi. Invero, mentre la profilazione sembra un elemento indefettibile per ottenere l’a.r., lo stesso non si può dire per il patto di servizio. Infatti, l’art. 20, co. 4, d.lgs. n. 150/2015 prevede una procedura “di ultima istanza” per ottenere la profilazione tramite una procedura telematica predisposta dall’Anpal qualora i cpi non abbiano convocato il disoccupato nei termini previsti dalla norma.
Ne deriva che il patto di servizio non è un elemento essenziale per ottenere l’a.r. e neanche per essere considerati disoccupati.
Sarà interessante vedere in che cosa consiste la procedura di profilazione, ma sicuramente essendo previsto il flusso telematico sarà qualcosa di simile a quello utilizzato per i giovani Neet della “Garanzia giovani”10.
L’auspicio è che sia qualcosa di più sofisticato in termini di analisi rispetto a quello fino ad ora conosciuto, che tenga conto oltre che dei sei indicatori di “Garanzia giovani” anche di altri indicatori, quale per es. la condizione di disabilità del soggetto disoccupato. Si potrebbe ipotizzare un sistema che tenga in considerazione variabili di carattere sia quantitativo che qualitativo, senza per questo perdere l’oggettività del sistema attuale.
La procedura dovrà prescindere da una valutazione soggettiva da parte dell’operatore del cpi, visto la presenza della procedura alternativa e telematica che verrà predisposta dall’Anpal.
Ci si domanda perché sia necessario che tale operazione venga effettuata dall’operatore del cpi quando la stessa attività può essere svolta dalla macchina. Che senso ha questa doppia procedura?
Se si liberassero gli operatori dei cpi da questa incombenza questi potrebbero dedicarsi in maniera più proficua ai servizi per il lavoro, senza dover perdere tempo per un’attività che può essere svolta dalla “macchina”.
Il disoccupato che ottiene l’a.r. può recarsi dai cpi o dai soggetti accreditati al servizio per il lavoro per un «servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro».
È opportuno che si dia una più precisa definizione dell’oggetto della prestazione dell’a.r. e sarà compito dell’Anpal, a norma dell’art. 23, co. 7, d.lgs. n. 150/2015 dare un contenuto a questo oggetto, in modo che risulti chiaro agli operatori dei servizi e agli utenti quali siano realmente i servizi che possono essere erogati.
La durata dell’a.r. è di sei mesi prorogabile per altri sei nel caso non sia stato consumato l’intero ammontare dell’assegno (art. 23, co. 4).
Nei paragrafi che seguono si cercherà di capire come si colloca l’a.r. nelle sistema delle politiche attive disegnate dal d.lgs. n. 150/2015.
2.1 Lo stato di disoccupazione
L’art. 19 d.lgs. n. 150/2015 ha disciplinato lo «stato di disoccupazione» precedentemente regolato dall’art. 1, co. 2, lett. c), d.lgs. n. 181/200011.
La norma prevede che sono «disoccupati i lavoratori privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al portale nazionale delle politiche del lavoro di cui all’articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego». Ne consegue che sono due i requisiti richiesti per essere disoccupati:
• essere privi di impiego (elemento soggettivo)12;
• dichiarare la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa ed alla partecipazione alle misure di politica del lavoro (elemento oggettivo – d.i.d.)13.
Con l’art. 34, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 150/2015 è stato abrogato interamente il d.lgs. n. 181/2000 ad eccezione degli art. 1 bis e 4 bis. Pertanto, anche le disposizione di cui all’art. 4 sulla perdita, conservazione e sospensione dello stato di disoccupazione sono state abrogate. Dalla lettura dell’art. 19 si rinviene solo l’istituto della sospensione dello stato di disoccupazione che si verifica nell’ipotesi di un’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato di durata inferiore ai sei mesi. Nulla dice la norma sull’istituto della conservazione dello stato di disoccupazione. Se da una parte tale norma sembra incontrare il favore di una semplificazione amministrativa, nonché un passo in avanti in termini di certezza delle regole, dall’altra non si può escludere che, se viene confermata la cancellazione dell’istituto, questo comporterebbe delle gravi conseguenze nei confronti dei soggetti più deboli.
