Rilevanza sanzionatoria dell’elusione
Il profilo sanzionatorio del tema dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto tributario è assai delicato, coinvolgendo principi fondanti del nostro ordinamento quali quello di legalità, di affidamento e di certezza del diritto. In mancanza di una normativa di settore chiara sul punto, la dottrina risulta divisa tra coloro che sostengono la sanzionabilità (quantomeno quella amministrativa) della condotta elusiva o abusiva e coloro che, all’opposto, la escludono. Nel dibattito irrompono una argomentata sentenza della seconda sezione penale della Corte di cassazione e un disegno di legge delega di iniziativa governativa.
Il tema della rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva e di quella abusiva (che l’elusione fiscale e l’abuso del diritto tributario rappresentino o meno fenomeni esattamente sovrapponibili è, com’è noto, discusso, ma una loro trattazione unitaria è imprescindibile) costituisce oramai un classico della dogmatica tributaria.
In mancanza di chiare indicazioni normative il pendolo del dibattito è finora oscillato tra chi non vede alcuna ragione per differenziare, sotto il profilo del diritto punitivo, le suddette condotte da quelle evasive e chi, all’opposto, muovendo dal principio di legalità e certezza del diritto, ritiene non sanzionabili le condotte medesime.
Per quanto specificamente riguarda la sanzionabilità penale, prevale nettamente in dottrina l’opinione contraria, la quale si basa, tra l’altro, vuoi su una pretesa distinzione tra dolo di evasione e dolo di elusione, vuoi sulla particolare conformazione, sul piano meramente oggettivo, delle condotte incriminate dal d.lgs. 10.3.2000, n. 74.
Sul tema in questione si registrano due novità che hanno destato notevole clamore consistenti, l’una, in un noto arresto della seconda sezione penale della Corte di cassazione e, l’altra, in un disegno di legge delega di iniziativa governativa.
Si fa qui riferimento in particolare, in un caso, alla sentenza n. 7739 del 28.2.2012, relativa ad una articolata fattispecie che vede come protagonisti due noti stilisti italiani, in cui la Corte, con un encomiabile e forse non necessario sforzo argomentativo (considerata la fattispecie concreta su cui era chiamata a pronunciarsi), probabilmente doppiando un proprio precedente arresto di novembre 2011 in cui parrebbe essersi espressa analogamente con riferimento alle sanzioni amministrative1, afferma la rilevanza sanzionatoria (penale) della sola elusione, per così dire, codificata ossia l’elusione contrastata dal legislatore mercé specifiche disposizioni, appunto, antielusive (di seguito, per brevità, a tale sentenza si farà riferimento come la “sentenza D&G” o, semplicemente la “D&G”)2; nell’altro, al disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri del 16.4.2012 e trasmesso alle Camere dopo alcuni interventi correttivi sollecitati dalla Presidenza della Repubblica, contraddistinto dal n. 5291 Atti Camera di «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (di seguito, per brevità, anche «il disegno di legge delega»), al cui interno viene direttamente coinvolto, in una prospettiva unificante, il tema dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto tributario nonché della relativa rilevanza sanzionatoria.
Non vi è alcun apparente collegamento tra i due interventi. Del resto l’elusione/abuso non esaurisce affatto il raggio di operatività del disegno di legge delega, che, infatti, riguarda diverse aree della fiscalità. Tuttavia l’eco suscitato dalla sentenza D&G, in cui per la prima volta il tema in questione viene affrontato dalla Suprema Corte con un notevole impegno, e la circostanza che la sentenza sia stata pubblicata qualche settimana prima dell’approvazione del disegno di legge delega, fanno ritenere molto probabile che nel confezionare il disegno di legge in parte qua, l’Esecutivo abbia dovuto (e voluto) fare i conti con la sentenza medesima.
2.1 La sentenza D&G
Prendendo le mosse dalla sentenza D&G3, due sono, per quanto qui interessa, le conclusioni a cui la stessa perviene.
La prima è che devesi escludere il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, stante la specialità del sistema penale-tributario di cui al d.lgs. n. 74/2000, sistema chiuso non integrabile con fattispecie incriminatrici di diritto penale comune4; la seconda, come detto probabilmente confermativa in punto di sanzioni penali di un precedente e meno argomentato arresto della Suprema Corte in tema di sanzioni amministrative5, è che la condotta che corrisponde «ad una specifica ipotesi di elusione espressamente prevista dalla legge» (elusione c.d. codificata), ma non qualunque condotta in violazione del divieto di abuso del diritto, può assumere rilevanza penale vuoi come infedele dichiarazione dei redditi, vuoi come omessa presentazione della dichiarazione6.
