RIFORMATORIO
. Istituto di prevenzione e di pena, che accoglie i giovani discoli e i minorenni delinquenti e si propone il compito di educarli all'onestà e al lavoro. Mentre la condanna penale è un fatto certo e un criterio positivo per individuare il delinquente, è invece affatto indiziaria e malfida la designazione dei discoli (= difficilmente educabili). Se la condanna è un fatto materiale di indiscutibile certezza, le spinte delittuose invece si confondono quasi semPre con la corruzione dell'ambiente e con l'incuria dei genitori, ossia con le stesse condizioni che determinano il sorgere della scuola popolare, onde non si può dire che il problema dei minorenni traviati sia di natura diversa dal problema generale dell'educazione; ché anzi i principî a cui i riformatorî obbediscono - l'educabilità di tutti i ragazzi e l'efficacia risanatrice di ogni attività ordinata e feconda - sono comuni a tutta la pedagogia moderna. Per citare soltanto qualche esempio molto noto, non si riesce a cogliere una differenza radicale tra i discoli rinchiusi nelle case di correzione e i vagabondi, i ladruncoli, i viziosi precoci raccolti dal Pestalozzi nella sua fattoria di Neuhof, né si vede qual diverso quadro offrissero agli occhi dell'Aporti i monelli di strada pei quali nel 1829 egli apriva l'asilo di Cremona. Ma è pur vero che la pericolosità sociale dei corrigendi impone una disciplina esteriore e una limitazione della libertà personale, che complicano il problema educativo e imprimono una particolare figura alla vita del riformatorio.
L'istituzione dei riformatorî maschili, che al fine emendativo meglio associano il concetto della difesa sociale, non rimonta oltre il Seicento e coincide col vasto movimento pedagogico che porta alla fondazione sistematica degli orfanotrofî, degli oratorî aperti per l'istruzione religiosa e morale dei poveri, delle prime scuole di mestiere. Così nel 1677 il prete Filippo Franci organizzò in Firenze, nel rifugio dei fanciulli di S. Filippo Neri un reparto cellulare per isolarvi i discoli; e poco dopo il papa Clemente XI fondò in Roma il carcere correzionale di S. Michele, i cui duri procedimenti - segregazione, silenzio, catena al piede, eccesso di pratiche cultuali - non bastano a offuscare il merito di un'innovazione, che staccò i minorenni dai loro più vecchi e corrotti compagni di pena e riconobbe la possibilità di correggerli.
Un progresso segnò l'illuminismo. Nel 1782 il granduca di Toscana aprì in Firenze nella Fortezza da Basso un primo riformatorio pubblico per i discoli, dove all'aspro regime carcerario del passato subentrò un geniale, benché effimero tentativo di rieducazione raccomandato alla religione, alla scuola e al lavoro manuale; e qualche anno dopo la rivoluzione francese proclamò il principio dell'educazione correzionale con la legge 25 settembre-6 ottobre 1791 che definì come non passibili di pena i delinquenti di minore età e stabilì il diritto e il dovere dello stato di sottoporli a un'educazione particolare. Tuttavia nel sec. XIX, mentre sorgevano i primi riformatorî laici, giunsero a un rigoglioso sviluppo i riformatorî dovuti all'iniziativa dei religiosi, e andarono celebri, tra i moltissimi, gli Ospizî di Roma, di cui si occupò personalmente il papa Pio IX, l'istituto per i discoli inaugurato a Bergamo nel 1817 con insolita vastità di disegno dal prete Carlo Botta e prontamente arricchito di belle officine moderne, la Colonia agricola di Assisi, dove i benedettini saggiarono in questo più aspro cimento l'efficacia redentrice della preghiera e del lavoro. Analogo significato ha il "metodo preventivo" che S. Giovanni Bosco applicò con fortuna ai discoli di Torino in opposizione al metodo penitenziario praticato nel riformatorio pubblico della Generala, istituito dal re Carlo Alberto nel 1845, e un'alta fama mondiale raggiunse più tardi l'Ospizio aperto in mezzo a molte altre fondazioni umanitarie presso il santuario di Valle di Pompei da Bartolo Longo.
