rigirare
Poche attestazioni del verbo, di cui una con costrutto transitivo, in Pg XXIII 125 salendo e rigirando la montagna, " perché e nell'Antipurgatorio e in ciascuno dei cerchi del Purgatorio [D. e Virgilio] hanno percorso un tratto in giro: e rigirando è qui mero sinonimo di ‛ girando ' " (Porena; cfr. XXII 123 girando il monte, e XV 8, nella forma passiva: v. GIRARE). Per il Mattalia invece i due poeti " hanno ri-girato, girato più di una volta intorno alla montagna "; ma a una azione insistita il verbo allude più probabilmente negli altri due esempi.
Usato nella forma pronominale, r. indica l'atteggiamento della cicogna, che sovresso il nido si rigira [" cioè va roteando ", Buti], / poi c'ha pasciuti... i figli (Pd XIX 91).
Il verbo si registra anche come riflessivo, a designare una delle attività dell'anima, che vive e sente e sé in sé rigira (Pg XXV 75): " vive in quanto ha facoltà vegetative, sente in quanto ha facoltà sensitive, e sé in sé rigira, cioè riflette sé stessa su sé stessa, sussiste, acquista la coscienza di sé, in quanto ha facoltà intellettive " (Casini-Barbi). La nozione è di origine neoplatonica (Liber de causis prop. 15). Già Proclo (Elementatio theologica, pr. 186, 188) aveva definito l'autonomia dell'anima in base alla capacità che ha di " convergere in sé stessa " (" ἐπιστρέφεται προς ἐαυτήν ", che nella traduzione di Guglielmo di Moerbeke suonava " ad seipsam convertitur "). La stessa nozione si ritrova nel passo di Pd II 136-138, dov'è detto che l'intelligenza [motrice del cielo Stellato] sua bontate / multiplicata per le stelle spiega, / girando sé sovra sua unitate; cfr. inoltre Cv III XII 11, IV II 18, e Boezio Cons. phil. III m. IX 16-17. per l'uso del termine latino regyrare, regyratio, cfr. Alb. Magno Metaph. I IV 4.