Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
La Corte europea dei diritti dell’uomo affronta il tema della legittimità della condanna, in grado d’impugnazione, dell’imputato prosciolto in primo grado, rilevando, tanto nel caso Dan, quanto nel caso Moldoveanu, la violazione dell’art. 6, § 1, CEDU per avere il giudice condannato senza dare vita a nuova escussione dei testimoni già esaminati in primo grado. Con la pronuncia Moldoveanu, inoltre, la C. eur. dir. uomo rimarca altresì la violazione dell’art. 6, § 3, CEDU per l’essere stato “calpestato”, da parte della Suprema Corte nazionale, il diritto di «difendersi» – recte: «right to legal assistance» – protetto dalla lett. c).
Con le recenti pronunce Dan c. Moldavia1 e Moldoveanu c. Romania2, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato la questione avente a oggetto la legittimità della condanna, in grado d’impugnazione, dell’imputato precedentemente prosciolto.
1.1 L’appellabilità delle sentenze di proscioglimento
Nella propria originaria formulazione, come noto, l’art. 593, co. 1, c.p.p. prescriveva che, «il [p.m.] p[otesse] appellare [tanto] le sentenze di condanna [quanto, per quel che qui importa, le sentenze] di proscioglimento».
Aspramente criticata dalla letteratura3, la statuizione in commento s’appalesava effettivamente inidonea a proteggere l’imputato, prosciolto in primo grado, dall’alea d’essere condannato in grado d’appello, con conseguente impossibilità d’ottenere il riesame del merito della condanna.
Su questo sfondo, interveniva, in subiecta materia, la cd. legge “Pecorella” – l. 20.2.2006, n. 46 –, che, bypassando le soluzioni prospettate e in giurisprudenza4 e in dottrina5, risagomava l’art. 593, co. 1 e 2, c.p.p., optando in favore della drastica restrizione del potere d’impugnazione proprio dell’inquirente: a mente del “nuovo” art. 593, co. 2, c.p.p., infatti, questi avrebbe potuto proporre appello contro le sentenze di proscioglimento nelle ipotesi previste dall’art. 603, co. 2, c.p.p. e solamente laddove la nuova prova fosse stata decisiva.
«Nata sotto una cattiva stella», la prefata legge6 veniva “decapitata” dalla sentenza costituzionale n. 26/20077, che ne millantava l’illegittimità costituzionale per contrasto col principio di parità delle parti (arg. ex art. 111, co. 2, Cost.).
Censurabile nella sostanza e contraddittoria nella motivazione8, l’anzidetta pronuncia, più specificamente, dichiarava «l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, [l.] 20 febbraio 2006, n. 46 … nella parte in cui … esclude[va] che il [p.m.] po[tesse] appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’[art.] 603, co. 2, [c.p.p.], se la nuova prova [era] decisiva».
Allo stato attuale della legislazione in materia, dunque, l’inquirente potrà nuovamente proporre appello altresì contro le sentenze di proscioglimento emesse all’esito del giudizio di primo grado.
Con l’aggravante che, per quanto l’attuale codice di procedura penale presenti caratura tendenzialmente accusatoria, le impugnazioni restano procedure improntate all’inquisitorietà9.
Ciò vale, in ispecie, per l’appello, che pure può concludersi con la condanna dell’imputato prosciolto in prima battuta. Con una condanna, cioè, che, se irrogata, preclude, in sede di giudizio di legittimità, qualsivoglia eccezione difensiva di merito che un’accorta motivazione abbia saputo “emarginare”10.
1.2 La rinnovazione istruttoria in grado d’appello
La qual cosa è destinata a suscitare profonde perplessità laddove si considerino gli attuali assetti, legislativi e giurisprudenziali, in materia, poiché la rinnovazione istruttoria in grado d’appello è rimedio eccezionale11, l’esperibilità del quale s’appalesa possibile unicamente nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 603 c.p.p.
In quest’ottica, essa potrà essere ordinata unicamente laddove il giudice ritenga «di non essere in grado di decidere allo stato degli atti» (co. 1) ovvero laddove il giudice «la rit[enga] assolutamente necessaria» (co. 3).