Si pensi agli effetti che questa norma generale potrebbe creare sul collocamento mirato dei disabili. Infatti, i disabili che vogliono iscriversi all’«apposito elenco tenuto dai servizi per il collocamento mirato» devono risultare disoccupati14. Ne deriva che il disabile che ha un contratto di lavoro a termine di sette mesi, di solo due ore settimanali, perde lo stato di disoccupazione e deve essere conseguentemente cancellato dall’elenco del collocamento mirato.
Pertanto, tale novità normativa non incentiva i soggetti disabili ad accettare anche “piccoli” lavori, privandoli di fatto di una opportunità di lavoro che la normativa precedente permetteva in ragione dell’istituto della conservazione dello stato di disoccupazione stante il basso reddito derivante dal contratto.
L’art. 19 prevede tre diverse condizioni soggettive: il disoccupato; il lavoratore «a rischio di disoccupazione» e il soggetto in «condizione di non occupazione».
In merito allo stato di disoccupazione, oltre a quanto già esposto, è doveroso sottolineare l’ambiguità della “conferma” dello stato disoccupazione prevista dall’art. 20, co.1, d.lgs. n. 150/2015. Non si comprende se questa possa essere considerata una condizione sospensiva per l’acquisizione dello stato di disoccupazione. Ad avviso di chi scrive, tale tesi è poco percorribile se si tiene conto di quanto previsto dell’art. 20, co. 4. Infatti, dalla lettura della norma il “passaggio” presso i cpi è solo eventuale ai fine dell’ottenimento dell’a.r. per il quale è richiesta la condizione di disoccupazione di almeno quattro mesi.
Il lavoratore «a rischio di disoccupazione» è colui che ha ricevuto la comunicazione di licenziamento, anche in pendenza del periodo di preavviso, e che abbia effettuato la registrazione al portale nazionale15. Lo scopo della disposizione, come precisato dallo stesso legislatore, è quello di accelerare la presa in carico.
Interessante invece è la «condizione di non occupazione» prevista dall’art. 19, co. 7, d.lgs. n. 150/2015. Tale previsione ha l’obiettivo di “sfoltire” i numeri della disoccupazione, eliminando i soggetti che di fatto non hanno interesse a trovare lavoro, ma solo la necessità di ottenere prestazioni di carattere sociale. Non è chiaro quali siano i requisiti per la condizione di non occupazione e se siano gli stessi di quelli previsti dall’art. 19, co. 1, con la sola esclusione della d.i.d.
Sul punto è auspicabile un chiarimento.
In merito alla perdita dello stato di disoccupazione la disciplina precedente prevedeva quali erano le ipotesi di perdita dello stato di disoccupazione, mentre nel d.lgs. n. 150/2015 non vi è una norma ad hoc sulla perdita dello stato di disoccupazione. Tuttavia, si può ritenere che questo avvenga sicuramente in assenza dei requisiti previsti dal co. 1 dell’art. 19, ma sono diverse le diposizioni al riguardo (es. co. 7 e 8 dell’art. 21 e l’art. 23, co. 4).
2.2 Rapporto tra patto di servizio e assegno di ricollocazione
Il patto di servizio16, disciplinato dall’art. 20 d.lgs. n. 150/2015, deve contenere: individuazione di un responsabile delle attività; la definizione del profilo personale di occupabilità; la definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi; nonché la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività. Tale patto deve, inoltre, contenere la disponibilità del richiedente alle attività di politica attiva e all’accettazione dell’offerta congrua di lavoro, come definita dall’art. 25 d.lgs. n. 150/2015, concordate con il cpi.
In dottrina si è molto dibattuto sulla natura giuridica del patto di servizio, c’è chi sostiene che esso abbia la natura di un vero e proprio negozio giuridico17 e chi invece sostiene che è uno strumento di gestione amministrativa18. Ad avviso di chi scrive, il patto di servizio è uno strumento di gestione amministrativa, nonché lo strumento per l’accesso alle politiche attive.
