RINALDO I d'Este, duca di Modena e Reggio
RINALDO I d’Este, duca di Modena e Reggio. – Nacque a Modena il 25 aprile 1655 da Francesco I d’Este e dalla sua terza moglie Lucrezia Barberini.
Fu posto sotto la tutela dell’omonimo zio, il cardinale Rinaldo, che da Roma ne seguì gli studi e i progressi. Il 4 agosto 1660, ancora bambino, venne colpito dal vaiolo, guarendone in breve tempo. Nel 1662 fu affidato alle cure del marchese Adamo Boschetti, maestro di camera della duchessa, che lo assistette come precettore fino all’agosto del 1667. Cinque anni più tardi, scomparso lo zio Rinaldo, fu indirizzato a Roma presso il cardinale Carlo Barberini, anch’egli zio del principe per parte di madre, che lo avrebbe dovuto avviare alla porpora.
Il progetto fu accantonato quando si affacciarono due successioni cui il giovane avrebbe potuto aspirare: nel 1673, resosi vacante il trono polacco per la morte del re Michele Wiśniowiecki, Rinaldo fu proposto tra i candidati, ma venne scalzato da Giovanni Sobieski. Nel 1678, appellandosi all’aiuto francese, si tentò poi di insediarlo alla guida del ducato di Guastalla, sino ad allora sotto il governo di Ferrante III Gonzaga. Falliti entrambi i tentativi, riprese quota la via del cardinalato. La strada si rivelò in salita: per convincere il papa, fu intavolata una complessa trattativa che coinvolse l’inviato pontificio in Inghilterra Ferdinando D’Adda e, soprattutto, il re Giacomo II Stuart e sua moglie Maria Beatrice d’Este. Il matrimonio tra i due era stato celebrato nel 1673, e il 5 ottobre di quell’anno anche Rinaldo si era recato nell’isola insieme con la nipote. Non sorprende dunque che, qualche tempo dopo, la regina svolgesse un ruolo determinante nel caldeggiare la porpora per un membro della sua famiglia e che, una volta raggiunto il risultato, Rinaldo fosse designato protettore degli affari inglesi presso la Curia pontificia (12 dicembre 1687).
L’agognato titolo giunse nel concistoro del 2 settembre 1686, durante il quale Innocenzo XI creò Rinaldo cardinale diacono. La nomina provocò discussioni poiché Rinaldo non aveva ancora ricevuto gli ordini minori e – fatto più grave in un contesto fortemente sensibile al problema del nepotismo – avrebbe affiancato nel sacro collegio lo zio materno. Ciò nonostante, il 7 settembre il papa gli inviò con un breve apostolico il berretto cardinalizio. Nello Stato estense, la nomina fu celebrata con grandi apparati e macchine sceniche, che evocavano l’importanza del riconoscimento ottenuto (tra di esse, La porpora trionfante, Il tempio del merito, Il trionfo della religione e La Chiesa trionfante su le ruine di Buda, città strappata ai turchi dalla Lega santa lo stesso giorno del concistoro che aveva designato Rinaldo). In vista delle incombenze e degli uffici che il nuovo eletto avrebbe dovuto svolgere, si riavviarono i lavori nel palazzo romano degli Este, tra via della Pigna e via dei Cestari: già appartenuto ai Maffei, ai Peretti e ai Ludovisi, il complesso era stato acquistato durante la reggenza di Laura Martinozzi (1662-74) e, dal 1670 al 1672, era stato oggetto di vari interventi.
Dotato di una residenza adeguata, il 28 ottobre 1688 Rinaldo poté dunque partire da Modena, raggiungendo Roma il 14 novembre. Il 28 ebbe luogo il solenne ingresso in città, in attesa di essere ricevuto dal pontefice. Finalmente, il 6 dicembre fu ammesso al bacio di Sua Santità e, quattordici giorni più tardi, gli furono conferiti l’anello cardinalizio e il titolo di S. Maria della Scala.