A meno che a venire in emergenza non sia una «nuov[a] prov[a] sopravvenut[a] o scopert[a] dopo il giudizio di primo grado»: in siffatta ipotesi – «di singolare rarità12» – infatti, «il giudice dispo[rrà] la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’[art.] 495, co. 1, [c.p.p.]» (co. 2).
La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sarà ordinata altresì laddove l’imputato, contumace in primo grado, ne faccia richiesta, «prova[ndo] di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o per non avere avuto [senza colpa] conoscenza del decreto di citazione». Identica ordinanza il giudice d’appello adotterà qualora «l’atto di citazione per il giudizio di primo grado [sia] stato notificato mediante consegna al difensore» e l’imputato contumace «non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento» (co. 4).
Se, per un verso, è dato constatare come ogni procedura penale pretenda, in primo grado, la celebrazione di (almeno) un’udienza13, per l’altro verso, non sembra revocabile in dubbio che siffatta esigenza s’attenui in grado d’appello o di cassazione14.
Va, però, osservato come, in ambito sovranazionale, nessuno dubiti del fatto che l’udienza pubblica debba essere celebrata “sempre e comunque” laddove la giurisdizione superiore risulti chiamata a (ri)esaminare i fatti, nonché a pronunciarsi sulla colpevolezza/innocenza del prevenuto15.
E, se, pure, corrisponde a verità che la Corte di cassazione, per sua stessa natura, è sovente chiamata a vagliare esclusivamente la corretta applicazione della legge16, non può, per questo solo, escludersi che la stessa, nel verificare la correttezza della motivazione addotta dal giudice di merito, non possa altresì pronunciarsi in relazione a questioni fattuali17.
2.1 L’art. 2, prot. n. 7, CEDU
Sotto altro profilo, preme osservare come l’art. 2, prot. n. 7, CEDU preveda, di regola, il diritto d’ogni persona condannata «di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore» (§ 1).
Di regola – si diceva –, posto che, per espressa ammissione convenzionale, esso diritto «può essere oggetto di eccezioni» anche laddove «l’interessato [sia] stato … dichiarato colpevole e condannato a seguito di un ricorso avverso il suo proscioglimento» (§ 2).
E, per quanto l’aperto riconoscimento del «[d]iritto a un doppio grado di giurisdizione in materia penale» configuri, senza dubbio alcuno, importante rafforzamento delle garanzie processuali apprestate dalla Convenzione, non sembra revocabile in dubbio che, nell’ottica del giudice sovranazionale, esso diritto sia garantito anche laddove lo Stato contraente si “limiti” a prevedere rimedi di mera legittimità18.
Già “patrimonio” della giurisprudenza costituzionale italiana19, l’affermazione che precede è stata avallata altresì dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, cristalline nell’osservare che le convenzioni internazionali «non esigono un ulteriore grado di giudizio di merito»20.
Nello stesso senso parevano opinare, ancora recentemente, i giudici di Strasburgo, inclini a giudicare manifestamente infondati i ricorsi presentati contro sentenze di condanna in grado d’impugnazione emesse da «organ[i] priv[i] di poteri di cognizione e decisione sul merito»21.
2.2 L’art. 6, § 3, CEDU. Il «right to legal assistance»
Elemento fondamentale proprio dell’equità processuale22, il diritto di «difendersi personalmente o [tramite] l’assistenza di un difensore di [propria] scelta» può essere ristretto esclusivamente «per validi motivi» da vagliarsi caso per caso23.
Garantito «fin dai primi momenti dell’interrogatorio di polizia»24, esso diritto deve scandire i vari stati processuali, caratterizzando tanto la fase deputata alla ricerca della prova, quanto quella improntata alla discussione finale della causa25.
Dovendo essere i diritti accordati dall’art. 6, § 3, CEDU «concreti e effettivi», peraltro, la mera nomina del difensore d’ufficio all’imputato che sia (o resti) privo del difensore di fiducia «non assicura, di per sé sola, l’efficacia della difesa»26.
