RINASCENZA
L'idea di r. è strettamente connessa con il concetto stesso di Medioevo, che venne introdotto dagli umanisti del sec. 15° per definire il periodo che separava la loro epoca dal mondo dell'Antichità classica che essi intendevano emulare.Metafore di rinascita e di rinnovamento si ritrovano certamente in alcuni testi medievali, in riferimento a una perduta epoca di gloria al cui ritorno si aspirava; ma la nozione di ricorrenti riprese di specifiche forme e temi artistici è sostanzialmente un'idea moderna. Difatti, fenomeni di rinascita dell'Antichità classica sono stati identificati nell'arte di tutti i periodi e di quasi tutte le aree geografiche del Medioevo, e si è giunti anche a parlare di r. vandala e ostrogota. Tra le varie rinascite, le più importanti e credibili sono considerate: quella giustinianea del sec. 6°, quella eracliana nel corso del 7°, quella del sec. 7°-8° in Northumbria, seguita da una ripresa delle arti sotto Alfredo re del Wessex (871-899), la r. liutprandea e la r. carolingia tra il sec. 8° e il 9°, la r. macedone nel mondo bizantino nel 10°, quella ottoniana, un rinnovamento delle arti a seguito della riforma gregoriana nel sec. 11°, la r. del sec. 12°, quella comnena, una cultura antiquariale sotto Federico II (1215-1250), una r. paleologa nel mondo bizantino dopo il ritiro dei crociati da Costantinopoli, la r. del sec. 13° e la progressiva assimilazione della cultura classica che condusse al Rinascimento nel 15° secolo.La questione della r. medievale è in parte nominalistica e verte sulla possibilità di definire come r. ogni fenomeno di ritorno, anche indiretto e incoerente, alla cultura antica, o di restringere tale definizione solo ai casi di intenzionale e sistematico tentativo di recuperare l'arte dell'Antichità classica dopo una rottura significativa. Ma la difficoltà investe anche terreni assai più complessi di quelli della semplice terminologia. La stessa arte antica aderì in qualche caso ai principi e alle forme sviluppate nella Grecia ellenistica, ma mosse anche da questi per esprimere idee di assolutismo, per es., o di autorità sovraumana. Così, un ritorno all'Antichità non implica necessariamente un recupero del naturalismo idealizzato, associato con la cultura classica e viceversa. Contrariamente alle aspettative connesse con la periodizzazione della storia dell'arte definitasi fin dal sec. 15°, l'affermarsi del cristianesimo nel corso del sec. 4° non solo non cancellò le forme dell'arte pagana, ma sembra realmente aver determinato una rigenerazione dell'arte classica, vale a dire una rinascita intesa a creare un equivalente cristiano alla tradizione pagana (Kitzinger, 1977). Un risultato di questo fenomeno fu che i successivi ritorni alle radici paleocristiane determinarono spesso, de facto, una r., senza tuttavia le necessarie implicazioni legate a una consapevole riappropriazione delle forme dell'arte pagana. Inoltre, le tradizioni antiche presentano spesso notevoli aspetti di continuità; in luoghi come Roma, per es., specifiche tecniche artigianali poterono sopravvivere per periodi assai lunghi. Nel mondo bizantino, l'arte classica non venne mai completamente offuscata da altre tradizioni, come avvenne invece nell'Occidente latino; infatti, almeno in alcune classi di oggetti, come per es. nei piatti argentei decorati con raffigurazioni di soggetti mitologici, le forme antiche persistettero per molti secoli (Belting, 1982; KalavrezuMaxeiner, 1985). Anche nell'Occidente latino, l'arte classica continuò a essere considerata come bacino sia di materiali di cui appropriarsi fisicamente (spolia) sia di modelli da emulare in nuovi lavori.In ogni caso, ci possono essere pochi dubbi circa il fatto che nel corso del Medioevo vennero compiuti di tanto in tanto tentativi di ricollegare l'arte dell'epoca alle tradizioni identificate con quelle dell'antica Grecia e di Roma, specialmente dopo il sec. 8°, quando le incursioni barbariche nell'Europa settentrionale e l'iconoclastia nei territori bizantini avevano definitivamente cancellato gli ultimi germogli vitali di quelle tradizioni. Visti sotto questa prospettiva, i fenomeni di ripresa della cultura classica, quali quelli che possono essere individuati sotto i regni di Giustiniano (527-565) ed Eraclio (610-641), debbono essere