RIGENERAZIONE URBANA SOSTENIBILE
- Dall’edilizia agli abitanti. La rigenerazione urbana per l’Europa: le carte urbane. Il caso della rigenerazione urbana nei fondi infrastrutturali europei e il ritardo dell’Italia. Bibliografia
Rigenerazione urbana è ormai una locuzione che negli ultimi tempi sembra aver ripreso vitalità nel nostro Paese e sul cui significato comune vi è ampia condivisione generica, pur non esistendo una definizione univoca. Anche recentemente si è infatti sottolineato il significato «plurisenso» e «pluridisciplinare» dell’espressione rigenerazione urbana, significato «che obbliga ad andare oltre le più frequentate e note nozioni di ‘recupero’, ‘riuso’ e anche ‘riqualificazione’, intesa questa ultima come un’azione, pubblica e/o privata, che determina un accrescimento di valori economici, culturali, sociali in un contesto urbano o territoriale esistente» (Mantini 2013, p. 8). Un riferimento sostanziale da cui partire, anche dal punto di vista giuridico, è in Italia la l. regionale 29 luglio 2008, nr. 21, della Regione Puglia, Norme per la rigenerazione urbana, che recita: «La Regione Puglia con la presente legge promuove la rigenerazione di parti di città e sistemi urbani in coerenza con strategie comunali e intercomunali finalizzate al miglioramento delle condizioni urbanistiche, abitative, socio-economiche, ambientali e culturali degli insediamenti umani e mediante strumenti di intervento elaborati con il coinvolgimento degli abitanti e di soggetti pubblici e privati interessati».
Questa definizione si inserisce in una riflessione che solo in parte fa riferimento alla tradizione delle politiche di conservazione, recupero edilizio e riqualificazione originata e sviluppata dalla tradizione architettonica e urbanistica italiana, mentre attinge alla cultura dell’urban regeneration e dell’urban renewal anglosassone ed europeo, il cui respiro si fa più ampio, meno edilizio e più economico-culturale, più sociale. Per il governo inglese la rigenerazione urbana è trasformazione che deve essere in grado di «far respirare nuova vita e vitalità alla comunità, all’industria e all’area, facendola diventare sostenibile grazie a miglioramenti sul lungo periodo della qualità della vita, includendo i bisogni economici, sociali e ambientali» (ODPM 2001). La r. u. s. è frutto di politiche urbane che mirano al miglioramento della qualità della vita degli abitanti. E la qualità della vita non è data solo dall’edilizia. Graeme Evans e Phyllida Shaw nel saggio The contribution of culture to regeneration in the UK: a review of evidence (2004), che ha contribuito a una ulteriore evoluzione della definizione di urban regeneration nel contesto inglese, hanno addirittura posto la loro attenzione sul legame tra rigenerazione edilizia e rigenerazione culturale, e su come quest’ultima possa essere il vero catalizzatore di politiche di riqualificazione urbana. Del resto nel 2003, in una nuova definizione, il governo inglese ha riaffermato che la rigenerazione urbana «non è fatta semplicemente di mattoni e malta. Il suo obiettivo è il benessere fisico, sociale ed economico di un territorio; è la qualità della vita negli ambiti insediativi interessati» (ODPM 2003).