Ma anche queste opere furono un rimedio così inadeguato al flagello della delinquenza minorile, di cui le statistiche ufficiali registravano la crescente virulenza, che sul principio del nostro secolo proruppe una tempestosa letteratura critica a denunziare l'inanità dello sforzo compiuto e ad esigere una profonda trasformazione nel regime dei riformatorî. La scuola di antropologia criminale, se da un lato insisteva sulla sterile ipotesi della fatalità atavica, d'altra parte illustrava con felice incongruenza, le determinanti sociali del delitto - l'inettitudine al lavoro, l'immoralità dell'ambiente, la suggestione e l'insegnamento dei malfattori più scaltri - e queste ragioni parevano ancor più calzanti nei riguardi dei ragazzi, che il carcere giudiziario con la promiscuità dei detenuti finiva col pervertire del tutto, che il cellulare uccideva, che l'aspra disciplina dei riformatorî convertiva in un branco di simulatori e di ribelli. Le case di correzione battevano una via sbagliata: troppo formalismo religioso, poca igiene, oppressione carceraria, affollamento, silenzio, diffidenza, maestri rozzi e incapaci. Alessandro Bianchi, dottore della Biblioteca Ambrosiana, scriveva senza reticenze che la vantata istruzione professionale dei riformatorî era una favola e che la grande maggioranza dei reclusi non imparava niente, come egli aveva personalmente constatato, visitando i migliori istituti governativi e privati. Ersilia Maino notava che in mezzo a tante case di soccorso per le fanciulle non ve n'era in tutta Milano una sola, che provvedesse senza formalità al ricovero immediato delle pericolanti, travolte spesso nell'estrema sventura dalle estenuanti lentezze burocratiche, e apriva nel 1902 l'Asilo Mariuccia, che fiorisce tuttora in mezzo alla generale estimazione. Alessandrina Ravizza, una russa venuta in ltalia, dove si fece amica e seguace di Laura Mantegazza e diventò l'animosa benefattrice di tutti gli sventurati, stupiva il pubblico ottimista e ignaro col tagliente verismo delle sue rivelazioni sui piccoli delinquenti da lei soccorsi e metteva in evidenza l'impossibilità di giungere a risultati accettabili coi soliti procedimenti giudiziarî e correzionali. Davide Levi Morenos riteneva che nel chiuso dei riformatorî i piccoli detenuti ben lungi dall'emendarsi intristissero, e rivaleggiando con la colonia correzionale francese di Belle-Isle, armava a Venezia una nave scuola da cui, ritemprati nel libero e gagliardo esercizio della navigazione, uscissero onesti e generosi marinai. Raffaele Maietti traduceva e commentava le sentenze del "buon giudice" francese Magnaud che non si era peritato di violare la lettera del codice in favore degli imputati di minore età, insisteva sugli errori del sistema penitenziario ancor tutto derivato dal vieto concetto dell'espiazione, denunziava "la scemenza, inutilità e insipienza dei provvedimenti ufficiali", reclamava a gran voce la creazione del tribunale del minorenni, con dibattimento secreto, con magistrati speciali, con sanzioni nuove, apriva in Roma verso il 1910 il "Rifugio" contrassegnato della disciplina paterna e dal lavoro confacente all'inclinazione dei ricoverati. Uno dei più acuti studiosi del grave problema, Camillo Cavagnari, aveva costituita una "Commissione pedagogico-forense", composta cioè di giuristi e di educatori, che procedette a un gran numero di perizie sui minorenni inquisiti e sui ricoverati nei riformatorî, giungendo alla conclusione che ai ragazzi rinchiusi nelle Case correzionali convenisse un trattamento ben diverso. Sorse così nel 1904 l'Istituto pedagogico-forense presieduto da Antonio Martinazzoli, che ne tratteggiò gli scopi: preparare la trasformazione radicale dei riformatorî pubblici e privati, sostituendo al regime carcerario e all'accasermamento dei ragazzi la libertà vigilata e la vita di famiglia. L'Istituto provvedeva all'internamento permanente di pochissimi ricoverati più pericolosi; gli altri ospitava bensì nel senso che forniva loro il vitto, l'alloggio e l'istruzione elementare, ma li collocava durante la giornata come garzoni presso onesti artigiani o presso intelligenti industriali, che li avviavano al lavoro e li trattavano come figli. L'istituto invocava a suo conforto l'esempio della Svizzera, dove i discoli vengono da tempo affidati in piccoli gruppi a esperte famiglie di lavoratori che provvedono alla loro educazione tecnica e civile.
L'istituto pedagogico-forense si fuse con l'Associazione Nazionale Cesare Beccaria, che ha sede in Milano. Quest'associazione, originariamente costituita per lo studio dei problemi penitenziarî, impressionata dallo straordinario aumento della delinquenza minorile milanese, passò nel 1921 dalla dottrina all'azione e f0ndò in una villa di Arese, a 10 km. dalla città, un nuovo riformatorio maschile, che sotto l'amministrazione del sen. P. G. Venino è diventato la più grande e rinomata istituzione italiana del genere. Al trattamento educativo dei ricoverati concorrono l'assistenza psichiatrica, la religione, l'istruzione elementare, l'insegnamento della musica e del disegno, le feste e i trattenimenti ricreativi (dal teatro alla radio), il lavoro, lo sport. Il lavoro è multiforme; alcuni vengono addetti alla coltivazione dell'orto; gli altri, divisi in piccoli riparti specializzati, passano nelle officine: calzoleria, tipografia, bulloneria, produzione di articoli sportivi, lavorazione dell'alluminio, ecc.