Diversi sono gli elementi per cui è difficilmente sostenibile la tesi della natura contrattuale del patto di servizio.
In primo luogo, esso non costituisce un’espressione di libertà negoziale in quanto il soggetto che vuole accedere ai servizi e alle politiche attive è costretto a stipularlo e non vi sono spazi per l’esercizio della libertà negoziale delle parti soprattutto alla luce della formulazione di cui all’art. 20 d.lgs. n. 150/2015. In secondo luogo, la mancata offerta di servizi e di politiche attive previste dal patto di servizio non corrisponde ad una pretesa di risarcimento del danno nei confronti della p.a. da parte del disoccupato. In terzo luogo, la p.a. e il disoccupato non agiscono sullo stesso piano e tale elemento è confermato anche dall’assenza di strumenti sanzionatori da parte dei cpi in caso di inadempimento da parte del disoccupato. Infatti, dal mancato assolvimento degli impegni previsti dal patto di servizio, deriva la decadenza dello stato di disoccupazione adottata con un provvedimento amministrativo. La natura di quest’ultimo conferma il carattere pubblicistico del patto di servizio, il cui mancato rispetto determina una conseguenza giuridica definita da una norma e non dal “patto” in sé.
Interessante è il rapporto tra il patto di servizio e l’a.r. Ad una prima lettura si può sostenere che l’a.r. possa essere una politica attiva tra quelle che possono essere indicate nel patto di servizio. Tuttavia, tale tesi è smentita dal fatto che l’a.r. può essere rilasciato al disoccupato con i requisiti di cui all’art. 23, co.1, anche se non ha stipulato un patto di servizio (v. art. 20, co. 4). Ne consegue che le politiche attive contenute nel patto di servizio possono essere qualcosa di diverso rispetto all’a.r. Anche su questo punto l’interpretazione non è certa e questo perché l’art. 23, co. 5, d.lgs. n. 150/2015 prevede che «la richiesta del servizio di assistenza alla ricollocazione, per tutta la sua durata, sospende il patto di servizio personalizzato eventualmente stipulato ai sensi dell’art. 20». Si può affermare che il rapporto tra il patto di servizio e l’a.r. è solo eventuale, il secondo potrebbe essere rilasciato anche in assenza del primo.
Infine, occorrerebbe chiedersi che cosa avviene quando un soggetto che è disoccupato, che ha firmato il patto di servizio e che al contempo ha ottenuto l’a.r. “incappi” nell’ipotesi prevista dall’art. 23, co. 5, lett. f), d.lgs. n. 150/2015, cioè venga assunto con un contratto a termine di un anno.
In tale ipotesi si avrà: sospensione dell’a.r., la già sospensione del patto di servizio e al contempo la perdita dello stato di disoccupazione in quanto il contratto di lavoro è superiore a sei mesi.
Come può il soggetto beneficiario dell’a.r. ottenere la ripresa del servizio di assistenza intensiva dopo l’eventuale conclusione del rapporto se alla base egli non è più disoccupato? Sul punto è opportuno un chiarimento da parte degli atti attuativi che la costituenda Anpal dovrà predisporre al fine di non creare disagi nella gestione delle politiche attive da parte degli operatori dei servizi per il lavoro.
2.3 La condizionalità
La norma più attesa da questa riforma dei servizi e politiche attive per il lavoro è sicuramente costituita dagli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 150/2015. Per ragioni di attinenza con l’oggetto della trattazione, l’analisi si soffermerà solamente sull’art. 21.
L’art. 21 disciplina in maniera minuziosa le diverse ipotesi di perdita o decurtazione delle prestazioni di sostegno al reddito.
La disposizione prevede che la sottoscrizione del patto di servizio sia una condizione (art. 16 d.lgs. n. 22/2015) per l’erogazione dell’Asdi mentre per l’erogazione della Aspi, Naspi o Dis-coll è sufficiente la domanda di tali prestazioni che ha valore equivalente alla d.i.d.
