rischio
Misure del rischio
La misura del rischio è un indicatore sintetico che, con riferimento a una distribuzione di probabilità di un numero aleatorio, ne riassume la componente di variabilità cui è associato un connotato di rischiosità. A fronte di una situazione genericamente rischiosa, tale indicatore presuppone la capacità di definire con precisione la nozione di rischio, di esprimerlo in termini quantitativi e poi di trovarne una sintesi (sempre quantitativa).
In molte applicazioni il rischio è espresso in termini quantitativi facendo riferimento a distribuzioni di probabilità di variabili direttamente espresse in termini monetari o comunque traducibili in risultati economici. Ci si riferisce nel seguito a distribuzioni di probabilità di guadagni aleatori espressi in valori assoluti oppure relativi e si indica con il simbolo X una generica variabile aleatoria guadagno e con FX(x)=P(X≤x) la sua distribuzione cumulata o funzione di ripartizione, che associa a ogni numero reale x la probabilità che la variabile X assuma determinazione non superiore a x. In altre parole essa è la probabilità che la variabile aleatoria X assuma un qualsiasi valore minore o uguale a un valore x. Alcuni semplici indicatori di rischiosità prendono spunto dal concetto di variabilità inteso semplicemente come scostamento da un conveniente valore rappresentativo della distribuzione, tipicamente la media ponderata o valore atteso o speranza matematica E(X)=μ(X)=ʃxdF(x). Fra questi, il valore atteso della deviazione assoluta dalla speranza matematica, detto sbrigativamente deviazione media assoluta (mean absolute deviation), definito come δx=ʃ−∞+∞∣(x−μ)∣dF(x). Esso è la media aritmetica degli scostamenti assoluti dalla speranza matematica ponderati per le rispettive probabilità e sintetizza il rischio di allontanarsi dalla speranza matematica, senza distinguere fra scostamenti per eccesso e per difetto. Una misura costruita con la medesima logica è la varianza σ2X=ʃ−∞+∞(x−μ)2dF(x). Nemmeno questa distingue fra scostamenti per eccesso o per difetto ma, essendo media ponderata dei quadrati delle deviazioni dalla speranza matematica, esalta l’influenza degli scarti più elevati. Sostanzialmente simile alla varianza, ma espressa nella stessa unità di misura degli scostamenti (e non del quadrato degli stessi), è la deviazione standard o scarto quadratico medio σx=(σx2)1/2; essa è la radice quadrata della varianza. Come detto, tali misure identificano il rischio nello scostamento dalla speranza matematica; diverso è l’atteggiamento di coloro che, tenendo presente che si ha a che fare con distribuzioni di guadagno, preferiscono interpretare come rischiosi solo gli scostamenti per difetto (downside risk). Le misure corrispondenti sono la semideviazione assoluta: δ−X=ʃμ−∞(μ−x)dF(x)=E((μ−x)+)), che risulta essere pari a (1/2)δx, e la semideviazione standard σ−X=(ʃμ−∞(μ−x)2dF(x))2/2. L’idea di misurare il rischio come valore atteso degli scostamenti per difetto può essere generalizzata sostituendo alla speranza matematica un’altra costante qualunque c, e calcolando E((c−x)+))=ʃu−∞(c−x)dF(x). Questo è dunque il valore atteso degli scostamenti per difetto da un certo obiettivo (target) c (mean below target deviation) e appartiene quindi alla famiglia delle cosiddette misure di sottoprestazione rispetto all’obiettivo c (shortfall risk), collegata a sua volta ad altre due misure dello stesso tipo: la probabilità di sottoprestazione rispetto a c, P(X≤c)=ʃu−∞dF(x), e il valore atteso della sottoprestazione condizionato al verificarsi della sottoprestazione, E(c−X∣X≤c)=E((c−x)+)/P(X≤c). In questa impostazione la probabilità di sottoprestazione è una funzione dell’obiettivo c; inversamente si può fissare una probabilità 0<1, di sottoprestazione, e cercare il valore c (unico nel caso in cui la cumulata sia strettamente crescente e continua) che soddisfa la FX(c)=P(X≤c)=p, ovvero, indicando con FX−1(p) l’inversa della cumulata, verifica la c=FX−1(p). Fissato p, usualmente a livelli molto bassi (fra lo 0,5% e il 5%), l’opposto, −FX−1(p), di tale c si dice valore a rischio (p−V@R(X)) con fiducia q=1−p della distribuzione X, ed è stato largamente impiegato a partire dagli anni 1990 per misurare il rischio di fallimento di banche e altre istituzioni finanziarie. Se X è la variabile ‘risultato economico’ di un’istituzione finanziaria in un certo arco temporale (tipicamente un mese, una settimana o un giorno), il pV@R ne misura la massima perdita (o comunque il peggior risultato), che può verificarsi con fiducia 1−p; detto in altro modo vi è un grado di fiducia 1−p che la perdita non superi il valore a rischio.
Per facilitare le applicazioni si sono creati algoritmi (famoso quello denominato riskmetrics della banca d’affari J.P. Morgan) per il calcolo rapido del V@R di portafogli. Nello stesso periodo in cui fiorivano le ricerche sul V@R, si sviluppava un approccio assiomatico alle misure di rischio, definite come applicazioni ρ dall’insieme delle lotterie ₤ (distribuzioni di probabilità di guadagni) ai numeri reali. Tale approccio ritiene completamente accettabili solo le misure di rischio coerenti (P. Artzner, F. Delbaen, J.M. Eber, D. Heath, Coherent measures of risk, «Mathematical Finance», 1999, 9, 3), cioè quelle che soddisfano 4 fondamentali proprietà: monotonia, subadditività, omogeneità e invarianza per traslazioni (la convessità è la fusione di subadditività e omogeneità). In particolare la subadditività richiede che p(₤1+₤2)≤p(₤1)+p(₤2), ovvero che la misura del rischio di un portafoglio non superi la somma delle misure dei rischi delle singole componenti. Il V@R non soddisfa il requisito della subadditività e non è quindi una misura coerente. È invece coerente il Tail-V@R o Conditional-V@R formalmente definito come −E(X/X<FX−1(p)), ovvero l’opposto del valore atteso della perdita condizionata al verificarsi di una perdita superiore al p V@R, cioè generata da un risultato nella coda sinistra (definita dalla probabilità p) della distribuzione (➔ anche valore a rischio della coda).
Flavio Pressacco