Riforma della territorialità IVA
La riforma della territorialità modifica i criteri di localizzazione delle prestazioni di servizi ai fini IVA, uniformando a livello comunitario la disciplina dei servizi a quella da tempo prevista per i beni. La riforma si colloca all’interno di un disegno più ampio, attraverso il quale si è gradualmente introdotto nel sistema IVA un secondo modello impositivo (che tassa la destinazione del bene o del servizio sulla base di un meccanismo basato sul binomio imponibilità/non imponibilità), destinato ad affiancare quello tradizionale (che tassa l’origine del bene o del servizio sulla base del meccanismo rivalsa/detrazione). La riforma conferma, in questo modo, anche la peculiare funzione della territorialità nel sistema IVA: collocare le operazioni nello spazio e destinarle ad una specifica disciplina.
Il sistema dell’imposta sul valore aggiunto (d’ora innanzi, IVA) è stato di recente oggetto di un’importante riforma, messa a punto a livello europeo con l’obiettivo di razionalizzare e semplificare la disciplina comune dell’imposta. La riforma è contenuta in tre direttive del Consiglio (n. 2008/8/CE; n. 2008/9/CE, n. 2008/117/CE) definite “Vat package“, attualmente confluite quasi totalmente all’interno della direttiva generale in materia di IVA n. 2006/112/CE (la cd. direttiva di rifusione). L’elemento di maggiore rilevanza della riforma è la disciplina della territorialità nelle prestazioni di servizi (d’ora innanzi, territorialità dei servizi), che costituisce una revisione attenta e radicale dei criteri di localizzazione dei servizi ai fini IVA; tale disciplina (oggetto della direttiva n. 2008/8/CE) è stata recepita nell’ordinamento interno con il d.lgs. 11.2.2010, n. 18 e poi trasfusa negli artt. 7 e ss. del d.P.R. n. 633/1972. La riforma della territorialità dei servizi opera su un principio fondamentale del sistema IVA (la territorialità) ed introduce dei cambiamenti che impattano sulla struttura dell’imposta. Una corretta comprensione della riforma impone alcuni passaggi sistematici, volti a mettere gradualmente in luce: la funzione della disciplina della territorialità, i contenuti della riforma, gli effetti sulla disciplina IVA.
1.1 Rilievo della territorialità nel sistema IVA
La territorialità nell’IVA dovrebbe essere una specifica articolazione del tema generale della «territorialità dei tributi», tema oggetto da sempre di importanti riflessioni da parte della dottrina, concentrata a comprendere e definire i limiti interni ed internazionali connessi all’esercizio della potestà impositiva e di quella di attuazione del tributo, in relazione a fatti dotati di elementi di extra-territorialità1. In ambito IVA, il principio di territorialità ha però assunto, in ragione della peculiare natura e struttura dell’imposta, una certa autosufficienza, che ne ha consentito da sempre uno studio autonomo2. L’IVA è nata come imposta plurifase non cumulativa, applicata uniformemente in tutto il territorio europeo, riscossa su ogni operazione economica effettuata nell’ambito del ciclo di produzione e di distribuzione dei beni e dei servizi, destinata ad incidere il consumo finale3. L’introduzione di un’imposta con tale struttura (plurifase non cumulativa) e natura (imposta sul consumo) risultava essere un passaggio essenziale – dopo l’abolizione delle barriere doganali – per la realizzazione della neutralità fiscale nella circolazione dei beni e dei servizi nel comune spazio europeo4. In questa iniziale prospettiva il presupposto territoriale già rivestiva un ruolo centrale, in quanto non si limitava ad integrare il presupposto d’imposta (o per meglio dire i presupposti di imposta), selezionando le operazioni rilevanti sulla base della loro localizzazione territoriale, ma consentiva l’individuazione del luogo di presumibile consumo del bene o del servizio al fine di tassarlo nello stato di origine. L’evoluzione dei tempi ha però condotto ad alcune deviazioni da questo originario modello, determinate da questioni teoriche e pratiche (di seguito analizzate) che l’esperienza