Benché non sia chiaro perché vi sia questa differenziazione, è certo (art. 23, co. 4) che il patto di servizio personalizzato è un documento di riferimento indispensabile ai fini della decadenza della prestazione di sostegno al reddito.
L’art. 21 regola diverse graduazioni di sanzioni che possono essere comminate al disoccupato che è inadempiente rispetto agli obblighi previsti dal patto di servizio.
Inoltre, prevede che per quanto riguarda l’a.r. il beneficiario deve richiedere il servizio ai cpi o ai soggetti accreditati, a pena di decadenza dallo stato di disoccupazione e dalla prestazione a sostengo del reddito, entro due mesi dalla data di rilascio dell’assegno.
Ad avviso di chi scrive, più che dalla data di rilascio dall’assegno è opportuno fare riferimento alla data della ricezione della comunicazione del rilascio dell’assegno, in modo che l’inerzia del beneficiario non comporti lo “stallo” delle risorse dell’a.r. e non precluda la possibilità di usufruire del servizio da parte di un altro soggetto.
In caso di violazione degli obblighi di cui ai co. 7 e 8 dell’art. 21, i cpi adottano le relative sanzioni. Quali sono le sanzioni che i cpi possono comminare se non il solo provvedimento di decadenza dello stato di disoccupazione? Tale provvedimento deve essere prontamente comunicato da parte del cpi all’Anpal e all’INPS. E sarà proprio l’INPS che emetterà il provvedimento “sanzionatorio” conseguente per il recupero delle somme indebitamente ed eventualmente percepite.
Rileva, inoltre, la previsione del co. 11 dell’art. 21 che prevede che in caso di mancata adozione dei provvedimenti di decurtazione o decadenza della prestazione determina responsabilità disciplinare e contabile del funzionario responsabile, che non può essere che il funzionario dell’INPS e non quello dei cpi se non in via indiretta.
Pertanto, se da una parte si spera che finalmente gli operatori siano obbligati a fare le comunicazioni in ragione della responsabilità disciplinare e contabile questo potrebbe avvenire anche e soprattutto per ragioni premiali. Infatti, il co. 13 dell’art. 21 prevede che l’INPS versi annualmente le risorse non erogate in relazione a prestazioni oggetto di provvedimenti di decurtazioni o decadenza per il 50 per cento al FPA e per il restante 50 per cento alle regioni e alle province autonome cui fanno capo i cpi che hanno adottato i relativi provvedimenti, per l’impiego in strumenti di incentivazione del personale connessi al raggiungimento di particolari obiettivi.
Le regioni potrebbero prevedere una premialità per i cpi che fanno decadere i soggetti percettori di forme di sostegno al reddito attraverso la decadenza dello stato di disoccupazione.
Molti sono gli aspetti problematici legati alla riforma dei servizi e politiche del lavoro, ma è opportuno aspettare la costituzione dell’Anpal, la redazione degli atti di attuazione del d.lgs. n. 150/2015 (in primo luogo dell’a.r.), per poter dare un giudizio complessivo sulla stessa.
Molte sono le sfide che l’Anpal dovrà affrontare nel prossimo anno e la speranza è che al di là della nuova denominazione possa essa trovare una propria “dignità” e non rimanere quello che allo stato attuale è la Direzione Generale per le politiche attive, i servizi per il lavoro e la formazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
I temi di cui l’Anpal dovrà occuparsi sono principalmente: il sistema informativo unico; il sistema di profilazione; la rete dei servizi per le politiche del lavoro; il coordinamento dei fondi nazionali e regionali in materia di a.r. a norma dell’art. 24; una migliore definizione dell’oggetto del servizio previsto dall’a.r. anche sulla scorta delle sperimentazione regionali in corso; il rapporto tra stato di disoccupazione, patto di servizio e a.r.; l’elaborazione dei costi standard e un sistema di monitoraggio efficace dei servizi per il lavoro.