2.3 Il diritto d’esaminare i testimoni a carico
Repertori giurisprudenziali alla mano, devesi constatare come, nell’ottica del giudice di Strasburgo, testimone a carico sia qualsivoglia persona che «rend[a] dichiarazioni suscettibili di costituire materiale probatorio» su cui fondare, in tutto o in parte, la condanna27.
2.4 I casi Dan c. Moldavia e Moldoveanu c. Romania
Se quanto precede è corretto, entrambe le pronunce che qui ci occupano devono allora essere salutate con assoluto favore, incorporando significative aperture in chiave garantista.
Sulla scorta di quanto isolatamente affermato dalla pronuncia Destrehem del 200428, infatti, con la pronuncia Dan, la C. eur. dir. uomo ha condannato la Moldavia per violazione dell’art. 6, § 1, CEDU.
Dopo avere osservato come l’intervenuta condanna in grado d’appello del ricorrente precedentemente prosciolto, senza procedere a nuova escussione dei testimoni già esaminati in primo grado, violi il canone dell’equità processuale, il giudice sovranazionale ha acclarato che «chi è chiamato a decidere sulla colpevolezza d’un individuo deve, in linea di principio, sentire i testimoni di persona, per valutarne la credibilità». Vagliare l’«affidabilità delle fonti di prova», infatti, è «compito complesso», che non può essere correttamente assolto attraverso la «mera rilettura» – «mere… reli[ance]» – delle dichiarazioni verbalizzate durante il processo di primo grado – «on [the witnesses’] statements as recorded in the file» –.
A non dissimili conclusioni il giudice convenzionale è approdato pure nel recente caso Moldoveanu – cittadino rumeno prosciolto in grado d’appello e condannato avanti la Suprema Corte –, nell’ambito del quale è stata altresì affermata la violazione del § 3 dell’art. 6 CEDU per l’essere stato “calpestato” il diritto di «difendersi» – recte: «right to legal assistance» – protetto dalla lett. c).
Che, nell’ambito del codice di procedura penale italiano, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado d’appello rappresenti istituto ancorato a logiche eccezionali è affermazione indiscussa in giurisprudenza29. Nell’ottica della Corte di cassazione, infatti, il processo d’appello è (e resta) «un giudizio caratterizzato dal controllo prevalentemente cartolare di quanto verificatosi in prime cure»30.
E, se, per un verso, è dato constatare che il giudice di seconde cure non è nemmeno tenuto a motivare, in negativo, le ragioni che hanno generato il rigetto della correlativa richiesta di rinnovazione istruttoria in grado d’appello31, per l’altro verso, devesi rimarcare come il potere di (non) ordinare essa rinnovazione, proprio «in ragione della sua natura discrezionale», “sfugga” a qualsivoglia sindacato di legittimità32.
Ancor meno garantisti gli attuali assetti legislativi in materia s’appalesano laddove s’abbia riguardo alla tematica propria della rinnovazione istruttoria in grado d’appello prevista dal citato art. 603, co. 4, c.p.p.
Nonostante le numerose condanne inflitte all’Italia33, infatti, nel “ragionare” d’impugnazioni e processo in absentia, s’è costretti ancora oggi a convenire con chi afferma(va), in termini perentori, che «[l]’unica seria garanzia che il nostro ordinamento appresta nei confronti del contumace [sia] rappresentat[a] dall’avviso di deposito con l’estratto della sentenza che deve essere “in ogni caso” notificato all[o stesso]»34. Perché, anche dopo l’intervenuto restyling dell’art. 175 c.p.p., il contumace che voglia appellare la sentenza resa in absentia, contestualmente lucrando la rinnovazione istruttoria in grado d’appello, dovrà comunque provare di avere incolpevolmente ignorato l’esistenza del decreto di citazione a giudizio di primo grado.
S’è visto supra come, (anche) nell’ambito del nostro sistema processuale, possa accadere che l’imputato sia condannato, per la prima volta, in grado d’appello. In siffatte ipotesi, l’anzidetta condanna preclude, in sede di giudizio di legittimità, qualsivoglia eccezione difensiva di merito.
