Abstract
Lo studio analizza gli attuali difficili rapporti tra codice penale e legislazione speciale, concludendo per la necessità di recuperare un “nuovo ordine” che non può esaurirsi in una meccanica trasposizione topografica della legge speciale nel codice penale, bensì dovrà tradursi in un necessario coordinamento tra quest’ultimo e gli altri settori della legislazione penale.
Prima di affrontare nello specifico la riserva di codice in materia penale, come realizzata dal d.lgs. 1.3.2018, n. 21 (riforma Orlando), occorre, seppur brevemente, dare conto del significato autentico da attribuire al fenomeno, prima ancora che giuridico, culturale, della codificazione in materia penale. Scriveva il Beccaria nel suo celeberrimo, quanto mai attuale, libro Dei delitti e delle pene (prefazione “A chi legge”): «Alcuni avanzi di leggi di un antico popolo conquistatore, fatte compilare da un principe […], frammischiate poscia co’ riti longobardi, ed involte in farraginosi volumi di privati e oscuri interpreti, formano quella tradizione di opinioni, che da una gran parte dell’Europa ha tuttavia il nome di leggi». L’esigenza della codificazione nasce col pensiero illuministico ed obbedisce ad una esigenza reale: razionalizzare l’allora caotico pluralismo delle fonti del diritto, da cui scaturiva l’arbitrio dei poteri statuali, nonché uno stato di dubbio che ingenerava terrore, privo di qualsiasi funzione deterrente e quindi inutile. Si auspicava un’opera riformatrice, di semplificazione ed unificazione dei testi normativi, così da garantire ordine e intellegibilità ergo, facile consultazione e comprensione. In altre parole con la codificazione si esprime l’ideale della chiarezza del diritto, e cioè il primato della legge certa come risposta più idonea a contrastare l’arbitrio statale e, quindi, a garantire l’individuo nei suoi diritti di libertà. L’illuminismo ha rappresentato il periodo culturale che ha visto nascere i presupposti umanitari nel moderno diritto penale, presupposti irrinunciabili per la riforma della legislazione penale in senso moderno. L’affermazione dello stato di diritto – primato della legge – costituisce una delle più alte conquiste del progresso civile, vincolando, da un lato, l’agire dello Stato al rispetto delle leggi scritte; dall’altro, costituendo «criterio normativo di azione per i poteri dello Stato» (Ramacci, F., Corso di diritto penale, IV ed., Torino, 2007, 70), a loro volta assoggettati a descrivere con la maggiore chiarezza possibile le azioni punibili e le pene per quelle comminate. In altre parole riservare/collocare all’interno di un testo codicistico, i principi fondamentali del diritto penale, esprime una ‘vocazione al sistema’, un complesso organizzato di concetti, ordinato secondo principi sistematici che debbono rappresentare l’ossatura interna dell’ordinamento, e servire all’inquadramento della norma penale in funzione di tutela di valori, con conseguente punizione per chi quei valori viola. Dall’illuminismo in poi l’irrinunciabile principio nullum crimen nulla poena sine lege praevia, scripta, stricta et certa, governa la materia del diritto penale e trova il suo primo accoglimento in Francia, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789; successivamente nelle Costituzioni francesi e italiane della fine del settecento, per dare poi seguito nell’ottocento al recepimento delle codificazioni penali. Il principio di legalità, anche dopo l’avvento del fascismo, viene conservato nel codice penale del 1930 all’art. 1 c.p., e rafforzato con la Costituzione repubblicana all’art. 25, co. 2 e 3, acquistando in tal modo forza vincolante anche nei confronti del legislatore.