Una conferma dell’evoluzione del significato di rigenerazione urbana la troviamo nella politica francese degli anni Dieci del 21° secolo. Infatti il Noveau programme de renovellement urbain 2014-2024 (Ministère de la Ville, de la Jeunesse et des Sports 2014), aggiorna obiettivi e politiche del Programme national de rénovation urbaine (PNRU) avviato nel decennio precedente, ridisegnando il quadro paradigmatico degli obiettivi: è vero che il PNRU ha permesso di migliorare la qualità della vita di ben 600 quartieri, ma «si è sviluppato indipendentemente dalle altre azioni di politica urbana e certi aspetti economici e sociali, sono stati insufficientemente tenuti in considerazione». Inoltre, gli abitanti sono stati poco coinvolti nell’elaborazione dei progetti e nel controllo della loro realizzazione. Con la nuova programmazione viene invece introdotto un nuovo metodo di intervento: «si tratta di mettere gli abitanti nel cuore del processo e di tenere meglio in considerazione gli aspetti sociali ed economici della politica urbana, nell’ambito dei nuovi ‘contratti di città’». Le nuove linee guida prevedono di concentrare gli interventi sui quartieri con le maggiori disfunzioni urbane, e la creazione di una «casa del progetto» per ogni intervento, in modo che gli abitanti dispongano di un luogo dedicato alla «co-costruzione». Si parla di partecipazione di residenti che beneficeranno del programma in tutte le fasi di avanzamento dell’intervento, dalla progettazione alla valutazione, alla realizzazione, grazie a dispositivi definiti «con cura artigianale». Si prevede, inoltre, di contribuire al rinnovamento sostenibile dei quartieri urbani e al miglioramento del rendimento energetico, puntando alla realizzazione di ecoquartieri. E ancora, di favorire lo sviluppo economico e la creazione di attività produttive nei quartieri oggetto di intervento attraverso nuove politiche urbane integrate in grado di incentivare investitori e mix di attività (contrats de ville intercommunaux).
La rigenerazione urbana ridisegna i suoi modelli di intervento: l’intervento edilizio non è il cuore del programma, ma uno degli ambiti (rilevanti) di intervento, funzionali al miglioramento delle condizioni di vita dei residenti nell’area interessata; gli interventi puntano a uno sviluppo sostenibile e hanno nella riduzione di CO2 e nella transizione energetica uno degli obiettivi prioritari; sono inoltre integrati e presuppongono nuovi livelli di partecipazione da parte degli abitanti e forme innovative di partenariato pubblico e privato.
La nuova definizione degli interventi di rigenerazione urbana è frutto di una riflessione culturale in linea con il concetto di qualità urbana espresso dall’Unione Europea, concetto strettamente connesso alla sostenibilità, nelle sue tre principali accezioni: ambientale, sociale ed economica. Ci troviamo di fronte al formarsi di una base culturale europea sul tema della qualità urbana. Infatti i tratti generali presenti nei documenti prodotti negli ultimi anni dall’Unione Europea possono essere sintetizzati nel crescente riconoscimento del ruolo cruciale che rivestono le politiche urbane per affrontare le sfide che l’Europa ha di fronte in campo ambientale, economico e sociale; nell’abbinamento del concetto di qualità urbana a quello di sostenibilità (di nuovo ambientale economica e sociale); nella necessità di approcci integrati e olistici, e quindi nei principi di integrazione alla base delle politiche urbane per il perseguimento degli obiettivi di qualità e sostenibilità.
Si tratta di un’evoluzione concettuale costruita in varie tappe che hanno nelle carte urbane europee un percorso culturale non secondario che dovrebbe essere meglio considerato in Italia. È un percorso ormai lungo, che va dalla danese prima Carta di Aalborg sulle città europee verso la sostenibilità del 1994, all’Accordo di Bristol del 2005 sulle comunità sostenibili in Europa che fissava le otto caratteristiche che devono possedere le comunità sostenibili (attive, inclusive e sicure; ben gestite; ben connesse; ben servite; sensibili all’ambiente; prospere; giuste); alla carta di Lipsia, elaborata sotto la presidenza tedesca nel maggio 2007 dall’assemblea dei ministri dei vari stati dell’Unione competenti sulle aree urbane, che impegna all’implementazione di politiche per la sostenibilità dell’ambiente urbano, puntando in particolare su due aspetti: approcci integrati nelle politiche di sviluppo urbano e necessità di porre particolare attenzione alla riqualificazione delle aree urbane svantaggiate. Il percorso è continuato con la Dichiarazione di Marsiglia del 2008 sulle città sostenibili e coese, che riprende i concetti di sviluppo urbano integrato e sostenibile, riconoscendo, tra l’altro, il ruolo chiave dell’architettura e della qualità urbana nelle politiche integrate di sviluppo sostenibile; l’attenzione al cambiamento climatico nelle politiche urbane, anche perché si riconosce che il 69% delle emissioni di gas serra proviene dalle città.
