rimedio (remedio)
Latinismo usato da D. una volta in senso proprio, per " medicina ": Pd XXVI 14 Al suo piacere e tosto e tardo / vegna remedio a li occhi, che fuor porte / quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo (" Beatrice che mi può sanare la veduta smarrita ", Ottimo); tre volte in senso traslato: Cv II X 5 sono proprio rimedio a la temenza... due cose; XII 5 trovai... a le mie lagrime rimedio; IV I 10 E però che in questa canzone s'intese a rimedio così necessario, non era buono sotto alcuna figura parlare, ma conveniesi per via tostana questa medicina, acciò che fosse tostana la sanitade.
Si tratta di un traslato già molto usato nel latino classico (da Terenzio al Remedia amoris di Ovidio, menzionato in Vn XXV 9) e nel latino medievale (molte opere didattiche ebbero remedium come componente del titolo: cfr. per es. l'opera di Martino di Braga, ricordata in Ep III 8; cfr. anche Mn III IV 14 sunt ergo buiusmodi regimina remedia contra infirmitatem peccati). Infatti r. fa parte di un campo semantico che tende a svilupparsi soprattutto nel linguaggio letterario: cfr. medicina, in If XXXI 3 e Pd XX 141, e soprattutto il passo citato di Cv IV I 10, dove sono posti in relazione tre termini (r., medicina, sanitade). Con il Petrarca questi traslati tendono a stabilizzarsi e a divenire istituzionali. Per una situazione analoga cfr. nell'antico francese remire e mecine.