Riforma della magistratura onoraria
La legge delega di riforma della magistratura onoraria (l. 28.4.2016, n. 57) contiene una serie di disposizioni che, delineando un’unica figura di giudice e magistrato requirente onorario, assumono una portata sistematica con importanti conseguenze ordinamentali, processuali ed organizzative.
Le competenze civili e penali del nuovo giudice onorario, inoltre, vengono notevolmente ampliate. Nell’attesa, infine, che la riforma vada a regime, e siano approvati tutti i decreti delegati, dovrà essere gestita una lunga e delicata fase transitoria.
Con la l. delega 28.4.2016, n. 57 sono state finalmente approvate le linee di fondo di una riforma attesa da ben tredici anni – tanto è durato il periodo di mancata attuazione del disposto dell’art. 245 d.lgs. 19.2.1998, n. 511 – tentandosi di riordinare organicamente il settore della magistratura onoraria in cui, da tempo, si era venuta a consolidare una vasta sacca di precariato, in costante espansione numerica2, priva di serie garanzie lavorative, sottopagata, mal reclutata e mal disciplinata a livello normativo primario e secondario3; ma al contempo risorsa sempre più preziosa e indispensabile per il funzionamento quotidiano della giurisdizione.
La riforma si è mossa su tre direttrici fondamentali affrontando chiaramente, secondo l’ottica prevalente dell’amministrazione giudiziaria, le tre questioni principali sul tappeto emerse nel tempo:
a) l’esigenza di creare una figura unica di magistrato onorario dotato di uno statuto unico, superando la giungla ordinamentale preesistente;
b) la rimodulazione del ruolo e delle funzioni onorarie nei diversi uffici in cui si esercitano;
c) la soluzione, con apposite norme transitorie, del problema, preliminare a qualsiasi riforma, dei tanti magistrati onorari in servizio pluriprorogati4.
Altrettanto chiaramente va, peraltro, sottolineato che la riforma ha in buona parte frustrato le principali rivendicazioni propugnate negli anni dalle associazioni di magistrati onorari tese alla stabilizzazione del rapporto ed alla soluzione della questione previdenziale5.
In ogni caso, ciò che ha sbloccato la situazione di impasse che si era creata, è stata la scelta di tenere nettamente distinte nella riforma la fase transitoria da quella della nuova disciplina a regime in quanto qualsiasi riforma credibile e praticabile del settore avrebbe dovuto necessariamente incentrarsi, come suggerito da tempo da alcuni6, su una manovra in due tempi, risolvendo prima la situazione patologica del precariato venutosi a creare negli uffici e dopo delineando il nuovo assetto delle figure onorarie.
Da un lato quindi si trattava di far cessare lo stillicidio delle proroghe, scegliendo una delle alternative proposte dal dibattito in materia e da alcuni progetti di legge presentati negli anni. Dall’altro si trattava di mantenere quanto meno la fisionomia normativa di un magistrato davvero onorario e dunque rigorosamente temporaneo (limitando i possibili rinnovi e prevedendo seri meccanismi di conferma), selezionato con maggior rigore, dotato di più ampie garanzie di trattamento anche previdenziale, disciplinato in modo preciso quanto a requisiti di selezione, regime d’incompatibilità, pianta organica e funzioni esercitabili. In particolare, poi, si sollecitava l’inserimento prioritario dei magistrati onorari di tribunale e procure nel cd. ufficio del processo7 che sottintendeva chiaramente un loro uso non abbandonato a logiche individualistiche e casuali, ma un ruolo controllato, collocato organizzativamente a livello di sezione o gruppo di lavoro sotto la diretta responsabilità del quadro intermedio dell’ufficio, strettamente collegato ai piani e programmi elaborati in sezione e affidato/abbinato di volta in volta ai magistrati che ne richiedessero motivatamente l’intervento per obiettive ragioni di servizio.
Esaminiamo quindi adesso le principali novità della riforma cominciando dal verificare come si sono affrontati i nodi sopra indicati.
La legge supera la precedente tripartizione di figure onorarie (giudici di pace - g.d.p., giudici onorari di tribunale - g.o.t., e vice procuratori onorari - v.p.o.) unificando quelle giudicanti nell’unico soggetto «giudice onorario di pace» e facendole confluire tutte nel relativo ufficio (art. 2, co. 1, lett. a), lasciando invece separata la figura del magistrato requirente onorario che viene inserita nella nuova articolazione denominata «ufficio dei vice procuratori onorari» costituita presso ogni procura della Repubblica (art. 2, co. 2, lett. a).
