Riforma del condominio. Profili processuali
Con riferimento alla l. 11.12.2012, n. 220, intitolata Modifiche alla disciplina del condominio, si può addirittura dubitare del fatto che sia corretto parlare di riforma, non essendo possibile individuare nella nuova disciplina dei principi guida ed emergendo piuttosto una operazione di restyling della disciplina vigente, senza neppure la ricerca di una soluzione dei veri problemi di fondo, quali risultanti dalle incertezze della giurisprudenza e dalla prassi.
Se si prescinde dal recepimento espresso di orientamenti giurisprudenziali ormai pacifici, le disposizioni “nuove”, oltre ad essere spesso espressione di scarso tecnicismo legislativo (e non solo), probabilmente hanno creato problemi interpretativi maggiori di quelli che intendevano risolvere.
La l. 11.12.2012, n. 220 (Modifiche alla disciplina del condominio), non ha inciso in modo diretto sulla disciplina dei poteri di rappresentanza processuale dell’amministratore, essendo rimasto immutato l’art. 1131 c.c., che rappresenta il cardine di tale disciplina.
Per quanto riguarda la rappresentanza processuale attiva (in ordine ai cui limiti non vi erano problemi aperti, ma semplicemente incertezze giurisprudenziali relative alla delimitazione delle singole ipotesi previste dall’art. 1130 c.c., con riferimento alle quali l’art. 1131, co. 1, c.c. attribuisce all’amministratore autonomi poteri di iniziativa processuale) tale legge di riforma, oltre a contenere delle disposizioni superflue, con altre ha inciso solo indirettamente sui poteri dell’amministratore.
La disciplina della rappresentanza processuale passiva è, invece, rimasta totalmente immutata, probabilmente in quanto il legislatore ha ritenuto che l’elaborazione giurisprudenziale ha eliminato i più importanti dubbi interpretativi che si erano presentati in passato.
Forse un intervento sarebbe stato opportuno in ordine alla rappresentanza passiva, permanendo incertezze nella giurisprudenza della S.C. in ordine alla interpretazione della espressione «azione concernente le parti comuni dell’edificio», di cui all’art. 1131, co. 2, c.c.
D’altra parte, per quanto riguarda i problemi relativi alle modalità di esercizio di tale rappresentanza, gli stessi erano stati risolti da Cass., S.U., 6.8.2010, n. 18331.
Occorre, pertanto, esaminare, su quali singoli aspetti della rappresentanza processuale dell’amministratore abbia inciso la cd. riforma del condominio.
Per ciascuno degli istituti che si va ad esaminare, è necessario evidenziare gli interrogativi posti dalla nuova legge.
3.1 La fine della prorogatio
Una disposizione che ha inciso indirettamente, ma in modo notevole, sulla rappresentanza processuale dell’amministratore è costituita dall’artt. 1129, co. 8, c.c., il quale prevede: «Alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi».
In precedenza in giurisprudenza si era affermato che in ogni caso in cui il condominio rimanesse privo di amministratore e fino alla nomina del nuovo amministratore, e quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all'art. 1129, co. 2, c.c. o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina1, trovava applicazione la cd. prorogatio imperii, il cui fondamento andava ricercato nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministrazione, rimanendo l’accertamento di tale prorogatio rimesso al controllo d’ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto inerente alla regolare costituzione del rapporto processuale2.
In particolare, si era ritenuto che l’amministratore conservava il potere di agire in giudizio e di rappresentare in questo il condominio3 e che la parte che, dopo avere agito nei confronti di un condominio, nella persona dell’amministratore, ne avesse contestato il potere di rappresentanza per dedurre l’inammissibilità del ricorso per cassazione da questo proposto, aveva l’onere di fornire la prova della sua eccezione, concretandosi questa nella allegazione di un fatto estintivo o modificativo dell’incarico, che non poteva essere presunto dal mero decorso dell’anno di durata dell’incarico, secondo la previsione dell’art. 1129 c.c.4
In verità non vi era un orientamento uniforme in ordine ai limiti di tale prorogatio e ai poteri spettanti all’amministratore in pendenza della stessa.
