Rinascimento
Dopo l'Umanesimo civile
L'interpretazione dell'epoca umanistica e rinascimentale in chiave di 'Umanesimo civile' ha svolto un ruolo decisivo dalla fine degli anni Venti fino agli anni Sessanta del 20° secolo. Al 1928 risale, infatti, la raccolta di scritti di L. Bruni, con la quale H. Baron (1900-1988) avviò l'indagine sull'Umanesimo italiano, che nel 1955 sarebbe sfociata nel volume, eloquente già dal titolo, The crisis of the early italian Renaissance. Civic humanism and repubblican liberty in an age of classicism and tiranny. È in questo testo fondamentale (pubblicato negli Stati Uniti, dove si era trasferito per sfuggire al nazismo) che Baron portò a compimento l'interpretazione dell'Umanesimo in chiave 'civile', già abbozzata in una serie di saggi degli anni Trenta. Fra questi spicca Lo sfondo storico del Rinascimento fiorentino, pubblicato nel 1938 in La rinascita (rivista del Centro nazionale di studi sul Rinascimento), nel quale sono contenuti gli elementi essenziali dell'interpretazione dello studioso. Secondo Baron i Medici, e il loro regime, furono essenziali per lo sviluppo della letteratura e dell'arte dalla metà del Quattrocento in poi; è sbagliato, però, pensare che l'Umanesimo sia stato "la cultura di un'età in cui la vita politica del comune italiano era già in sì bassa condizione che unicamente la forza individuale di un singolo (signore, grande artista, grande erudito) fosse stimata" (p. 50). Quando l'Umanesimo assunse questi tratti, era già in una fase assai avanzata di sviluppo e anche di inarrestabile decadenza: "Chiunque desidera capire la sua storia nel suo insieme, deve prima studiarla nei suoi inizi quando Firenze era una libera repubblica i cui cittadini erano capaci di assorbire le idee classiche di stato, società e morale perché essi trovavano nella vita civile dell'antica Atene e di Roma un modello per la loro propria vita" (p. 51). Ciò è testimoniato dalla vita e dal lavoro di Bruni, cancelliere della Repubblica fiorentina, il quale, nella Praemissio quaedam ad evidentiam novae translationis Politicorum Aristotelis, sostiene che fra gli insegnamenti morali che formano l'uomo devono spiccare quelli concernenti gli Stati e il loro governo; il bene quanto più esso si estende, tanto più è cosa divina, perché contribuisce al perfezionamento dell'uomo. Debole, se considerato singolarmente, l'uomo riceve dalla società civile quella 'compiutezza' e quella 'perfezione' che non ha da sé. Di conseguenza, per l'uomo non può esservi disciplina più conveniente del comprendere che cosa sia la città, che cosa lo Stato, in che modo si conservi e venga meno la società. L'uomo che non intende questo, non comprende né sé stesso, né i precetti di "un dio di somma sapienza". Errore che non hanno commesso né Platone, né Cicerone, né Aristotele, il quale "ha trattato la stessa materia con tanto nitore, con tanta ricchezza ed eleganza da meritare davvero di esser chiamato un aureo fiume" (Baron 1928, p. 73). In conclusione, scrive Bruni (e, dal canto suo, Baron consente), si può comprendere l'uomo solo se lo si intende come animal politicum.
Al centro dell'interpretazione di Baron stanno, dunque, il primato della 'vita civile' e della vita activa rispetto alla vita contemplativa; il problema del rapporto con la politica e con il governo dello Stato; il modello dell'antica Atene e di Roma repubblicana; il nesso tra felicità individuale e felicità collettiva nella comunità politica; cardini dell''Umanesimo civile' fiorentino, messi alla prova, vittoriosamente, nella lotta con G.G. Visconti. In questo scontro mortale è la Repubblica fiorentina, guidata dai suoi grandi Cancellieri, a "limitare la trionfante avanzata della tirannide nell'Italia rinascimentale", ed è l'esito positivo di quella contesa a determinare "il fallimento del disegno assolutistico mirante a costruire nell'Italia settentrionale e centrale una monarchia centralizzata", consentendo "la sopravvivenza della libertà repubblicana dello stato-città come elemento vitale dell'Italia del Rinascimento" (Baron 1955, p. xl). Nella prospettiva di Baron, la lotta tra Florentina libertas e tirannide viscontea fu momento cruciale della storia della libertà dei 'moderni', ed è sotto questa luce che deve essere giudicato il contributo dell''Umanesimo civile' fiorentino, che di quella lotta fu coscienza e artefice decisivo.