Il Ministero della giustizia dovrà stabilire le rispettive dotazioni organiche dei giudici e vice procuratori onorari ripartendole tra i nuovi uffici del giudice di pace e tra le procure, «tenendo conto anche della pianta organica dei magistrati professionali» (art. 2, co. 2, lett. b). In questo modo il legislatore ha compiuto un passo avanti ed al contempo uno indietro rispetto al precedente assetto in cui era la legge a prevedere il numero dei giudici di pace (n. 4700 in forza dell’art. 3 l. 21.11.1991, n. 374) mentre nessuna norma era prevista sul numero di giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari da reclutare8.
Adesso si delegifica tutto (passo indietro) ma si rinvia ad un’unica fonte, il decreto ministeriale, la determinazione degli organici di tutti i magistrati onorari (passo avanti), con l’unico vincolo per la normativa delegata di tener conto del numero dei magistrati professionali, vincolo che, stando alla lettera della legge delega, opererebbe solo per l’organico dei v.p.o. Delimitazione, tuttavia, irrazionale posto che una quota di giudici onorari di pace dovrà, come meglio si vedrà in prosieguo, essere allocata presso i tribunali, in base all’art. 2, co. 5, della legge delega.
Riguardo ai requisiti se ne ribadiscono alcuni già previsti dalla precedente normativa (cittadinanza italiana, possesso dei diritti civili e politici, assenza di precedenti penali, idoneità fisica e psichica, laurea in giurisprudenza) e se ne introducono di nuovi alquanto significativi: il requisito dell’età passa da un minimo di 27 anni fino al massimo di 60, rispetto ai precedenti 30-70 per i giudici di pace e 25-69 per giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari; si introduce quello (alquanto evanescente) della «professionalità», forse intendendo con questo il già avvenuto e significativo svolgimento di qualche attività professionale; scompare soprattutto quello (art. 5, lett. g, l. n. 374/1991) dell’aver cessato l’esercizio di qualsiasi attività lavorativa dipendente, pubblica o privata che caratterizzava la figura del giudice di pace, costituita specialmente da pensionati: il nuovo art. 2, co. 4, lett. d), demanda, infatti, al legislatore delegato il chiaro compito di «prevedere che la nomina a magistrato onorario sia preclusa per i soggetti che, pur essendo in possesso dei requisiti previsti, risultano collocati in quiescenza»; compare infine tra i nuovi requisiti espressamente richiesti quello dell’onorabilità, anche con riferimento alle sanzioni disciplinari eventualmente riportate.
Riguardo poi ai titoli preferenziali in gran parte si sono confermati i precedenti (svolgimento di funzioni giudiziarie onorarie, della professione di avvocato, notaio, insegnamento di materie giuridiche all’università), mentre sono scomparsi alcuni titoli previsti dal d.m. 7.7.1999 sulle modalità di nomina di giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari e costituiti dall’esercizio anche pregresso delle funzioni di cancelliere e segretario giudiziario con qualifica direttiva e di dirigente delle pubbliche amministrazioni o enti pubblici economici.
In particolare è stata frustrata la richiesta che da tempo l’avvocatura associata aveva avanzato9 di attribuire agli avvocati la riserva dell’esercizio delle funzioni di magistrato onorario. Riguardo infine al regime delle incompatibilità pochissimo appare mutato rispetto al precedente assetto: intanto la disciplina è divenuta giustamente unica ed eguale per tutte le figure onorarie; risultano confermate le precedenti incompatibilità a cominciare da quelle più delicata del contestuale esercizio di funzione onoraria e attività forense con l’estensione ai soci delle società di professionisti di recente istituzione; quindi si introduce espressamente il divieto di nomina nello stesso ufficio di magistrati onorari legati da vincoli di parentela, affinità, coniugio o convivenza, superandosi il precedente regime meno restrittivo.
Gli artt. 2, co. 5, e 2, co. 6, della l. delega n. 57/2016 disciplinano le modalità d’impiego dei giudici onorari di pace e dei viceprocuratori onorari. La disciplina dei primi appare, ovviamente, più articolata posto che essi possono svolgere le loro funzioni onorarie sia nell’ufficio del giudice di pace sia in tribunale.
Nel primo ufficio il giudice onorario continuerà sostanzialmente a svolgere le funzioni attualmente svolte dal giudice di pace e sulla base delle nuove competenze attribuite dalla riforma. Nel secondo, sarà la legge delegata a individuare le modalità d’impiego presso il tribunale ordinario che sono rappresentate dall’inserimento nell’ufficio del processo (compito obbligatorio ed esclusivo nei primi due anni dell’incarico in base all’art. 2, co. 7, lett. e) o in funzione coadiutrice del giudice professionale, con compiti ausiliari di predisposizione degli atti utili e necessari per l’esercizio della funzione giurisdizionale, ovvero di svolgimento di attività giudiziaria delegata dal giudice professionale secondo quanto individuato in sede di decreti attuativi «in considerazione della natura degli interessi coinvolti e della semplicità delle questioni che normalmente devono essere risolte», e con possibilità per il giudice delegante di impartire «direttive generali cui il giudice onorario di pace deve attenersi», salvo declinare il compito ove non ricorrano «le condizioni per provvedere in conformità alle direttive ricevute».