Negli anni che seguirono soggiornò perlopiù nella capitale estense, rientrando di tanto in tanto a Roma. Nel 1689 partecipò al conclave che elesse il cardinale Pietro Vito Ottoboni pontefice con il nome di Alessandro VIII. Il 29 aprile 1690 gli fu assegnato l’incarico di protettore degli olivetani, e dal 12 febbraio al 12 luglio 1691 tornò in conclave per l’elezione di papa Innocenzo XII.
Sebbene la carriera ecclesiastica di Rinaldo potesse dirsi avviata, il suo destino piegò improvvisamente in un’altra direzione. Il 6 settembre 1694, infatti, si spegneva il duca Francesco II d’Este, figlio di Alfonso IV, fratello di Rinaldo. L’allora cardinale d’Este, al capezzale del sovrano nella reggia di Sassuolo, comprese il delicato passaggio politico che si veniva ad aprire con quella scomparsa. Ormai destinato a succedere al nipote, morto senza eredi, non vi fu altra scelta che abbandonare il cardinalato e assumere le incombenze del governo.
Il 14 settembre 1694, ottenuta dal papa la facoltà di amministrare i suoi Stati, Rinaldo si trovò subito ad affrontare alcune emergenze. Per rimediare alla carestia abbattutasi in quegli anni, implementò l’approvvigionamento di grano, curando che le derrate fossero distribuite dalle autorità a prezzo calmierato. Inoltre, dovette rispondere all’afflusso di mendicanti che, a causa della penuria di cibo, si riversarono nella capitale. Allo scopo, istituì un ospizio dei poveri sostenuto dal contributo ducale e dalle offerte raccolte attraverso la predicazione del gesuita Giovanni Maria Baldigiani.
Al di là delle emergenze dei primi mesi, per assumere con piena legittimità il governo era necessario ottenere sia il rinnovo dell’investitura imperiale sia l’accettazione ufficiale delle dimissioni dal cardinalato. L’11 febbraio 1695 una delegazione guidata da Sigismondo III d’Este, marchese di San Martino, si recava pertanto a Vienna per ricevere la concessione di Modena e Reggio da parte dell’imperatore. Al contempo, celebrati i funerali del nipote (9 marzo), Rinaldo designò l’uditore di Rota Alessandro Caprara e il canonico Ranuccio di Marsciano, affinché presentassero formalmente al papa le sue dimissioni. Il 21 marzo 1695 il pontefice accettò la rinuncia del duca che, avutane notizia, il 24 si mostrò in pubblico in abito secolare. Pochi mesi dopo poteva così essere annunciato il matrimonio con Carlotta Felicita di Brunswick-Lüneburg che avrebbe assicurato un erede allo Stato estense.
Quell’unione diede avvio a un processo di avvicinamento politico all’Impero, giunto al suo epilogo nella seconda metà del Settecento: la nuova duchessa di Modena era nipote del principe elettore Ernesto Augusto di Brunswick-Lüneburg e sarebbe divenuta di lì a breve cognata dell’imperatore Giuseppe I d’Asburgo.
Per dare corso alle nozze, Sigismondo d’Este, già a Vienna per ricevere l’investitura del ducato, ebbe disposizione di portarsi a Hannover. Qui, il 28 novembre 1695, fu celebrato il matrimonio per procura. Il 6 febbraio 1696 Carlotta Felicita, accompagnata dalla madre, faceva il suo ingresso in terra estense, accolta con manifestazioni di gioia, culminate nel Te Deum celebrato nella cattedrale di Modena il 12 febbraio. Il 19 marzo si mise poi in scena un carosello in cui campeggiarono le allegorie dei fiumi Elba e Po. La simbologia alludeva al ricongiungimento dei due rami dinastici derivanti da Alberto Azzo II d’Este (1009-1097), finalmente riuniti dopo sei secoli.
La parentela tra Este e Hannover e il valore politico che rivestì avrebbero dato origine, nei decenni successivi, al progetto delle Antichità estensi (1717-1740), affidato da Rinaldo all’erudito di corte Ludovico Antonio Muratori. Con uno sforzo parallelo a quello che avrebbe dovuto compiere Gottfried Wilhelm von Leibniz, allora bibliotecario dei signori di Brunswick, Muratori ricostruì la genealogia dei duchi di Modena sulla base di un’abbondante documentazione reperita in vari archivi e biblioteche. L’opera dimostrò le antiche origini della casa d’Este e la comune discendenza di quest’ultima e degli Hannover.