In ordine al primo problema, infatti, si era precisato che la prorogatio, fondandosi in una presunzione di conformità all’interesse e alla volontà dei condomini, non poteva trovare applicazione qualora risultasse, invece, una volontà di questi ultimi, espressa con deliberazione dell’assemblea condominiale, contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore cessato dall’incarico5.
Per quanto riguarda il secondo problema, mentre talora si era affermato che l'amministratore di condominio cessato dalla carica conserva una “limitata legittimazione passiva” a resistere alle pretese fatte valere nei confronti dell'ente di gestione6, in altre occasioni si era affermato che continuava ad esercitare tutti i poteri previsti dall'art. 1130 c.c., attinenti alla vita normale ed ordinaria del condominio, fino a quando non sia stato sostituito con la nomina di altro amministratore7.
La nuova disciplina in tema di cessazione dell’incarico di amministratore introdotta dall’art. 1129, co. 8, c.c. ha implicitamente posto fine al regime della prorogatio.
Va peraltro ribadito che la cessazione dalla carica dell’amministratore non comporta la interruzione dei processi in corso8, in quanto l’art. 299 c.p.c., nell’elencare gli eventi che danno luogo alla interruzione, non fa menzione della estinzione del potere rappresentativo, se non con la formula «cessazione di tale rappresentanza», ove l’attributo “tale” indica inequivocabilmente che si tratta non di ogni tipo di rappresentanza, ma solo di quello che nella norma è menzionato nelle parole precedenti, ossia la “rappresentanza legale”.
Ne consegue che rimane fermo il principio che la cessazione dalla carica dell’amministratore che ha conferito il mandato ad litem non fa venire meno il potere del procuratore di proporre appello9.
Una ulteriore conseguenza della introduzione dell’artt. 1129, co. 8, c.c., riguarda la prova della qualità di amministratore.
Mentre, infatti, in precedenza, in applicazione del principio della prorogatio, era sufficiente che l’amministratore che voleva agire o resistere in giudizio per conto del condominio esibisse la delibera di nomina, anche se risalente nel tempo, non dovendo provare l’esistenza di una conferma successivamente alla scadenza dell’originario incarico annuale, attualmente in base all’art. 1129, co. 10, c.c., l’amministratore dovrà provare che non è scaduto il biennio previsto da tale disposizione.
Per lo stesso motivo, il terzo che dovesse agire nei confronti del condominio, ove dovesse risultare che è scaduto il biennio in questione, avrà l’alternativa tra citare tutti i condomini o ricorrere alla procedura prevista dall’art. 65 disp. att. c.c., e cioè richiedere la nomina di un curatore speciale.
Fermo restando che in base all’artt. 1129, co. 8, c.c. è da escludere la permanenza di una legittimazione processuale passiva in capo all’amministratore cessato dall’incarico, resta, invece, aperta la questione se lo stesso sia titolare di una sia pur limitata legittimazione processuale attiva.
Si tratta, cioè, di stabilire se «le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi» riguardino il compimento di soli atti di natura sostanziale o meno.
La risposta positiva sembra preferibile, in considerazione del fatto che nell’interpretazione della disposizione per certi versi analoga costituita dall’art. 460, co. 2, c.c., si ritiene che «atti conservativi» comprendano anche la legittimazione a stare in giudizio.
È da escludere, invece, che l’amministratore possa esperire azioni che incidono sulla condizione giuridica delle parti comuni. Se, infatti, un tale potere non è riconosciuto all’amministratore in carica, a maggiore ragione non può essere esercitato dall’amministratore scaduto dall’incarico.
3.2 I limiti della legittimazione passiva dell’amministratore
L’art. 1131, co. 2, c.c. prevede che l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualsiasi azione concernente le «parti comuni dell’edificio».
Tale espressione non è del tutto chiara, potendosi, sulla base di un’esegesi esclusivamente letterale della stessa, ritenere che la stessa si riferisce alla parti comuni in senso fisico, escludendo dalla legittimazione passiva dell’amministratore e sussistendo il litisconsorzio necessario di tutti i condomini in ordine a tutte le azioni di contenuto puramente giuridico, sprovviste cioè di incidenza sulle parti comuni10.