Dopo il compimento dei primi due anni dell’incarico, si prevede poi, in casi tassativi che la legge delegata dovrà individuare, l’applicazione del giudice onorario di pace per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario, salvo alcune materie espressamente vietate: quelle indicate nel co. 3 dell’art. 43 bis ord. giud. (procedimenti cautelari e possessori; funzioni g.i.p./g.u.p.; reati diversi da quelli previsti dall’art. 550 c.p.p.) nonché i procedimenti in materia di rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatoria.
Più semplice la disciplina dei vice procuratori onorari per i quali si prevede la costituzione preso l’ufficio della procura della Repubblica di una struttura organizzativa comprendente gli stessi, il personale di cancelleria e coloro che svolgono il tirocinio formativo presso il predetto ufficio come previsto da recenti riforme10.
Ai vice procuratori, nell’ambito di tale struttura, con apposito provvedimento del procuratore, può assegnarsi il compito di coadiuvare il magistrato professionale, compiendo tutti gli atti preparatori, necessari o utili per lo svolgimento da parte dello stesso delle proprie funzioni; ovvero di svolgere le attività, con adozione dei relativi provvedimenti, che per semplicità e la non elevata pena edittale massima per il reato per cui si procede, possono essere delegate. Il tutto sempre nell’ambito di direttive generali disposte dal magistrato delegante, così come previsto per il giudice onorario di tribunale e con alcune esclusioni di atti quali la richiesta di archiviazione, la determinazione relativa all’applicazione della pena su richiesta e i provvedimenti di esercizio dell’azione penale.
Riguardo alla previsione delle direttive, che riproduce in modo identico quanto disposto per gli onorari giudicanti, appare evidente che, dal punto di vista costituzionale altro è introdurle nell’ambito di attività non decisorie svolte da un magistrato inserito in una struttura semigerarchica quale quella dell’ufficio della procura, altro prevederle in relazione all’attività giudicante che deve svolgersi, anche da parte del giudice onorario, nella piena soggezione «soltanto» alla legge prevista dall’art. 101 Cost.
La legge delega ribadisce in modo netto la «natura imprescindibilmente temporanea» dell’incarico di magistrato onorario, stabilendone a regime la durata massima per un «periodo non superiore a quattro anni» con possibilità di una sola conferma per un altro quadriennio, previa verifica di idoneità demandando ad una nuova sezione autonoma del consiglio giudiziario di cui fanno parte rappresentanti elettivi dei magistrati onorari del distretto. La scelta viene poi rafforzata da altra disposizione che demanda al legislatore delegato di prevedere che «la durata dell’incarico di magistrato onorario non possa mai superare gli otto anni complessivi e che nel computo siano inclusi gli anni comunque svolti quale magistrato onorario nel corso dell’intera attività professionale» (art. 2, co. 7, lett. a-d).
Viene quindi specificato che i giudici onorari di pace, nel corso dei primi due anni dell’incarico, possano «svolgere esclusivamente i compiti inerenti all’ufficio del processo» (art. 2, co. 7, lett. e), disposizione la cui ratio sembra quella di delineare un percorso professionale caratterizzato nel primo biennio dallo svolgimento dei compiti più semplici ed ausiliari, nell’ambito di tale articolazione, senza assegnazione di compiti strettamente giurisdizionali che solo successivamente verranno attribuiti.
La disciplina viene riscritta demandando al legislatore delegato l’individuazione delle fattispecie tipiche di illecito e delle diverse sanzioni irrogabili «anche tenendo conto delle disposizioni relative agli illeciti disciplinari commessi dai magistrati professionali» (art. 2, co. 11, lett. a).
Il trattamento indennitario subisce alcune significative modifiche: viene per tutti divisa tra una parte fissa ed una variabile, che non può superare il 50% della prima, collegata al raggiungimento degli obiettivi di produttività da raggiungere nell’anno solare, indicati dai dirigenti degli uffici sulla base di criteri generali fissati dal C.S.M. Norma non certo immune da critiche a cominciare dall’impostazione produttivistica che la contraddistingue e che richiederà uno sforzo particolare di specificazione in sede di normativa delegata per evitare discriminatorie applicazioni nei confronti dei giudici onorari.
Certo essa introduce un pericoloso cuneo nell’attività giudiziaria che, al contrario, dovrebbe sempre essere svolta, anche da parte dell’onorario, sine spe et sine metu.