Il 18 agosto 1697 l’unione di Rinaldo e Carlotta fu allietata dalla nascita della primogenita Benedetta Ernesta e, il 2 luglio dell’anno seguente, da quella del principe Francesco Maria, destinato a salire al trono con il nome di Francesco III. L’atteso arrivo dell’erede maschio fu salutato da manifestazioni pubbliche e per il battesimo del principe, celebrato un anno e mezzo dopo (18 febbraio 1700), furono predisposti sontuosi allestimenti. Il ritardo dei festeggiamenti era stato determinato da un altro evento che risultò strategico nell’avvicinamento di Rinaldo all’Impero.
Il 9 ottobre 1698, infatti, l’inviato Pio Garelli si era portato a Modena per annunciare segretamente l’accordo matrimoniale che avrebbe unito il primogenito dell’imperatore Leopoldo I e la principessa Amalia Guglielmina di Brunswick-Lüneburg, sorella della duchessa di Modena. Rinaldo ricevette la procura del re dei romani (il futuro Giuseppe I) che, per suo tramite, celebrò a Modena le nozze il 15 gennaio 1699 alla presenza di dignitari e ambasciatori di tutta Europa.
A breve distanza dal suo insediamento, la corte sembrava dunque godere di una buona visibilità e di crescenti protezioni. A rallegrare il quadro contribuirono anche la nascita di Amalia Giuseppina, venuta alla luce il 28 luglio 1699, e il 1° settembre 1700 quella di Gian Federico, cui il duca sarà sempre legato da una particolare predilezione. Il 27 maggio 1702, infine, era la volta di Enrichetta Anna Sofia, destinata a svolgere un ruolo importante, ancorché poco fruttuoso, nelle politiche matrimoniali del casato.
Ma la pace di quei mesi fu presto incrinata dalle nubi addensatesi sulla corona di Spagna. Nel 1701 l’ascesa al trono di Filippo V, sostenuto dai francesi, diede inizio ad aspre ostilità fra le potenze del continente: al nuovo re si opponeva, da parte austriaca, la candidatura di Carlo d’Asburgo (Carlo III, come pretendente re di Spagna). Per il ducato furono anni difficili: inizialmente Rinaldo, che si era complimentato con Luigi XIV per la designazione del nipote Filippo, fu costretto a promettere ai francesi di non offrire ospitalità alle truppe austriache. Quando tuttavia accettò di consegnare la fortezza di Brescello a Eugenio di Savoia, gli eserciti franco-spagnoli, non fidandosi più di lui, occuparono i territori estensi. Nel 1702, dopo avere licenziato gran parte della corte, Rinaldo ritenne prudente abbandonare i suoi Stati e rifugiarsi a Bologna, riuscendo a rientrare in patria solo il 5 febbraio 1707, al placarsi delle ostilità.
Di lì a poco, si sarebbe aperto un altro fronte caldo, un bellum diplomaticum che avrebbe portato all’attenzione internazionale le pretese della casa d’Este. Il 24 maggio 1708 le guarnigioni imperiali occupavano Comacchio, nello Stato pontificio, riaccendendo le speranze estensi di recuperare l’antico possedimento. Impensierita per la situazione, la S. Sede incaricò il friulano Giusto Fontanini di esporre le ragioni pontificie in Il dominio temporale della sede apostolica sopra la città di Comacchio, che scatenò una lunga polemica tra Modena e Roma. Il duca affidò la replica a Muratori: da quel momento l’erudito sarebbe stato impegnato in una serrata produzione di scritti e pamphlets culminati nella Piena esposizione de i diritti imperiali ed estensi sopra la città di Comacchio del 1712. Le ragioni addotte dagli Este dimostrarono la fondatezza storico-giuridica delle rivendicazioni modenesi, ma, come già Muratori aveva pronosticato, la forza dei denari e della politica prevalse. L’effettiva possibilità di riavere gli antichi feudi sfumò e nel 1725 la controversia ebbe ufficialmente termine con il ritorno della città allo Stato della Chiesa.