IVA ha gradualmente messo in luce. Oggi, il presupposto territoriale (o la localizzazione territoriale di un’operazione) ha una funzione molto più importante, confermata anche dalla riforma della territorialità nei servizi: attribuire una dimensione spaziale ad una operazione economica rientrante nel campo IVA e destinarla – a seconda del livello territoriale – ad un trattamento impositivo. In questo senso, l’appartenenza di una operazione ad un territorio determina l’applicazione di discipline specifiche, tutte facenti parte del sistema IVA e rispondenti agli obiettivi dell’imposta. Il sistema IVA definisce tre territori: l’extra-UE, l’UE, i singoli stati membri. La localizzazione intra-UE di una operazione ne determina l’assoggettamento ad IVA sulla base del principio dello stato di destinazione: il sistema IVA, infatti, detassa ciò che è destinato ai mercati esteri per sottoporre ad imposizione soltanto ciò che è finalizzato al circuito economico comunitario5. Al l ’ interno del territorio europeo, ogni operazione economica deve poi essere localizzata in uno stato membro; tale stato è quello in cui avviene il consumo del bene o l’utilizzo del servizio ed è quello destinato, secondo la logica dell’imposta, ad acquisire il gettito della stessa. Localizzare le operazioni all’interno degli stati membri è, però, operazione molto complessa, in quanto si scontra con alcune questioni teoriche e pratiche. A livello teorico, mentre le operazioni sui beni si definiscono in relazione al luogo di esistenza fisica degli stessi, quelle sui servizi non sono facili da localizzare per alcuni motivi, quali: assenza di fisicità e materialità dei servizi, difficoltà ad individuare e catalogare le tipologie di servizi, diffusione della tecnologia e di internet. A livello pratico, la localizzazione delle operazioni economiche deve assecondare alcune esigenze che – pur apparendo secondarie – assumono invece un rilievo fondamentale per il corretto svolgimento del meccanismo impositivo all’interno dell’UE. Queste si concretizzano nelle necessità di non creare asimmetrie fra gli stati membri nelle operazioni che coinvolgono operatori di nazionalità diverse6, di non gravare i soggetti economici, di semplificare il sistema nel suo complesso, di combattere l’elusione, le frodi e i salti di imposta da parte degli operatori IVA. Per quel che concerne i beni, si è provveduto a tali esigenze con l’affermazione di discipline differenti a seconda che il trasferimento (del bene) coinvolgesse operatori situati entrambi nello stato membro o in stati differenti. Tale soluzione, che inizialmente era definita «transitoria», si ritiene abbia acquisito oggi stabilità nel sistema IVA7. Il criterio generale che localizza i trasferimenti dei beni è quello relativo al luogo della cessione; questo si identifica nel territorio in cui il bene esiste (fisicamente) al momento del trasferimento ed attua il principio della tassazione nello stato di origine: tale criterio è utilizzato per le cessioni ai soggetti IVA operanti all’interno del medesimo stato e per quelle rivolte a tutti i consumatori finali (sia nazionali che comunitari). Diversamente, nei trasferimenti di beni fra operatori economici situati in differenti stati UE l’operazione è localizzata nello stato in cui il bene giunge, il criterio è quindi quello dello stato di destinazione8. In tale ipotesi il sistema IVA, al fine di risolvere le questioni suddette, ha accompagnato il differente criterio di localizzazione delle operazioni ad un diverso meccanismo impositivo, definito reverse charge. Tale meccanismo si fonda sul binomio operazione imponibile/non imponibile e determina la detassazione dell’operazione nel paese del cedente e la tassazione in quello del cessionario; in quest’ultimo luogo, al fine di evitare le suddette asimmetrie fra gli stati, si neutralizza l’imposta (non versandola e non detraendola) attraverso un’inversione contabile. In questo modo si è derogato al meccanismo dell’imposta plurifase non cumulativa, attraverso l’introduzione di tassazioni monofase.
