RINALDO (Rainaldo) di Urslingen
Figlio di Corrado, nacque verso la fine del secolo XII da una casata della vecchia nobiltà tedesca, che prese nome da un castello nell’alto bacino del Neckar (oggi Irslingen, a nord di Rottweil, nel Baden-Württemberg). Restano sconosciuti il nome e il casato di origine della madre – che doveva comunque discendere da una famiglia di una certa rilevanza –; ebbe almeno tre fratelli: Bertoldo, Enrico e Corrado.
Il padre di Rinaldo entrò sin da giovane in stretto contatto con la corte degli Svevi, ricoprendo incarichi di notevole rilievo; ebbe fra l’altro da Federico I il titolo di duca di Spoleto, poi confermatogli da Enrico VI. La fiducia che quest’ultimo riponeva in Corrado e nella sua famiglia è dimostrata dal fatto che il futuro Federico II, poco dopo la nascita (1194), fu affidato alle cure della moglie di costui.
Presso la corte ducale – che soggiornava in quel tempo prevalentemente a Foligno – l’erede al trono trascorse dunque i suoi primi anni di vita e fu forse proprio durante questo periodo che strinse con Rinaldo un rapporto di fiducia che lo portò – molti anni più tardi – ad affidargli incarichi di enorme rilievo.
Non sappiamo se Rinaldo fosse il primogenito di Corrado, ma era certamente il figlio vivente più anziano nel 1217, quando cominciò a rivendicare – anche tramite la mediazione del fratello minore Bertoldo, che condusse al riguardo una lunga trattativa con Onorio III – il titolo ducale di Spoleto, tornata dopo la morte di Enrico VI sotto il controllo pontificio. La vedova di Corrado di Urslingen ottenne soltanto i diritti che la Curia aveva sulla città e sul contado di Nocera; e anzi nella primavera 1219 il papa si lamentò con Federico II, ormai imperatore, del fatto che Rinaldo si fregiasse illegittimamente del titolo di dux Spoleti (che in effetti mantenne sempre).
All’epoca Rinaldo, «uno dei pochi tedeschi su cui Federico fece affidamento in Italia» (Houben, 2009, p. 109), aveva già iniziato (dal 1218, quando compare per la prima volta nel seguito del sovrano) una carriera prestigiosa, che ebbe una prima significativa tappa nella carica di legato imperiale in Toscana (dal 18 maggio 1224 sicuramente sino al 1229, forse anche alla metà del 1230).
L’ascesa di Rinaldo nei favori dell’imperatore si rispecchia nella posizione che il suo nome riveste nelle liste dei testimoni dei documenti di Federico II. Inizialmente collocato in fondo dell’elenco, dopo i ministri imperiali, il suo nome compare sempre più in alto, fino a raggiungere il rango sociale di suo padre e a trovarsi regolarmente, a partire dal 1225, subito dopo i duchi e prima dei marchesi.
Nel maggio 1228, alla vigilia della partenza per la crociata in Terrasanta (da Brindisi, fine giugno), in una solenne dieta a Barletta Federico II nominò Rinaldo luogotenente imperiale nel regno di Sicilia e poi, nel giugno dello stesso anno, anche legato nelle regioni sottoposte al dominio papale: prima fra tutte la Marca d’Ancona, ove ebbe il diritto di agire come rappresentante dell’imperatore e in suo nome.
Il momento era assai delicato, a causa dell’aspro conflitto che opponeva Federico II a papa Gregorio IX, e l’imperatore volle designare, in Rinaldo, un plenipotenziario di assoluta fiducia e fedeltà. Nelle vesti di reggente del Regno di Sicilia e amministratore di vasti territori dell’Italia centrale, il luogotenente compare anche nella commedia elegiaca Paolino e Polla, dedicata a Federico II e scritta proprio intorno al 1229 da Riccardo da Venosa, giurista e poeta attivo alla corte siciliana degli Hohenstaufen nella prima metà del Duecento.
Rinaldo si trovò quasi subito a dover affrontare una situazione particolarmente complessa, dovendo reagire all’offensiva di Gregorio IX: nell’intento di sottrarre il Regno di Sicilia al controllo dell’impero, ponendolo sotto quello della Santa Sede, il papa aveva scomunicato l’imperatore sciogliendo i suoi sudditi dall’obbligo di fedeltà, ed era passato poi all’azione militare. Il luogotenente dell’imperatore rispose immediatamente attestando l’esercito imperiale nella Marca Anconetana e occupando Arquata del Tronto, lungo la via Salaria, importante linea di comunicazione tra Roma e le Marche. Non tenne conto ovviamente della lettera papale a lui indirizzata il 7 novembre 1228, che gli intimava di sgombrare le zone occupate e risarcire i danni, e fu scomunicato poco dopo.
Oltre ad aver infranto il divieto papale di entrare nella Marca Anconitana, Rinaldo si vide imputare – secondo il racconto di Riccardo di San Germano – l’accusa di aver sacrilegamente mutilato preti e laici e addirittura crocifisso uomini servendosi di soldati saraceni. Analoga sorte toccò a suo fratello Bertoldo, che pensò di approfittare del conflitto per tentare nuovamente di riprendere possesso dei territori appartenuti al padre, come aveva già cercato di fare nel 1222, quando aveva occupato diverse città del Ducato di Spoleto, invadendolo nuovamente e stanziandosi presso il castello di Antrodoco.