Prevale, però, l’orientamento secondo il quale la legittimazione passiva dell’amministratore sussiste con riferimento ad ogni azione riguardante l’interesse del condominio, cioè tutti i rapporti giuridici che sorgono dall’esistenza di parti comuni nel condominio, sulla base di una duplice considerazione: a) dai lavori preparatori del codice (Relazione al Re Imperatore, n. 190) risulta che si è inteso utilizzare una formula che ampliasse l’ambito della rappresentanza passiva conferita all’amministratore, estendendola a qualunque azione proposta contro i condomini, rispetto alla previsione di cui all’art. 20, co. 2, del r.d.l. 15.1.1934, n. 56, nel quale era stabilito che l’amministratore potesse essere convenuto in giudizio «per qualsiasi oggetto»; b) la ratio dell’art. 1131, co. 2, c.c., imperniata sull’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, ovviando alle difficoltà pratiche di promuovere (e di preservare) il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini.
Sulla base di tali premesse la legittimazione passiva dell'amministratore è stata, pertanto, affermata anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell'edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino11, alla impugnazione delle delibere assembleari12, alle controversie relative ai servizi comuni13.
Va poi dato atto che è stato abbandonato l’orientamento secondo il quale sarebbe necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini, qualora l’attore in negatoria o confessoria servitutis richieda, oltre alla declaratio iuris, anche l’ordine di rimozione delle opere eseguite dalle parti comuni dell’edificio condominiale. La S.C. ha avuto modo di chiarire che la vocazione generale della legittimazione passiva di cui all’art. 1131, co. 2, c.c. resta insensibile alla distinzione tra azioni di accertamento, azioni costitutive e azioni di condanna, in quanto vale sempre la ratio legis di agevolare i terzi nella chiamata in giudizio del condominio14. In proposito è stato utilizzato anche un argomento ad absurdum, nel senso che, convenendo in giudizio l’amministratore sarebbe possibile ottenere, ad esempio, l’accertamento, nei confronti di tutti i condomini, dell’esistenza o dell’inesistenza di una determinata servitù a carico o a favore di un edificio condominiale, mentre, per ottenere, sulla base del conseguente giudicato, non più contestabile da parte dei singoli condomini, una condanna all’eliminazione delle opere, le quali rispettivamente impediscono o consentono l’esercizio di tale servitù, sarebbe necessario instaurare il relativo giudizio nei confronti di tutti i condomini15.
È da ritenere che, essendo rimasto immutato l’art. 1130, co. 2, c.c. a seguito della legge di riforma, il legislatore abbia inteso tacitamente recepire tali orientamenti giurisprudenziali consolidati.
3.3 I poteri dell’amministratore in tema di rappresentanza passiva
In ordine alle modalità di esercizio della rappresentanza passiva da parte dell’amministratore di condominio, si è recentemente affermato l’orientamento secondo il quale l’amministratore di condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni, ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia all’assemblea della citazione ai sensi dell’art. 1131, co. 2 e 3, c.c., può costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione16.
La conclusione che l’amministratore deve essere autorizzato dall’assemblea a costituirsi e a proporre impugnazioni è stata basata essenzialmente sulla considerazione che iniziative autonome dell’amministratore esporrebbero il condominio al pagamento, oltre che delle spese processuali proprie, anche di quelle dovute alla controparte nel caso di soccombenza, in contrasto con i limitati poteri gestori spettanti all’amministratore, e sul principio che non sempre il destinatario della notifica è anche titolare di poteri di iniziativa processuale (ad es. associazioni non riconosciute).
Tale orientamento ha avuto una accoglienza contrastata in dottrina, anche se le perplessità e le critiche manifestate non sembrano scalfire le ragioni poste a fondamento dello stesso.