A oggi l’ultima tappa è la Dichiarazione di Toledo del 2010 che esprime la necessità per le aree urbane europee di affrontare e approfondire la Strategia Europa 2020 per una crescita sostenibile, inclusiva e intelligente. La dichiarazione di Toledo chiama le politiche urbane delle città e degli Stati membri a supportare il processo di Marsiglia e a implementare i principi della Carta di Lipsia, anche attraverso la creazione di un References framework for european sustainable cities (RFSC), da costruire attraverso un processo aperto e collettivo che deve essere inteso come uno strumento generale, adattabile e non vincolante per le politiche urbane fondate sui principi della sostenibilità. Inoltre, si sottolinea il bisogno di consolidare un’agenda urbana europea che rafforzi la dimensione della rigenerazione urbana nelle politiche di coesione, supporti una maggiore coerenza tra le agende territoriali e quelle urbane, continui a promuovere la ricerca, gli studi comparativi e lo scambio di dati, la condivisione di best practices e la diffusione di conoscenze sui temi urbani, promuovendo lo sviluppo urbano sostenibile e gli approcci integrati; e infine spinga verso una maggiore attenzione alle sfide che le aree urbane dovranno affrontare nel futuro: il cambiamento climatico e l’impatto dei cambiamenti demografici.
Non è casuale quindi che lo sviluppo urbano sostenibile sia tra gli obiettivi che la Commissione europea si è posta per il 2020, e che la rigenerazione urbana sia parte di un processo culturale che fa dell’approccio integrato e intersettoriale allo sviluppo urbano, del coordinamento orizzontale e verticale tra livelli amministrativi, della partecipazione dei cittadini ai processi decisionali, della necessità di una capacità previsionale nell’orientamento delle scelte di sviluppo nel medio periodo basate sulla sostenibilità, i cardini di un nuovo modello di intervento. Come è noto per il raggiungimento della sfida della sostenibilità l’Unione Europea utilizza diverse tipologie di azioni, e non ultimi i fondi di sostegno europei, all’interno dei quali è possibile individuare ambiti di intervento per la rigenerazione urbana in grado di esplicitare la nuova cultura. Il confronto tra la stagione programmatoria dei fondi strutturali europei 2007-13 con quella 2014-20 (regolamento UE del 17 dicembre 2013 nr. 1301 del Parlamento Europeo e del Consiglio) è da questo punto di vista paradigmatico, e consente anche una riflessione sulle politiche di rigenerazione urbana del nostro Paese.
Va detto che, a differenza di quanto successo in altri Paesi europei, e di quanto successo nel passato, i primi anni del 21° sec. in Italia sono stati caratterizzati da una sostanziale debolezza per quanto riguarda le politiche nazionali in questo ambito, e solo negli ultimi tempi si è registrato un tentativo di rinnovata attenzione verso le città e i sistemi urbani, tentativo più embrionale che frutto di una politica organica. In ogni caso nel 2013 nel Programma delle infrastrutture strategiche del ministero delle Infrastrutture, che prende in esame le principali opere strategiche del Paese, è stata inserita una «macro opera» denominata sistemi urbani; inoltre nello stesso anno è stato avviato il Piano città, e per i comuni di piccola dimensione, il Programma seimila campanili (anch’esso inserito nel Programma delle infrastrutture strategiche, Camera dei deputati XVII legislatura, Documentazione e ricerche, L’attuazione della ‘legge obiettivo’.Nota di sintesi e focus tematici. 8° Rapporto per la VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, 94, 2014). Si è trattato però di azioni con risorse economiche contenute, se confrontate con quelle di altri Paesi, e soprattutto orientate a una logica edilizia, più che di vera r. u. s. in senso europeo. L’esempio più calzante è stato, da questo punto di vista, il Piano città, che ha visto la raccolta e la selezione di una eterogenea serie di interventi edilizi e infrastrutturali da realizzare rapidamente (dettati dall’urgenza della crisi, più che dall’avvio di un piano di rigenerazione urbana nazionale), e verso il quale è stato indirizzato un quadro di risorse debole (328 milioni di euro) che per giunta ha mostrato capacità attuative quanto meno critiche.