Una seconda scomunica avrebbe colpito i due fratelli Urslingen il 4 aprile 1230.
Nei primi mesi del 1229, le sorti del conflitto furono sfavorevoli all’esercito imperiale. Le truppe papali incalzavano, guidate da Giovanni di Brienne e dal cardinale Colonna; scoppiò anche una rivolta antimperiale negli Abruzzi (con l’adesione di numerosi nobili e città) e poi in Puglia. Accerchiato da più parti, Rinaldo riuscì faticosamente a raggiungere Sulmona, ma fu tagliato fuori dalle linee di comunicazione e assediato.
La coalizione filopapale ebbe anche il sostegno dei frati minori che, secondo il racconto di Riccardo da S. Germano, Rinaldo espulse da tutto il Regno di Sicilia, nel timore che perorassero la causa antimperiale presso le autorità cittadine, cercando di convincerle a consegnare le città all’esercito di Gregorio IX.
Solo il rientro dalla Terrasanta di Federico – sbarcato a Brindisi il 10 giugno 1229 – riportò la situazione alla normalità. In pochi mesi le truppe pontificie furono costrette a ritirarsi e le ribellioni furono sedate.
Nel mese di luglio l’Urslingen, liberatosi dall’assedio a Sulmona, incontrò l’imperatore e chiese la conferma dei privilegi che, nel corso della reggenza, aveva concesso a diversi Comuni nel tentativo di consolidare la propria posizione sul territorio. Federico ratificò i provvedimenti di Rinaldo, ma pochi mesi dopo dispose un’indagine sulla gestione delle cariche durante il periodo della sua assenza, l’esito della quale minò irrimediabilmente la fiducia dell’imperatore nei confronti del suo luogotenente.
Riconosciuto colpevole di aver male amministrato i beni dell’erario e persino di aver complottato con il papa in assenza dell’imperatore, Rinaldo fu arrestato, condannato alla confisca dei beni e imprigionato nel 1230. Ne seguì la ribellione di Bertoldo di Urslingen contro Federico II, e il successivo invio di Rinaldo (sotto la custodia del maestro giustiziere Enrico di Morra) ad Antrodoco in Sabina, perché inducesse alla resa il fratello che ivi si era asserragliato. Dopo lunghe trattative condotte con l'arcivescovo di Messina, Bertoldo cedette, a condizione di restare in libertà, e nel luglio del 1233 consegnò il castello a Enrico di Morra. I due fratelli furono lasciati liberi, ma costretti ad abbandonare il Regno di Sicilia.
Nel corso di pochi mesi Rinaldo precipitò dunque bruscamente dalla posizione altissima che aveva raggiunto, nella fiducia dell’imperatore e nell’amministrazione del Regno di Sicilia; e perse uffici, rango e possedimenti.
Nulla è noto di lui per un lunghissimo arco di tempo, dal 1233 al 1251. In tale anno, insieme coi nipoti Bertoldo, Rinaldo (figli di Bertoldo) e Corrado (figlio di Corrado), Rinaldo patteggiò con il Comune di Rieti la resa di Lugnano, piccolo castello sulle ultime propaggini degli Appennini abruzzesi, che la famiglia Urslingen aveva mantenuto. In cambio della distruzione della rocca e dell’abbandono del castello da parte del duca e dei suoi nipoti, il Comune di Rieti si impegnò, almeno formalmente, ad aiutare gli Urslingen nel recupero e nella difesa degli antichi beni e diritti.
La morte di Rinaldo è collocata presuntivamente poco dopo questi avvenimenti, intorno al 1253.
Ryccardi de Sancto Germano notarii Chronica, in RIS2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, Bologna 1937, ad ind.; Riccardo da Venosa. Paolino e Polla. Commedia del secolo XIII, Venosa 2005, ad ind. A. Sacchetti Sassetti, Rieti e gli Urslingen (1251-1256), in Archivio della Società romana di storia patria, LXXXV-LXXXVI (1962-63), pp. 1-13; W. Ingeborg, Bertoldo di Urslingen, in Dizionario biografico degli italiani, IX, Roma 1967, pp. 588-590; W. Hagemann, L’intervento del duca Rainaldo di Spoleto nelle Marche nel 1228-1229, in Le Marche nei secoli XII e XIII. Problemi e ricerche. Atti del 6° convegno del Centro di studi storici maceratesi, Macerata 1972, pp. 27-44; K. Schubring, Die Herzoge von Urslingen. Studien zu ihrer besitz-, Social- und Familiengeschichte mit Regesten, Stuttgart 1974; G. Baaken, Corrado di Urslingen, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 407-410; W. Stürner, Federico II. Il potere regio in Sicilia e in Germania 1194-1220, trad. it., Roma 1998 (ed. or. Darmstadt 1992), ad ind.; G. Baaken, Rainaldo di Urslingen, duca di Spoleto, in Enciclopedia federiciana, Roma 2005, p. 560; H. Houben, Federico II. Imperatore, uomo, mito, trad. it., Bologna 2009.