Da simili affermazioni si coglie il doppio registro da cui è animata l'interpretazione del R.: da un lato, si svolge una ricerca di ordine strettamente storico, capace di dare contributi fondamentali a una nuova analisi dell'epoca umanistica, dissolvendo interpretazioni di carattere moralistico o estetizzante, destinate a riproporsi negli autori più insospettabili; dall'altro, è rivendicato con grande energia il valore sia metapolitico sia metastorico dell'Umanesimo civile fiorentino, riconsiderato, e reso attuale, alla luce del conflitto ideologico e politico, caratteristico della prima metà del Novecento, tra democrazia e totalitarismo. Né questo, di per sé, stupisce: ogni vera storia è storia contemporanea, è stato giustamente scritto. Tanto meno sorprende, nel caso del R., per la centralità che esso ha avuto, in modo costante, nella determinazione dei tratti costitutivi della coscienza europea moderna. L'interpretazione in chiave 'civile' dell'Umanesimo appartiene alla storia della storiografia del R. ed è, al tempo stesso, momento centrale dell''autobiografia' degli intellettuali europei di matrice liberale che, nell'epoca dei totalitarismi di massa, si sono posti sul piano storiografico il problema politico ed etico-politico delle origini e del destino della 'libertà dei moderni'. Naturalmente, sul piano storiografico quello che conta sono i risultati critici che scaturiscono da problemi di questo genere - tipici, in verità, della storiografia sul R. fin dalle sue origini; e, in questo caso, essi sono stati importanti sia per nuove interpretazioni di autori come Bruni, sia per riconsiderare testi capitali della tradizione 'repubblicana' fiorentina come i Discorsi di N. Machiavelli (1469-1527). Ogni diritto ha, tuttavia, il suo rovescio, sia nel mondo storico, sia in quello storiografico: l'interpretazione in chiave 'civile' dell'Umanesimo declina con il progressivo venir meno dei problemi storici che, in modi assai mediati e complessi, si erano espressi nella 'riscoperta' della Florentina libertas, lungo un arco di tempo che coincide con un esteso ciclo politico e ideologico del Novecento europeo. Fu tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta che la fortuna dell'Umanesimo civile si avviò a compimento - quando era ormai conclusa la questione del conflitto tra democrazia e totalitarismi, almeno nei termini in cui era stata tragicamente aperta negli anni Trenta; il problema della lotta tra libertà e tirannide si conformava in 'figure' storiche e politiche che si proiettavano oltre i canoni metapolitici e metastorici propri dell'autobiografia degli intellettuali europei di matrice liberale. Il declinare dell'interpretazione in chiave 'civile' dell'età umanistica va individuato, senza stabilire schematiche simmetrie: al fondo, esso corrisponde, e si intreccia, a un momento di crisi e di profonde trasformazioni - oltre che dei paradigmi storiografici - della coscienza e della stessa identità europea.