considerati più come sottolineature enfatiche che non come vere e proprie r. e le conseguenti appropriazioni della tradizione classica possono essere interpretate come mosse da motivazioni specifiche, nella grande maggioranza dei casi di ordine politico. La natura e la motivazione della risurrezione della tradizione antica divengono, in ultima istanza, gli elementi che definiscono una rinascenza. Deve tuttavia essere chiaro che, anche durante i periodi di rinascita, gli artisti medievali attribuivano un significato cristiano ai modelli antichi che imitavano, appropriandosi del passato per trasferirlo nel futuro con scopi politici o religiosi e non fine a se stesso. Solo nel corso del sec. 14°, quando singoli artisti ritornarono alle forme antiche come critica alle tradizioni medievali correnti, si generò un vero rinascimento; ironicamente, seguendo Plinio e altri testi, essi derivarono la nuova arte dalla osservazione della natura più che dallo studio dei modelli antichi.L'arte antica venne utilizzata nel corso delle r. medievali in tre modi principali: attraverso la copia diretta e la vera e propria appropriazione; riapplicando motivi e convenzioni stilistiche in nuovi contesti; in nuovi lavori di carattere creativo ispirati alle fonti classiche. Ognuna delle principali r. produsse esempi di tutte e tre queste forme di appropriazione, spesso evolvendo da un'iniziale fase letteraria ed enciclopedica a un'altra più creativa in cui prendeva il sopravvento il rifiorire artistico.Preparata dal consolidamento politico ed economico verificatosi nel corso del sec. 8°, la rinascita della cultura mediterranea nei territori franchi sotto Carlo Magno (768-814) e i suoi immediati successori fu un'impresa largamente sostenuta dalla corte. L'arte prodotta nel corso della r. carolingia, specialmente se la si confronta con quella precedente della stessa regione, dimostra una ripresa così completa della tradizione antica che alcune opere sono talvolta ancora confuse con produzioni di epoca tardoantica, come dimostrano il ritratto di un autore in posizione seduta, inserito in un evangeliario purpureo conservato a Bruxelles (Bibl. Royale, 18723, c. 17v), o le formelle raffiguranti le Fatiche di Ercole nella c.d. cattedra di S. Pietro donata nell'875 da Carlo il Calvo a papa Giovanni VIII (Roma, S. Pietro in Vaticano). Nel processo di recupero dell'arte classica, gli artisti carolingi si rivolsero a tutte le fonti disponibili, ivi incluse quelle di ambito bizantino e italiano, dove le tradizioni antiche si erano conservate. Per alcuni dei più straordinari esempi di ripresa dell'arte classica, per es. i Vangeli dell'Incoronazione (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), si pone sempre la questione se non debbano essere attribuiti ad artisti stranieri, ma questa incertezza appare come uno degli elementi caratteristici della rinascita carolingia. L'obiettivo era quello di creare lavori che sembrassero classici; tutti i mezzi usati per raggiungere tale scopo erano considerati accettabili.I carolingi si appropriarono fisicamente di opere d'arte antica tanto per la loro preziosità intrinseca quanto per il loro significato storico, la raffinata esecuzione e lo stile o la connotazione. E anche quando i riferimenti politici sembravano ovvi, il processo di appropriazione poté essere complesso. Così, quando Carlo Magno fece trasportare da Ravenna e installare ad Aquisgrana una statua equestre di Teodorico, egli esprimeva certamente un interesse estetico, ma cercava anche di ricreare le disposizioni del Laterano a Roma, con il suo 'Costantino' - ossia la statua equestre di Marco Aurelio (Roma, Mus. Capitolino) -, e della Santa Sofia a Costantinopoli, con la statua di Giustiniano collocata al centro dell'Augusteion, presso la chiesa. Con questa operazione egli poté anche esprimere uno specifico interesse per il sovrano goto d'Italia. Allo stesso modo, quando il papa Adriano I (772-795) riempì il Campo Laterano di sculture antiche, compreso il lupus etrusco (Roma, Mus. dei Conservatori), la sua motivazione nel dispiegare l'arte della Roma pagana fu certamente quella di rafforzare l'autorità della Roma cristiana.Gli artigiani carolingi ripresero tecniche antiche quali la scultura in avorio, la fusione del bronzo e l'incisione di gemme