ISTITUZIONI, Riforma delle
La riforma delle istituzioni in Italia. - Agli esordi dell'esperienza repubblicana in Italia il tema della riforma delle i. si presenta anzitutto come quello dell'attuazione della Costituzione: il ritardo con il quale si è dato corso nei decenni successivi ad alcune delle principali innovazioni istituzionali previste dalla Carta del 1948 poneva in particolare rilievo l'arretratezza degli apparati delle assemblee legislative, della pubblica amministrazione e dell'ordinamento giudiziario. Questi non solo contraddicevano alle esigenze di una società in rapida evoluzione e modernizzazione, ma mettevano in dubbio la stessa capacità della nuova costituzione di concorrere a distruggere quei "resti feudali", di cui − secondo l'opinione di P. Calamandrei − era ancora ingombra la vita sociale italiana. Se, però, preminente appariva l'obiettivo di porre termine allo ''scandalo'' della Costituzione inattuata, ci si rendeva conto nel contempo, in taluni settori, che l'ammodernamento delle i. doveva andare ben al di là dell'attuazione di quanto già previsto dalla Costituzione, alla ricerca di un progetto in ordine al quale la Carta dava solo generiche indicazioni di principio. Già a partire dal sesto governo De Gasperi (27 gennaio 1950 - 16 luglio 1951) era stato nominato all'interno del Gabinetto un ministro senza portafoglio (che, nel caso, era il democristiano R.P. Petrilli) con l'incarico di elaborare un progetto di riforma amministrativa e burocratica. Il tema della riforma ha costituito così un tratto costante della vita politica italiana, ma raramente all'attenzione a esso prestata in sede di attribuzioni ministeriali è corrisposta una reale e fattiva iniziativa riformatrice. Conseguentemente più volte si è avvertita la necessità di fare il punto in merito a questo problema sino a quando, con il Rapporto sui principali problemi dell'Amministrazione dello Stato (trasmesso alla Camera il 16 novembre 1979), sono state gettate le basi di molteplici intraprese di riforma, che solo in tempi recenti hanno dato qualche frutto, in primis la l. 23 agosto 1988 n. 400, per la disciplina dell'attività di governo e l'ordinamento della presidenza del Consiglio dei ministri, e la l. 8 giugno 1990 n. 142 di riforma delle autonomie locali.
Nel frattempo, il completamento dell'assetto istituzionale previsto dalla Costituzione aveva trovato attuazione nel 1970 con l'avvento delle Regioni ad autonomia ordinaria. Esse venivano infatti ad affiancarsi alle altre principali innovazioni costituzionali realizzate con notevole ritardo rispetto al 1948, quali la Corte costituzionale (entrata in funzione nel 1955), il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e il Consiglio superiore della magistratura (le cui leggi istitutive risalgono, rispettivamente, al 1957 e al 1958). Prendeva così forma un assetto costituzionale caratterizzato da una pluralità di i. al vertice, sulle quali, in particolare Governo e Parlamento, pesava la responsabilità di assicurare quell'unità d'indirizzo politico richiesto, pur nella sua complessità, da una moderna società industriale (quando non addirittura post-industriale). D'altra parte, le vicende della storia repubblicana lasciavano intravvedere come − pur nell'unità formale dell'ordinamento − i rapporti fra le i. governanti fossero andati mutando nel tempo, essendo seguita alla fase del parlamentarismo a guida governativa degli anni del centrismo (1947-60) quella del disgelo dei rapporti fra maggioranza e opposizione con la crescita del ruolo di centralità del Parlamento. L'evoluzione sembrava doversi attribuire, più che ai meriti dell'elasticità del sistema normativo costituzionale, ai demeriti del sistema dei partiti, cui la legislazione elettorale proporzionale consentiva di svilupparsi secondo un processo di progressiva frantumazione e polarizzazione. In buona parte il filone a noi più vicino del dibattito sulla riforma delle i. trae origine proprio da talune impietose analisi di quella evoluzione, in particolare dalle sollecitazioni per una riforma del sistema elettorale (G. Sartori) e dalla riproposizione del decisionismo del teorico tedesco C. Schmitt sottesa alla denuncia della moderna conflittualità delle corporazioni particolari (G. Miglio). Dibattito che, ai suoi esordi, confluisce nel tentativo di propugnare un rafforzamento dell'esecutivo, ora intervenendo sui meccanismi di formazione delle assemblee elettive, ora modificando i modi stessi di formazione dell'esecutivo, ora, infine, accentuando il ruolo delle autonomie territoriali e concentrando al centro le sole decisioni di stretto rilievo nazionale.