Testimone di questa profondissima crisi e promotore di nuove prospettive di ricerca, è stato E. Garin (1909-2004), che fu insieme a Baron il maggior rappresentante nel Novecento dell'interpretazione in chiave 'civile' dell'Umanesimo. Protagonista degli studi umanistici e rinascimentali fin dalla metà degli anni Trenta del 20° sec. con una fondamentale monografia su G. Pico della Mirandola (1937), Garin si è distinto, infatti, per un duplice merito: ha chiuso un'epoca alla quale aveva dato contributi fondamentali, situandosi con piena consapevolezza, a cominciare dagli anni Settanta, oltre gli orizzonti dell'Umanesimo civile; e, simultaneamente, ne ha aperta un'altra, avviando una nuova stagione di studi incentrata su un ripensamento complessivo dell'epoca umanistica e rinascimentale. Garin si è collocato, fin dall'inizio, in una traiettoria di ricerca autonoma, attenta a una pluralità di motivi: da quello politico, rappresentato dalla pubblicazione del Testamento di F. Strozzi, in conclusione dell'antologia Il Rinascimento da lui curata (1941); a quello filosofico, sottolineato fin dal primo paragrafo, Umanesimo e filosofia, con cui si apre il libro sull'Umanesimo italiano (1947); fino a quello di carattere ermetico, al quale ha dedicato l'importante saggio, La 'dignitas hominis' e la letteratura patristica (1938). Autonoma e originale, la ricerca di Garin è stata, al tempo stesso, profondamente radicata nella tradizione italiana, come testimoniano i riconoscimenti nei confronti di G. Gentile, in particolare, per l'interpretazione della 'filologia' umanistica come nuova 'filosofia', ma con due importanti distinzioni: il rifiuto del motivo etico-politico e storiografico della 'decadenza' nazionale; la collocazione dell'Umanesimo entro la storia della coscienza europea, al di fuori delle delimitazioni di carattere nazionale e statale, differentemente anche dalla matrice burckhardtiana. Garin, fin dai primi studi, si è sforzato di misurarsi con gli elementi originari, addirittura primordiali dell'esperienza umana in tutta la sua complessità. Sta qui la radice del suo interesse per la magia, per l'astrologia, per l'alchimia, per l'ermetismo già evidente nei contributi giovanili degli anni Trenta: tutti temi per i quali J. Burckhardt (1818-1897), e dopo Baron, non hanno avuto alcuno specifico interesse, e che anzi essi hanno tenuto lontani, assorbiti come erano entrambi, dalla centralità della problematica politica ed etico-politica. Garin, diversamente, pur in un quadro interpretativo che tiene fermo il paradigma dell'Umanesimo civile, già nel 1950 pubblicò un saggio intitolato Magia e astrologia, al quale si aggiunsero le Considerazioni sulla magia del 1953, entrambi strettamente connessi al volume Testi umanistici sull'ermetismo curato insieme ad alcuni suoi allievi, fra i quali P. Rossi e C. Vasoli (1955). L'interesse per questi temi è già presente nel libro su Pico del 1937 (ma già pronto nel 1935), scritto anche sulla scia di importanti ricerche di R. Reitzenstein, anzitutto, e poi di P.O. Kristeller e dello stesso K. Burdach (del quale proprio nel 1935 uscì, tradotta da D. Cantimori, la fondamentale opera Reformation, Renaissance, Humanismus, pubblicata nel 1918, 19262). Fu soltanto tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta che tale problematica divenne centrale nella sua interpretazione dell'età rinascimentale in cui l'Umanesimo civile è interpretato sul piano della 'coscienza', ossia degli ideali, dei programmi, piuttosto che su quello della realizzazione storica concreta. Si tratta, più che di una rottura, di uno svolgimento in forme nuove, e prospettive originali, di temi e motivi sui quali Garin si era già soffermato. Alla svolta degli anni Settanta pienamente consapevole della crisi che investiva l'Umanesimo civile, egli fu protagonista dell'avvio di una nuova, fecondissima stagione degli studi sull'Umanesimo e sul R., situati, consapevolmente, su un arco di tempo che, prendendo le mosse dalla fine del Trecento e dalla polemica di Petrarca contro i "barbari Britanni", si compie nell'età dell'Illuminismo, in primo luogo nelle pagine del Discours préliminaire di d'Alembert all'Encyclopédie (secondo una periodizzazione abbozzata in Cantimori 1959).