Mentre infuriava la polemica comacchiese, un grave lutto si abbatté sulla corte estense. Il 29 settembre 1710, a causa di un parto infausto, la duchessa Carlotta Felicita morì. Rinaldo riservò alla sposa esequie solenni: il 28 aprile 1711, nella chiesa degli eremitani di s. Agostino, furono predisposti sontuosi apparati che celebravano il tema della virtù trionfante sul tempo e sulla morte. La macchina funeraria, progettata dall’architetto ducale Tommaso Bezzi, univa raffinatezza e dolore, ricordando con varie iscrizioni le origini germaniche della principessa.
Di lì a breve, l’eredità politica di Carlotta Felicita non avrebbe mancato di produrre i suoi frutti. Negli stessi giorni in cui si piangeva la sua morte, lo Stato estense estendeva i propri confini con l’acquisizione del ducato di Mirandola, ottenuta dall’imperatore il 12 marzo 1711 dietro esborso di 200.000 doppie di Spagna.
Il 1° agosto 1714, poi, saliva sul trono d’Inghilterra Giorgio I, elettore di Hannover e cugino della scomparsa Carlotta Felicita; per gli Estensi si trattava di un avvenimento importante, che avrebbe trovato la sua consacrazione nella dedica delle Antichità estensi al sovrano inglese. Le conseguenze di quell’elezione si fecero sentire anche nelle trattative per l’accasamento del principe ereditario Francesco Maria d’Este. In un primo momento, di concerto con l’imperatore, si siglò un accordo per le nozze del giovane con una donna di casa Sobieski (18 gennaio 1717); qualche tempo dopo, però, varie ragioni consigliarono di prendere un’altra direzione. Da un lato, era auspicabile un ammorbidimento dei rapporti con la Francia; dall’altro, la famiglia Sobieski, tramite il matrimonio della principessa Maria Clementina, si era imparentata con Giacomo III Stuart, pretendente al trono inglese e, dunque, inviso al sovrano regnante. Per non irritare la Gran Bretagna, il duca approfittò pertanto dell’inadempienza dei patti nei tempi concordati per cambiare i propri piani. Nel luglio del 1719 incaricò il conte Benedetto Salvatico di concludere il matrimonio del primogenito con un’altra candidata, scelta tra le case di Portogallo, Lorena o Francia. Accantonate le prime due ipotesi, il 27 settembre 1719 l’inviato estense era a Parigi, dove incontrava il reggente di Francia Filippo d’Orléans che il 26 ottobre accordava la mano della figlia Carlotta Aglae. Ignorando gli avvertimenti sulla cattiva reputazione della giovane, le nozze furono celebrate, per procura, a Parigi il 12 febbraio 1720 e il 20 giugno successivo la principessa, nota per i suoi costumi disinvolti, varcava i confini estensi accolta da Rinaldo e dallo sposo. La vita all’austera corte di Modena le sarebbe risultata gravosa e vari furono gli screzi e le incomprensioni con il suocero.
Nel 1727 sul fronte dinastico si aprì un’altra opportunità. Il 26 febbraio l’improvvisa scomparsa senza eredi del duca di Parma Francesco Farnese condusse al trono suo fratello Antonio, per cui si rendeva urgente una collocazione matrimoniale. Si concluse dunque l’accordo con il confinante Stato estense, e il 5 febbraio 1728 le nozze tra Antonio e la figlia di Rinaldo Enrichetta furono officiate dal vescovo di Modena Stefano Fogliani. La sorte avrebbe riservato poca fortuna ai due sposi: il 20 gennaio 1731 il primo morì inaspettatamente, lasciando erede il «ventre pregnante» di Enrichetta. Essa tuttavia non diede alla luce nessun figlio, e Parma passò all’infante don Carlos di Spagna, primogenito dell’ex duchessa Elisabetta Farnese, sposata in seconde nozze con Filippo V.