1.2 La territorialità dei servizi
La disciplina della territorialità dei servizi ha attraversato tre fasi storiche, che costituiscono il tentativo di far fronte in modo diverso alle suddette esigenze teoriche e pratiche connesse alla loro localizzazione. Inizialmente la disciplina comunitaria ha previsto «il luogo di utilizzo» quale criterio generale di localizzazione per la maggior parte dei servizi, in ossequio alla natura dell’IVA di imposta sul consumo9. Il criterio in esame è presto risultato troppo generico ed ha prodotto difficoltà interpretative e differenze applicative tra gli Stati membri. Si è così provveduto ad una radicale modifica di tale criterio alla fine degli anni ‘70 con la sesta direttiva. La localizzazione dei servizi è stata ancorata ad un elemento dell’operatore economico ed individuata pertanto nel «domicilio del prestatore»; a tale criterio generale se ne sono affiancati numerosi altri che gli Stati potevano utilizzare (quali: la residenza del committente, il luogo di esecuzione della prestazione, il luogo del consumo del servizio)10. L’idea di fondo era quella di fornire alternative, condivise a livello comunitario, per individuare sulla base delle caratteristiche di ogni servizio il criterio più idoneo a centrare il luogo del presumibile consumo. Anche quest’ultima disciplina ha evidenziato numerosi limiti. Il principio generale del «domicilio del prestatore» non è riuscito a garantire la tassazione nel paese del consumo; ciò ha favorito l’utilizzo sempre più ricorrente dei criteri derogatori all’interno di ogni Stato, sovvertendo il rapporto fra gli stessi, in quanto il «domicilio del prestatore» è stato applicato in via residuale. In breve tempo si sono registrate all’interno dei singoli stati discipline complesse, estremamente casistiche e connotate da molte differenze, che hanno determinato un incremento di evasione, elusione e frodi IVA. Con gli anni si è anche registrato, in seguito all’affermazione della tecnologia, un forte cambiamento nell’economia dei servizi, che ha condotto all’approvazione di discipline specifiche sulla territorialità (quelle sulle prestazioni rese in via telematica o sui servizi di radiodiffusione)11. La necessità di semplificare e razionalizzare il sistema conduce alla recente riforma della territorialità, recata nella dir. n. 2008/8/CE. In tale sede si ritiene di allineare la disciplina dei servizi a quella dei beni, generalizzando dei criteri e delle discipline, nati a suo tempo come provvisori.
La nuova disciplina della territorialità dei servizi prevede un doppio criterio generale di localizzazione (previsto all’art. 7 ter, d.P.R. n. 633/1972) e ammette numerose deroghe (previste agli artt. 7 quater, quinquies, sexties, septies). In questo ultimo senso si distinguono le prestazioni di servizi generiche, alle quali si applicano i criteri generali, rispetto a tutte quelle per cui sono previsti criteri di localizzazione specifici. I due criteri generali localizzano i servizi in base allo status del destinatario della prestazione. A tal fine viene introdotto un nuovo status IVA, quello di «soggetto passivo stabilito nel territorio dello stato», affine ma non uguale a quello di soggetto passivo IVA. Sono, in questo modo, individuati due tipi di servizi IVA: business to business (B2B) e business to consumer (B2C)12. Le operazioni B2B sono quelle rese a soggetti passivi stabiliti; tali operazioni sono localizzate nello stato del committente: il servizio rileva nel luogo in cui ha sede l’attività di chi lo richiede, secondo il principio della tassazione nel paese di destinazione. Diversamente le operazioni B2C sono quelle rese da soggetti passivi stabiliti a consumatori finali; tali operazioni sono localizzate nello stato del prestatore: il servizio rileva nel luogo in cui ha sede l’attività di chi lo presta, secondo il principio della tassazione nel paese di origine. La realizzazione di operazioni B2B comporta, inoltre, l’utilizzo del meccanismo del reverse charge per l’applicazione dell’imposta. In linea generale e sulla base di tale nuova disciplina, lo status dei soggetti che effettuano un’operazione IVA determina pertanto la localizzazione della stessa e il meccanismo impositivo da utilizzare. Risulta chiaro come la disciplina in esame abbia sostanzialmente riprodotto per i servizi le logiche ed i principi vigenti per i beni. Il principio è la tassazione del servizio nel paese di origine per le operazioni dirette al consumo; differentemente, per le operazioni effettuate nel circuito IVA, la regola è quella del paese di destinazione del servizio. Il doppio criterio di localizzazione e l’utilizzo del reverse charge rendono evidente che la razionalizzazione connessa alla presente riforma procede in questa direzione. La natura dei servizi e la strutturale differenza rispetto ai beni hanno però imposto la presenza di criteri specifici più numerosi e articolati.