La conclusione che precede è stata avallata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, che hanno espressamente escluso che la Suprema Corte possa accedere agli atti processuali e effettuare una cognitio facti ex actis anche laddove l’imputato, prosciolto in primo grado e condannato, su ricorso presentato dal p.m., in grado d’appello, pretenda si vaglino compendi probatori decisivi per (ri)affermarne l’innocenza35.
Se questi sono, ancora oggi, gli assetti, legislativi e giurisprudenziali, in materia, non possono allora non “riecheggiare” alla mente gli autorevoli moniti di chi, già all’indomani della sentenza costituzionale n. 26/2007, auspicava si imponesse al giudice d’appello che condanni il prosciolto (quanto meno) «un onere rinforzato di motivazione», cui faccia da pendant «un controllo più penetrante in Cassazione che tenga conto dell’intero sviluppo procedimentale», nonché, soprattutto, «delle due – contrastanti – decisioni». Ciò tanto più ove, come nel (duplice) caso di specie, «il nuovo giudizio non consegua ad una rinnovazione probatoria»36.
Come è stato correttamente osservato, infatti, il primo «element[o] per valutare il grado di civiltà di un Paese [non può che essere] rappresentato proprio dalla possibilità di intervenire a presidio della decisione ingiusta al fine di scongiurare in via definitiva l’errore giudiziario»37.
Sotto altro angolo visuale, profonde perplessità suscitano altresì gli attuali assetti giurisprudenziali in materia di diritto di difesa (tecnica).
Diretta emanazione del diritto, di rango primario, sancito dall’art. 24, co. 2 ,Cost., la difesa tecnica s’appalesa, per sua stessa natura, irrinunciabile. Di qui l’assoluta importanza da assegnarsi, in chiave garantista, alla previsione dell’art. 96 c.p.p.
Non di meno, per quanto la migliore dottrina concordi nel rifiutare paradigmi improntati a «gratuit[i] rigorism[i]»38, che conducano a negare validità a nomine la cui forma consenta comunque di apprezzare chiaramente la volontà dell’imputato di conferire l’incarico, residuano, in ambito nazionale, esegesi di matrice pretoria che escludono, siccome irrituale, la validità della nomina del difensore di fiducia trasmessa mediante telegramma39 o mediante telefax40.
Quanto sopra in contesto in cui, consentendo la trasmissione del documento «con raccomandata» (art. 96, co. 2, c.p.p.), il codificatore ha evidentemente inteso schiudere la via a modalità di spedizione certificate, non già quanto ad identità del soggetto che conferisce il mandato defensionale, bensì «quanto a[d] effettività del risultato ottenuto»41.
Se quanto precede è corretto, sembra allora doveroso rifiutare – anche alla luce di quanto espressamente stabilito in merito e dall’art. 6, § 3, CEDU e dall’art. 14, § 3, lett. d), PIDCP (Pacto Internacional de Derechos Civiles y Politicos) – ogni rigorismo giurisprudenziale che conduca a negare validità a nomine fiduciarie la cui forma permetta comunque di apprezzare chiaramente la sottostante volontà di nominare il difensore di fiducia.
Proteso a impedire che lo status detentionis si traduca in menomazioni processuali, l’art. 123 c.p.p. accorda alla persona, detenuta o internata, la facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni e richieste direttamente all’amministrazione penitenziaria ovvero alla polizia giudiziara, annullando gli effetti connessi allo sterile lasso cronologico necessario al perfezionamento dell’inoltro dell’atto all’autorità giudiziaria.
Se, vigente il codice Rocco, la Corte di cassazione era incline a subordinare l’efficacia della dichiarazione di nomina del difensore di fiducia effettuata nelle forme anzidette all’effettiva conoscenza che della stessa avesse l’autorità giudiziaria procedente42, varato il codice Vassalli, s’è finalmente affermata l’immediata efficacia della nomina del difensore di fiducia43.
Il citato principio di diritto, non di meno, appare, ancora oggi, osteggiato da quella giurisprudenza di legittimità – incline ad affermare che l’avviso al difensore della data fissata per il compimento dell’atto sia dovuto unicamente «a chi rivest[a tale] qualità … nel momento in cui l’atto è disposto dall’ufficio giudiziario e non anche a chi tale qualità acquisti successivamente»44 – che, così opinando, incomprensibilmente “scarica” sull’indagato/imputato errori e/o omissioni imputabili, in via esclusiva, alla pubblica amministrazione.