e divennero esperti copisti. Una copia illustrata degli Aratea conservata a Leida (Bibl. der Rijksuniv., Voss.lat. Q 79), per es., non solo replica i soggetti classici presenti nel suo probabile prototipo del sec. 4°, ma ne ricrea anche l'uso raffinato della luce, l'eleganza descrittiva e il concetto delle forme umane. Un altro compendio astrologico prodotto a Metz tra l'820 e l'840 (Madrid, Bibl. Nac., 3307) conserva nell'uso del colore la tecnica impressionistica del modello, anche se venne realizzato sulla base di una copia intermedia già di epoca carolingia, un manuale prodotto nell'809 per Carlo Magno. Lo scopo principale del ritorno all'Antichità in queste opere era quello del recupero della conoscenza pratica e della conservazione dell'erudizione antica, non quello della restaurazione della cultura classica in quanto tale. Così gli artisti carolingi replicarono anche lavori cristiani di epoca tardoantica. Le illustrazioni del Physiologus conservato a Berna (Bürgerbibl., 318) e prodotto intorno all'820, copiate anch'esse da modelli del sec. 4°, non comprendono solo elementi zoologici e mitologici, ma anche moralizzazioni cristiane. Per la maggior parte le opere carolinge furono assemblaggi di fonti antiche piuttosto che copie dirette e, al pari di tutti i compendi, cambiarono il significato delle proprie fonti. Il citato compendio di Madrid, per es., introduce in un diagramma delle orbite dei pianeti minuscoli busti-ritratto (c. 63v) che aiutano a identificare ciascun corpo celeste, spostando l'effetto dal campo scientifico a quello pittorico. Anche la valva detta del Paradiso terrestre del dittico eburneo di Areobindo (Parigi, Louvre), scolpita realmente in un avorio antico (il verso di un dittico consolare del sec. 6°), riunisce animali copiati dal Physiologus e da un libro di viaggi come Le meraviglie d'Oriente per inserirsi nella disputa del sec. 9° a proposito della ammissibilità della discendenza da Adamo di alcune razze mostruose di uomini. Analogamente, nelle Fatiche di Ercole della c.d. cattedra di S. Pietro, scene, diversi esemplari di fauna mitologica e reale, immagini di costellazioni e altre figure tratte da fonti antiche sono impiegati per costruire un programma imperniato sul concetto di autorità imperiale. Il più abile pastiche antichizzante di tutta l'arte carolingia è costituito dal Salterio di Utrecht (Bibl. der Rijksuniv., 32), che per secoli è stato scambiato per un'opera tardoantica a causa dell'uso di capitali rustiche e della disposizione del testo su tre strette colonne. Selezionando elementi tratti da un trattato astronomico simile agli Aratea di Leida, dal Physiologus, da un manuale di caccia, da un libro di viaggi, da una copia illustrata dei Salmi, dal Libro dei Re e da altri testi tardoantichi, esso unifica le diverse fonti in uno stile compendiario che crea nuovamente un'aura genuinamente antica.Alcune illustrazioni contenute nella Prima Bibbia di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 1) sono anch'esse persuasive reinvenzioni di forme classiche. Il frontespizio di Paolo (c. 386v), per es., risale al Virgilio Vaticano del sec. 4° (Roma, BAV, Vat. lat. 3225), per collocare la conversione dei gentili in una credibile ambientazione antica; la personificazione della Bibbia nella pagina dell'Apocalisse (c. 415v) riprende i caratteri di una rappresentazione romana del dio Caelus. In questi, come in molti altri esempi, la ripresa di temi pagani aveva un preciso scopo iconografico; s. Paolo veniva considerato il corrispondente cristiano di Enea come fondatore di Roma e la figura della Bibbia (Bibliotheca revelata) era considerata un personaggio celeste.Ancor più che nel caso della r. carolingia, l'arte del sec. 10° nel mondo bizantino, nota come r. macedone, sembra essere stata un ristretto fenomeno di corte. Opere quali la coppa di vetro rubino con scene mitologiche (Venezia, Tesoro di S. Marco), il calamaio di Leone in argento dorato (Padova, Tesoro del Duomo) e numerosi cofanetti eburnei scolpiti con scene mitologiche - per es. il c.d. cofanetto di Veroli (Londra, Vict. and Alb. Mus.) - costituiscono una classe in sé distinta di oggetti di lusso destinati a una committenza aristocratica; essi, che denunciano un'impressione generale di antichità piuttosto che una consapevole ripresa, ebbero un impatto solo limitato su altre forme di espressione artistica. Al pari di quanto accadeva presso le corti carolinge, la conservazione della cultura antica rappresentava un particolare aspetto anche della rinascita bizantina. Il De materia medica di Dioscoride conservato a New York (Pierp. Morgan Lib., M.652), che copia il codice di Anicia Giuliana del sec. 6° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1), la prima Iliade conosciuta (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. 