2.1 Criteri specifici
I criteri specifici costituiscono delle deroghe alla applicazione della disciplina generale della territorialità, in quanto individuano un diverso principio di localizzazione per determinati servizi. Alcune deroghe confermano disposizioni già previste nella disciplina precedente (es. prestazioni di servizi immobiliari), altre sono di nuova introduzione. Le deroghe sono assolute se si applicano a tutte le prestazioni di un determinato tipo a prescindere dallo status dei soggetti13; sono relative quando operano soltanto se la prestazione è rivolta a determinati soggetti. In quest’ultimo caso, se non si verificano le condizioni soggettive richieste dalla norma, torna ad essere applicabile la disciplina generale delle prestazioni di servizi generiche. Le deroghe relative si applicano alle operazioni rese a consumatore finale (art. 7 sexies), quindi a committenti non soggetti passivi stabiliti14. È prevista, infine, una ulteriore categoria di deroghe relative, che sanciscono la non rilevanza nel territorio dello stato di determinati servizi, se resi a consumatori residenti al di fuori dell’Unione (art. 7 septies). Il sistema delle deroghe risulta semplificato rispetto al regime precedente, ma continua a mantenere un certo grado di complessità.
Come evidenziato, ai fini della localizzazione dei servizi, un rilievo essenziale assume lo status dei soggetti coinvolti nell’operazione economica. Lo status che rileva ai fini della disciplina della territorialità dei servizi è quello di soggetto passivo stabilito nello stato. Attraverso tale nozione la riforma della territorialità incide sulla disciplina generale della soggettività IVA, introducendo una nuova declinazione di questa categoria. Il «soggetto passivo stabilito» è un soggetto IVA domiciliato o residente nel territorio dello stato, che non abbia stabilito il suo domicilio all’estero. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche, si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e la residenza quello in cui si trova la sede effettiva15. Accanto a tale definizione generale, che prende in esame solo soggetti IVA, si precisa che si considera «soggetto passivo stabilito» anche la stabile organizzazione nel territorio dello stato di soggetto domiciliato o residente all’estero limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Allo stesso modo sono soggetti passivi per le prestazioni rese: le persone fisiche che svolgono attività d’impresa, artistica o professionale limitatamente alle prestazioni ricevute quando agiscono nell’esercizio dell’attività; gli enti non commerciali che esercitano attività commerciale; gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni che pur non svolgendo attività commerciale sono identificati ai fini IVA. In considerazione di tali precisazioni, la definizione di soggetto passivo stabilito è più ampia di quella di soggetto IVA; per questo motivo si è dubitato che attraverso tale disciplina fosse stata modificata la nozione (generale) di soggetto IVA. Tale passaggio non è avvenuto. La nozione di soggetto passivo stabilito si utilizza solo per i servizi, è funzionale alla loro localizzazione e risponde alla necessità di far fronte alle esigenze teoriche e pratiche legate alla territorialità dei servizi. Si tratta, infatti, di uno status IVA funzionale alla localizzazione dei soli servizi, che talvolta può anche prescindere dalla soggettività IVA al fine sottoporre il servizio ad imposizione nel luogo che meglio risponde ad esigenze di semplificazione per gli operatori e di minore rischio di evasione, di elusione o di frode. Si ritiene quindi che tale nozione non alteri la delimitazione dei