La parte fissa, a sua volta, è determinata in misura inferiore per chi svolge funzioni solo ausiliarie rispetto a chi svolge funzioni giurisdizionali.
Il quantum delle nuove indennità è interamente rimesso alle norme delegate.
La direzione dei nuovi uffici del giudice di pace viene, infine, affidata al presidente del tribunale.
Norma di immediata efficacia in quanto l’art. 5 l. n. 57/2016 ha previsto che tale funzione venga svolta già nei confronti degli attuali uffici dei giudici di pace, provvedendosi a tutti i compiti di gestione del personale di magistratura ed amministrativo. Doppia dirigenza operativa in tutti gli uffici del giudice di pace ove, secondo i chiarimenti apportati dalla circolare ministeriale del 10 maggio 2016, non sia prevista la figura del dirigente amministrativo.
L’art. 2, co. 17, l. delega n. 57/2016 disciplina il regime transitorio destinato, in primo luogo, a regolare la durata dell’incarico dei magistrati onorari in servizio «alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega», stabilendo la possibilità di «una conferma nell’incarico per quattro mandati ciascuno di durata quadriennale».
Quindi, niente stabilizzazione ma, per tutti coloro che supereranno i vagli delle conferme, ben 16 anni di proroga assicurati, salvi i limiti di età.
Questa disposizione transitoria ha già avuto parziale attuazione con il d.lgs. 31.5.2016, n. 93 che ha consentito il mantenimento in servizio senza soluzione di continuità e previo giudizio di conferma dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari nominati ed in servizio alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, per evitare che tutti cessassero dalle funzioni al 31 maggio 2016, scadenza dell’ultima proroga ante riforma disposta dall’art. 1, co. 610 e 613, l. 28.12.2015, n. 208. Al momento, in forza dell’art. 1 di tale decreto, si sono avviate le procedure di conferma per il primo mandato quadriennale di tutti gli onorari in servizio.
Ma il regime transitorio affronta altre importanti questioni relative alla loro sorte, conservando lo status quo ma con alcuni rigidi sbarramenti: tutti continuano a svolgere le rispettive funzioni negli uffici di appartenenza, mantenendo per quattro anni il vecchio e differente trattamento indennitario. fino alla scadenza del quarto anno i giudici onorari di tribunale e, a domanda, i giudici di pace, potranno essere inseriti nell’ufficio del processo il che significa andare a svolgere solo funzioni ausiliarie e preparatorie e, a partire dal quinto anno, percepire un’indennità fissa inferiore rispetto a quella maggiore fino ad allora conservata. Inoltre, sempre entro tale quadriennio, potranno assegnarsi solo ai giudici onorari di tribunale nuovi procedimenti civili e penali da trattare in tribunale e solo ai giudici di pace nuovi procedimenti da trattare nei rispettivi uffici.
Parallelamente si prevede che solo a decorrere dal quinto anno i giudici onorari di tribunale confluiranno nell’ufficio del giudice di pace, essendo così impossibile far fronte prima alle carenze d’organico dei giudici di pace con altri onorari ma solo con trasferimenti eventuali di altri giudici di pace.
Restano da affrontare alcuni profili problematici della legge delega, che sarà compito del legislatore delegato dipanare.
La situazione confusa e contraddittoria su cui è intervenuta la riforma ha portato ad alcune scelte non del tutto lineari e convincenti, a cominciare dalla proroga di sedici anni dei magistrati onorari in servizio che di fatto assicura una sorta di “semistabilizzazione”, in contrasto con il proclamato sbarramento verso la stabilizzazione da tempo invocata nell’ambito della magistratura onoraria.
La riforma ha perseguito poi l’obiettivo preciso di riempire il “guscio vuoto” dell’ufficio per il processo (esteso anche alle procure), ma con indicazioni vaghe in ordine alle funzioni esercitabili entro tale articolazione e contraddittorie quanto ad esperienza e capacità occorrenti per svolgerle: se da un lato si tratta di funzioni più semplici perché non giudiziarie, tanto è vero che vi si destinano gli onorari nel primo biennio di attività, dall’altro appare incongruo che la normativa transitoria preveda la possibile destinazione a tali compiti di onorari nel corso dell’ultimo quadriennio della proroga, con una sorta di retrocessione dei più anziani ed esperti.
Qui si coglie la criticità maggiore della riforma, consistente nell’aver perso per strada la linearità e coerenza, specie in ordine alle funzioni esercitabili, che aveva il d.d.l. governativo originario, il quale delineava un circuito onorario caratterizzato da una sorta di sviluppo professionale interno snodantesi attraverso quattro fasi ben distinte: un iniziale periodo di tirocinio; una fase di attività collaborativa nell’ufficio del processo; un terzo periodo di attività giudiziaria in funzione vicaria di supplenza e affiancamento presso tribunali e procure; un’attività giurisdizionale, infine, autonoma nell’ambito degli uffici del giudice di pace.