454), contenente illustrazioni delle Tragedie di Euripide, e i Theriaká di Nicandro (Parigi, BN, Suppl. gr. 247) rendono testimonianza delle attività di raccolta erudita del principale esponente di questa rinascita, l'imperatore Costantino VII Porfirogenito (945-959). Un gran numero di libri cristiani, in particolare la Topographia christiana di Cosma Indicopleuste (Roma, BAV, Vat. gr. 699), un tetravangelo atonita (Athos, Stavronikita, 43), la Bibbia di Niceta (Firenze, Laur., Plut. 5.9; Torino, Bibl. Naz., B.I.2; Copenaghen, Kongelige Bibl., Haun GKS 6), il Salterio di Parigi (BN, gr. 139), il rotulo di Giosuè (Roma, BAV, Pal. gr. 431) e un evangeliario sinaita (S. Caterina sul monte Sinai, Bibl., gr. 204), lascia pochi dubbi sul fatto che, nel corso del sec. 10°, gli artisti bizantini riuscissero nell'intento di recuperare le tradizioni tardoantiche interrotte dall'iconoclastia (726-843).Uno degli argomenti in discussione a proposito della r. macedone è quanto fossero innovativi questi artisti e quanto estesa sia stata la loro influenza. Così, Belting e Cavallo (1979) considerano la Bibbia di Niceta come un virtuale facsimile del suo modello del sec. 6°, così come Mango (1969) considera il rotulo di Giosuè una copia di un perduto rotulo del sec. 7°; per contro, Lowden (1983) sembra portato a vedere nel primo manoscritto una sorta di pastiche e Weitzmann (1963) pensa che il secondo sia una delle creazioni realmente originali dell'arte medievale, creato ex novo nel 10° secolo. Infatti, nella prospettiva di Weitzmann, l'illustratore che lavorò nel sec. 10° al rotulo di Giosuè rivisitò l'iconografia biblica tardoantica sulla base di un monumento trionfale romano, dando vita a un'asserzione convincentemente classica, ma senza alcun precedente, delle ambizioni militari dell'imperatore cristiano. Il formato venne cambiato, personificazioni classiche furono interpolate tra i soggetti derivati dalle Scritture e lo stile venne modificato per suggerire convenzioni antiche. Non è possibile dubitare del fatto che artisti bizantini del sec. 10° abbiano liberamente introdotto alcuni prestiti: il famoso spinario compare al di sotto di Cristo nella scena dell'Entrata in Gerusalemme su di un avorio di Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Skulpturengal.); personificazioni delle Virtù di forma assai vicina a quella classica amplificano i soggetti biblici del citato Salterio di Parigi. Che questi elementi riflettano o meno un vero fenomeno di r. dipende dalla loro attribuzione a ipotetici modelli perduti e da quanto tali modelli fossero ritenuti significativi. Quali che fossero le sue fonti ultime in senso lato, il frontespizio del Salterio di Parigi che raffigura Davide nell'atto di comporre i salmi sembra essere un'invenzione del sec. 9°, in cui l'Antichità è fatta pienamente rivivere, non solo in dettagli secondari come le personificazioni di Betlemme e Melodia o anche nell'impronta classicheggiante che caratterizza gli animali, le ninfe e l'architettura rustica, ma anche nell'evocazione sensoriale dell'innografo sacro che compone i suoi canti mentre la sua musa batte il ritmo sulle sue spalle. La r. macedone costituì la base della successiva arte bizantina, ivi compresa la r. comnena. In ogni caso, rimane ancora materia di discussione se il mondo bizantino debba essere inteso come un'essenziale continuità con l'Antichità o piuttosto come una serie di ricapitolazioni.Alfano di Salerno (m. nel 1085) e Leone Marsicano (1046 ca.