soggetti IVA, contenuta negli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 633/1972, che rimane il naturale punto di riferimento per l’applicazione della disciplina dell’imposta in tutti i tratti differenti dal profilo territoriale (es. rilievo della stabile organizzazione16, esercizio del diritto di detrazione). La nuova disciplina della territorialità introduce un’importante modifica del meccanismo impositivo IVA, anche questa in linea con quanto già avvenuto per i beni. Per tutte le operazioni effettuate nei confronti di soggetti passivi stabiliti da soggetti passivi non residenti si applica, a norma dell’art. 17, co. 2 del d.P.R. n. 633/1972, il meccanismo del reverse charge. Tale meccanismo viene esteso anche alle cessioni di beni nazionali effettuate nel territorio dello stato da soggetti non residenti a soggetti passivi stabiliti. La regolare realizzazione di tale regime necessita di alcuni presupposti: una corretta costante informazione sullo status e sull’attività del soggetto con cui si realizzano le operazioni IVA, una esatta qualificazione dell’operazione realizzata come cessione di beni o prestazione di servizi, un corretto adempimento a tutti gli obblighi formali prescritti.
3.1 Struttura e natura dell’imposta
Con la riforma della territorialità dei servizi si sono realizzati dei cambiamenti molto importanti, idonei a mettere in crisi alcuni principi fondamentali della disciplina IVA. Si è, infatti, uniformato il regime intracomunitario dei beni a quello dei servizi, si è legittimata la previsione di un doppio criterio impositivo (tassazione stato di destinazione e tassazione stato di origine), si è ammessa ufficialmente la convivenza del modello plurifase e di quello monofase all’interno del sistema dell’imposta17 e si attribuito un ruolo sempre più centrale al principio di territorialità quale elemento determinante per il corretto svolgimento dell’imposta. In particolare, con la riforma si è stabilito che i servizi siano tassati nel paese di origine, secondo i meccanismi tradizionali, se diretti al consumo ovvero nel paese di destinazione con l’utilizzo del reverse charge, se destinati al ciclo economico. In via generale, si può ritenere si sia ufficializzato un doppio binario che sancisce: l’utilizzo del modello tradizionale (e la tassazione nel paese di origine) per le operazioni che si esauriscono nell’ambito dello stato membro e per quelle che, pur coinvolgendo soggetti UE di nazionalità differenti, sono dirette al consumo, l’utilizzo del reverse charge (e la tassazione nel paese di destinazione) per tutte le operazioni fra soggetti economici all’interno dell’UE. Si tratta di una riforma decisiva, che si colloca all’interno di un percorso più generale attraverso il quale gradualmente, in ragione di questioni teoriche e pratiche emerse nel corso del tempo, si sono modificati alcuni principi importanti, al fine di raggiungere con un maggiore pragmatismo gli obiettivi originari dell’imposta sul valore aggiunto.
1 Sulla territorialità del tributo, Lupi, Territorialità del tributo, in Enc. giur., XXXI, Roma, 1994; Sacchetto, Territorialità (dir. trib.), in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 307; Fransoni, La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004; Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Padova, 2009, 11.
2 Sul ruolo del principio di territorialità all’interno del sistema IVA, Adonnino, La territorialità nell’IVA, in Riv. dir. fin., 1973, I, 518; Fazzini, Il principio di territorialità nel tributo sul valore aggiunto, Padova, 1995; Carpentieri, Il principio di territorialità nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 2002, I, 3.