Ad es., contro la affermazione della primazia dell’assemblea e la subalternatività dell’amministratore, si è sostenuto che «la legittimazione di quest’ultimo viene regolata direttamente dalla legge correlandola agli interessi generali della collettività che possono se del caso non coincidere con quelli della maggioranza dei condomini, talvolta prescindendo dalla stessa»17: il problema, infatti, non riguarda la legittimazione passiva dell’amministratore, ma la individuazione dei poteri di iniziativa processuale dello stesso.
Si è, poi, denunciata una sostanziale abrogazione per inutilità delle disposizioni del terzo e quarto comma dell’art. 1131 c.c., le quali prevedendo e sanzionando l’obbligo dell’amministratore di avvisare l’assemblea della vocatio in ius eccedente le proprie attribuzioni, sembrano presupporre la legittimazione dell’amministratore alla gestione della lite18. In realtà, l’obbligo in questione ha una sua logica spiegazione proprio nel fatto che l’amministratore, che potrebbe costituirsi in nome del condominio, debba mettere lo stesso in condizioni di scegliere quale condotta tenere.
Contro il timore che di un uso improprio del dissenso dalla lite, ai sensi dell’art. 1132 c.c., sotto forma di dissenso dalla ratifica19, è facile replicare che adducere incumveniens non est solvere argumentum.
Lo stesso discorso vale per chi, preconizzando che la riduzione della legittimazione passiva dell’amministratore segni l’abbandono della teoria dell’ufficio e la riaffermazione della teoria del mandato, dubita dell’efficienza di una figura così ridimensionata, soprattutto nell’amministrazione dei grandi complessi edilizi20, e per chi, rispetto all’assoluta peculiarità del mandato e connessa alla natura legale e inderogabile della rappresentanza passiva, ritiene incongruo ridurre l’amministratore a mero destinatario della notifica e privarlo di ogni autonomo potere di gestione della lite, trasformando l’avviso di cui al terzo comma dell’art. 1131 c.c. da adempimento interno, rilevante ai soli fini della revoca dell’incarico e della responsabilità per danni, in adempimento esterno, precondizione di validità della costituzione in giudizio21.
Ad ogni modo, nulla avendo disposto in materia la legge di riforma, è da ritenere che anche in ordine alla problematica delle modalità di esercizio della rappresentanza passiva da parte dell’amministratore il legislatore ha inteso avallare tale nuovo orientamento, in considerazione della autorevolezza della sua fonte.
3.4 La tutela delle destinazioni d’uso
Tra le disposizioni della cd. riforma del condominio che hanno inciso indirettamente sulla rappresentanza processuale dell’amministratore va segnalato l’art. 1117 quater c.c. (Tutela delle destinazioni d'uso) che stabilisce: «In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell'articolo 1136».
A parte la genericità della previsione di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni e la stranezza della previsione della possibilità quasi sussidiaria (anche) di ottenere la cessazione delle violazioni mediante l’esperimento di azioni giudiziarie, si pone il problema del coordinamento di tale disposizione con il fatto che dal combinato disposto dell’art. 1130, n. 4, con l’art. 1131, co. 1, c.c., risulta che l’amministratore può agire giudizialmente senza necessità di preventiva autorizzazione dell’assemblea in relazione agli «atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio», i quali indubbiamente possono essere esercitati anche in presenza delle attività contemplate nell’art. 1117 quater c.c.
Il problema non si pone ove le attività in questione siano riconducibili ad estranei al condominio, dal momento che chiaramente tale disposizione si riferisce agli abusi commessi dai condomini, per i quali continueranno ad essere applicabili gli artt. 1130, n. 4, e 1131, co. 1, c.c.
Ove gli abusi siano commessi, invece, da condomini, se si considera che la repressione dell’attività illegittima già rientrava, in base all’art. 1130, n. 4, c.c., nel compimento degli atti conservativi delle parti comuni dell’edificio, in relazione ai quali l’amministratore ha poteri di iniziativa processuale autonoma, si potrebbe sostenere che l’art. 1117 quater c.c., prevedendo che sia l’assemblea a deliberare in merito ad eventuali azioni giudiziarie, implicitamente ha eliminato il potere autonomo di iniziativa giudiziale dell’amministratore.