Agli inizi degli anni settanta si assiste, nel nostro Paese e non solo, al dilagare del fenomeno della decodificazione (cfr. Irti, N., L’età della decodificazione, IV ed., Milano, 1999). Il codice penale perde centralità di sistema delle fonti, a vantaggio del proliferare di leggi complementari. I fattori determinanti questo fenomeno possono rilevarsi da un lato nella vetustà del codice Rocco, e quindi, nella emersione di nuove esigenze di tutela, la cui disciplina, a fronte anche dell’accentuato tecnicismo che la contraddistingue, ne favorisce l’allocazione fuori dal codice (si pensi ai reati societari); dall’altro le esigenze di sicurezza, connesse alla continua emergenza del nostro paese – terrorismo interno prima, internazionale poi e criminalità organizzata – hanno privilegiato una giustizia differenziata da perseguire con una legislazione speciale, attraverso la creazione di sottosistemi, che non sempre presentano una organicità di settore. Peraltro all’ipertrofia della legislazione speciale non corrisponde un programma organico e strutturale: la logica è quella della contingenza e dell’emergenzialismo. Occorre altresì evidenziare che molte leggi speciali utilizzano nella formulazione delle fattispecie, tecniche di rinvio ‘a catena’ a fonti amministrative, pubbliche, ma anche private che rendono davvero arduo individuare il senso del precetto risultando così «intollerabili come modello di legislazione penale» (Donini, M., L’art. 3 bis c.p. in cerca del disegno che la riforma Orlando ha forse immaginato, in Dir. pen. proc., 2018, 4, 441; il riferimento è al t.u. sulla sicurezza del lavoro, d.lgs. 9.4.2008, n. 81). Si registrano poi a partire dagli anni novanta sempre maggiori interventi settoriali di penalizzazione che costituiscono l’attuazione di direttive comunitarie. Si aggiunga che i continui interventi riformatori operanti all’interno dello stesso codice Rocco, e l’assenza di un reale raccordo con quanto già previsto, lo hanno trasformato in «strumento adattabile agli usi più svariati […] a seconda della convenienza del momento» (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte generale, IV ed., Bologna, 2005, 45), levandogli rigore e significatività, affievolendo così quegli stessi principi garantistici di cui esso stesso era espressione. Il proliferare di figure incriminatrici extra codicem ha mortificato la ‘funzione pedagogica’ che il progetto illuministico aveva attribuito al codice penale. Di sicuro ha notevolmente minato la possibilità di una effettiva conoscenza del precetto. Diverse norme incriminatrici sono state amputate dal codice e la loro disciplina è stata completamente ridisegnata da leggi speciali, con tecniche legislative carenti. L’excursus fin qui compiuto evidenzia un affievolimento del primato del codice penale, da un lato per l’assenza di una razionale riforma codicistica, dall’altro per la caotica produzione legislativa complementare, spesso produttiva di disordine giuridico ed indeterminatezza normativa. La ‘funzione di orientamento culturale’ del codice penale si è andata smarrendo rimpiazzata da una giurisprudenza costituzionale, fatta di interventi casuali e sporadici su singole norme, che non possono sopperire a lacune normative, e da una giurisprudenza ordinaria, soprattutto della Corte di cassazione a Sezioni Unite, i cui continui mutamenti di opinione non contribuiscono alla chiarezza dell’ordinamento (Vassalli, G., Riforma del codice penale: se, come e quando, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 18).