Perplessità suscita altresì l’istituto della difesa officiosa, che «non assicura, di per sé sola, l’efficacia della difesa»45.
Concepito, già a monte, quale istituto proteso a sanare «soluzioni di continuità nell’assistenza difensiva tecnica»46, nonostante il restyling operato dalla l. 6.3.2001, n. 60, esso “continua” a rappresentare, ancora oggi – come la prassi operativa sovente attesta –, nient’altro che un mero meccanismo “sussidiario”, spesso inidoneo a garantire quell’effettività imposta dalle Carte sovranazionali.
1 C. eur. dir. uomo, 5.7.2011, Dan c. Moldavia.
2 C. eur. dir. uomo, 19.6.2012, Moldoveanu c. Romania.
3 Ferrua, P., Garanzie del giusto processo e riforma costituzionale, in Crit. dir., 1998, 164; Frigo, G., Il “giusto processo” penale: bilanci e prospettive, in Il giusto processo, 2002, 26; Coppi, F., No all’appello del p.m. dopo la sentenza di assoluzione, in Il giusto processo, 2003, 30; Padovani, T., Il doppio grado di giurisdizione. Appello dell’imputato, appello del p.m. principio del contraddittorio, cit., 4032; Stella, F., Sul divieto per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione, in Cass. pen., 2004, 756; Nuzzo, F., De profundis per l’appello del pubblico ministero contro le sentenze di assoluzione, in Cass. pen., 2004, 3910.
4 Cass. pen., S.U., 30.10.2003, Andreotti, in Cass. pen., 2004, 838, con nota di Carcano, D., Brevi note sulle regole che governano il processo penale, nonché in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, 590, con nota di Lozzi, G., Reformatio in peius del giudice di appello e cognitio facti ex actis della Corte di cassazione.
5 Lozzi, G., Reformatio in peius del giudice di appello e cognitio facti ex actis della Corte di cassazione, cit., 641; Ferrua, P., La ristrutturazione del processo penale in cerca d’autore, in Questione giust., 2005, 4, 791; Tonini, P., Manuale di procedura penale, VII ed., Milano, 2006, 729.
6 Filippi, L., La Corte costituzionale disegna un processo accusatorio “all’italiana”, in Il nuovo regime delle impugnazioni tra Corte costituzionale e Sezioni Unite, Filippi, L., a cura di, Padova, 2007, 1.
7 C. Cost., 6 .2.2007, n. 26, in Giur. cost., 2007, 1, 221, con nota di Bargi, A.-Gaito, A., Il ritorno della Consulta alla cultura processuale inquisitoria (a proposito della funzione del p.m. nelle impugnazioni penali) e di Caprioli, F., Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento e “parità delle armi” nel processo penale.
8 Si veda, in proposito, Tonini, P., La illegittimità costituzionale del divieto di appellare il proscioglimento. Una pronuncia discutibile che genera ulteriori problemi, in AA.VV., Il nuovo regime delle impugnazioni tra Corte costituzionale e Sezioni Unite, Filippi, L., a cura di, Padova, 2007, 352.
9 Padovani, T., Il doppio grado di giurisdizione. Appello dell’imputato, appello del p.m. principio del contraddittorio, in Cass. pen., 2003, 4031.
10 Ferrua, P., Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992, 151 e ss.
11 Cass. pen., S.U., 24.1.1996, Panigoni, in Cass. pen., 1996, 2892.
12 Padovani, T., Il doppio grado di giurisdizione. Appello dell’imputato, appello del p.m. principio del contraddittorio, cit., 4030.