Nonostante la notizia dell’accordo matrimoniale che, nel 1727, sembrava avere ampliato le fortune estensi, il 14 aprile dello stesso anno gli affetti di Rinaldo furono scossi dalla scomparsa del principe Gian Federico. Dopo avere vestito l’abito clericale il 2 maggio 1711 ed essere stato insignito dei giuspatronati di Pomposa e Bondeno, il giovane era stato indirizzato verso la carriera militare a causa delle sue intemperanze. Giunto alla corte di Carlo VI per esservi educato, la morte lo aveva stroncato prematuramente, togliendo al duca il figlio più amato. Restituiscono il clima di quei giorni le parole del ministro estense Domenico Maria Giacobazzi, che così scriveva a Muratori: «Morte del prediletto, perdita di benefizi, pericoli di successione, sconvolgimento di tutte le idee: sono motivi di grande dolore e dovrebbero essere punti di grande meditazione» (cit. in Chiappini, 1967, p. 456). Il 7 luglio le spoglie del principe furono traslate a Modena dove trovarono sepoltura.
Il dolore non valse comunque a distogliere l’attenzione di Rinaldo dai gravi problemi che continuavano ad affliggere i suoi Stati. L’occupazione franco-spagnola del 1702-07 aveva messo a nudo la debolezza delle strutture difensive che presidiavano la capitale: per porvi rimedio, tra il 1728 e il 1729 il duca dispose la realizzazione di nuove costruzioni (una cortina e vari bastioni e baluardi), che però non evitarono altre umiliazioni. In Europa, infatti, tornarono a spirare venti di guerra.
Il 1° febbraio 1733, alla morte di Augusto II, la corona polacca balzò al centro della contesa tra l’elettore di Sassonia Federico Augusto, appoggiato da Austria e Russia, e Stanislao Leszczyński, sostenuto da Svezia e Francia. Nei rivolgimenti bellici che ne seguirono il ducato di Modena, che aveva assunto una posizione di neutralità per poi scoprirsi dalla parte degli imperiali, venne invaso, tra il 1734 e il 1736, dalle truppe franco-piemontesi, costringendo Rinaldo alla fuga per la seconda volta. Il sovrano rientrò a Modena il 24 maggio 1736. Pochi mesi dopo, sopraggiunta la stagione invernale, le sue forze iniziarono ad affievolirsi. Ormai ottantaduenne e costretto a letto dalla malattia, affidò il governo alle figlie Benedetta e Amalia, mentre l’erede Francesco era impegnato in Ungheria contro i turchi al servizio dell’imperatore.
Il 12 ottobre 1737, in segno di riconoscenza per i servizi resi nella guerra da poco conclusa, Carlo VI gli concesse l’investitura della contea di Novellara e Bagnolo, formalmente conferita a titolo gratuito, ma in realtà offerta a saldo di un prestito di 150.000 fiorini che il duca aveva garantito agli austriaci nel 1734 durante gli eventi bellici.
Il 26 ottobre Rinaldo si spense nella sua reggia. Tre giorni dopo le sue spoglie furono tumulate nella chiesa di S. Vincenzo di Modena.
Nel suo lungo governo, si dovette misurare con una congiuntura politica complessa che provò duramente lo Stato che fu chiamato a reggere. Dal punto di vista economico, si registrò un aumento del divario tra i nobili insigniti di privilegi, spesso possidenti terrieri, e il resto della popolazione. A essere danneggiate furono le antiche oligarchie cittadine e le arti, già in declino, mentre si rafforzarono la posizione patrimoniale e il peso delle comunità ebraiche, presenti da secoli sul territorio modenese e reggiano. Alla morte di Rinaldo, che pure aveva intrapreso una prima timida politica giurisdizionalista, restava inoltre rilevante l’influenza del clero, sia in termini numerici – con 7000 sacerdoti e 1300 religiose su una popolazione di 300.000 abitanti – sia sul versante economico, con un patrimonio che ammontava ad almeno 14 milioni di lire modenesi.
