RIPATICO (portorium, portaticum, ripaticum)
Nell'impero romano si era formato un sistema di tasse che si pagavano in corrispondenza di determinati servizî resi dall'amministrazione pubblica. Così avveniva del portorium, che si pagava sia per lo sbarco delle merci sui moli del porto, sia anche per il passaggio di certi ponti. Nell'epoca longobarda si trova menzionata, in una donazione del re Desiderio al monastero di Farfa dell'anno 772, l'esenzione dal theloneum, dal portaticum seu ripaticum, che i dipendenti del monastero avrebbero dovuto pagare nelle singole città e porti. Si vede da ciò che il sistema dei portorî era stato conservato e che il ripatico è un termine equivalente al portorio romano. Esso è ricordato anche nel trattato fra re Liutprando e i marinai di Comacchio; si riscuoteva, perciò, in tutte le parti del regno longobardo, così nei porti fluviali come in quelli marittimi. Tali diritti spettanti all'amministrazione regia sono, nell'età feudale, infeudati a signori ecclesiastici e laici; ne vediamo perciò in possesso le chiese vescovili e le abbazie più potenti. Il ripatico è uno dei diritti contesi fra l'imperatore Federico Barbarossa e i comuni italiani: è infatti ricordato fra i diritti regali pretesi dall'imperatore nella definizione fattane alla dieta di Roncaglia. La caduta della dinastia di Svevia portò al frazionamento di questi diritti fra i comuni e i signori territoriali.
Bibl.: G. Waitz, Deutsche Verfassungsgeschichte, III, 2ª ed., Berlino 1885, p. 60 seg.; A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., Torino 1896, p. 232 seg.; E. Besta, Il diritto pubblico nell'Italia superiore e media, ecc., Pisa 1925, p. 31 seg.; A. Solmi, L'amministrazione finanziaria del regno italico nell'alto Medioevo, Pavia 1932, p. 94 seg.