Si tratta di una previsione pericolosa, dal momento che, in linea teorica, l’assemblea, tra l’altro a maggioranza semplice, potrebbe anche decidere di non agire giudizialmente nei confronti degli autori degli abusi, i quali rimarrebbero impuniti.
Per escludere tale inconveniente si potrebbe solo interpretare tale disposizione nel senso che la stessa si limita a prevedere che l’assemblea deve esprimere un parere non vincolante per l’amministratore in ordine alla opportunità o meno di reagire giudizialmente agli illeciti commessi dai condomini.
3.5 La cessazione ex lege dell’incarico di amministratore
In base all’art. 71 bis, co. 4, disp. att. c.c., la perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del primo comma comporta la cessazione dall'incarico. In tale evenienza ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore.
La espressa previsione della cessazione dall’incarico nel caso di perdita del godimento dei diritti civili (lett. a), di interdizione o inabilitazione (lett. d) è superflua, dal momento che nessuno avrebbe potuto dubitare che l’amministratore non avrebbe potuto continuare nello svolgimento del suo incarico.
La previsione di cui alla lettera c) è espressione di una scelta discrezionale del legislatore.
Più difficilmente spiegabile è la previsione della cessazione ex lege dell’amministratore nel caso in cui lo stesso subisca una condanna penale ai sensi della lettera d) o di annotazione del suo nome nel registro dei protesti cambiari ai sensi della lett. e), ipotesi che forse sarebbe stato preferibile considerare come causa di revoca.
Ad ogni modo, in mancanza di una espressa previsione analoga a quella di cui all’art. 1129, co. 8, c.c., è da escludere che l’amministratore cessato dall’incarico possa eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi.
Ciò significa la perdita totale (anche) della rappresentanza processuale sia attiva che passiva, per cui chi volesse iniziare un giudizio nei confronti del condominio dovrà citare tutti i condomini o chiedere la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 65 disp. att. c.p.c.
3.6 La riscossione dei contributi
Vari problemi comporta l’interpretazione dell’art. 1129, co. 9, c.c., in base al quale, salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell' art. 63, co. 1, disp. att. c.c., il quale stabilisce che «per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione».
In primo luogo non può non destare sorpresa la previsione che l’amministratore può procedere “anche” ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. In altri termini è assurdo che in una disposizione (l’art. 63 disp. att. c.c.) si preveda espressamente una procedura agevolata per la riscossione dei contributi condominiali ed in un’altra (l’art. 1129, co. 8, c.c.) si preveda espressamente che tale procedura può essere utilizzata in alternativa all’esperimento di una normale azione giudiziaria.
Ugualmente non può non suscitare sorpresa la previsione che l’amministratore può chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo senza bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea, dal momento che la riscossione dei contributi rientra, ai sensi dell’art. 1129, n. 3, c.c., nei poteri dell’amministratore, per cui lo stesso, in base all’art. 1131, co. 1, c.c., può esperire le vie giudiziali senza necessità di autorizzazione dell’assemblea.
Ma la disposizione che rischia di creare problemi alla gestione del condominio è la previsione che l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione dei contributi condominiali entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea.
È evidentemente contraddittorio, da un lato, prevedere la possibilità della riscossione mediante decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, in considerazione del fatto che la morosità, ove dovesse essere perseguita mediante il ricorso ad un ordinario giudizio di cognizione, pregiudicherebbe la normale gestione del condominio, e, dall’altro, consentire che l’amministratore possa attendere diciassette mesi per attivarsi, in relazione alla riscossione della prima rata dei contributi dovuti in base al bilancio preventivo.
Incomprensibile poi è la possibilità che l’assemblea, a maggioranza semplice, possa dispensare, senza limiti di tempo, l’amministratore dalla riscossione forzosa dei contributi condominiali.
3.7 La revisione delle tabelle millesimali
In base all’art. 69, co. 2, disp. att. c.c., ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell’amministratore. Questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea e nel caso in cui adempia a questo obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.
