RINIERI
(Berri). – Famiglia fiorentina di banchieri e mercanti attiva tra il XIII e il XVII secolo. Si hanno notizie frammentarie per i secoli precedenti al Quattrocento sulla loro origine e provenienza; il capostipite Berro ebbe almeno un figlio Ianni da cui discesero Bruno e Rinieri, e da quest’ultimo derivò, nel corso del XV secolo, il cognome.
Bruno e Rinieri, detto Neri, ‘campsores’ fino dal 1292 e immatricolati nell’arte del Cambio, fondarono una loro compagnia avente per soci anche i figli di Bruno (Vanni e Agnolo). Neri si era inoltre iscritto all’arte della lana nel 1286; fu priore nel 1284 e nel 1287, partecipò alla commissione dei quattordici ‘buoni uomini’ per compilare il nuovo statuto del capitano del Popolo e nel 1295 si schierò a favore di Giano della Bella. Fu socio fino al 1315 della compagnia bancaria di messer Giovanni Buiamonti, considerato da Dante grande usuraio (Inf. XVII), con Caccia Bonciani, Lapo Bentaccordi, Betto Becchi, Adimari Villanuzzi, Chele Grandoni e Piero Morelli.
Quando redasse il suo testamento, nel 1302, Neri nominò come esecutori il fratello, Piero Morelli e Maruccio Villanuzzi, in modo da chiudere il rapporto con la compagnia, esprimendo in un codicillo la volontà di restituire sessanta lire presi con l’usura a quanti ne avessero fatto richiesta, secondo il giudizio dell’abate di S. Pancrazio.
Neri ebbe due figli: Filippo (morto nel 1333) e Piero, che iniziarono la loro attività di banchieri agli inizi del Trecento, allorché entrarono nella compagnia dei Bardi, dapprima come praticanti e poi come fattori, curando gli interessi della società soprattutto all’estero. Percepirono un salario piuttosto elevato, inferiore solo a quello del direttore contabile Cino Ridolfi. Filippo, come scrisse Armando Sapori (1982), fece parte della compagnia dal 1° luglio 1309, raggiungendo lo stipendio di 116 lire e dal 1318 al 1323 tenne la ragione di corte ad Avignone. Ebbe almeno una figlia, Selvaggia, che fu multata dal Comune nel 1343 per possesso di abbigliamento di lusso. Piero, assunto nel 1314, raggiunse il massimo di 217 lire, oltre a ricevere nel biennio 1328-30 una regalia di 145 lire. Rimase al servizio dei Bardi fino al 1341. Visse in Inghilterra dall’agosto del 1324 al febbraio del 1326; si recò a Bologna nel 1329 e a Londra nel 1331.
Robert Davidsohn lo citò a proposito delle compagnie di mercanti fiorentini in Inghilterra, alle quali furono concesse nel 1318 dal Parlamento l’esenzione dai tributi e l’immunità. Probabilmente in questo periodo fondò una propria attività bancaria in territorio inglese.
Piero ebbe due figli maschi, Filippo e Luca (oltre a Sandra, maritata a Nofri di ser Piero di ser Grifo con una dote di 400 fiorini). Attorno al 1370 i due fratelli si trasferirono nel quartiere di S. Giovanni (popolo di S. Margherita) e lasciarono definitivamente il popolo di S. Pancrazio. Filippo, nato attorno al 1343, si immatricolò al Cambio prima del 1367 e all’arte della lana nel 1382. Fece compagnia con Bartolo Siminetti, Bardo Mancini, Gucciozzo Ricci e Matteo Alderotti (1367-72); con il fratello Luca (1373-93) e con messer Tommaso Soderini (1393-99). Nel 1380 fu console al Cambio. Ebbe per moglie Filippa di Zanobi d’Andrea di Borgognone, che gli fornì la dote di 600 fiorini, e in seguito Bartolomea di Salvestro Nardi. Dalle due unioni nacquero Antonio, Vaggia, Francesco, Salvestro e Filippa. Fece testamento nel 1410 e morì nel 1412, lasciando agli eredi un patrimonio piuttosto consistente, nonostante la divisione fatta con il fratello Luca nel 1393.
Dall’inventario degli Ufficiali dei Pupilli si comprende che l’abitazione nel popolo di Santa Margherita consisteva in più stanze su diversi piani, compresa una torre, e che il mercante godeva di un reddito elevato: possedeva, infatti, vesti in stoffe pregiate, gioielli, «una tavola di Nostra Donna bella cogli sportelli» (Archivio di Stato di Firenze, Magistrato dei Pupilli avanti il Principato, 22, c. 230v) e diversi libri di autori antichi e coevi (Cicerone, Seneca, Dante, Marco Polo) oltre a una carta nautica.