Tali orientamenti suscitarono le diffidenze di quanti in un rafforzamento dell'esecutivo o in una semplificazione del sistema politico indotta da riforme elettorali vedevano il ritorno di quell'autoritarismo, che l'Assemblea costituente aveva voluto esorcizzare adottando una versione debole di governo parlamentare: si pensi soltanto alle reazioni negative indotte da due tavole rotonde (pubblicate su un'effimera rivista gli Stati) fra il 1973 e il 1974, cui pure parteciparono giuristi d'indiscussa fede democratica. Di contro a chi teorizzava le ragioni per le quali l'Italia aveva mantenuto e intendeva mantenere il sistema vigente di governo, vi era chi vedeva con favore (i partiti di sinistra) il progressivo scivolamento verso moduli assembleari di governo, che accentuavano l'indebolimento dell'esecutivo, e ancora chi, come i partiti minori, vedevano con timore ogni correzione del sistema che potesse risolversi in loro danno. Ma vi fu anche un messaggio (1975) del presidente della Repubblica G. Leone, che sollecitò il Parlamento a prestare attenzione al generale problema della riforma delle istituzioni. Anche se l'invito non fu subito accolto, tuttavia, con il tempo, l'idea si è fatta strada: un ruolo propulsivo in tal senso ha giuocato senza dubbio la conversione a un riformismo istituzionale del Partito socialista italiano sotto la segreteria di B. Craxi, cui si sono aggiunti dapprima i tradizionali partiti di governo e, poi, anche l'allora Partito comunista italiano. Dopo di che si sono succedute iniziative importanti delle due Camere con le quali esse hanno inteso assumere la guida del processo riformatore: dapprima nel 1982, con la costituzione − presso le rispettive prime commissioni permanenti − di comitati di studio per l'esame dei problemi istituzionali, e, poi, sulla base delle relazioni dei presidenti e coordinatori dei due comitati (R. Riz e F.P. Bonifacio), con l'istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme istituzionali che, presieduta da A. Bozzi, ha concluso i suoi lavori nel corso della ix legislatura presentando la relazione finale ai due presidenti delle stesse Camere il 29 gennaio 1985. Benché, a maggioranza, i lavori di tale commissione si siano tradotti in proposte alternative a quelle presenti nell'articolato della vigente Costituzione, i suggerimenti avanzati non hanno trovato seguito. Il che non significa che talune indicazioni non siano state successivamente messe a frutto, seppure per ora soltanto a livello di leggi ordinarie (se si fa eccezione per la revisione della giustizia penale costituzionale di cui alla legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1). Ovviamente, col trasferimento in sede parlamentare, si è allargato il raggio degli istituti presi in considerazione in vista del disegno riformatore: oggi non si parla più soltanto di revisione della legislazione elettorale, ma ci si propone di legare questa all'adozione di meccanismi di designazione del presidente del Consiglio o della coalizione di governo, e si chiede di coronare la riforma delle autonomie locali (in cui si ravvisa un completamento della riforma regionale) con la trasformazione di uno dei due rami del Parlamento in Camera delle Regioni. Così, per un verso, si contrappongono nuovamente prospettive monocameralistiche e bicameralistiche e, dall'altro lato, si riprende l'idea di una Repubblica presidenziale già avanzata all'Assemblea costituente dal Partito d'azione e ivi rifiutata dalla maggioranza.