13 C. eur. dir. uomo, 23.11.2006, Jussila c. Finlandia; C. eur. dir. uomo, 25.2.1997, Findlay c. Regno Unito.
14 C. eur. dir. uomo, 18.10.2006, Hermi c. Italia.
15 C. eur. dir. uomo, 16.11.2010, Garcìa Ernàndez c. Spagna.
16 C. eur. dir. uomo, 28.9.1999, Civet c.Francia.
17 C. eur. dir. uomo, 24.6.2010, Mancel e Branquart c. Francia.
18 C. eur. dir. uomo, 30.5.2000, Loewenguth c. Francia.
19 Corte Cost., 30.7.1997, n. 288, in Dir. pen. e processo, 1998, 726.
20 Cass. pen., S.U., 30.10.2003, Andreotti, cit.
21 Comm. eur. dir. uomo, 17.1.1994, Botten c. Norvegia.
22 C. eur. dir. uomo, 2.3.2010, Adamkiewicz c. Polonia.
23 C. eur. dir. uomo, 20.6.2002, Berlinsky c. Polonia.
24 C. eur. dir. uomo, 20.6.2002, Berlinsky c. Polonia, cit.; C. eur. dir. uomo, 16 ottobre 2001, Brennan c. Regno Unito.
25 C. eur. dir. uomo, 2.3.2010, Adamkiewicz c. Polonia, cit.
26 C. eur. dir. uomo, 13.5.1980, Artico c. Italia.
27 C. eur. dir. uomo, 27.1.2009, Mika c. Svezia.
28 C. eur. dir. uomo, 18.5.2004, Destrehem c. Francia.
29 Cass. pen., S.U., 24.1.1996, Panigoni, cit.
30 Cass. pen., sez. III, 5.4.2001, Santeramo, in Guida dir., 2001, n. 16, 9.
31 Cass. pen., sez. V, 18.3.2003, Prospero, in CED Cass., 225633.
32 Cass. pen., IV, 19.2.2004, Montanari, in CED Cass., 228353.
33 C. eur. dir. uomo, 12 .2.1985, Colozza c. Italia; C. eur. dir. uomo, 18.5.2004, Somogyi c. Italia; C. eur. dir. uomo, 10.11.2004, Sejdovic c. Italia.
34 Filippi, L., Il processo in absentia, in Equo processo. Normativa italiana ed europea a confronto, Filippi, L., a cura di, Padova, 2006, 235.
35 Cass. pen., S.U., 30.10.2003, Andreotti, cit.
36 Spangher, G., Poche – e confuse – idee per una riforma dell’appello, in Il nuovo regime delle impugnazioni tra Corte costituzionale e Sezioni Unite, Filippi, L., a cura di, Padova, 2007, 361.
37 Furfaro, S.-Giunchedi, F., La “parità delle armi” tra Costituzione, diritto sovranazionale e alchimie interpretative, in La disciplina delle impugnazioni tra riforma e controriforma. L’incostituzionalità parziale della “legge Pecorella”, Gaito, A., a cura di, Torino, 2007, 36.
38 Cordero, F., Procedura penale, VIII ed., Milano, 2006, 289.
39 Cass. pen., sez. I, 21.6.1996, Chianese, in CED Cass., 205371.
40 Cass. pen., sez. I, 18.1.2000, Nocera, in Cass. pen., 2001, 1269, nonché Cass. pen., sez. I, 19.11.1999, Aliberto, in Cass. pen., 2000, 3347.
41 In questi termini, Ricci, A., Il difensore, in Trattato di procedura penale, Spangher, G., diretto da, vol. I, Soggetti e atti, t. I, I soggetti, Dean, G., a cura di, Torino, 2009, 689.
42 Cass. pen., sez. I, 3.3.1988, Viglianesi, in CED Cass., 178112; Cass. pen., sez. IV, 16.11.1984, Tortorici, in Cass. pen., 1985, 2265.
43 Cass. pen., S.U., 26.3.1997, Procopio, in Dir. pen. e processo, 1998, 1555, con nota di Gasparini, A., Immediatamente efficace la nomina del difensore presso lo stabilimento carcerario, nonché in Guida dir., 1997, n. 40, 74, con nota di Frigo, G., La nullità dell’interrogatorio di garanzia può interrompere la custodia cautelare.
44 In questi termini, già Cass. pen., sez. II, 9.3.2001, Peepertual, in CED Cass., 218881.
45 C. eur. dir. uomo, 13.5.1980, Artico c. Italia, cit.
46 Ricci, A., Il difensore, cit., 731.