Interessante notare come la sentenza riguardi un caso che la stessa Corte inquadra, per la parte della sua articolazione che qui interessa, nella c.d. esterovestizione e segnatamente di (pretesa) fittizia residenza estera di una società (nella specie costituita in Lussemburgo) ossia un caso che con l’elusione e l’abuso del diritto tributario nulla ha a che fare, rappresentando, diversamente, un’ipotesi paradigmatica di evasione.
Sulla base di tale curiosa, sebbene non isolata, commistione di concetti (elusione/abuso, da un lato, ed evasione, dall’altro) e muovendo comunque da una loro concezione unitaria, la Suprema Corte teorizza la sanzionabilità penale ex artt. 4 o 5 del d.lgs. n. 74/2000, a seconda dei casi, dell’esterovestizione intesa come comportamento elusivo tipizzato in specifiche disposizioni del t.u.i.r. e comunque più in generale delle «condotte che rientrino in una specifica disposizione fiscale antielusiva».
Gli argomenti che sorreggono l’arresto sono essenzialmente i seguenti:
a) un’ampia lettura dell’art. 1, lett. f), del d.lgs. n. 74/2000 tale per cui la differenza tra imposta dovuta sull’operazione elusa e quella corrisposta in relazione alla condotta elusiva deve ritenersi «imposta evasa» (di analogo tenore è l’argomento utilizzato nel citato precedente di novembre 2011 laddove si afferma che le sanzioni amministrative «si applicano per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente sia difforme rispetto all’accertamento»);
b) la previsione dell’art. 16 del medesimo d.lgs. n. 74/2000 secondo cui il conformarsi al parere ministeriale ovvero al responso del defunto Comitato per l’applicazione delle norme antielusive (e tra queste l’art. 37, co. 3 e 37-bis, d.P.R. n. 600/73) esclude la punibilità del fatto, ciò che per la Corte significa a fortiori possibile rilevanza penale dell’elusione;
c) la linea di politica criminale adottata dal legislatore che avrebbe abbandonato il modello del c.d. reato prodromico – modello che attestava la linea d’intervento repressivo sulla fase meramente preparatoria dell’evasione d’imposta – per incentrare la tutela penale sulla dichiarazione, onde «se le fattispecie criminose sono incentrate sul momento della dichiarazione fiscale e si concretizzano nell’infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout court penalmente irrilevante».
Trattasi di argomenti invero nient’affatto insuperabili.
Il primo presuppone l’adesione ad una tesi per così dire sostanzialistica quanto alla natura della norma semi-generale antielusiva di cui all’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/73 che non è affatto pacifica in dottrina.
Il secondo argomento svaluta il tenore della relazione al decreto legislativo del 2000 nella quale si legge, tra l’altro, che la disposizione di cui all’odierno art. 16 non può essere letta al contrario ossia come «diretta a sancire la rilevanza penalistica delle fattispecie lato sensu elusive non rimesse alla preventiva valutazione dell’organo consultivo» nonchè l’opinione, pur diffusa in dottrina, per cui la disposizione in questione confermerebbe una tendenziale incompatibilità di fondo tra condotta elusiva e fattispecie incriminatrici di cui al decreto legislativo in questione.
Quanto, infine, alla linea di politica criminale del legislatore, non considera invero il Giudice di legittimità, da un lato, le novelle che hanno modificato l’impianto originario del d.lgs. n. 74/2000 in modo da ridurre la centralità del momento dichiarativo e, dall’altro, il fatto che l’esito della condotta elusiva può non determinare l’infedeltà dichiarativa (si pensi a talune condotte elusive volte ad incidere sugli obblighi di sostituzione).
Ma, al di là della non risolutività degli argomenti utilizzati dalla D&G, quel che lascia notevolmente perplessi dell’arresto in questione è che distinguere tra elusione codificata ed elusione non codificata onde ritenere penalmente rilevante, per ragioni riconducibili al principio di legalità e certezza del diritto, solo la prima (ma il discorso, basato sul principio di legalità e certezza del diritto, riguarda anche le sanzioni amministrative cui tale principio è del pari riferibile), finisce con il separare concettualmente elusione ed abuso (quest’ultimo fenomeno copre evidentemente l’area dell’elusione non codificata) rendendo il sistema sanzionatorio penale di dubbia costituzionalità. Ed invero in tal modo si lascia arbitro della rilevanza penale del comportamento elusivo/abusivo la stessa Amministrazione finanziaria; se, infatti, l’art. 37 bis e le specifiche norme anti-elusive sono la testimonianza ex positivo iure di un principio anti-abuso non scritto ricavabile vuoi dall’ordinamento comunitario quanto ai tributi armonizzati, vuoi dall’art. 53 Cost. quanto ai tributi non armonizzati, e l’Amministrazione finanziaria è libera nella selezione dell’uno o dell’altro strumento (tra l’altro quello dell’abuso finanche rilevabile d’ufficio in giudizio), la scelta dello strumento finisce con il determinare l’effetto sanzionatorio.