A prescindere dalla superfluità di tale ultima disposizione, dal momento che già l’art. 1131, co. 4, c.c. stabilisce che l’amministratore il quale non dia senza indugio notizia all’assemblea dei condomini del fatto che gli sia stata notificata una citazione che abbia un contenuto che esorbita dalla sue attribuzioni può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni, e dal fatto che, come si vedrà, non è corretto affermare che il condominio viene convenuto in giudizio in persona dell’amministratore, l’art. 69, co. 2, disp. att. c.c. pone vari problemi interpretativi.
In primo luogo dalla formulazione di tale disposizione sembrerebbe desumersi che la revisione delle tabelle millesimali non allegate al regolamento di condominio dovrebbe essere chiesta citando tutti i condomini, il che sarebbe incomprensibile.
Il secondo riguarda l’individuazione della portata della espressione “revisione”, dal momento che il co. 2 parla di “rettifica” (evidentemente nel caso di errore originario nella formazione) e di “modifica” (evidentemente nel caso di mutamento delle condizioni di una parte dell’edificio) e il co. 3 parla di “rettifica” o “revisione”. Da questa ultima disposizione sembrerebbe desumersi che la possibilità di citare in giudizio il solo amministratore e non tutti i condomini riguarda la sola ipotesi di formazione di nuove tabelle per il mutamento delle condizioni di una parte dell’edificio.
La conseguenza sarebbe che nel caso di rettifica per errore il giudizio dovrebbe essere instaurato nei confronti di tutti i condomini; tale diversità di disciplina, però, è inspiegabile.
Dalla espressa previsione che per la revisione delle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio può essere convenuto in giudizio l’amministratore sembrerebbe, poi, desumersi a contrario che, invece, nel caso di domanda relativa alla formazione delle tabelle dovrebbero essere citati in giudizio tutti i condomini; tale differenza di disciplina, da un lato, sarebbe ingiustificata da un punto di vista logico, e, dall’altro, rappresenterebbe indirettamente una sconfessione del più recente orientamento della S.C. in tema di formazione delle tabelle millesimali22; ma, soprattutto sarebbe in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato secondo il quale la legittimazione passiva dell’amministratore, prevista dell’art. 1131, co. 2, c.c., per le controversie relative alle “parti comuni”, va riferita a tutte le controversie relative ad interessi comuni.
Sembra, pertanto, preferibile ritenere che il legislatore abbia semplicemente confermato, in modo del tutto superfluo, quanto sarebbe stato già desumibile in via interpretativa.
3.8 La notifica degli atti processuali
La rappresentanza passiva ex lege dell’amministratore comporta il problema delle modalità della notifica degli atti di citazione relativi a controversie aventi ad oggetto le parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’art. 1131, co. 2, c.c.
Inizialmente la S.C. ha sostenuto che la notifica potrebbe essere validamente effettuata, sulla base di una interpretazione estensiva del combinato disposto degli art. 145, co. 2, e 19, co. 2, c.p.c., al condominio (in persona dell’amministratore) dove tale ente di gestione ha la sua sede, e cioè nel luogo dove esso svolge la sua attività con carattere continuativo, non potendosi ritenere che debba necessariamente essere convenuto in giudizio solo l’amministratore, in considerazione della dizione dell’art. 1131 c.c., il quale indica la “possibilità” di una tale evenienza23.
A prescindere, però, dalla irrilevanza dell’art. 19, co. 2, c.p.c., il quale si occupa esclusivamente della competenza per territorio, e della ammissibilità di una interpretazione estensiva in campo processuale, nella specie, per quanto riguarda l’art. 145, co. 2, c.p.c., si tratterebbe di una applicazione analogica (la cui ammissibilità in campo processuale non è comunque pacifica), dal momento che tale disposizione fa riferimento alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e ai comitati, mentre il condominio non ha una personalità giuridica neppure attenuata, come ha riconosciuto la stessa S.C.24; ad ogni modo per una interpretazione analogica mancherebbe comunque il necessario presupposto costituito da una lacuna nell’ordinamento da riempire, come si vedrà in seguito.
Da ciò consegue la inesattezza del riferimento al condominio quale “ente di gestione” (infelice espressione alla quale fa riferimento la S.C. proprio per escludere una qualsiasi forma di personalità giuridica del condominio), il quale svolge una attività presso l’edificio condominiale.