-1115 o 1117) testimoniano della ripresa artistica avvenuta in Italia sotto la spinta dell'abate Desiderio da Montecassino (1058-1086) dopo cinque secoli di abbandono (recuperare è il termine utilizzato da Leone); la critica moderna accetta generalmente l'idea che l'arte antica abbia vissuto una fase di rinascita intorno alla metà del sec. 11°, come espressione della riforma della Chiesa avvenuta sotto il papato di Gregorio VII (1073-1085). La precisa natura di questa rinascita è tuttavia difficile da definire. Da un lato gli ecclesiastici vicini a Desiderio esagerarono fortemente la rottura con l'arte precedente; la pittura monumentale e altre forme d'arte avevano avuto una loro continuità prima della riforma gregoriana (Gandolfo, 1989). D'altro canto, le fonti immediate per questa rinascita artistica furono più quelle dell'arte di epoca paleocristiana e bizantina che non quelle di epoca romana e l'obiettivo della rinascita era quello di un ritorno alla Ecclesiae primitivae forma e non alle glorie del passato pagano. Non deve dunque meravigliare che in opere d'arte 'gregoriane' come gli affreschi nella chiesa inferiore di S. Clemente a Roma i paralleli più stringenti con l'arte antica debbano essere ricercati negli elementi decorativi (Toubert, 1990), mentre le formulazioni paleocristiane dominano nei soggetti principali. Un affresco staccato con la scena dell'Incontro di s. Pietro con Anania e Saffira, già nel Laterano (oggi perduto), offriva un buon esempio di questo fenomeno. Esso faceva riferimento ad At. 5, 1-11, per sostenere il concetto di un ritorno alla comune vita apostolica sotto l'autorità papale, così come predicavano appunto i contemporanei riformatori; ma in esso veniva raffigurato un sarcofago strigilato antico per sottolineare l'effetto di autenticità artistica. Infine, la rinascita artistica non fu esclusiva del partito dei riformatori, né probabilmente venne avviata dai 'gregoriani'. Roberto I il Guiscardo (m. nel 1085) aveva rinnovato l'antica pratica delle sepolture monumentali nella 'chiesa vecchia' a Venosa, con l'intermediazione del mondo bizantino, dove tale tradizione era già stata istituita in precedenza (Herklotz, 1985).In ogni caso, all'inizio del sec. 12° la ripresa artistica gregoriana si era andata trasformando in qualcosa di più strettamente simile a una vera e propria rinascenza. Come molti studiosi hanno sottolineato (Kitzinger, 1982; Bertelli, 1989; Gandolfo, 1989), essa assunse un carattere spiccatamente imperiale pur rimanendo all'interno dell'ambiente culturale papale. I pezzi di reimpiego ebbero un ruolo di crescente importanza, come testimoniano il riutilizzo del perduto sarcofago di porfido dell'imperatore Adriano come sepoltura di papa Innocenzo II (m. nel 1143) e alcune opere dal carattere manifestamente antichizzante, come la cattedra di papa Callisto II in S. Maria in Cosmedin a Roma, commissionata nel1123, con i suoi riferimenti sia alla monarchia dell'Antico Testamento sia all'impero romano.La r. medievale di gran lunga più conosciuta è quella del sec. 12°, identificata da Haskins (1927). Se la ripresa dell'arte antica a Roma e nei suoi dintorni durante la riforma gregoriana sembra chiaramente motivata ma non chiaramente definita, la r. del sec. 12° si colloca in una posizione diametralmente opposta: l'insistito e diffuso ritorno alle forme classiche ha motivazioni in larga misura non documentate e non definite. Così, motivi pagani, trasmessi attraverso testi scolastici, vennero copiati in coppe di bronzo utilizzate dalle monache per riti di purificazione, ma per uno scopo chiaramente non classico; Priamo, per es., venne raffigurato come esempio dell'onore (Weitzmann-Fiedler, 1981). L'uso più importante fatto dell'arte antica in questo periodo fu quello di considerarla uno strumento per ridefinire il vocabolario artistico piuttosto che un emblema storico e un segnale di ripresa culturale (Sauerländer, 1982). Specialmente nell'Europa settentrionale, le arti figurative, che erano divenute sempre più astratte nei secoli precedenti, vennero in quest'epoca assimilate ancora una volta alle convenzioni mediterranee. Le esperienze fatte dai crociati, che avevano potuto osservare in situ i monumenti classici e bizantini, poterono preparare l'accettazione dello stile classico; ma la concezione 'umanistica' che si andava affermando nella cristianità costituì probabilmente un elemento più importante, in grado di condurre a un'accettazione di forme più naturalistiche derivate da molte fonti, tra cui specialmente quelle dell'arte romana classica. Il sec. 