3 Su questi aspetti della disciplina IVA, Lupi, Imposta sul valore aggiunto, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989, ad vocem; Filippi, Valore aggiunto (imposta sul), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, ad vocem. In particolare, sulla natura dell’IVA quale imposta sul consumo, Salvini, Rivalsa, detrazione e capacità contributiva nell’imposta sul valore aggiunto, in Riv. dir. trib., 1993, I, 1287; Comelli, Iva nazionale e iva comunitaria, Padova, 2000; Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema del valore aggiunto, Padova, 2005.
4 Cfr. Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, 295.
5 In ossequio a tale principio, le importazioni da chiunque effettuate sono un presupposto IVA (art. 1, d.P.R. n. 600/1973) mentre le cessioni all’esportazione, le operazioni assimilate ed i sevizi internazionali (artt. 8, 8 bis e 9, d.P.R. n. 633/1972) sono «operazioni non imponibili » (sulle quali non è applicata l’IVA in via di rivalsa). Ugualmente, sono assoggettate ad IVA soltanto le operazioni relative ai servizi localizzate all’interno del territorio comunitario.
6 Il regolare funzionamento dell’imposta attraverso il meccanismo della rivalsa/detrazione comporterebbe che lo stato ove si versa l’imposta sia diverso da quello in cui è effettuata la detrazione.
7 In questo senso Giorgi, Le simmetrie del sistema IVA in vigore dal 2010, in Corr. trib., 2010, 5.
8 La disciplina è quella relativa agli acquisti intra-comunitari di cui al d.l. 30.8.1993, n. 331.
9 Cfr. Direttiva del consiglio n. 228/1967 (nota come “Seconda direttiva”), art. 6, par. 3.
10 Cfr. Direttiva del consiglio n. 388/1977 (nota come “Sesta direttiva IVA”), art. 9.
11 Cfr., su questi aspetti, Miceli, La territorialità IVA nelle operazioni telematiche, in Rass. trib., 2004, 601.
12 Il sistema di localizzazione delle prestazioni di servizi è stato definito «duale». Su questo punto e sulla disciplina delle prestazioni di servizi generiche, Logozzo, La territorialità ai fini IVA delle prestazioni di servizi generiche, in Corr. trib., 2010, 919; Circ. 31.12.2009, n. 58/E; Circ. 29.7.2011, n. 37/E.
13 Fra le deroghe assolute si riscontra la localizzazione: nel luogo di ubicazione dei beni immobili per le prestazioni relative a beni immobili, nel luogo di esecuzione per le prestazioni di ristorazione e catering, nel luogo di svolgimento per le prestazioni artistiche, culturali, ricreative e didattiche. Analiticamente, su questi aspetti, Circ. 29.7.2011, n. 37/E.
14 Fra queste rilevano, in particolare, le operazioni rese attraverso mezzi elettronici (commercio via internet) o le prestazioni di telecomunicazione o radiodiffusione che si localizzano nello stato del committente se sono rese da prestatori extra-comunitari. Cfr. Circ. 29.7.2011, n. 37/E.
15 Su tale nozione, analiticamente, Circ. 29.7.2011, n. 37/E.
16 È noto, infatti, che la stabile organizzazione non sia considerata un soggetto passivo IVA. Cfr., su questo tema, Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà impositiva tributaria, cit., 523; Della Valle, Si va verso la soluzione definitiva del problema relativo alla rilevanza o meno, ai fini IVA, dei servizi interni resi dalla casa madre alla sua stabile organizzazione (e viceversa), in Riv. dir. trib., 2004, II, 515; Puri, La stabile organizzazione nell’IVA, in Riv. dir. trib., 2000, I, 249.
17 Su questo aspetto, Giorgi, Le simmetrie del sistema IVA in vigore dal 2010, cit., 7