Avendo già accennato ad alcuni dei profili problematici sull’attuazione del a.r. in questa sede l’analisi riguarda principalmente il ruolo del sistema informativo unitario/unico; sul rapporto tra i cpi e i soggetti accreditati per l’erogazione del servizio previsto dall’a.r. e sul sistema di monitoraggio dei servizi per il lavoro e in particolare del a.r.
Come già anticipato nel par. 2, in questa nuova fase dei servizi per il lavoro gioca un ruolo decisivo l’infrastruttura informatica che supporterà gli operatori nell’erogazione dei servizi per il lavoro.
La speranza è che non si ripeta l’esperienza della cooperazione applicativa di “Garanzia giovani”, dove gli operatori dei cpi sono stati costretti a rincorrere e utilizzare le diverse applicazioni provenienti dai diversi sistemi informatici stratificatisi nel tempo nelle realtà provinciali, regionali e statali, sottraendo tempo all’erogazione dei servizi.
Infatti, occorre un nuovo approccio che possa creare strumenti di reale supporto agli operatori dei servizi. Occorre che gli operatori non siano più imprigionati nelle procedure burocratiche, ma che abbiamo più tempo e stimoli per la formazione e per l’erogazione dei servizi specialistici del lavoro di qualità.
Un altro aspetto molto decisivo per la riuscita della riforma e in particolare dell’a.r., che in parte dipende dalla variabile appena illustrata, è il modello di servizi che si vuole adottare. Il sistema italiano è oggi «policefalo e forse acefalo»19: ogni regione ha un proprio modello di servizi per il lavoro, nei limiti dei principi generali e dei livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale20.
I modelli esistenti sono sostanzialmente due: il modello competitivo e il modello cooperativo. Al di là delle discussioni politiche sul quale sia il modello migliore da adottare, ciò che rileva è come gli operatori pubblici e privati operano all’interno dei singoli modelli. Se da un lato il d.lgs. n. 150/2015 sembra aver scelto un modello competitivo per l’attuazione dell’a.r., dall’altro lato l’intero impianto dei servizi per il lavoro sembra molto concentrato sul ruolo del pubblico, quindi sui cpi.
Molte sono le funzioni che lo stesso decreto affida ai cpi, tant’è che questi sono la porta d’accesso per i servizi e le politiche attive del lavoro. Si pensi che il patto di servizio, a norma dell’art. 18, co. 2, è esclusivamente di competenza dei cpi.
Nella nuova fase dei servizi per il lavoro, gli operatori pubblici o privati devono essere nelle condizioni di lavorare in modo indipendente tra loro, in modo tale che la disfunzione del primo non porti anche alla disfunzione del secondo (es. se un cpi non convoca il disoccupato per la stipula del patto di servizio, ciò non può bloccare, in primo luogo, il diritto all’accesso ai servizi all’utenza e, in secondo luogo, non può determinare un ritardo nella presa in carico da parte del soggetto accreditato del disoccupato). Il modello organizzativo dei servizi è fondamentale per la riuscita qualitativa dei servizi stessi.
Infine, fondamentale per il successo della riforma è sicuramente un sistema di monitoraggio che sia in grado realmente di valutare le perfomance dei servizi21.
In particolare, il co. 8 dell’art. 23, prevede che l’Anpal realizzi il monitoraggio e la valutazione comparativa dei soggetti erogatori del servizio di assistenza intensiva alla ricollocazione, con riferimento agli esiti di ricollocazione raggiunti nel breve e nel medio periodo per ogni profilo di occupabilità. A tal fine verrà istituito un sistema informatico su cui dovranno confluire le informazioni sulla richiesta, utilizzo e esito del servizio da parte degli operatori dei servizio. L’Anpal renderà pubblici gli esiti del monitoraggio e segnalerà agli operatori del servizio le criticità riscontrate nella fase di valutazione al fine di consentire le opportune azioni correttive. Decorso un anno dalla segnalazione, ove le criticità non si dovessero risolvere, l’Anpal ha la facoltà di revocare “abilitazione” al servizio agli operatori.