In quel progetto, inoltre, del tutto condivisibile risultava la scelta di inserire esclusivamente, nel primo quadriennio di attività, i nuovi magistrati onorari nella struttura dell’ufficio del processo. La previsione sembrava così davvero delineare un percorso del nuovo magistrato onorario che avrebbe dovuto quindi, prima “formarsi” in tale struttura fornendo un ausilio di tipo collaborativo e non direttamente giurisdizionale, per poi cimentarsi in attività giudiziaria vera e propria, svolgendo quello che già oggi svolgono negli uffici. Infine, nell’ultima fase di questa “carriera”, si sarebbe potuto accedere alle funzioni autonome di giudice di pace.
Questa, in altri termini, costituiva una base di partenza solida che poteva essere solo migliorata.
Purtroppo è stata notevolmente peggiorata dal Parlamento con la l. n. 57/2016.
I quadrienni di proroga da tre sono divenuti quattro ed è rimasta la possibilità di impiegare i giudici di pace più anziani nell’ufficio per il processo.
Ma soprattutto al ruolo unico è stata aggiunta la previsione di un ufficio unico a cui assegnare tutti i giudici onorari, come se questi potessero essere totalmente equiparati ai vice procuratori onorari che sono incardinati necessariamente solo all’interno delle procure, non esistendo com’è noto un ufficio requirente presso il giudice di pace. I giudici onorari, al contrario, continuano ad operare, proprio per le funzioni svolte che sono completamente differenti tra loro, in due uffici giudiziari distinti: nel tribunale in cui possono esercitare o funzioni solo amministrative/ausiliarie nell’ufficio per il processo o giurisdizionali nelle sezioni; e nell’ufficio autonomo del nuovo giudice onorario di pace.
Con la riforma, viceversa, saranno tutti assegnati a quest’ultimo ufficio, spettando al legislatore delegato disciplinare le modalità con cui potranno essere poi destinati al tribunale.
Orbene, questa indistinzione ordinamentale tra figure/funzioni è un problema non certo secondario della riforma perché giudici assegnati allo stesso ufficio opereranno in realtà in due uffici diversi che continueranno ad essere l’uno il giudice processualmente superiore (quale giudice d’appello) dell’altro.
Si tratta cioè di una soluzione del tutto inedita, dal punto di vista ordinamentale.
Ecco dove sta l’appannamento e, al contempo, un evidente peggioramento del testo normativo cui si faceva accenno in precedenza, e ciò proprio nella costruzione dei principi che governeranno le varie funzioni che i nuovi magistrati onorari andranno a disimpegnare.
L’originaria precisa scansione temporale di questi diversi compiti, cui implicitamente si accompagnava l’assegnazione degli onorari ad uffici diversi, si è ridotta, invero, alla semplice previsione del biennio iniziale obbligatorio presso l’ufficio per il processo (nel corso del quale, comunque i giudici onorari fanno parte dell’ufficio del giudice onorario di pace) senza nessuna precisazione e chiarezza sull’assegnazione e durata degli incarichi successivi salvo la discutibile disposizione in cui, anche se come regola dettata per il periodo transitorio, si stabilisce che nell’ultimo quadriennio dei quattro mandati previsti per i magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore della legislazione delegata, potranno svolgere i compiti inerenti all’ufficio per il processo, che sono notoriamente i più elementari e limitati (in una logica quindi di evidente “demansionamento”).
Ma questo non appare un inconveniente marginale inserito nelle maglie della farraginosa normativa transitoria, essendo in realtà figlio del nuovo impianto della legge delega che, per superare giustamente l’attuale giungla, prevedendo un’unica figura di magistrato onorario, ha finito per tralignare inserendo questa nuova figura unitaria, per quanto concerne i giudici, anche in un unico ufficio: scelta che è però contraddetta da tutto il resto della riforma nella quale i nuovi giudici onorari sono inseriti effettivamente non in un unico ufficio, ma in quello del giudice onorario di pace e in tribunale.