Oltre allo stabilimento di Arese, dipende dall'Associazione Beccaria anche il ricordato istituto di Milano, che ospita altri ragazzi e merita una attenzione particolare, perché è la sede del primo tribunale per i minorenni fondato in Italia e perché ne fa parte un assistenziario per gli ex-reclusi che siano sicuramente redenti. Una delle difficoltà più scabrose, di cui i riformatorî si preoccupano, è appunto la sorte dei giovani liberati, che non hanno famiglia, né utili amicizie. L'assistenziario offre un alloggio igienico, un vitto sano, una sala di lettura, una serie di ricreazioni gradite, la conversazione con gli antichi maestri, tutte le provvidenze insomviame agevolano il passaggio dal momento in cui il giovine è dimesso dal riformatorio al suo completo assestamento economico e sociale.
Sull'esempio dell'istituto di Arese vanno sorgendo da qualche anno in Italia parecchi altri enti affini, come l'Istituto pedagogico-forense di Roma, la Colonia agricola Serego Alighieri in Valpolicella e il grande riformatorio nazionale a Catanzaro. Essi sono destinati a superare le antinomie, in cui ancora si dibatte la pratica educativa. I riformatorî privati, sostenuti come sono dall'entusiasmo dei loro fondatori e dallo zelo dei filantropi, dimostrano non di rado la loro utilità; ma lo stato, se permette che essi ospitino i discoli, non abdica volentieri alla tutela diretta dei delinquenti, che preferisce isolare nelle proprie case di correzione. Il regime familiare è forse più vantaggioso dei grandi stabilimenti che sono in sostanza vere e proprie carceri, ma è esposto al pericolo delle continue evasioni. Il lavoro agricolo si raccomanda per la maggiore varietà, per la vita all'aperto, per le vive emozioni estetiche che assicura; ma bisogna pur considerare la possibilità di collocamento della mano d'opera, le attitudini individuali, la provenienza dei ricoverati che nella loro maggioranza appartengono alle città e nelle città ritornano. Taluni lavori, che gl'igienisti un tempo giudicavano dannosi, come quello del sarto, che costringe l'apprendista a star seduto sul banco con le gambe incrociate e il dorso curvo, sono oggi in parte riabilitati, grazie al diminuito orario, al vitto più sano, ai compensi dello sport.
La legislazione fascista è andata largamente incontro alle aspirazioni del tempo e ai bisogni del paese, non solo con la fondazione dell'Opera maternità e infanzia, che estende ai fanciulli discoli le sue funzioni protettive, ma anche con le più agili disposizioni contenute nel regolamento per gl'istituti di prevenzione e di pena del 1930. Il codice penale stabilisce che il minore di 14 anni non è imputabile (art. 97), che il minore tra i 14 e i 18 è imputabile solo se al momento del reato era capace d'intendere e di volere, che i condannati minorenni scontano fino al compimento dei 18 anni le pene detentive in stabilimenti separati da quelli destinati agli adulti, ovvero in sezioni separate di tali stabilimenti, ed è loro impartita durante le ore non dedicate al lavoro un'istruzione diretta sopra tutto alla rieducazione morale (art. 142). Il minorenne delinquente può essere posto in libertà vigilata solo quando sia possibile affidarlo ai genitori, ma in caso contrario deve essere rinchiuso in un riformatorio (art. 232); e il ricovero nel riformatorio è sempre obbligatorio, quando il minore sia delinquente abituale o professionale o per tendenza. Il codice di procedura penale dispone che i minori non possono accedere alle sale d'udienza e che ai dibattimenti in cui gl'imputati sono minori di 18 anni sono destinate udienze speciali, che hanno luogo a porte chiuse (art. 425). Questa disposizione è stata sviluppata nella legge, che istituisce il tribunale dei minorenni.
Bibl.: Per la storia dei riformatorî, cfr. S. Biffi, Opere complete, IV: Riformatori dei giovani, Milano 1902. Per le citaz. dei più recenti novatori: A. Bianchi, La protection de l'enfance et les réformatoires, Bruxelles 1900; A. Martinazzoli, L'educazione dei minorenni traviati e i minorenni al carcere, Milano 1902; id., L'istituto pedagogico forense di Milano e la sua funzione educativa, ivi 1905; A. Ravizza, I miei ladruncoli, ivi 1908; R Maietti, Giovani, aiutatemi, Roma 1909; id., Atto per i fanciulli (Children act), trad. e ill., ivi 1910; D. Levi Morenos, Per un'opera di redenzione sociale, Venezia 1910; id., Nave asilo Scilla, relazioni, Venezia 1911-12; E. Maino, Per loro, per noi, per la patria, Milano 1928. Per le condizioni attuali dei riformatorî e per gli studî in corso, cfr. la Rivista di diritto penitenziario (Roma), nonché negli Atti parlam., il discorso tenuto alla Camera dei deputati dal ministro Arrigo Solmi sul bilancio della Giustizia il 20 marzo 1935.