L’Italia necessita da anni di una riforma dei servizi e politiche attive per il lavoro, speriamo che questa sia il “cambio di passo” e che in futuro anche il nostro Paese possa garantire ai disoccupati una security nel mercato del lavoro al pari dei paesi nord europei.
1 Per una ricostruzione normativa dell’istituto v. Tessaroli, L., La sperimentazione del contratto di ricollocazione, in Il libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015, 353; Valente, L., Il contratto di ricollocazione, in Ghera, E. Garofalo, D., Le tutele per i licenziamenti e per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, Bari, 2015, 329 e ss.
2 L’art. 34 del d.lgs. n. 150/2015 ha abrogato tutti i commi dell’art. 17, ad esclusione del co. 1 che prevedeva un incremento per il 2015 di 32 milioni di euro del Fondo politiche attive. Del medesimo co. 1 sopravvivere anche la disposizione per cui le regioni «possono attuare e finanziare il contratto di ricollocazione». È interessante verificare se la disposizione permetta alle regioni di regolamentare lo strumento a proprio piacimento (visto l’eliminazione dei “principi del presente decreto”) o se viceversa sia preclusa la possibilità per le regioni di regolamentare e attuare lo strumento se non entro i confini dell’assegno di ricollocazione.
3 Le regioni che hanno disciplinato il c.r. possono continuare a mantenerla anche quando l’a.r. sarà pienamente operativa.
4 Tra le sperimentazioni regionali si ricordano: quella della regione Lazio (D.G.R. 30.9.2014, n. 632, allegato A); quella della regione Lombardia (v. Giubileo, F., Il modello di welfare occupazionale in Lombardia, Milano, 2013; quella della regione Sardegna (D.G.R. 12.2.2015, n. 7/17); quella della regione Sicilia. Per un maggiore approfondimento sul c.r. vedi www.pietroichino.it.
5 Lo stato di disoccupazione è stato disciplinato precedentemente dall’art. 1, co. 2, lett. c, d.lgs. 21.4.2000, n. 181 e ora dall’art. 19 d.lgs. n. 150/2015; v. infra § 2.1.
6 Soggetti accreditati dalle regioni ai servizi per il lavoro. In seguito all’attuazione del programma “Garanzia giovani”, alla data di pubblicazione dell’opera, quasi tutte le regioni hanno un sistema di accreditamento ad eccezione di: Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Basilicata e per il Trentino Alto-Adige la provincia autonoma di Bolzano.
7 V. D.D.10Segr.D.G.2015 del 25.1.2015 in www.garanziagiovani.gov.it
8 Alaimo, A., Ricollocazione dei disoccupati e politiche attive del lavoro. Promesse e premesse di security nel Jobs Act del Governo Renzi, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 249/2015.
9 Non è ben chiaro che significato possa avere il termine «residenza» in quanto esso non può essere riferito alla residenza del disoccupato, visto che con l’art. 3, co. 2, d.l. 20.3.2014, n. 34 conv. con mod. dalla l. 16.5.2014, n. 78 è stato eliminato il limite dell’ambito territoriale in cui si trova il domicilio. Infatti, il disoccupato può chiedere i servizi e quindi essere preso in carico in qualsiasi cpi d’Italia indipendentemente dalla residenza o dal domicilio.