Magia ed ermetismo
Senza alcun dubbio la 'scoperta' della magia e dell'ermetismo è uno dei maggiori contributi che il Novecento abbia dato allo sviluppo delle ricerche sul Rinascimento. Non è però nell'ambito degli studi rinascimentali che originariamente germinò l'interesse per la dimensione magica ed ermetica: la scoperta dell'una e dell'altra avvenne, tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, nell'ambito degli studi di storia delle religioni e di etnologia. Anzi, furono in primo luogo gli etnologi a interrogarsi sul problema del 'preanimismo', avviando un campo di ricerca che nello stesso giro d'anni divenne importante anche per gli antichisti, intenti a confrontarsi con il problema della 'mistica' ellenistica. Fu proprio in questo periodo che, per opera di studiosi quali Reitzenstein, F. Cumont, A. Dieterich, si studiarono i culti misterici della tarda antichità e le radici 'pagane' del primo cristianesimo (Orsucci 1999). Fu su questo sfondo di problemi che avvenne la 'scoperta' di Ermete Trismegisto e dell'ermetismo per opera proprio di Reitzenstein, il quale, pubblicando nel 1904 il libro sul Poimandres e sui testi ermetici della tarda antichità, sottolineò la necessità di interpretare correttamente un'epoca nella quale teologia e magia non si lasciavano separare. Si trattò di una 'scoperta' fondamentale, che però non restò confinata nella cerchia degli etnologi e degli storici delle religioni antiche. Al contrario, si intrecciò, fin dagli anni della Prima guerra mondiale, alla discussione che coinvolse tutta la grande cultura europea sui temi della 'crisi' dell'Europa e del 'tramonto dell'Occidente': discussione che nacque e si sviluppò tra gli studiosi dell'antichità, coinvolgendo i maggiori intellettuali del periodo (soprattutto tedeschi, da U. von Wilamowitz a E. Meyer), posti di fronte all'esperienza drammatica del primo conflitto mondiale. Situata su quest'onda più ampia e più lunga, la 'scoperta' della magia e dell'ermetismo - operata da studiosi che direttamente o indirettamente si rifacevano a H. Usener - fu, certo, un grande evento storiografico, destinato a segnare la storia degli studi della tradizione classica, ma fu anche altro, e di questo elemento di ordine generale occorre tenere conto, in maniera non schematica, se si vuole comprendere l'incidenza e l'importanza che la dimensione magica ed ermetica ha avuto nello sviluppo degli studi sul R. nel corso del Novecento.
I temi di carattere magico e astrologico, sui quali avevano già richiamato l'attenzione studiosi di eccezionale rilievo come Burdach e A. Warburg, si imposero in maniera decisa proprio negli anni Trenta, quando il tema della 'crisi della civiltà' divenne centrale, coinvolgendo intellettuali, di matrice anche opposta, ma tutti convergenti nella persuasione che il 'mondo moderno' nato in Occidente con l'Umanesimo e con il R. fosse giunto a un punto di svolta. Come si è detto, storia e storiografia non si rispecchiavano in modo lineare; ma fu nel cuore degli anni Trenta che due giovani studiosi, destinati a lasciare un'orma profonda negli studi sul R., Kristeller e Garin, cominciarono a interrogarsi sul significato della magia e dell'ermetismo rinascimentale in saggi e contributi che appaiono anticipatori di una tendenza di studi e di ricerche destinata a imporsi con vigore anzitutto dopo la guerra, negli anni Cinquanta del Novecento. È sintomatico, da questo punto di vista, il saggio di Garin dal titolo Interpretazioni del Rinascimento: "L'interesse che muove oggi da varie parti verso un ripensamento degli aspetti più importanti della cultura umanistico-rinascimentale non è dovuto, io credo, solamente all'essersi logorata, sotto tanti punti di vista, un'interpretazione storica che a suo tempo sedusse molti di noi […]. Questa crisi particolare di una impostazione storica opera senza dubbio; ma in verità essa è come secondaria rispetto al bisogno di renderci conto fino in fondo delle linee orientatrici essenziali della nostra cultura" (1961, p. 90). È un testo del 1950, periodo in cui Garin pubblicava le sue importanti opere Considerazioni sulla magia e Magia e astrologia nel Rinascimento. La 'catastrofe' dell'Europa spinse gli studiosi del R. a guardare con altri occhi a quel periodo aureo della 'coscienza' e della storia intellettuale europea, incrinando definitivamente la tradizionale visione burckhardtiana e facendo risalire in primo piano questioni e temi lungamente emarginati, o addirittura inabissati, alla luce di un'idea 'progressiva' dell'Occidente e della sua storia.