Migliori furono i risultati sotto il profilo culturale. Un ruolo importante ebbe, nella vita di corte, la cappella musicale, guidata tra il 1721 e il 1726 da un musicista di vaglia come Antonio Maria Bononcini e, dopo di lui, da Antonio Maria Pacchioni. Dai tardi anni Venti, tuttavia, ebbe inizio un periodo di decadenza, determinato dall’aggravarsi della situazione economica e dai danni inflitti dall’occupazione della guerra di successione polacca.
Non meno vivace fu la produzione artistica: sin dal suo insediamento, Rinaldo proseguì l’ambizioso cantiere del palazzo ducale e commissionò la decorazione degli ambienti più importanti del complesso. In continuità con la storia e l’iconografia di famiglia, affidò a Marcantonio Franceschini l’imponente affresco con l’Incoronazione di Bradamante, capostipite di casa d’Este, sull’Olimpo, nel salone d’onore, e le Nozze di Amore e Psiche, opera di Francesco Stringa, nell’attiguo camerino.
Fondamentale fu poi il rapporto, già evocato, con Muratori, che conferì ampia visibilità ai tesori storico-documentari del ducato. Grazie al suo lavoro di scavo e di ricerca, i preziosi manoscritti della Biblioteca Estense ebbero vasta risonanza, attirando visitatori e studiosi da molte parti d’Italia e d’Europa.
L’immagine di Rinaldo trasmessa dalla storiografia ne enfatizzerà il carattere difficile e austero. Nella sua corte regnò un clima di morigeratezza, con tratti di bigottismo, prodotto dall’educazione impartitagli in vista della porpora. Come ricorderà il gesuita Giovanni Granelli nell’orazione tenuta in occasione dei solenni funerali, Rinaldo aveva rinunciato agli agi garantiti dalla sua condizione aristocratica per condurre «astinentissima, continentissima [e] faticosissima vita» (Granelli, 1738, 1772, p. 10). Alcuni anni più tardi, nemmeno Muratori riuscì a dissimulare l’eccessivo rigore del sovrano. Nelle Antichità estensi, il duca veniva ricordato come uomo morigerato e poco incline agli eccessi: «della continenza quanto egli fosse amante e rigido custode [...] tutti poterono rendere ampia testimonianza»; aborrì «gl’illeciti piaceri», pose attenzione «a levare e gastigare gli scandali», eliminando «certi costumi e libertà che han più voga in altri paesi». Ma il principale dei suoi pregi, concludeva l’erudito, fu «la pietà, la religione e il timore santo di Dio», coltivato con la partecipazione a prediche e processioni e la frequenza ai sacramenti (Antichità estensi, II, 1740, p. 707).
Pur con una spiccata sensibilità religiosa, al duca non sfuggiva però il valore politico che la devozione poteva assumere, come mostra l’impulso dato alla venerazione di s. Contardo d’Este (1216-1249). Il 29 dicembre 1698, salito al trono da poco, Rinaldo propose alla Comunità di Modena di eleggere il santo come comprotettore. L’anno seguente, per celebrare il culto introdotto, Francesco Stringa realizzò una tela raffigurante il patrono s. Geminiano, con i due comprotettori: s. Omobono – cui era attribuita la fine dell’epidemia di peste del 1630 – e s. Contardo. Nel 1707, poi, passata l’occupazione della guerra di successione spagnola, il duca ordinò che fossero coniate nuove monete, recanti su un lato la sua effigie e, al rovescio, quella del santo. Nel 1727 vennero inoltre introdotti dei mezzi ducati con un ritratto di Contardo d’Este fatto realizzare a Roma dal prestigioso incisore Ottone Hamerani. Intenti simili accompagnarono la diffusione, poco riuscita, della devozione a s. Rinaldo (secc. XII-XIII), vescovo di Nocera Umbra, patrono del duca e mezzo per instillare nei sudditi un più saldo affetto verso l’autorità regnante.
A Rinaldo non fu infine risparmiata l’accusa di avarizia, cui contribuirono due contese nelle quali si trovò invischiato: Giacomo III Stuart gli intentò causa per il lascito, mai consegnato, disposto da Francesco II d’Este a favore di Maria Beatrice, regina di Inghilterra. Analogamente, i Savoia-Carignano reclamarono diritti sull’eredità di Foresto d’Este, la cui sorella, Maria Caterina, aveva sposato il principe Emanuele Filiberto: la causa si sarebbe conclusa con la vittoria dell’Estense, ma la sua fama di personaggio avido e bigotto non sarebbe venuta meno.