Il figlio maggiore di Filippo, Antonio (nato nel 1391), immatricolato all’arte del Cambio nel 1407, continuò l’attività familiare di banchiere con i fratelli Francesco (nato nel 1404) e Salvestro (nato nel 1407), immatricolati nel 1424. Sposò Caterina di Rinieri Peruzzi ed ebbe Giovanni, Filippo e Francesco. Salvestro, iscritto anche all’arte della lana nel 1429, si sposò con Lena di Giovanni Cortigiani ed ebbe due figlie. Luca di Piero, il fratello minore di Filippo, nacque nel 1347. Immatricolatosi nelle arti del Cambio e della lana, fece compagnia con il fratello fino al 1393, poi si mise in proprio. Fu priore nel 1380. Sposò Agostanza di Domenico di Berto d’Ugolino con dote di 750 fiorini e successivamente una certa Nanna. Ebbe diversi figli: Rinieri (nato nel 1382), Stoldo (1389-1431), Cristoforo, morto precocemente, Bartolomeo (1393-1438) e Niccolosa, maritata a Bartolomeo Carducci.
Stando alla dichiarazione fiscale del 1427, il patrimonio di Luca ammontava a 33.717 fiorini, e il valsente, tolti gli incarichi, era di 18.663; abitava nel popolo di S. Michele Visdomini, possedeva proprietà immobiliari in contado e aveva una filiale del banco a Pisa. Ebbe rapporti bancari con varie società (Villani di Londra, Spini, Serragli, Della Casa, Mazzinghi, Lamberteschi), e si inserì nel commercio di panni lani e sirici, importandoli da Maiorca, San Matteo, Inghilterra, Francia. Nel testamento, redatto da Giovanni Beltramini nel 1431, venne citato ancora con il cognome Berri. L’atto, complesso e articolato, ci permette di comprendere lo spessore del mercante, che investì il figlio Bartolomeo di una serie di incarichi per provvedere in modo equo ai figli di Stoldo, a lui premorto, e a Rinieri di salute malferma, al quale lasciò un vitalizio di 3000 fiorini e beni immobili.
Stoldo di Luca, coniugato con Diamante di Gualtieri Portinari e poi con Antonia di Filippo Arrigucci, ebbe Filippo (1416-1480), Piera e Sandra, maritate a Bardo Altoviti e Salvestro Pitti, e Bernardo (1427-1508). Suo fratello Bartolomeo, iscritto all’arte del Cambio fino dal 1413, ne fu console nel 1430 e nel 1434 e, nel 1435, ricoprì la carica di priore. Dal matrimonio con Tita di Giovanni Corsini ebbe Galeotto e Luca (nato nel 1432). Filippo di Stoldo, immatricolato al Cambio nel 1429, ne fu console nel 1446, 1448 e 1461. Nel 1448 si immatricolò anche nell’arte della seta. Rivestì incarichi pubblici in veste di priore (1451), gonfaloniere di compagnia (1452) e vicario di Lari nel 1476. Coniugato con Piera di messer Giannozzo Pandolfini e di Nanna Valori ebbe undici figli tra cui Stoldo, Giannozzo e Tommaso. Suo fratello Bernardo di Stoldo, iscritto alle arti del Cambio nel 1444, della lana nel 1433 e della seta nel 1463, fu a sua volta priore nel 1464 e dei Buonuomini nel 1465. Si sposò con Bartolomea (1444-1486) di Dietisalvi Neroni e di Margherita Ginori, con dote di 1500 fiorini, e, alla sua morte, con Oretta di Saracino Pucci (morta nel 1507). Ebbe Lucrezia, Antonia, Margherita (coniugate rispettivamente a Gentile Sassetti, Niccolò Altoviti e Francesco Niccolini), Cassandra, Francesco (1463-1503), sposato con Caterina d’Andrea Agli, da cui discesero Maria e Andrea (nato nel 1499), Cristoforo (1478-1553), coniugato con Francesca di Corrado Berardi e di Caterina Corsi e, infine, Bartolomea, maritata a Mariotto Carducci.
Siamo in grado di conoscere più eventi della vita privata e pubblica di Bernardo di Stoldo Rinieri grazie alle ‘ricordanze’, che compilò nella seconda parte di un libro contabile. Era considerato banchiere oculato e onesto, tanto che fu tra i consiglieri chiamati a riformare la monetazione nel 1481. Bernardo fece, inoltre, compagnia d’arte di lana di garbo con Francesco Neretti e Paolo Frescobaldi (1468-73).