Il fatto, poi, che l’art. 1131, co. 2, c.c., affermi che l’amministratore “può” essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio non significa che, in alternativa, la citazione può essere notificata al condominio in quanto tale; l’alternativa è con la possibilità di notificare l’atto di citazione a tutti i condomini. Di ciò vi è la conferma nella seconda parte di tale disposizione in cui si stabilisce che all’amministratore “devono” (non semplicemente possono) essere notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono alle parti comuni.
Più recentemente si è, invece, ritenuto che ai fini della validità della notifica effettuata mediante consegna a persona diversa dall’amministratore e nello stabile condominiale, devono esservi locali destinati all’organizzazione e allo svolgimento della gestione delle cose e dei servizi comuni, come ad esempio la portineria, idonei a configurare un “ufficio” dell’amministratore25. Appare, però, difficile configurare la portineria come “ufficio” dell’amministratore.
Ne consegue che è nulla la notifica effettuata a persona definita “incaricata” rinvenuta presso il fabbricato condominiale, ove non risulti che presso quest’ultimo vi fosse un luogo destinato allo svolgimento della gestione condominiale, in quanto per la validità della notificazione a persona giuridica, o ad ente sfornito di personalità giuridica, non è sufficiente che copia dell’atto sia consegnata a persona qualificatasi «incaricata alla ricezione», essendo necessario l’ulteriore requisito del rinvenimento di tale incaricato presso la sede della persona giuridica o dell’ente privo di personalità giuridica26.
Secondo la S.C. ove un “ufficio” dovesse mancare, il domicilio del condominio coincide con quello privato dell’amministratore che lo rappresenta27. In realtà, se il condominio non ha personalità giuridica, neppure attenuata, non può neppure avere un domicilio.
Essendo l’amministratore rappresentante ex lege (nel senso che la sua nomina è obbligatoria) dei condomini le notificazioni degli atti giudiziali devono avere luogo presso il domicilio o la residenza dello stesso, che deve essere indicato in tali atti come destinatario (e non il condominio) e con menzione della sua qualifica.
Deve, pertanto, ritenersi che non è corretta la prassi della notifica degli atti giudiziali al “condominio in persona dell’amministratore pro-tempore” non nominativamente indicato (salvo la eventuale sanatoria del vizio), essendo tale prassi consentita solo nel caso di notifica a persone giuridiche.
Tale conclusione comporta indubbiamente l’inconveniente che, non essendovi un registro degli amministratori di condominio o altra forma di pubblicità che li riguardi, colui il quale voglia agire nei confronti di un condominio ha difficoltà ad individuare il destinatario della notifica.
A tale inconveniente ha posto rimedio (indirettamente) la legge di riforma del condominio, stabilendo, con l’art. 1129, co. 5, c.c. che sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, è affissa l’indicazione delle generalità e del domicilio dell’amministratore.
1 Cass., 30.10.2012, n. 18660; Cass., 23.1.2007, n. 1405; Cass., 27.3.2003, n. 4531.
2 Cass. n. 18660/2012, cit.
3 Cass., 21.12.1987, n. 9501; Cass., 6.12.1986, n. 7256; Cass., 20.4.1970, n. 1137, Cass., 21.10.1961, n. 2293.
4 Cass., 24.1.1994, n. 705.
5 Cass., 5.2.1993, n. 1445.
6 Cass. n. 18660/2012, cit.; Cass., 4.7.2011, n. 14589; Cass., 25.3.1993, n. 3588.
7 Cass., 27.3.2013, n. 4531.
8 In tal senso cfr. Cass., 23.12.1987, n. 9628. Nel senso, peraltro, che la cessazione del rapporto di rappresentanza per dimissioni comporta l’interruzione del processo a norma dell’art. 300 c.p.c. solo se e quando l’evento sia dichiarato in udienza oppure venga notificato alle altre parti dal procuratore costituito cfr. Cass., 17.3.1993, n. 3159; Cass., 20.2.1976, n. 572. In dottrina una posizione particolare è stata assunta da Crescenzi, M., Le controversie condominiali, Padova, 1991, 24, per il quale, essendo il rapporto di amministrazione del condominio disegnato nella disciplina positiva in modo non del tutto coincidente con la configurazione del rapporto di rappresentanza volontaria, soprattutto in considerazione dell’attribuzione all’amministratore di poteri di iniziativa giudiziale non direttamente correlati alla volontà dei condomini, la tutela del condominio non potrebbe prescindere dalle esistenza della figura dell’amministratore, con la conseguenza che il processo dovrebbe essere interrotto quando venga a difettare tale rappresentante.