12° testimonia inoltre la ripresa delle antiche tecniche di scultura della pietra e di fusione dei metalli. Il fonte battesimale in bronzo eseguito per Notre-Dame-aux-Fonts a Liegi da Renier de Huy nel 1107-1118 (Liegi, Saint-Barthélemy) costituisce un esempio precoce di questa tendenza. Sebbene l'iconografia fosse dominata da tipologie predefinite, le scene narrative erano composte da serene figure derivate da modelli classici, ivi incluse figure nude. Un simile ibrido di teologia e naturalismo caratterizza la pala della collegiata di Klosterneuburg, eseguita da Nicola di Verdun nel 1181; rifacendosi a fonti espressive bizantine e a modelli antichi, Nicola creò vividi scenari per le scene bibliche, tutte collocate all'interno di un'ambiziosa struttura tipologica. Tuttavia, come ha sostenuto Sauerländer (1982), i percorsi dell'influenza classica furono diversi e solo in qualche caso possono essere identificati con precisione per quel che riguarda questo periodo. Il vescovo Enrico di Blois (1129-1171), per es., aveva inviato veteres statuas da Roma a Winchester (Giovanni di Salisbury, Historia Pontificalis), ma rimane incerto quale tipo di effetto esse ebbero sulla produzione artistica.L'uso di modelli antichi per accrescere il naturalismo e il lirismo dell'arte giunse al suo apice nello stile gotico maturo della prima metà del 13° secolo. Così, il ritratto di S. Pietro sul portale del transetto settentrionale della cattedrale di Notre-Dame a Reims, eseguito intorno al 1225, segue lo schema di un busto romano e la profusione di sculture che si registra ovunque in Campania risulta inspiegabile senza prendere in considerazione la ricchezza delle vestigia antiche della regione. Uno scultore attivo nel sec. 12° nella cattedrale di Salerno interpolò figure copiate da un antico sarcofago dionisiaco ivi conservato - a sua volta riutilizzato intorno al 1340 come sepoltura cristiana - in un capitello di stile corinzieggiante della stessa cattedrale. Nella medesima epoca cominciarono a emergere alcune singole personalità artistiche. Un'iscrizione posta sulla facciata della cattedrale di Spoleto, per es., dichiara che Solsternus avrebbe riportato l'arte ai livelli antichi dopo il suo declino medievale (Claussen, 1985).Una ripresa organica dell'arte romana venne avviata solo nel corso del secondo quarto del sec. 13°, quando Federico II fece proprie le forme architettoniche e l'iconografia antiche per assecondare le proprie ambizioni imperiali, "per rendere un programma cesariano in un linguaggio cesariano" (Sauerländer, 1994, p. 200). La porta fatta costruire da Federico II a Capua negli anni trenta del sec. 13° imita gli archi trionfali romani, in particolare quello di Costantino, e un tempo comprendeva personificazioni e busti scolpiti di personaggi della corte dall'aspetto straordinariamente classico. Federico II fu anche un appassionato collezionista di gemme e commissionò una serie di cammei classicheggianti. Uno di essi, conservato a Monaco (Staatl. Münzsammlung), raffigura l'imperatore in trono incoronato da Vittorie; così come per molti altri casi di antiquaria medievale, anche questo esempio può derivare da un modello cristiano tardoantico piuttosto che da un prototipo genuinamente classico. Per contro, una gemma conservata a Washington (Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.) raffigura Ercole nell'atto di strangolare il leone nemeo in uno stile totalmente classico, ma il soggetto iconografico poté assumere un significato cristiano di vittoria sul demonio; come è stato dimostrato da Seidel (1975), una simile interpretatio christiana presiedeva alla ricezione dei motivi antichi perfino nell'opera di Nicola Pisano, che sin dall'epoca di Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 59ss.) è stata sentita come il più celebrato esempio duecentesco dell'arte protorinascimentale. Così, la ben nota inserzione da parte di Nicola della figura di Dioniso sorretto da un ragazzo nella scena della Presentazione al Tempio nel pulpito del battistero di Pisa poté essere determinata dalla conoscenza diretta del cratere neoattico nel Camposanto di Pisa, ma il suo riferimento essenziale dovette essere quello a un verso della liturgia della Purificazione della Vergine: "Senex puerum portabat, puer autem senem