Luca di Bartolomeo, console al Cambio nel 1475 e nel 1481, si sposò con Giovanna di Filippo Tornabuoni e di Lena Della Stufa ed ebbe otto figli maschi tra cui Bartolomeo, Galeotto, Giorgio (sposato a sua volta con Lisa di Neri Compagni), e le figlie Dianora, Oretta, Tita e Lena, maritate rispettivamente con Giovanni Guicciardini, Antonio Pazzi, Giovanni Albizzi e Francesco Della Casa. Cristoforo, subentrato al padre Bernardo, gestì gli affari di Firenze e di Lione, dove mandò il nipote Andrea; in seguito, quando entrarono a far parte della società i figli Bernardo e Dietisalvi (morto il 1572), li inviò in Germania e ad Anversa per curarvi gli interessi. È con lui che una dinastia di mercanti-banchieri si trasformerà in amministratori statali, tanto che nel 1543 sarà senatore granducale.
Nel complesso panorama politico fiorentino, la posizione politica ed economica dei Rinieri (che ebbero sepolture in S. Maria Novella – sulla piazza, sul fianco e nel chiostro di S. Benedetto – e in S. Michele Visdomini) può essere ricostruita solo a partire dal Quattrocento; all’epoca Verino definì i Rinieri come antichi e ricchi mercanti del sestiere di S. Pancrazio. I Rinieri adottarono dalla fine del XIV secolo un comportamento equidistante dalle alternanze politiche nel governo cittadino, in modo da non subire perdite nell’attività, nonostante legami di parentado e di affari li avvicinassero a personaggi ritenuti amici o nemici della fazione dominante. Nella seconda metà del Quattrocento ebbero una posizione di grande prestigio e il loro banco fu considerato tra i quattro o cinque più solidi, come affermò nel 1446 Giovanni Benci, direttore generale del banco Medici, in una lettera a Gerozzo Pigli. Parteciparono, anche se sporadicamente, alla vita pubblica con incarichi a priori, buonuomini, gonfalonieri di compagnia e consoli nelle arti (Cambio e lana). Furono patroni della chiesa di S. Cristoforo a Novoli insieme con Giachinotti e Tornaquinci e, nonostante la cessione a Marsilio Ficino, voluta da Lorenzo de’ Medici nel 1473, tennero il beneficio almeno fino al 1529.
I Rinieri ebbero anche una compartecipazione nella compagnia d’arte di seta di Matteo Morelli e dal 1463 ne formarono una propria con Niccolò Bartolini, che durò fino al 1486.La società bancaria familiare fu attiva dal 1446 al 1493 in Firenze e Pisa, con traffici di mercanzie di più generi ad Avignone, Londra, Siviglia e Spagna, Pisa e la Maremma, Napoli e Puglia. Gestì gli interessi di Luca e Miniato Del Sera, di Bardo Altoviti, di Guglielmo Serristori ad Avignone, d’Agnolo Niccolini, d’Antonio Boni e del Cancelliere della Repubblica Bartolomeo Scala. Il banco fallì nel 1489, ma continuò l’attività fino al 1493 a nome di Stoldo di Filippo e Bernardo. La compagnia di Pisa fu ereditata da Giorgio di Luca. I Rinieri si estinsero nel 1640 con Bernardo discendente di Cristoforo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Arte del Cambio, 14, 15, 16; Arte della Lana, 46; Catasto, 81, cc. 21, 90r-94v; Corporazioni religiose soppresse dal governo francese, 95, 212; 220; Diplomatico, S. Maria Novella, Lunghe, 11 agosto 1301; Normali, 26 aprile 1326; Normali, 30 gennaio 1393; Magistrato dei Pupilli avanti il Principato, 22, cc. 229r-233v; Manoscritti, 542; 624, II, 1356, n. 49; Mediceo avanti il Principato, 94, n. 134, cc. 214 s.; Mercanzia, 10831, 10832; Notarile Antecosimiano, 1216, c. 839; 2195, c. n.n.; 3015, c. 484; 4416, c. 111r; 9645, c. 31r; 13364, cc. 5, 11, 61, 88, 104; 13958, cc. 240v-245r; Priorista Mariani, I, c. 102; Raccolta Sebregondi, 4500; Lorenzo de’ Medici, Lettere, IX, a cura di H. Butters, Firenze 2002; Ser Matteo di Biliotto. Imbreviature. I Registro (anni 1294-1296) a cura di M. Soffici - F. Sznura, Firenze 2002, pp. 326, 870 s., 883, 887.
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