Fu soltanto alla svolta tra gli anni Sessanta e Settanta che i temi di matrice magica, ermetica e anche astrologica divennero centrali, imponendosi come filo rosso nella complessa trama degli studi sull'Umanesimo e sul Rinascimento. Due libri hanno, in vario modo e con differente intensità, segnato lo svolgimento degli studi sul R.: Giordano Bruno and the hermetic tradition di F.A. Yates, pubblicato nel 1964, e Lo zodiaco della vita, che raccoglie lezioni tenute da Garin al Collège de France (1976). Il primo dimostra la fecondità della pista ermetica per un'analisi nuova e originale di una figura complessa come Bruno (anche se con eccessi ed esasperazioni che la successiva critica bruniana ha indicato, pur riconoscendo la funzione di vero e proprio spartiacque che il libro della Yates ha avuto); il secondo illustra con dovizia di testi e documenti la profonda incidenza dei motivi astrologici nell'esperienza di alcuni dei maggiori pensatori del R., e il peso che essi hanno avuto nella determinazione di modelli di filosofie della storia e della civiltà, lungo tutta l'epoca moderna. Yates riconosce il debito nei confronti delle prospettive avviate da Garin, sul piano sia storiografico, sia metodologico e teorico. Negli anni Settanta il costante problema di Garin, ossia l'individuazione della genesi e dei caratteri del 'mondo moderno', si incentrò, in modo programmatico, sulle problematiche di carattere ermetico, magico e astrologico, assunte, diversamente che negli studi precedenti, come punto di vista privilegiato per intendere un intero periodo storico in tutta la sua complessità, compresi, da un lato, lo stesso concetto di 'rinascita', di renovatio, con una netta distanza dalla tradizionale problematica della 'coscienza degli umanisti' di cui, in pagine assai fini, aveva trattato tra gli altri, F. Simone; dall'altro, il problema del rapporto tra R. e 'rivoluzione scientifica moderna'. Problema non nuovo se si pensa all'insistenza con la quale Garin ha battuto sul peso avuto dall'Umanesimo in tale processo, anche con la scoperta dei codici degli antichi scienziati. È significativo, da questo punto di vista, il suo volume Scienza e vita civile nel Rinascimento, uscito nel 1965, in cui tale prospettiva è messa a fuoco in modo programmatico. Nel complesso, si tratta però di un lavoro di transizione, come dimostrano il peso e l'incidenza assunti di lì a poco nella sua ricerca dai temi di ordine astrologico, di cui rende testimonianza proprio Lo zodiaco della vita. Nella parte finale della sua lunghissima attività Garin ha privilegiato questi temi, senza mai farsi distrarre dalla 'moda' ermetica propria di quegli anni, dalla quale dichiara in modo esplicito di volersi tenere lontano; nell'Introduzione alla ristampa di Medioevo e Rinascimento scrive: "oggi dell'ermetismo occorrerebbe parlare in senso limitativo" (1973, p. vii).
Come spesso accade, i limiti che gli storici si rifiutano di accettare liberamente vengono imposti dal tempo storico, come pure dalle sue trasformazioni. È accaduto anche con la 'moda' ermetica, arrivata a compimento e conclusione negli ultimi decenni del 20° secolo. Ma anche in questo caso, è alle trasformazioni del mondo storico che bisogna guardare, per comprendere i mutamenti verificatisi sul piano storiografico. 'Scoperti' tra la fine del 19° e gli inizi del 20° sec., i temi magici, astrologici ed ermetici assunsero rilievo e centralità negli studi umanistici e rinascimentali, intrecciandosi al problema della 'crisi della civiltà' e del 'mondo moderno', negli anni Trenta, contribuendo all'avvio di prospettive critiche e di indagini concrete che hanno dissolto l'immagine tradizionale, burckhardtiana, del R. e hanno dischiuso, al tempo stesso, una nuova interpretazione della genesi e dei caratteri costitutivi del mondo moderno. Si è trattato di un processo bifronte: nel nesso organico con il problema dei caratteri, e della 'crisi', del mondo moderno stanno le radici sia dell'ascesa sia della caduta della 'moda' ermetica, magica e astrologica. Pervenuta a un punto di massima intensità negli anni Settanta, essa si è conclusa nei decenni successivi con l'emergere, e l'imporsi, di prospettive storiografiche e teoriche che, pur muovendo da punti di vista diversi, e in alcuni casi addirittura antagonistici, tendono a cancellare, oltre che l'ermetismo e la magia, il concetto, e la funzione storica, del R. come momento genetico del 'mondo moderno'. Mentre le concezioni che avevano continuato a insistere sulla centralità dei temi e motivi di carattere 'umanistico' sono entrati in una crisi dalla quale solo agli inizi del nuovo millennio hanno iniziato a risollevarsi, ma sulla base di un profondo mutamento di paradigmi critici e storiografici.