Infatti, eletta la via dell’abuso, non vi sarebbe rilevanza penale; eletta la via dell’elusione codificata, all’opposto, scatterebbe la rilevanza penale della condotta.
A ben vedere il sistema sanzionatorio penale delineato dalla D&G può tenere sotto il profilo costituzionale solo ipotizzando autonomi spazi di operatività al divieto di abuso del diritto, da un lato, e alle singole disposizioni antielusive, dall’altro. Ipotizzando in altri termini l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di muovere da queste ultime e non già dal principio generale tutte le volte in cui la condotta possa ascriversi ad una delle fattispecie considerate appunto dalle singole disposizioni antielusive7.
2.2 Il disegno di legge delega di riforma fiscale e la rilevanza sanzionatoria della condotta elusiva/abusiva
Forse anche come reazione alla sentenza D&G, il disegno di legge delega, nella sua originaria versione, prevedeva l’esclusione della rilevanza penale dei comportamenti ascrivibili a fattispecie elusive ed abusive in una alla loro sanzionabilità amministrativa; quest’ultima si ricavava, invero, in modo «indiretto» ossia mediante la previsione, nella disposizione che riconduceva ad unità abuso del diritto ed elusione fiscale, della riscuotibilità della sanzione dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale. Con la più recente versione del disegno di legge delega è stata eliminata l’espressa esclusione della rilevanza penale dell’elusione/abuso, pur permanendo sia l’unificazione dei due fenomeni mediante la previsione di un generale divieto di abuso del diritto, esteso anche ai tributi non armonizzati, che la loro sanzionabilità amministrativa (sancita, come si è detto, indirettamente).
In particolare il vecchio art. 6 è divenuto oggi art. 5 conservandone struttura e contenuto (fatta eccezione per la previsione circa l’esclusione della rilevanza penale della condotta abusiva), e nella disposizione dedicata alla revisione del sistema sanzionatorio (art. 8 ex art. 9), pur sopravvivendo la criminalizzazione dei comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, già prevista nella versione originaria, si è inserita la prescrizione circa l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie.
In realtà non é facile comprendere, in tale mutato contesto, il regime sanzionatorio della condotta elusiva/abusiva8. Se infatti parrebbe sicura la sanzionabilità amministrativa di tale condotta in ragione della prevista riscuotibilità, all’interno di una disposizione relativa al divieto di abuso del diritto, delle sanzioni dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale, nessuna chiara indicazione viene fornita quanto alla sua sanzionabilità penale; dovendosi peraltro escludere la depenalizzazione tout court del comportamento elusivo/abusivo giacchè in tal senso depone la storia del disegno di legge delega alla cui attuale formulazione si è pervenuti dopo alcune sollecitazioni della Presidenza della Repubblica volte proprio alla revisione delle disposizioni che prevedevano la irrilevanza penale dell’elusione/abuso.
Quale significato attribuire, dunque, alla prescritta distinzione, a fini sanzionatori, tra fattispecie di elusione e quelle di evasione? Considerato oltretutto che la delega già definisce il contenuto precettivo del divieto di abuso, unificando quest’ultimo concetto e quello di elusione, e che, quindi, l’elusione è già definita dalla delega per “rimando” al concetto di abuso.
Ebbene, volendo dare un senso alla prescrizione in questione, sembra a chi scrive che una differenziazione tra elusione ed evasione ai fini sanzionatori possa significare solo una cosa ossia riservare al primo fenomeno, concepito al netto dei comportamenti lato sensu simulatori e quindi evasivi, un trattamento meno severo rispetto a quello previsto per il secondo.
In effetti le condotte di tipo lato sensu simulatorie e/o fraudolente appartengono all’area dell’evasione e non già a quella dell’elusione: si pensi, ad esempio, a taluni casi di interposizione soggettiva nel conseguimento di redditi9 e, appunto, al fenomeno dell’esterovestizione societaria oggetto della D&G.
Tali condotte, siccome evasive, dovrebbero dunque finire nell’area del penalmente rilevante lasciando all’area della responsabilità amministrativa la condotta realmente abusiva.
Non mancano, come si vede, i profili problematici posti dalle novità di cui sopra.
Come il tema della rilevanza sanzionatoria della condotta elusive/abusive apparirà in futuro non è dato sapere dipendendo evidentemente dalla sorte del disegno di legge delega, per nulla chiaro al riguardo, e, in definitiva, da quella dell’attuale Governo.
Quel che appare certo è che il regime sanzionatorio da ultimo delineato dalla Suprema Corte, ove fosse confermato dalla successiva giurisprudenza, non può reggere al vaglio del giudizio di costituzionalità se non ripensando il coordinamento tra principio generale anti-abuso non scritto e singole disposizioni antielusive.
