riparo
La parola ricorre quattro volte in Dante. Nel significato di " schermo ", " protezione ": il serpente-diavolo entra nella valletta dei principi da quella parte onde non ha riparo / la picciola vallea (Pg VIII 97), ossia " dalla parte più esterna, dove dal sottostante pendio si può entrare nella vallea senza ostacolo alcuno e senza scendere pur un passo " (Scartazzini-Vandelli); l'intenzione allegorica è trasparente: la tentazione assale sempre dal lato più debole.
Nel senso di " schermo come provvedimento difensivo ": If XXXI 57 dove l'argomento de la mente / s'aggiugne al mal volere e a la possa, / nessun riparo vi può far la gente. Nel significato di " rifugio " e più genericamente " dimora ", anche in senso metaforico: Pd XXII 150 tutti e sette [i pianeti] mi si dimostraro / ... come sono in distante riparo, " nella propria distanza ch'è tra le dimore dei singoli pianeti... le quali gli astronomi chiamano case, e Dante ripari " (Andreoli). A quest'ultima accezione si ricollega la locuzione ‛ far r. ' (provenzale faire repaire): Rime LXXXIII 24 li boni... / che dopo morte fanno / riparo ne la mente / a quei cotanti c'hanno canoscenza, ossia " ‛ tornano ', o meglio ‛ restano ', ‛ indugiano ' " (Contini) nella memoria di quei tali che hanno sapere.