Rinascimento e scienza moderna
Sarebbe difficile intendere tale processo di crisi, e di trasformazione, senza tenere conto del peso e dell'incidenza che in esso ha avuto il problema della genesi e dei caratteri della 'rivoluzione scientifica moderna', altro attore decisivo del dibattito intorno al R. a partire dagli anni Settanta del 20° secolo. Per comprendere in modo adeguato il significato di questa discussione - e quale fosse la posta in gioco -, occorre tenere presente un'osservazione di Cantimori nel 1955: "La questione del 'Rinascimento' s'incrocia fin dall'origine con quella della 'origine dell'età moderna', cioè dell'inizio storico della società, o delle fondamenta della società, alla quale apparteniamo nel nostro presente, o alla quale abbiamo appartenuto nel nostro immediato passato" (p. 344). Quello che entra in discussione con il dibattito sui rapporti tra R. e 'rivoluzione scientifica' è se il R. debba continuare a essere considerato l''origine' del mondo moderno, come, con accenti diversi, ma su questo punto convergenti, avevano pensato d'Alembert, Burckhardt, E. Cassirer, Gentile; o se il baricentro costitutivo della modernità fu la 'rivoluzione scientifica', con una drastica riduzione di peso dell'età umanistica e rinascimentale, e con la delineazione di una nuova periodizzazione che faccia perno, come momento aurorale, sulla pubblicazione nel 1543 del De revolutionibus di N. Copernico. Tra la fine del 20° sec. e l'inizio del 21° oggetto di discussione sono stati il significato e la funzione storico-universale del R., quali erano stati definiti lungo i secoli costitutivi della identità e della 'coscienza' europea moderna; l'argomento su cui tale discussione si è maggiormente accesa, e concentrata, è stato il rapporto tra magia ed ermetismo, da un lato; tra ermetismo e rivoluzione scientifica, dall'altro. Temi sui quali l'indagine si era già concentrata, specie negli anni Cinquanta, ma discussi in seguito con una differenza radicale rispetto al dibattito dei decenni precedenti: prima il nesso tra magia e scienza moderna era considerato acquisito, sia pur sottolineando le differenze tra l'una e l'altra; poi tale nesso è stato messo in questione, con una drastica riduzione della funzione dell'epoca umanistico-rinascimentale. Il problema storico del rapporto tra magia ed ermetismo da un lato, tra ermetismo e scienza moderna dall'altro non è stato ignorato o cancellato in quanto tale, ma è stato collocato nel quadro di una prospettiva, e di una periodizzazione, della storia europea che, pur riconoscendo la necessità d'indagare sul peso delle tematiche magiche ed ermetiche nella nascita della scienza moderna, lo circoscrive al momento della 'genesi', sottolineando la differenza strutturale tra l'universo magico ed ermetico e i caratteri e le strutture proprie della 'rivoluzione scientifica'. P. Rossi, uno dei protagonisti della discussione, scrive nella prefazione all'edizione del 1974 di Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza: "Questo libro conserva, anche in questa edizione, il sottotitolo dalla magia alla scienza. Oggi, proprio in parziale dissenso con F.A. Yates e P.M. Rattansi che tendono a vedere in Bacone il presentatore, in linguaggio più aggiornato, degli ideali e dei valori della tradizione ermetica, sarei portato ad insistere di più sugli elementi di distanza da quella tradizione presenti nella filosofia di Bacon e a sottolineare con maggiore energia l'importanza di quel nuovo ritratto dell''uomo di scienza' che è presente in tante sue pagine. Col passare degli anni", continua chiarendo tali affermazioni, "si è fatta in me più forte la convinzione che illuminare la genesi - non solo complicata, ma spesso assai 'torbida' - di alcune idee 'moderne' sia altra cosa dal credere di poter annullare o integralmente risolvere queste idee nella loro genesi" (p. xviii).