Ed invero una sanzione che dipenda non dal determinato precetto normativo, ma dal discrezionale comportamento dell’Amministrazione e dalla selezione del titolo della pretesa dalla stessa (o dal Giudice) effettuata, è la fine dello Stato di diritto.
Nel sistema sanzionatorio tributario, siccome letto dal nostro Giudice di legittimità, il comportamento elusivo deve essere punito: a) se contemplato da specifiche disposizioni antielusive (si pensi, ad esempio, oltreché all’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/73, all’art. 37, co. 3, del d.P.R. n. 600/73 letto in funzione antielusiva) e b) se riconducibile a specifiche fattispecie sanzionatorie tributarie (ciò che significa che, ad esempio, una condotta elusiva codificata non riconducibile ad una delle fattispecie incriminatrici di cui al d.lgs. n. 74/2000 non può integrare gli estremi di alcun reato comune e tra questi quello di cui all’art. 640, co. 2, n. 1, c.p.).
Diversamente, la condotta abusiva senza specifica copertura normativa non risulta sanzionabile, approdo, quest’ultimo, cui oggi si dovrebbe pervenire, quanto alla sanzione amministrativa, se non automaticamente quantomeno ricorrendo, con una valutazione caso per caso, all’esimente dell’obiettiva incertezza della norma tributaria.
1 V. Cass., sez. trib., 30.11.2011, n. 25537, in Big Unico Suite, Milano (il precedente è annotato, tra gli altri, da Contrino, A., Sull’ondivaga giurisprudenza in tema di applicabilità delle sanzioni amministrative tributarie nei casi di elusione codificata e abuso/elusione, in Riv. dir. trib., 2012, I, 261 ss.).
2 Il conio del sintagma «elusione codificata» viene attribuito a Del Federico, L., Elusione e illecito tributario, in Corr. trib., 2006, 3110 ss.
3 In Giur. trib., 2012, 381 ss. ed ivi nota di Basilavecchia M., Quando l’elusione costituisce reato; il precedente è commentato anche, tra gli altri, da Stevanato, D., Rilevanza penale dell’elusione, un «obiter dictum» in una vicenda di esterovestizione societaria, in Dialoghi, 2012, 216 ss.; Lupi, R., Una sentenza «di rito» da contestualizzare, ibidem, 220 ss.; Escalar, G., Un caso esemplare di trasformazione indebita del divieto di abuso del diritto in norma impositiva in bianco, in Corr. trib., 2012, 1670 ss.
4 Con ciò confermandosi il principio formulato dalle Sezioni Unite nella sentenza 19.1.2011, n. 1235, in Big Unico Suite, Milano (si noti che il consigliere relatore della D&G è lo stesso della sentenza delle Sezioni Unite).
5 Cfr. la citata sentenza della Suprema Corte n. 25537 del 2011, la quale sembra confermare un precedente della stessa Corte del 2008 laddove si afferma che nessuna sanzione amministrativa può essere irrogata «a fronte della violazione non di una precisa disposizione di legge ma di un principio generale, quale quello antielusivo ritenuto immanente al sistema anche anteriormente alla introduzione di una normativa specifica»; diversamente un fondamento chiaro ed univoco è stato ritenuto esistente dalla sentenza n. 25537 quanto all’illecito amministrativo di infedele dichiarazione conseguente a condotta elusiva ex art. 37 bis d.P.R. 29.9.1973, n. 600.
6 Per la conferma della statuizione del Tribunale del riesame circa l’esistenza del fumus del reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 in un caso di condotta elusiva, ancorché soltanto sulla base della valutazione sommaria consentita dalla fase cautelare, v. Cass. pen., sez. III, 18.3.2011, n. 26723, in Big Unico Suite, Milano.
7 Non mi pare, tuttavia, che si muovano in questa direzione Cass., sez. trib., 25.5.2009, n. 12042 e Cass., sez. trib., 11.5.2012, n. 7393, entrambe reperibili in Big Unico Suite.
8 Sulla più recente versione del disegno di legge delega v. De Mita, E., I confini dell’abuso del diritto e della rilevanza penale dei comportamenti elusivi, in Corr. trib., 2012, 2509 ss.
9 Cfr. Cass., sez. trib., 10.6.2011, n. 12788 e Cass., sez. trib., 15.4.2011, n. 8671, reperibili entrambe in Big Unico Suite, Milano, ed annotate da Basilavecchia, M., L’interposizione soggettiva riguarda anche comportamenti elusivi?, in Corr. trib., 2011, 2968 ss.; per la tesi della rilevanza penale ex art. 3 d.lgs. n. 74/2000 di condotte elusive basate sull’interposizione soggettiva v., in particolare, Ielo, P., Mezzi fraudolenti, simulazione contrattuale e falsità contabile, in Fisco, 2010, 3789.