regebat" (Seidel, 1975, p. 316ss.).L'umanista bizantino Niceta Coniate (m. nel 1220 ca.) nel De signis (643-648) deplorò la distruzione delle antiche statue da parte dei crociati a seguito della conquista di Costantinopoli nel 1204 e, sebbene il suo resoconto dell'evento sia ricco di allusioni di carattere umanistico, il testo risulta altrettanto ricco anche di elementi legati alla superstizione (Mango, 1968). Quando i Bizantini riconquistarono la città nel 1261, essi cercarono di far rivivere la tradizione classica che avevano perpetuato per ca. un millennio. Per far questo, comunque, essi non si rivolsero prioritariamente all'Antichità stessa, ma si appoggiarono largamente all'arte precedente caratterizzata da un naturalismo di stampo classicistico, in particolare quella della r. macedone. Così, la ripresa paleologa rappresenta più un'intensificazione dell'eredità antica che non un nuovo inizio. Un evangeliario datato 1305 (Londra, BL, Add. Ms 22506), per es., presenta una raffigurazione di S. Matteo (c. 5v) seduto dinanzi a un'enorme esedra al di là della quale si vede una pergola affiancata da torri: sebbene il modello ultimo fosse quello di un autore romano dinanzi a un proscenio, la fonte immediata fu il citato tetravangelo atonita (c. 43 r; Weitzmann, 1963). Se gli artisti bizantini ottennero buoni risultati nel rimettere insieme brandelli della loro tradizione dando vita a nuove opere di notevole livello, come nel caso del S. Salvatore in Chora di Costantinopoli (od. Kariye Cami), in cui vengono mantenuti i canoni estetici classici, è invece opinabile che la loro intenzione sia mai stata quella di una vera e propria ripresa dell'arte antica.Nonostante i loro limiti, sia la r. federiciana sia quella paleologa alimentarono un crescente interesse a proposito dell'Antichità nel corso dei secc. 13° e 14°, interesse sorretto e sempre più incrementato da un vero e proprio umanesimo. Anche per un pittore innovativo quale fu Giotto, tuttavia, la visione della realtà prospettata nella sua produzione artistica derivava più dall'esperienza della contemporanea arte gotica che non da uno studio dei resti di epoca classica. L'Antichità poté dunque avere il suo maggior impatto in forma indiretta, attraverso la concezione dell'arte rintracciabile in testi classici quali la Naturalis Historia di Plinio (34-36), con l'enfasi posta sul naturalismo, l'attribuzione all'artista di un posto di rilievo nella gerarchia sociale e l'uso di un vocabolario metaforico e critico. A partire dal sec. 14°, gli artisti italiani dichiararono che la pittura e la scultura andavano collocate tra le arti liberali; in misura sempre crescente, essi divennero funzionari di corte che percepivano regolarmente un salario e, fatto ancor più importante, acquisivano titoli e privilegi; alla corte angioina di Napoli, per es., Simone Martini era chiamato cavaliere. La qualità dell'esecuzione piuttosto che non l'intrinseco pregio del materiale divenne il principale criterio di valutazione, con particolare riguardo all'abilità nel rendere la naturalità delle cose, abilità che veniva considerata un dono fatto da Dio agli artisti. Giovannino de Grassi, attivo alla fine del secolo alla corte viscontea di Milano, si rivolse direttamente alla natura, evitando più o meno tutti i modelli, ivi inclusa l'arte antica.In realtà fu appunto la riformulazione dell'idea in sé di creazione artistica verificatasi nel sec. 14° a determinare quella rottura necessaria all'emergere di un vero rinascimento. Gli artisti medievali avevano attinto in misura consistente all'arte antica per quanto riguardava le formule iconografiche, i modelli stilistici e le tecniche di resa e, in più di un'occasione, avevano creato nuove opere riassemblando le loro fonti classiche; ma essi non avevano mai individuato i principi che erano alla base della grande tradizione pagana per applicarli alla ricreazione della maniera antica. Come già notava Ghiberti nei suoi Commentari (II, 1), redatti intorno al 1447 e che iniziano con una dissertazione sull'arte antica basata su Plinio e Vitruvio, fu il recupero dei "testi teoretici e delle regole per insegnare le arti nobili ed eminenti" che, più di ogni altra cosa, segnò l'inizio del vero Rinascimento.
Bibl.:
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