Fonti e Bibl.: Sulla biografia di Rinaldo le fonti sono abbondanti e disseminate in vari archivi. I fondi più cospicui sono conservati nell’Archivio segreto estense, presso l’Archivio di Stato di Modena. In particolare, per le carte del duca e dei membri più stretti della famiglia regnante, si vedano almeno: Casa e Stato, Carteggi tra principi estensi, bb. 266-268 (riguardanti Benedetta, Enrichetta, Amalia e Gian Federico); Documenti spettanti a principi estensi, bb. 348-350 (Rinaldo), 359-364 (Benedetta e Amalia), 369-371 (Carlotta Felicita), 377 (Enrichetta) e 384 (Gian Federico). Si veda inoltre: Archivio Camerale, Amministrazione dei principi, bb. 226-307, con vari registri e documenti relativi alle spese personali di Rinaldo e ai suoi salariati prima dell’ascesa al trono.
Le gare dell’Albi, e del Po’ terminate colla riunione delle serenissime case d’Este, e di Brunsuich in occasione delle nozze delle serenissime altezze di Rinaldo [...] e Carlotta Felicita principessa primogenita di Brunsuich, Luneburgo..., Modena 1696; Funerale alla sempre gloriosa memoria della serenissima duchesa di Modena Carlotta Felicita di Brunsvich e di Luneburgo..., Modena 1711; G. Granelli, Orazione in morte di Rinaldo I, in Orazioni e ragionamenti scielti del padre Giovanni Granelli, Modena 1738, 1772, pp. 1-18; L. Simeoni, L’assorbimento austriaco del Ducato Estense e la politica dei duchi Rinaldo e Francesco III, Modena 1919, pp. 1-14; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, V, Padova 1952, p. 14; S. Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, Napoli 1960, pp. 175-258; G. Roncaglia, La musica alla corte estense dal 1707 alla costituzione del Regno d’Italia, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 10, I (1966), pp. 259-277; L. Chiappini, Gli Estensi, Milano 1967, pp. 437-457; L. Marini, Lo Stato estense, Torino 1987, pp. 111-123; D. Grana, Per una storia della pubblica assistenza a Modena. Modelli e strutture tra ’500 e ’700, a cura di G. Bertuzzi, Modena 1991, pp. 50-61; G. Orlandi, Liturgia, agiografia e politica nel Ducato di Modena tra Sei e Settecento, in Lateranum, LVII (1991), pp. 471-513; O. Rombaldi, Aspetti e problemi di un secolo di governo estense a Modena e Reggio Emilia: da Alfonso IV a Rinaldo I (1658-1737), Modena 1995, pp. 109-139; E. Corradini, La galleria sacra e la galleria profana: la propaganda dinastica tra Sei e Settecento, in Il Palazzo ducale di Modena: regia mole maior animus, a cura di E. Corradini et al., Modena 1999, pp. 249-259; C. Curci, La magnificenza romana di un principe cardinale d’Este: Rinaldo II d’Este (1688-1695), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 11, XXI (1999), pp. 227-263; Lo Stato di Modena. Una capitale, una dinastia, una civiltà nella storia d’Europa, a cura di A. Spaggiari - G. Trenti, Roma 2001, ad ind.; Edizione nazionale del carteggio di L.A. Muratori, XI, Carteggi con D’Abramo [...] Evangelista, a cura di M. Al Kalak, Firenze 2012, pp. 534-620; S. Cavicchioli, “L’Aquila e ’l Pardo”. Rinaldo I e il mecenatismo di casa d’Este nel Seicento, Modena 2015; E. Tavilla, La sovranità fiscale. Politica e legislazione giurisdizionalista negli anni del riformismo estense, in La prassi del giurisdizionalismo negli Stati italiani fra tardo medioevo ed età moderna, a cura di D. Edigati, Roma 2015, pp. 215-238.