Il dibattito si è quindi focalizzato sul problema delle 'origini' del mondo moderno. A seconda di come sono state interpretate tali origini, si è presentata un'immagine del 'mondo moderno' che, prendendo le mosse dal problema della 'rivoluzione scientifica', ha toccato tutti gli aspetti dell'esperienza umana - dalla concezione dell'uomo a quella del sapere, dalla visione della politica e dello Stato a quella dell'arte e della filosofia. Schematizzando: da un lato, si è insistito sulla 'continuità' fra R. e mondo moderno, delineando un arco storico che da Petrarca va fino all'Illuminismo; dall'altro, si è insistito sulla loro 'discontinuità', assumendo la 'rivoluzione scientifica moderna' come chiave di selezione, e classificazione, dell'esperienza umanistico-rinascimentale. Entrambe le prospettive hanno avuto effetti di vario genere: la prima, per valorizzare gli elementi di 'continuità', ha teso a sottolineare la persistenza della tradizione magica ed ermetica nel cuore della modernità, offuscando gli elementi di radicale novità apportati dalla scienza moderna (eguaglianza delle intelligenze, pubblicità del sapere, uso di modelli controllabili, ripetibilità degli esperimenti, crescita e progresso del sapere); la seconda, insistendo sulla discontinuità, ha interpretato in termini drasticamente 'prescientifici', e perciò premoderni, il R., riducendone l'interna complessità e la pluralità di linee, anche antagonistiche, che in esso sono individuabili, e presentando, al tempo stesso, una immagine della ragione classica moderna che ne ha offuscato - se non occultato - le tensioni interne, e anche l'intrinseca drammaticità. Si tratta di forzature in entrambi i casi, ma, pur contrapponendosi, l'una e l'altra interpretazione convergono su un punto, che è decisivo: la centralità del problema dell'origine del mondo moderno. Si insista in un senso o nell'altro, sul primato del R. o su quello della 'rivoluzione scientifica', questo è stato il vero banco di prova della discussione.
Tuttavia, su tale sfondo di problemi, c'è da fare un'osservazione: quando si è discusso del rapporto tra R. e 'rivoluzione scientifica moderna', si è generalmente parlato del rapporto esistente tra ermetismo rinascimentale e genesi e caratteri della scienza moderna. La dimensione ermetica ha prevalso in genere su quella di tipo propriamente magico. Indubbiamente esistono rapporti molto stretti tra magia ed ermetismo, ed è difficilmente sostenibile la tesi già di A.-J. Festugière e poi di W. Scott di una distinzione essenziale tra ermetismo teologico ed ermetismo magico-astrologico, o fra ermetismo dotto ed ermetismo popolare, il quale si sarebbe mostrato disponibile a problematiche di tipo astrologico, magico o alchemico - insomma, al mondo delle scienze occulte. Basti pensare a esperienze come quelle di M. Ficino e Pico per comprendere che i rapporti tra l'uno e l'altro sono assai più complessi, e che ermetismo e magia sono potuti confluire in sintesi affascinanti. Ciò non toglie che dimensione magica e dimensione ermetica non siano immediatamente identificabili l'una con l'altra, e che si possano individuare posizioni magiche non risolte in una prospettiva filosofica (e teologica) di carattere ermetico. L'identificazione di ermetismo e magia - evidente, per es., in un libro pur importante come quello della Yates - ha prodotto invece una serie di conseguenze che, di fatto, ha dissolto, alla radice, il problema del rapporto tra R. e 'rivoluzione scientifica moderna': l'esperienza magica, analizzata mediante il filtro ermetico, è stata ridotta a una dimensione di tipo puramente religioso; pensatori che, pur intrattenendo un rapporto con l'ermetismo, hanno svolto - come, per es., Bruno - un'indagine di carattere magico dalle forti connotazioni naturalistiche sono stati integralmente risolti nella 'tradizione ermetica', risultando defilati, se non espulsi, dalle linee maestre del 'mondo moderno'; il problema del rapporto tra R. e 'rivoluzione scientifica moderna' - interpretato in chiave essenzialmente ermetica - si è risolto in una radicale perdita di peso, e di incidenza, dell'età umanistico-rinascimentale nel processo costitutivo del mondo e della scienza 'moderni'. Ciò non toglie, naturalmente, che fra la 'scienza' di Bacon e di G. Galilei e la magia di Bruno vi siano differenze profonde, e che, come è stato scritto, attraverso "la scienza e la tecnica fu avviata l'impresa (parzialmente attuata, ma certamente ancora in corso di sviluppo) di una unificazione culturale del mondo" (Rossi 2006, pp. 301-02). Una cosa, però, è identificare magia ed ermetismo, un'altra individuare i caratteri propri della magia naturalis - anzi della magia physica rinascimentale - e, in questo quadro, la funzione che essa può avere avuto nella costituzione del 'mondo moderno': problema ancora e sempre, paradossalmente, aperto. Un solo esempio, relativo a Bruno: "la rifondazione bruniana della magia niente, o molto poco, deve all'ermetismo e, in genere, a qualunque pretesa prisca teologia", è stato scritto, "e alle sue fonti, tutte molto prossime, Bruno contesterà proprio l'assunzione di un presupposto religioso e sapienziale, ossia 'ermetico', come garanzia legittimante della magia" (Perrone Compagni 2006, p. 92).