Il problema più delicato diventa allora, davvero, di tipo ordinamentale perché resta avvolto nel vago un punto nevralgico costituito dal come il presidente del tribunale dovrà destinare gli onorari all’uno o all’altro ufficio e dal come il procuratore capo potrà distribuire i vice procuratori onorari tra l’ufficio per il
processo e l’attività giudiziaria11: e l’incertezza concerne i presupposti, i criteri, il numero e la durata di tale distribuzione, che non possono essere lasciati alle determinazioni di ogni ufficio, dovendo invece essere oggetto di regole uniformi generali. Sembrerebbe, infatti, a prima vista un problema risolvibile in via tabellare, ma non può essere, a mio avviso, rimesso alla sola normativa secondaria del C.S.M., con l’eventuale circolare sulle procedure tabellari, stabilire quale magistrato onorario starà nel “circuito” del giudice di pace e quale opererà come “giudice onorario vicario” in tribunale e quale infine come semplice collaboratore onorario nell’ufficio del processo, senza cioè svolgimento di funzioni giudiziarie.
Può immaginarsi che si possano lasciare alle sole prescrizioni tabellari, senza fare i conti con l’art. 107 Cost., scelte discrezionali che finiscono con l’incidere sull’inamovibilità del giudice, nel momento in cui si viene destinati a svolgere funzioni solo di collaborazione, funzioni giurisdizionali ausiliarie e funzioni giurisdizionali piene in uffici diversi? E con trattamenti economici differenti?
Del resto, se si ritiene che l’istituto più appropriato, per governare questa mobilità dei giudici onorari tra le diverse funzioni esercitabili presso gli uffici del giudice onorario di pace e del tribunale operanti nello stesso circondario, sia l’applicazione e non l’assegnazione interna (che non può operare tra uffici distinti), appare allora necessario introdurre una disciplina speciale ad hoc, non essendo certo applicabile la normativa generale vigente12 che contiene regole confliggenti con le esigenze della nuova riforma: dalla competenza attribuita al presidente della corte d’appello alla durata. Qui, invece, trovandoci di fronte ad un assetto ordinamentale inedito in cui più uffici sono diretti dallo stesso soggetto (il presidente del tribunale) e prevedendo la legge delega che sia tale organo ad assegnare i giudici onorari dislocandoli presso i diversi uffici, appare indispensabile che vadano indicate dettagliatamente le regole e i criteri nella legge delegata, in ordine a: modalità di inserimento, assegnazione e durata delle diverse funzioni, criteri di ripartizione.
Se è invero ipotizzabile che, a fronte delle nuove significative competenze che la riforma ha attribuito al nuovo giudice di pace – a cominciare dalle cause di risarcimento danni in materia di r.c.a. fino ad € 50.000 – si verifichino in futuro una minore necessità di giudici onorari in tribunale e maggiore nei nuovi uffici autonomi, le scelte di fondo sul riparto dei magistrati onorari tra uffici giudicanti e requirenti e tra tribunale e ufficio del giudice onorario di pace dovranno
essere tutte fatte dal legislatore delegato e non rimesse a cascata ai livelli istituzionali inferiori.
È impensabile infatti che possa operare in questa situazione la generica norma dell’art. 47 ord. giud. che attribuisce al presidente del tribunale il compito di dirigere l’ufficio e di distribuire il lavoro tra le sezioni nei tribunali divisi in sezioni. Occorre, invece, fare riferimento all’altra disposizione dello stesso articolo laddove aggiunge che il presidente «esercita le altre funzioni che gli sono attribuite dalla legge nei modi da questa stabilita». Orbene, proprio la l. n. 57/2016 ne costituisce un’ipotesi applicativa, avendo attribuito al presidente del tribunale il nuovo importante compito di dirigere tutti i giudici onorari concentrati nell’unico ufficio del giudice onorario di pace e demandando al legislatore delegato il compito di disciplinare «le modalità di impiego dei magistrati onorari all’interno del tribunale e della procura della Repubblica» così come «le modalità con cui il presidente del tribunale provvede all’inserimento dei giudici onorari di pace nell’ufficio per il processo costituito presso il tribunale ordinario». Sarebbe quindi un cattivo esercizio della delega una disciplina attuativa che si limitasse a rinviare alle procedure tabellari ed alla normazione consiliare per la determinazione di tali modalità, perché essendo in gioco precisi valori costituzionali non si può assolutamente prescindere da un’attuazione piena della riserva di legge costituzionalmente prevista, ragion per cui dovranno essere norme primarie quelle che regoleranno i criteri di distribuzione dei giudici onorari tra il tribunale e l’ufficio autonomo del giudice onorario di pace. Non si può lasciare, in altri termini, una volta fissate le nuove piante organiche, una discrezionalità pericolosissima al presidente del tribunale nella successiva distribuzione dei giudici onorari incentrata su un ampio utilizzo del potere di applicazione, dato che questa finirebbe per intervenire sull’assegnare i magistrati onorari a funzioni che incidono direttamente sia sull’ufficio di appartenenza, sul loro status (meri collaboratori dei giudici togati; loro sostituti; giudici autonomi) sia sulla diversa misura delle indennità loro spettanti.
