LECA, Rinuccio da
Nacque probabilmente nei primi anni Ottanta del Trecento, figlio di Nicolò (Nicheroso) di Restoruccio; è ignoto il nome della madre.
Il padre apparteneva a una delle cinque dinastie dei cosiddetti Cinarchesi, baroni della parte meridionale della Corsica (il "paese di là dei monti") che si dicevano discendenti del leggendario Cinarco, figlio del conte romano Ugo Colonna, inviato nell'VIII secolo da papa Stefano IV a liberare l'isola dai Saraceni. La casata traeva il proprio nome dal castello di Leca, situato nella valle di Porto, a strapiombo sulle gole della Spelonca, presso Evisa, nella Corsica occidentale. La fortezza, eretta (o forse riedificata) alla metà del XIV secolo dal conte Arrigo di Cinarca fu da questo destinata al nipote Restoruccio, avo del L. e capostipite dei signori di Leca. Le sorti della casata non furono però agli inizi particolarmente fortunate. Il padre del L., Nicolò, aveva militato nella fazione dei restignacci (l'equivalente corso del partito ghibellino) e nelle lotte con i rivali casonacci aveva perso tutti i suoi possedimenti, in buona parte situati nella pieve di Vico, né era in seguito riuscito a recuperarli, nonostante il favore accordatogli dal conte Arrigo Della Rocca. Così, privi di una signoria territoriale propria, i Leca furono a lungo considerati alla stregua di "privati gentilhomini di cui non si faceva menzione" (Della Grossa, p. 237), vivendo sotto la protezione dei modesti signori del castello di Lisa, presso l'odierna Ajaccio.
A innalzare le sorti della famiglia fu proprio il L., vero e proprio fondatore della potenza familiare. Egli manifestò fin dalla prima giovinezza notevoli qualità fisiche e intellettive, tanto da attirare su di sé il sospetto di Vincentello (I) d'Istria, dal 1407 conte di Corsica. Arrestato su suo ordine e poco dopo rilasciato, il L. impegnò tutte le sue energie per costituirsi un seguito di amici e partigiani e, possibilmente, una base territoriale da dove operare. Impadronitosi della forte posizione della rocca di Sia, nel golfo di Porto, da lui fatta fortificare, egli respinse tutti i tentativi del conte di riprenderne il controllo, riuscendo a ottenere - forse nel 1412 - l'autorizzazione a conservarne il possesso, senza che ciò comportasse la costituzione di una signoria autonoma. Questa concessione non gli impedì, l'anno dopo, di mettersi al servizio di Raffaele Montaldo, inviato da Genova per riprendere il dominio della Terra di Comune, cioè della parte settentrionale dell'isola. A fianco del Montaldo il L. partecipò alla vittoriosa battaglia di Mariana e quindi, ricevuto il comando di un corpo di truppe corse al soldo di Genova, penetrò nel "paese di là dei monti", nella pieve di Vico, dov'erano stati i possedimenti paterni. I "caporali" (capifazione popolari) che lo accompagnavano in questa spedizione si fecero però corrompere da Vincentello (I) d'Istria, così che il L., abbandonato dal grosso del suo esercito, dovette rifugiarsi nella rocca di Sia. Assediato dal conte venne a patti con lui, promettendogli amicizia, ma nel 1416 la fortunata campagna militare del nuovo governatore genovese della Corsica, Abramo Fregoso - fratello del doge Tommaso -, riportò tutto il territorio cinarchese sotto il diretto dominio di Genova.
Nuovamente ridotto a "privato cavallero" (Della Grossa, p. 265), il L. seppe tuttavia abilmente approfittare dei disordini che seguirono il ritorno di Abramo a Genova così che, nel maggio 1418, non solo recuperò la rocca di Sia, ma riuscì a insignorirsi delle pievi di Salogna e di Vico. Quando nel 1419 Vincentello (I) d'Istria fece ritorno nell'isola quale viceré di Alfonso V d'Aragona, egli fu tra i primi a prestargli ubbidienza e lo stesso fece nei confronti del sovrano aragonese quando questi, nel 1420, si impadronì di Calvi. Vincentello gli riconobbe il possesso delle terre da lui conquistate e negli anni successivi gli concesse il governo di tutto il territorio da Calvi fino al golfo di Sagona.