A fronte della segnalata, caotica produzione legislativa intorno ad un codice vecchio, è riaffiorata tra i giuristi quella esigenza di profonda revisione del diritto penale, da intendersi in modo nuovo: come razionalizzazione dei rapporti tra codice penale e legislazione penale complementare. È stato egregiamente detto: «in luogo della razionalità unitaria, oggi domina il molteplice; in luogo dei grandi disegni, le logiche specifiche e contingenti» (Fiandaca, G., Il tema dei rapporti tra codice e legislazione penale complementare, in Dir. pen. proc., 2001, 2, 137). Bisogna prendere atto che, anche nella materia penale, qualsiasi idea di ricodificazione debba coniugarsi/convivere con la miriade di leggi complementari che, in alcuni casi, costituiscono dei veri e propri sottosistemi per ambiti di disciplina e specificità di materia (si pensi alla normativa in tema di urbanistica). È necessario, quindi, un complessivo coordinamento a cui si accompagni una semplificazione della normativa penale, in modo da restituire al codice penale quella generale funzione di orientamento/preminenza per quei valori fondamentali meritevoli di tutela penale; il tutto però, occorre ribadirlo, nel rispetto e riconoscimento «del doppio binario legislativo composto da codice e dalle leggi complementari» (Donini, M., L’art. 3 bis c.p., cit., 434). In questa direzione si muoveva il fallito progetto di revisione costituzionale del 1997 che prevedeva all’art. 129, co. 4: «nuove norme penali sono ammesse solo se modificano il codice penale ovvero se contenute in leggi disciplinanti organicamente l’intera materia cui si riferiscono»; lo stesso testo è stato poi recepito a livello di legge ordinaria, nell’art. 3, co. 2, del progetto Grosso (v. www.giustizia.it ), nonché dal progetto Nordio all’art. 9, intitolato appunto Preminenza del Codice Penale (v. www.ristretti.it ). Il progetto Pisapia ha disposto nella proposta di articolato del 27.7.2006, all’art. 2, Riserva di codice, dei Principi di delega: «Prevedere che le nuove disposizioni penali siano inserite nel codice penale ovvero in leggi che disciplinano organicamente l’intera materia cui si riferiscono, coordinandole con le disposizioni del codice e nel rispetto dei principi in esso contenuti» (v. www.giustizia.it). Precisazione quest’ultima quanto mai necessaria per riaffermare il vincolo di subordinazione della legislazione penale speciale – comprensiva anche delle leggi di settore organicamente complete – a quei principi fondamentali contenuti nel corpo normativo penalistico.
Il d.lgs. 1.3.2018, n. 21, mutuando i risultati del lavoro della Commissione ministeriale Marasca, istituita il 3.5.2016, ha dato attuazione ad una delle deleghe contenute nella l. 23.6.2017, n. 103 (legge Orlando), e precisamente a quella disciplinata dall’art. 1, co. 85, lett. q), introduttiva nel nostro ordinamento del principio di ‘Riserva di codice’. Predispone la legge-delega: «attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell’integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato». A fronte di un programma così ambizioso ci si aspettava una riforma che consentisse effettivamente di tracciare una linea direttiva per il riordino dell’intera parte speciale anche extra codicem, da individuarsi, come dispone la delega, nella tutela dei beni costituzionalmente rilevanti. Si auspicava una riorganizzazione del sistema sanzionatorio, che restituisse dignità di codice alle sanzioni – almeno detentive – ancora contenute nel sistema penitenziario, soprattutto al fine di meglio chiarire/coordinare il caotico intreccio di istituti esistenti nel codice penale e di quelli successivamente previsti nell’ordinamento penitenziario (Vassalli, G., Riforma del codice penale, cit., 28). Tutto ciò non è stato, anche se bisogna dare atto che la questione penitenziaria è stata fatta oggetto della delega e precisamente all’art. 1, co. 82 e 85, l. cit. come futura riforma dell’esecuzione penitenziaria. Venendo ora all’attuazione della legge delega in materia di riserva di codice, la riforma si articola attraverso: a) l’inserimento nella parte generale del codice di una norma definita ‘di indirizzo’, l’art. 3 bis c.p. rubricato Principio di riserva di codice, sulla cui ratio ci soffermeremo in seguito; b) il trasferimento, all’interno del codice penale, di alcune – poche – figure di reato e circostanze, con contestuale abrogazione delle corrispondenti disposizioni contenute nelle leggi speciali (cfr. art. 7 d.lgs. n. 21/2018); c) infine si legge nella relazione: «per ragioni di coerenza sistematica», si spostano in ambito codicistico, tra le misure di sicurezza patrimoniale, all’art. 240 bis, co. 1 e 2, c.p., le norme relative alla cd. ‘confisca allargata’ – con l’abrogazione quasi integrale dell’art. 12 sexies d.l. 8.6.1992, n. 306, di cui restano in vigore i soli commi 4-ter e 4-quater – e alla confisca di valore o per equivalente anch’essa già prevista in varie norme penali. Prima di analizzare, nello specifico, l’attuazione della legge delega occorre dare conto che il legislatore delegante, nel richiedere un riordino della materia penale, vincola il mandato a «scelte incriminatrici già operate dal legislatore». Ciò esclude che l’attività delegata possa consistere in modifiche alle fattispecie criminose vigenti, contenute in contesti diversi dal codice penale. Non è stato consentito, probabilmente a ragione, all’attività delegata una revisione generale della parte speciale del codice penale e della legislazione complementare. Tutto ciò, però, si è tradotto in un meccanico «trasferimento di una quindicina di norme, tra le migliaia esistenti fuori dal Codice» (Donini, M., op. cit., 435); in un riordino topografico che non può identificarsi con una ‘recuperata centralità’.