È il decreto delegato, dunque, che dovrà colmare i tanti vuoti della legge delega sul punto, cercando in primo luogo di recuperare le distinzioni tra le diverse funzioni attribuibili così come erano delineate dal disegno originario e la sequenza temporale della “carriera” del magistrato onorario, disciplinando in modo articolato queste funzioni, i criteri di incardinamento dei singoli onorari nei due diversi uffici di primo grado anche tenendo presenti la diversità e il peso delle esperienze pregresse stante la lunga durata della fase transitoria, nonché le modalità del passaggio da una all’altra funzione e da uno all’altro ufficio. Per fare solo un esempio: occorreranno precise disposizioni che regolino l’eventuale passaggio, anche con apposite procedure concorsuali, degli ex giudici onorari di tribunale più “anziani” al nuovo ufficio del giudice onorario di pace, oppure in senso inverso di ex giudici di pace in tribunale, e così via. In altri termini occorrerà una regolamentazione pienamente conforme al principio costituzionale di inamovibilità che non può non valere anche per i giudici onorari. In base ad esso, invero, la destinazione ad altra sede o funzione è provvedimento adottabile unicamente «o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso» e di tutto questo dovrà tenersi conto in sede di legislazione delegata.
Questo mi sembra uno dei problemi istituzionali più urgenti e delicati della riforma, perché attiene proprio al suo nuovo assetto a regime che, al contempo, si deve misurare con il problema della sistemazione di tutto il personale proveniente dai diversi regimi ante riforma.
Altre questioni di tipo più organizzativo rischiano poi di esplodere a causa di norme transitorie che non tengono conto della reale situazione attuale degli uffici dei giudici di pace, il cui organico previsto dalla legge istitutiva in 4700 unità è al momento ridotto a meno di 1200 e con la previsione di un’ulteriore contrazione, per ragioni di età, a 900 entro un biennio, nonostante il parallelo consistente aumento di competenza introdotto dalla riforma.
La norma transitoria dell’art. 2, co. 17, lett. b), nn. 1-3, prevede, pur a fronte di questa realtà di fatto, uno sbarramento davvero assurdo: che i giudici onorari di tribunale confluiscano nell’ufficio del giudice di pace a decorrere solo dal quinto anno successivo alla riforma, per cui non si potranno irragionevolmente per tutto tale periodo utilizzarli per coprire i vuoti di tali uffici. Varrebbe quindi la pena rivedere questo punto perché, sempre sotto il ricorrente assillo del risparmio, si rischia la chiusura, o quanto meno il non funzionamento di tanti uffici ad organico sguarnito13.
Altra disposizione criticabile e di dubbia costituzionalità appare, poi, quella dell’art. 1, co. 5, lett. a), n. 2, in cui si prevede che «il giudice professionale stabilisca le direttive generali cui il giudice onorario di pace deve attenersi nell’espletamento dei compiti delegati» e che «quando questi non ritiene ricorrenti nel caso concreto le condizioni per provvedere in conformità alle direttive ricevute, possa chiedere che l’attività o il provvedimento siano compiuti dal giudice professionale titolare del procedimento». La norma, invero, è certo riferibile anche a prescrizioni (seppure pudicamente qualificate «generali») concernenti il contenuto, e dunque il merito, dell’attività giudiziaria delegata e confligge irrimediabilmente con la garanzia d’indipendenza fissata dall’art. 101 Cost. che, con l’avverbio «soltanto», sottintende il diritto di ogni giudice di non dipendere da nessun’altra volontà che non sia quella della legge e dunque neppure dal giudice professionale cui sia affiancato e che gli abbia delegato un’attività giudiziaria, anche solo istruttoria. Né appare rimedio efficace il possibile rifiuto del delegato di sottostare alle direttive con restituzione dell’affare al delegante per due ragioni: perché la garanzia costituzionale è assoluta e quindi non è “disponibile”, cioè rimessa alla volontà abdicativa o meno dell’interessato; e perché il rimedio del rifiuto esporrebbe il giudice onorario a difficoltà psicologiche e a possibili ritorsioni nel momento in cui si contrappone al giudice professionale che, alla fine, è quello che gli dà lavoro e compenso.
L’unico modo di interpretare la disposizione in modo costituzionalmente corretto sarà quello di prevedere nella normativa delegata che le eventuali direttive impartite ai giudici onorari saranno solo quelle operanti per tutti i giudici nell’ufficio e connesse agli aspetti organizzativi del lavoro e mai al profilo del merito dell’attività giudiziaria da svolgere.
L’ultima questione attiene alla perdurante vigenza o meno della norma che ha circoscritto l’utilizzo dei giudici onorari in tribunale disponendo che gli stessi «non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di assenza dei giudici ordinari», disposizione improntata ad un uso prudente dei medesimi data l’eccezionalità del loro inserimento nei tribunali ed in considerazione della lettera e ratio dell’art. 106 Cost.