9 Cass., 20.4.2006, n. 9282; Cass., 5.5.1977, n. 1721.
10 In tal senso cfr. Garbagnati, E., Sulla legittimazione a contraddire dell’amministratore di un condominio, in Foro pad., 1953, I, 335, con riferimento alla impugnazione di una delibera assembleare.
11 Cass., 10.11.2010, n. 22886; Cass., 16.4.2007, n. 9093; Cass., 17.9.2003, n. 13695; Cass., 21.1.2004, n. 919, con riferimento anche all’ipotesi in cui sia domandata la rimozione di opere comuni.
12 Cass., 5.6.2008, n. 14951; Cass., 17.2006, n. 16228; Cass., 20.4.2005, n. 8286.
13 Cass., 28.4.2004, n. 8139; Cass., 26.1.2000, n. 852.
14 Cass., 6.10.2005, n. 19460.
15 Cass., 17.3.2006, n. 6056.
16 Cass., S.U., 6.8.2010, n. 18331.
17 Celeste, A., Le Sezioni Unite ridimensionano la legittimazione passiva dell’amministratore bilanciandola con il potere decisionale dell’assemblea, in Foro it., 2010, I, 3366.
18 Piombo, D., L’incerta sorte dei poteri rappresentativi processuali dell’amministratore di condominio, dopo l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, in Foro it., 2010, I, 3366.
19 Scarongella, F., La legittimazione processuale passiva dell’amministratore di condominio, in Contratti, 2011, 562.
20 Vidiri, G., I poteri e la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio: risoluzione di un contrasto e certezza del diritto, in Corr. giur., 2011, 198.
21 Poli, G.G., Limiti della legittimazione processuale dell’amministratore nelle cause che non potrebbe autonomamente proporre, in Riv. dir. proc., 2012, 504.
22 Cass., 9.8.2010, n. 1477.
23 Cass., 26.1.1977, n. 388.
24 Cass., 16.8.1993, n. 8734.
25 Cass., 16.5.2007, n. 11303; Cass., 21.5.2001, n. 6906, per la quale deve essere disposta la rinnovazione della notifica nei confronti di un condominio rimasto contumace, se effettuata nell’edifico condominiale e a mani di un «impiegato dipendente addetto alla ricezione atti», secondo quanto risultante dalla relata dell’ufficiale giudiziario, perché tale qualità, non consistendo in un fatto avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale o da questi compiuto, non può ritenersi provata fino a querela di falso, ma costituisce soltanto una presunzione iuris tantum dei rapporti tra ricevente e destinatario – che è un ente sfornito di soggettività giuridica, ancorché imperfetta, e di autonomia patrimoniale, ancorché limitata – rappresentato dall’amministratore.
26 Cass., 28.1.2000, n. 976. Nel senso, peraltro, che nella ipotesi in cui il portiere di un condominio riceva la notifica della copia di un atto unicamente quale «addetto» alla ricezione, dichiarandosi incaricato del destinatario a tale mansione, e in detta veste venga indicato sull'originale che riporta la relata dell'ufficiale giudiziario procedente, senza alcun riferimento alle concomitanti funzioni connesse all'incarico afferente al portierato, ricorre la presunzione legale (iuris tantum) della qualità dichiarata, la quale per essere vinta abbisogna di rigorosa prova contraria da fornirsi da parte del destinatario, cfr.: Cass., 24.11.2005, n. 24798; Cass., 26.10.2012, n. 16492.
27 Cass., 2.8.2005, n. 16141; Cass. n. 976/2000, cit.