Tale situazione non era però destinata a durare perché il viceré, approfittando della tregua ormai di fatto stabilitasi con i Genovesi (dal 1421 soggetti al duca di Milano Filippo Maria Visconti), nel 1426 decise di ridurre sotto il suo diretto dominio quanto restava delle signorie cinarchesi. Per prima cosa si impadronì dei territori dei signori della Rocca, nell'estremo Sud dell'isola; si diresse quindi a Leca e, fatto prigioniero il L., lo rinchiuse nella rocca di Cinarca, confiscando tutti i suoi beni. La tirannia di Vincentello (I) e la perenne instabilità dei caporali della Terra di Comune finirono tuttavia col suscitare, nel 1430, una nuova rivolta, della quale assunse la guida Simone De Mari, signore di Capo Corso.
Grazie a questi tumulti, il L. riebbe la libertà e si impadronì nuovamente del castello di Sia, ma, una volta recuperata parte dei suoi beni, non ebbe scrupolo ad abbandonare il campo dei ribelli e a venire a patti con Vincentello (I) d'Istria che, per suggellare la loro alleanza, gli diede in sposa una nipote, rimasta da poco vedova.
Il L. - che si sposò almeno tre volte - era a sua volta già vedovo di una dama del casato Della Rocca, da cui aveva avuto il primogenito Raffaele; ebbe inoltre numerosi altri figli legittimi e illegittimi.
Tuttavia anche questa volta l'amicizia tra i due fu quanto mai effimera; nel 1433, infatti, la rivolta del Nord dell'isola riprese nuovo vigore ancora sotto la guida di Simone De Mari; questi riportò una completa vittoria su Vincentello (I) che, abbandonato dai suoi, fu costretto a lasciare l'isola finendo catturato dai Genovesi che lo giustiziarono (1434).
Il L. seppe approfittare dell'occasione per recuperare interamente il suo Stato, impadronendosi della pieve di Vico e della rocca di Leca. Quindi, venuto a contrasto con Simone De Mari, reclamò per sé - quale discendente degli antichi signori di Cinarca - il Niolo e la Balagna, a Sud di Calvi. Con il favore di Luciano da Casta, potente caporale della Terra di Comune, il L. condusse le sue milizie in quei territori, ottenendo la sottomissione dei suoi abitanti, ma, pressato dalle forze del De Mari e minacciato a Sud da un intervento di Paolo Della Rocca, dovette abbandonare i suoi progetti e ritirarsi. Riuscì tuttavia ad accordarsi con il signore di Capo Corso che, riconosciutogli il possesso della pieve di Vico, lo nominò suo vicario nello "Stato cinarchese".
Anche questa volta il L. badò sempre e soprattutto al proprio tornaconto; dopo pochi mesi, infatti, egli abbandonò il De Mari per schierarsi con Paolo Della Rocca, divenuto rivale del De Mari. L'alleanza tra i due più potenti signori cinarchesi costrinse Simone a richiedere l'intervento di Genova che nel 1437 inviò una spedizione militare condotta dai fratelli Nicolò e Giovanni Montaldo. La comparsa nell'isola di un seppure modesto contingente di milizie genovesi mise in crisi la supremazia di Paolo Della Rocca, costretto a ritirarsi nelle sue terre; il L. non esitò a sottomettersi ai Genovesi con la promessa di avere garantiti i propri possessi. I contrasti ben presto insorti tra i Montaldo e Luciano da Casta, uomo di fiducia del L. nella Terra di Comune, determinarono però una nuova rottura nei rapporti con Genova, spingendolo a intervenire militarmente in difesa di Luciano e dei suoi amici. I Genovesi furono costretti a ritirarsi nelle fortezze costiere, ma il partito corso a loro favorevole fece appello al doge Tommaso Fregoso che inviò nell'isola una nuova spedizione guidata dal nipote Giano. Sbarcato in Corsica agli inizi di aprile 1438, il nuovo governatore sottomise Capo Corso e gran parte della Terra di Comune, ma non seppe ottenere l'alleanza dei caporali, ai quali rifiutò le pensioni a suo tempo concesse dai precedenti governi. Essi chiamarono in loro aiuto L. e Paolo Della Rocca, ma i contrasti esistenti fra i due favorirono i Genovesi che, penetrati nel territorio cinarchese, conquistarono Cinarca e altri castelli, costringendo entrambi a ritirarsi nelle loro terre. Solo allora, davanti alla minaccia di perdere del tutto le loro signorie, i due baroni fecero fronte comune e nei mesi successivi condussero una temibile guerriglia, fatta di agguati e saccheggi. Alla fine, tuttavia, Giano Fregoso ebbe la meglio e dapprima Paolo Della Rocca e poi tutti gli altri signori del "paese di là" accettarono di sottomettersi. Il L. fu l'ultimo a cedere ma in compenso ottenne da Fregoso di poter acquistare il castello di Cinarca, dal forte valore simbolico.