Nuove prospettive storiografiche
Se si considera il corso della fortuna del R. nel Novecento - e in modo particolare la discussione degli ultimi decenni -, un punto appare chiaro, anche in conseguenza dell'imporsi della centralità della 'rivoluzione scientifica moderna': la gloriosa visione del R. come aurora del mondo moderno - sistemata sul piano filosofico-storico dagli illuministi e ben salda nelle ricerche di J. Michelet e di Burckhardt - è declinata, fino a consumarsi in modo compiuto. Non sarebbe più possibile scrivere - come fece Cantimori agli inizi degli anni Trenta del 20° sec., interpretando il modo di sentire di molteplici generazioni - che quando si parla del R. si discorre di un'epoca che ci coinvolge direttamente, trattandosi di un mondo al quale chi lo studia sente, egli stesso, di appartenere. Una grande, straordinaria stagione degli studi sulla età umanistico-rinascimentale è finita, perché è finito quell'intreccio secolare tra problema del R. e problema delle 'origini del mondo moderno' che, come una sorta di linfa originaria, ha generato tanta parte della storiografia rinascimentale fino al 20° secolo. Il tramonto di un'epoca degli studi sul R. non ha significato, però, la fine del R. in quanto tale, come dimostra il fiorire degli studi sul piano filosofico, letterario, artistico e anche su quello filologico, sia in Europa sia negli Stati Uniti, per opera degli allievi di Kristeller (ai quali si deve anche il varo, e lo sviluppo, dell'importante serie I Tatti Renaissance Library, che comprende fra l'altro una traduzione in inglese della Theologia platonica di Ficino). La forte ripresa degli studi sull'età umanistica e rinascimentale ha contribuito a rimettere a fuoco in modi nuovi, oltre che figure di minore rilievo, esponenti di primo piano di quella cultura, come, per es., N. Machiavelli, delle cui opere fondamentali, dal Principe ai Discorsi, sono state allestite nuove edizioni critiche. Ma è soprattutto sulla seconda metà del Cinquecento e sui suoi esponenti di maggiore importanza che l'indagine si è maggiormente concentrata tra la fine del 20° e l'inizio del 21° sec., con un forte distacco da quelle che erano state le tendenze di fondo della storiografia umanistica della prima metà del Novecento, maggiormente impegnata a riportare in luce i nuclei di fondo della cultura quattrocentesca, assumendo come punto di vista privilegiato il rapporto tra 'filosofia' e 'vita civile'. In questo ambito di studi spiccano in modo particolare i contributi dati, sia sul piano ecdotico sia su quello critico, allo studio di autori come F. Patrizi, Bruno - del quale è stata avviata una nuova edizione di tutti gli scritti latini -, T. Campanella, G. Cardano e P. Sarpi, del quale sono state pubblicate in nuove edizioni le opere fondamentali, situandone la straordinaria figura oltre le polemiche di vario genere che ne hanno contraddistinto costantemente la fortuna lungo i secoli moderni. Vi è stato dunque un vero e proprio fiorire di studi, che ha illuminato in forme originali l'età nuova, rinnovando antiche immagini di autori classici e per certi aspetti un'intera epoca storica, della quale sono stati riproposti in modi nuovi sia la specifica autonomia sia i rapporti, densi anche di tensioni e di conflitti, con la cultura europea quale si è venuta svolgendo nei secoli seguenti.
Né questo fiorire degli studi stupisce: configuratosi prima come un 'mito', successivamente come categoria essenziale della 'coscienza' e della 'autobiografia' moderne, è nella profondità della storia italiana ed europea che il R. affonda le sue radici, traendone inesauribile energia e vitalità. Mutano i tempi, cambiano le prospettive, ma un punto resta chiaro: è con questa epoca - e con tutto ciò che essa ha rappresentato - che bisogna continuare a fare i conti, se si vogliono comprendere strutture di fondo dell'Italia e dell'Europa moderne. Tanto più si riuscirà a farlo quanto più si prenderà atto, sul piano storico e su quello storiografico, del tramonto dei 'miti' e delle 'ideologie' del passato.
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