A favore di quest'ultima soluzione si è dichiarato in sedi non ufficiali il presidente della Repubblica F. Cossiga, che ha inviato alle Camere un messaggio (1991), con il quale ha affrontato in generale il problema delle riforme sotto vari profili, soffermandosi da ultimo sull'utilizzo e la revisione dell'art. 138 della Costituzione al fine di assicurare il diretto coinvolgimento del popolo nella decisione concernente la riforma della forma di governo, anche al di là di quanto consentito dalla vigente normativa (documento i n. ii Camera dei Deputati, x legislatura). Questa non è stata, del resto, l'unica iniziativa a favore delle riforme di Cossiga, che dopo ripetuti precedenti interventi ha inviato alle Camere anche un messaggio sui problemi relativi alla normativa e alle funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura recependo la relazione di una commissione di studio da lui appositamente nominata (documento i n. 9 Camera dei Deputati, x legislatura).
Il tema della riforma del Parlamento ha trovato svolgimento in una serie di iniziative parlamentari che hanno portato all'approvazione di un testo unificato di revisione della Costituzione adottato in prima deliberazione dal Senato e poi largamente modificato dalla Camera con l'introduzione di nuove norme sulla distribuzione delle competenze fra lo Stato e le Regioni (documento n. 4887 Camera dei Deputati, x legislatura). All'adozione di questo testo non si è potuto arrivare prima della fine della legislatura (1992), e quindi il problema della riforma del Parlamento è restato aperto. Come, d'altro canto, è restato aperto il problema della riforma elettorale. Un'iniziativa referendaria avviata al riguardo nel corso del 1990 è stata parzialmente bloccata dalla Corte costituzionale (sent. 17 gennaio-2 febbraio 1991, n. 47), che ha consentito l'effettuazione del solo referendum abrogativo concernente la legislazione elettorale per la Camera dei Deputati, ritenendo inammissibili quelli concernenti le leggi elettorali per il Senato della Repubblica e per i Comuni. La vittoria dello schieramento referendario ha limitato a una le preferenze che l'elettore può esprimere sulla scheda per l'elezione della Camera dei Deputati (dal 1992).
Il solo parziale successo dell'iniziativa referendaria ha indotto i suoi sostenitori a riproporre con nuove formulazioni l'iniziativa medesima nell'intento di arrivare a una riforma della legislazione elettorale per il Senato e di quella per gli enti locali, accentuando il profilo uninominalistico della prima e convertendo in senso maggioritario la seconda. Tuttavia per la coincidenza nel 1992 con la fine della x legislatura, l'eventuale consultazione referendaria, se giudicata ammissibile dalla Corte, si terrà soltanto nella primavera del 1993. Ad apertura della xi legislatura è stata istituita la Commissione bicamerale per la riforma delle istituzioni.
Nell'opinione pubblica, nella stampa e nella pubblicistica politica, comunque, il tema della riforma delle i. ha costituito motivo crescente d'interesse e di dibattito. Il problema della governabilità, connesso con quello del rafforzamento dell'esecutivo, la questione della riforma elettorale per ovviare alla frantumazione della rappresentanza politica derivante in larga parte dalla proporzionale, e il tema delle competenze e delle attribuzioni da garantire alle Regioni in un sistema ammodernato, hanno costituito i motivi centrali di una discussione tuttora in atto.
Bibl.: P. Calamandrei, La costituzione inattuata, Milano-Roma 1956; G. Miglio, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in Jus, 42 (1965); G. Sartori, Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato, in Tempi moderni, 31 (1967), pp. 1 ss.; G. Floridia, Il dibattito sulle istituzioni (1948-1975), in Diritto e società, 1978, pp. 261 ss.; G. Amato, Una Repubblica da riformare, Bologna 1980; La riforma dell'Amministrazione, fascicolo speciale della Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1982, pp. 715 ss.; Gruppo di Milano, Verso una nuova costituzione, tomi i e ii, Milano 1983; S. Galeotti, Alla ricerca della governabilità, ivi 1983; Materiali per la riforma elettorale, a cura di R. Ruffilli, Bologna 1987; Il cittadino come arbitro, a cura di R. Ruffilli e P. A. Capotosti, ivi 1988; La lenta marcia nelle istituzioni, a cura di G. Pasquino, ivi 1988; Il parlamento e le riforme istituzionali, a cura di G. F. Ciaurro, G. Negri, S. Simoni, Roma 1988; Oltre la proporzionale, a cura di E. di Nuoscio, ivi 1990; E. Cuccodoro, Cronaca di una crisi. Costituzione materiale e formale tra anomalia, finzione, regola, Galatina 1991.