Questa debolezza delle politiche urbane in Italia può essere letta come il frutto della fase espansiva del ciclo immobiliare e della nuova produzione edilizia vissuta tra il 1998 e il 2007 (periodo in cui si è attraversata una fase di espansione urbana più che di riqualificazione), del prevalere, nell’allocazione delle risorse pubbliche, di logiche da grandi opere nella realizzazione di autostrade e ferrovie, ma forse anche dell’esito dei programmi di rigenerazione urbana inseriti nella programmazione dei fondi strutturali europei 2007-13. L’Italia, nel proprio Quadro strategico nazionale per il 2007-13, ha dedicato la priorità 8 alla «Competitività ed attrattività delle città e dei sistemi urbani». Tuttavia l’attuazione di quel programma non si è rivelata ottimale. Secondo L’Istituto per la finanza e l’economia locale (IFEL), gli interventi nelle aree urbane hanno registrato «lo stato di avanzamento rendicontabile più contenuto rispetto alle altre nove priorità»; al 31 dicembre 2014 «degli oltre 2,4 miliardi di euro di costi rendicontabili associati a 1.764 progetti, solo il 30,8% risultava pagato, rispetto al 48,3% relativo all’avanzamento totale rendicontabile dei progetti FESR» (IFEL, I finanziamenti destinati ai sistemi urbani dalla ‘legge obiettivo’ ai nuovi fondi europei, in Camera dei deputati XVII legislatura, Documentazione e ricerche, 2014). Un dato che dimostra «una performance tutt’altro che positiva per quanto riguarda gli interventi mirati alla competitività dei centri urbani». In sostanza, sono stati proprio i programmi di rigenerazione urbana a entrare in crisi.
Il boom edilizio 1998-2007, il difficile esito dei fondi strutturali destinati alle città del periodo 2007-13, la crisi economica e il quadro delle risorse pubbliche locali destinate agli investimenti sempre più ridotte, hanno portato gli interventi sul tema della r. u. s. ad allontanare il nostro Paese dalla sua storia e dalle altre città europee, facendo emergere con forza la mancanza di un’innovativa politica di rigenerazione urbana. Una mancanza evidenziata negli ultimi anni da molti soggetti, come il Consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti conservatori (CNAPPC), l’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), Legambiente, l’Istituto nazionale di urbanistica (INU), l’Associazione aree urbane dismesse (AUDIS), l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) stessa, che con ricerche, proposte, analisi e riflessioni stanno cercando, per ora con pochi risultati, di denunciare le difficoltà e riaprire una nuova stagione per la r. u. s. in Italia.
Office of the deputy Prime minister(ODPM), Towns & cities: partners in urban renaissance. Breakingdown the barriers, London 2001; Office of the Deputy Prime Minister (ODPM), Assessing the impacts of spatial interventions.Regeneration, renewal and regional development. Main guidance, London 2003; AUDIS, La Carta AUDIS della rigenerazione urbana, Bologna 2008; CNAPPC, Il piano nazionale per la rigenerazione urbana sostenibile, Roma 2011; CRESME (Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l’Edilizia e il territorio),Città, mercato e rigenerazione 2012. Analisi di contesto per una nuova politica urbana, Roma 2012; N. Karadimitriou, C. de Magalhães, R.Verhage, Planning, risk and property development urban regeneration in England, France and the Netherland, London-New York 2013. Si veda inoltre: P. Mantini, Rigenerazione urbana, resilienza, re/evolution profili giuridici, in Atti del XXVIII Congresso dell’Istituto nazionale di urbanistica, Roma 2013, http://www.inu.it/wp-content/uploads/Mantini_RIGENERAZIONE_URBANA_RESILIENZA_REEVOLUTION.pdf.