La riforma, in relazione ai procedimenti inibiti ai giudici onorari operanti in tribunale, richiama espressamente l’art. 43, co. 3, ord. giud. tacendo viceversa sul resto della norma; da qui il quesito se nell’art. 2, co. 5, lett. c), che demanda al legislatore delegato la previsione dei «casi tassativi in cui il giudice onorario di pace che abbia svolto i primi due anni dell’incarico, può essere applicato per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario» rientri ancora il paletto fissato da tale norma ordinamentale. La risposta dovrebbe essere positiva dato che è solo la natura “vicaria” che giustifica sul piano costituzionale la conservazione di una magistratura onoraria all’interno di uffici giudiziari ove operano giudici ordinari. C’è dunque da augurarsi che il legislatore delegato consideri ancora vigente questo vincolo normativo primario, senza lasciarsi fuorviare dal fatto che esso si sia molto indebolito a causa delle prassi formatesi negli uffici e di una oscillante e spesso troppo permissiva normazione secondaria del C.S.M.
Noter
1 Disposizione transitoria che prevedeva, entro cinque anni dall’entrata in vigore della riforma, o la complessiva riforma della magistratura onoraria o la cessazione della presenza di magistrati onorari presso tribunali e procure.
2 Alla data della riforma risultavano in servizio 1361 giudici di pace (di cui almeno 200 ultrasessantenni cessati per effetto del d.lgs. 31.5.2016, n. 92), 2142 giudici onorari di tribunale e 1800 vice procuratori onorari.
3 Poche norme primarie: artt. 42 ter-42 septies, 43 bis, 70, 71 e 71 bis ord. giud. sui giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari; l. 21.11.1991, n. 374 istitutiva del giudice di pace; molte secondarie, ministeriali o del C.S.M.
4 Il regime transitorio fissato dall’art. 245 d.gs. n. 51/98, a decorrere dal 2004, in assenza di una riforma della magistratura onoraria, ha iniziato ad essere prorogato annualmente sino alla l. n. 57/2016 di cui ci stiamo occupando.
5 La riforma si limita, nell’art. 2, co. 12, lett. l), a demandare al legislatore delegato l’individuazione e regolazione di «un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennità»; su questi aspetti si veda il giudizio fortemente critico di Scarselli, G., Note critiche sul disegno di legge per la riforma organica della magistratura onoraria, in Foro it., 2015, V, 326.
6 Si rinvia a Viazzi, C., Le magistrature onorarie: dalla critica dell’esistente ad alcune proposte concrete di riforma, in La Magistratura, 2007, 224 ss.
7 L’art. 50 d.l. 24.6.2014, n. 90 ha disposto, nell’ambito dell’introduzione del processo civile telematico, la costituzione presso le corti d’appello e i tribunali di strutture organizzative denominate «ufficio per il processo» al fine di garantire la ragionevole durata del processo, mediante l’impiego del personale di cancelleria, dei giudici onorari di tribunale, nonché dei tirocinanti di cui all’art. 73 d.l. 21.6.2013, n. 69 e all’art. 37 d.l. 6.7.2011, n. 98.
8 La regola del tetto rappresentato dalla metà dell’organico dei magistrati professionali dell’ufficio si rinviene unicamente nella prima circolare varata dal C.S.M. sulla riforma del giudice unico nel 1999 e fu il frutto di uno specifico emendamento volto ad impedire l’indiscriminata assunzione di magistrati onorari, presentato dallo scrivente, allora componente del Consiglio.
9 Si veda il documento approvato dall’assemblea dell’Organismo unitario dell’avvocatura a Roma il 17 dicembre 2004 sulle magistrature onorarie in cui si individuava, tra le linee di fondo di una auspicabile riforma, la «riserva dell’esercizio delle funzioni di magistrato onorario agli avvocati».
10 Ci si riferisce alle due leggi indicate sub nt. 7 che hanno previsto le due tipologie di tirocini da svolgersi nelle cancellerie e presso i giudici professionali.
11 I vice procuratori onorari pongono meno problemi dal punto di vista ordinamentale e costituzionale per il semplice fatto che non decidono e quindi la loro figura è meno “esposta” di quella dei giudici onorari di tribunale sia dal punto di vista delle garanzie costituzionali, sia riguardo al problema delle incompatibilità, a cominciare dalla questione del cumulo con la professione forense.
12 V. art. 110 ord. giud.
13 L’esempio dell’ufficio del Giudice di pace di Genova, che si conosce più da vicino, è emblematico: su una pianta organica di 57 sono al momento presenti solo 12 giudici di pace.