Il fatto rinnovò i dissapori con Paolo Della Rocca, ma nell'autunno 1440 il L. si accordò con lui per delimitare le rispettive zone d'influenza, riuscendo così a estendere la propria supremazia anche sulle pievi di Cauro e Celavo, all'interno del golfo di Ajaccio. Nei tre anni successivi egli si tenne in disparte dalle lotte che insanguinarono la parte occidentale dell'isola, badando solo a conservare il proprio stato e a rafforzare la propria presenza a Calvi e nella Balagna, grazie all'alleanza con Luciano da Casta e con la parte restignaccia di quel territorio.
Nel 1443, caduto a Genova il predominio dei Fregoso e asceso al dogato Raffaele Adorno, il L. appoggiò l'azione del nuovo governatore Giovanni Montaldo, ma, a quanto pare, senza che tale sostegno si concretizzasse in un intervento militare. Per la Corsica furono anni di completo disordine, caratterizzati da lotte sanguinose tra fazioni popolari e baroni: una situazione alla quale una parte dei caporali della Terra di Comune pensò di poter rimediare facendo appello al papa, supremo signore dell'isola. Eugenio IV accettò l'offerta fattagli e nell'agosto 1444 inviò in Corsica il commissario Monaldo Paradisi con un piccolo contingente di truppe. Il suo arrivo non servì però a placare gli animi, non solo perché egli mostrò di appoggiarsi a una fazione, quella casonaccia, ma soprattutto per la sua dura politica fiscale.
Proprio la volontà del luogotenente pontificio di imporre la tassazione nel territorio di Calvi provocò la reazione del Leca. I suoi figli conseguirono una completa vittoria sulle milizie papali e il Paradisi fu ben presto richiamato a Roma e sostituito, nel giugno 1445, dal vescovo di Potenza Iacopo da Gaeta. Questi iniziò assai maldestramente il suo incarico, negando ai caporali amici le loro pensioni, così che "tutti si rivolsero di eleggere e chiamare per loro signore a Rinuccio da Leca" (Della Grossa, p. 335). Il L. colse al volo l'occasione per ottenere la tanto ambita supremazia sul baronaggio e sul popolo corsi. Accompagnato dai figli e da numerosi altri signori cinarchesi egli condusse un esercito nel "paese di qua", impadronendosi di Corte, dove fu raggiunto dalle forze di quasi tutti i caporali della Terra di Comune.
Andò quindi a porre l'assedio a Biguglia, sede tradizionale del governatorato genovese, ma nel settembre 1445 fu ucciso in una scaramuccia da Vincentello (II) e Francesco d'Istria, rimasti fedeli al papa.
Vero e proprio prototipo del barone corso, spregiudicato e pronto a ogni tradimento pur di ingrandire la propria signoria, il L. fu il fondatore dello "Stato lechesco", il più solido e organizzato tra i domini feudali dell'isola, destinato - sotto la guida del figlio Raffaele, del fratello Giocante e dei suoi discendenti - a durare fino all'ultimo decennio del XV secolo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 1788, n. 909; Genova, Biblioteca civica Berio, m.r. C.V.16: Albero de signori Cinarchesi di Corsica, in specie Leca…; G. Della Grossa, Chronique médiévale corse, a cura di M. Giacomo Marcellesi - A. Casanova, Ajaccio 1998, pp. 236 s., 256-259, 264-267, 272 s., 286 s., 292 s., 296 s., 300-303, 308-317, 320 s., 326 s., 330 s., 334 s., 354-357, 364 s., 378 s., 400 s.; A.P. Filippini, Istoria di Corsica, a cura di G.C. Gregorj, II, Pisa 1827, pp. 236, 239 s., 251, 254, 258, 262 s., 267, 270, 273, 281, 284 s., 296-298; P.-P.-R. Colonna De Cesari Rocca - L. Villat, Histoire de Corse, Paris 1927, pp. 85-87; L. Sandri, Il governo pontificio in Corsica all'epoca di Eugenio IV, in Arch. stor. di Corsica, XIII (1937), pp. 15-19; J.-A. Cancellieri, Della Rocca, Paolo, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXVII, Roma 1989, p. 316; Id., De Mari, Simone, ibid., XXXIX, ibid. 1990, pp. 506 s.; G. Giovannangeli, Recherches sur les castelli cinarchesi à la fin du Moyen Âge, in Bulletin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse, CXI (1991), pp. 106, 109; R. Musso, Istria, Vincentello d' [I], in Diz. biogr. degli Italiani, LXII, Roma 2004, p. 676; Id., Istria, Vincentello d' [II], ibid., p. 677.