ripercuotere [partic. pass. ripercusso]
È vocabolo presente solo nel Paradiso e nel Convivio, per lo più usato nella forma del participio passato.
In un caso ha forse valore iterativo, potendo indicare il " battere " più volte, con ritmo assiduo e regalare, la superficie del mare mediante i remi: Pd XXV 134 li remi, pria ne l'acqua ripercossi, / tutti si posan al sonar d'un fischio.
In tutti gli altri esempi indica il compiersi di un'azione opposta a quella espressa dal verbo originario, e poiché ‛ percuotere ' (v.) è spesso usato con riferimento a un raggio di luce che illumina un corpo (cfr. Pd IX 69 qual fin balasso in che lo sol percuota), r. assume un valore tecnico per indicare il fenomeno luminoso della riflessione: Cv III XIV 5 l'usanza de' filosofi è di chiamare ‛ luce ' lo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio... di chiamare ‛ splendore ', in quanto esso è in altra parte alluminata ripercosso; IV XX 8 spelunche sotterranee, dove la luce del sole mai non discende, se non ripercussa da altra parte da quella illuminata; II XVI 6.
In particolare compare nelle due spiegazioni che D. dà dell'origine delle macchie lunari; secondo la tesi sostenuta in Cv II XIII 9, l'ombra che è in essa [nella Luna] ... non è altro che raritade del suo corpo, a la quale non possono terminare li raggi del sole e ripercuotersi così come ne l'altre parti. Questa tesi sarà poi confutata in Pd II 61 ss. da Beatrice, la quale, a dimostrarne l'infondatezza, ricorda l'esperienza che è possibile compiere prendendo tre specchi collocati, rispetto all'osservatore, in modo che alle spalle gli stea un lume che i tre specchi accenda / e torni [a lui]... da tutti ripercosso (v. 102). Questo esempio chiarisce anzi l'origine dotta del vocabolo, giacché il valore di " riflesso " che esso ha, è il medesimo di quello del latino ‛ repercussus ', in Aen. VIII 23 (" aquae tremulum labris... lumen aënis / sole repercussum ") e Ovid. Met. II 110 (" gemmae / clara repercusso reddebant lumina Phoebo ").
Per traslato ricorre in Cv III XIV 4, con riferimento alla dottrina che Dio dona la sua virtù direttamente alle Intelligenze separate, mentre alle altre la dona mediatamente, per mezzo delle Intelligenze prima illuminate dalla sua virtù: lo primo agente, cioè Dio, pinge la sua virtù in cose per modo di diritto raggio, e in cose per modo di splendore reverberato; onde ne le Intelligenze raggia la divina luce santa mezzo, ne l'altre si ripercuote da queste Intelligenze prima illuminate.