10 Per un maggiore approfondimento sul programma “Garanzia giovani” vedi www.garanziagiovani.gov.it.
11 La nozione di stato di disoccupazione, unitamente all’acquisizione, sospensione, conservazione e perdita dello stesso è stato in passato regolato dal d.lgs. n. 181/2000, il quale lasciava un certo spazio di intervento alle normative regionali, stante la competenza legislativa concorrente in materia di servizi per l’impiego. L’attuazione da parte delle regioni sul tema non è sempre stato univoca, si pensi che in alcuni casi lo stato di disoccupazione si acquisisce attraverso la d.i.d (v. nt. 13) mentre in altre realtà è prevista anche la contestuale sottoscrizione del patto di servizio e del piano di azione individuale. Inoltre, le normative regionali non chiariscono se al superamento della soglia reddituale (4.800 euro per il lavoro autonomo e 8.000 euro per il lavoro subordinato/parasubordinato) con un contratto di durata inferiore ai 6 mesi, si verifichi la perdita dello stato di disoccupazione oppure la sospensione della stessa. Certamente non ha contributo a chiarire il quadro anche il “pasticcio” creato dalla l. n. 92/2012 che ridefinendo le regole riguardanti lo stato di disoccupazione aveva inavvertitamente abrogato l’istituto della conservazione che poi è stato reintrodotto con d.l. 28.6.2013, n. 76 conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 99. Con molta probabilità anche il Governo Renzi sarà costretto a reintrodurre l’istituto della conservazione, almeno per quanto riguarda i lavoratori disabili. Per un maggior approfondimento sul tema v. Pascucci, P., Servizi per l’impiego, politiche attive, stato di disoccupazione e condizionalità nella legge n. 92/2012. Un prima ricognizione delle novità, in Riv. dir. sic. soc., 2012, 453511.
12 I cpi dovranno controllare attraverso la banca dati, oppure la banca dati stessa dovrà far rilevare (tramite il sistema informatico unitario/unico di cui all’art. 13 d.lgs. n. 150/2015) in primo luogo, se il disoccupato ha una comunicazione obbligatoria che indica un rapporto di lavoro in corso e ove esistesse una comunicazione obbligatoria che il soggetto non si trovi in una delle ipotesi di sospensione o conservazione (se l’istituto esiste ancora anche dopo il d.lgs. n. 150/2015).
13 La d.i.d. è la dichiarazione che può essere effettuata: on line tramite il sito dell’INPS, se il soggetto fa domanda di prestazione di sostegno al reddito (cfr., l’art. 21, co. 1 prevede un’equivalenza tra la domanda di Aspi, Naspi, Dis-Coll e la domanda di indennità di mobilità di cui all’art. 7 l. 23.7.1991, n. 223, resa dall’interessato all’INPS e la d.i.d.), presso i cpi o tramite i portali regionali ove esistenti.
14 Art. 8, co. 1, l. 12.3.1999, n. 68 così modificato dall’art. 7 d.lgs. 14.9.2015, n. 151.
15 La «registrazione di cui al comma 1» s’intende la registrazione al portale nazionale delle politiche attive con la d.i.d.
16 Per una ricostruzione normativa e storica v. Il patto di servizio tra normativa e prassi su www.adapt.it
17 Rosato, S., Perdita dello stato di disoccupazione, in Tiraboschi, M., a cura di, La riforma del collocamento e i nuovi servizi per l’impiego, Milano, 2003, 275.
18 Sartori, A., Il patto di servizio: valore giuridico e conseguenze dell’inadempimento, in Ichino, P.Sartori, A., I servizi per l’impiego. Il sistema di avviamento, 116 e ss.; Viscomi, A., Servizi per l’impiego: i patti di servizio, in Dir. lav. merc., 2004, 63 e ss; Garofalo, D., Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro. Dal collocamento al rapporto giuridico di lavoro, in Curzio, P., a cura di, Lavoro e diritti, Bari, 2004; Ciucciovino, S., Apprendimento e tutela del lavoro, Torino, 2012, 96.
19 Lassandari, A., Le agenzie di collocamento nel diritto internazionale, comunitario e comparato europeo: elementi di disciplina; modelli di intervento, in AA.VV., I servizi per l’impiego tra pubblico e privato, in Quad. dir. lav. rel. ind., 1999, 22, 190.
20 Per una rassegna dei sistemi regionali di servizi per l’impiego v. Varesi, P.A., I servizi per l’impiego nella legislazione regionale, in Brollo, M., a cura di, Il mercato del lavoro, Persiani, M. Carinci, F, diretto da, Trattato di diritto del lavoro, VI, Padova, 2012, 203-273.
21 Anche la l. n. 92/2012 aveva previsto un sistema di monitoraggio delle perfomance. Per un maggior approfondimento v. Sartori, A., Servizi per l’impiego e politiche dell’occupazione in Europa, San Marino, 2013, 482, spec. nt. 40.