Venendo al contenuto del d.lgs. n. 21/2018, iniziamo col rilevare come il riordino del sistema penale sia stato solo parziale. Non tutte le disposizioni penali sparse nella legislazione complementare – quanto meno quelle più importanti e comunque quelle aventi ‘rilevanza costituzionale’ in ragione del bene giuridico tutelato (come disponeva espressamente la legge delega) – sono state ricollocate nel codice penale. È rimasta esclusa, ad esempio, la materia degli infortuni sul lavoro, della circolazione stradale, della prostituzione, della tutela dell’ambiente, delle armi, nonché del gioco e scommesse, in quanto rappresentano discipline di settore, contenute «in testi normativi chiusi e autosufficienti» (cfr. Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’art. I, comma 85, lett. q), della legge 23 giugno 2017, n. 103; in dottrina cfr. Borgogno, R., La “riserva di codice” e le altre modifiche al codice penale introdotte con il D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in Arch. pen., Speciale riforme, in www.archiviopenale.it). L’operazione di riordino, come già anticipato, non potendo comportare alcuna modifica alle fattispecie criminose esistenti, si è tradotta in una esigua, e peraltro neanche bene ordinata, trasposizione di alcune fattispecie nonché circostanze all’interno del codice penale. Rispettando l’ordine seguito dal d.lgs. cit. ed iniziando dalle fattispecie di reato si dà atto: a) dell’inserimento tra i ‘delitti contro la personalità dello Stato’, dell’art. 289 ter c.p., Sequestro di persona a scopo di coazione, precedentemente contemplato all’art. 3 l. 26.11.1985, n. 718 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi, aperta alla firma a New York il 18 dicembre 1979); b) dell’aggiunta al secondo comma del già previsto art. 388 c.p., Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, delle condotte di cui all’art. 6 della l. 4.4.2001, n. 154, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari; c) dell’inserimento tra i ‘delitti contro la famiglia’ dell’art. 570 bis c.p., Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, le cui condotte erano incriminate già all’art. 12 sexies della l. 1.12.1970 n. 898 (legge sul divorzio) e all’art. 3 della l. 8.2.2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli); d) dell’inserimento in tema di doping, tra i ‘delitti contro la persona’, del nuovo art. 586 bis c.p., Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, già incriminato all’art. 9 della l. 14.12.2000, n. 376, Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping; e) della creazione di un nuovo capo I-bis, rubricato Dei delitti contro la maternità, nel titolo XII del libro II, al cui interno sono stati trasfusi i delitti di Interruzione colposa di gravidanza (art. 593 bis c.p.) e di Interruzione di gravidanza non consensuale (art. 593 ter c.p.), precedentemente contemplati rispettivamente agli artt. 17 e 18 della l. 22.5.1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza); f) dell’introduzione all’interno del già previsto art. 601bis c.p., Traffico di organi prelevati da persone viventi, di due nuovi commi, il secondo e il terzo, il cui contenuto è stato recepito dal precedente art. 22 bis della l. 1.4.1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti); g) dell’inserimento di una nuova ‘sezione I-bis’ nel capo III del titolo XII del libro II, in cui si prevede il delitto di Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa (art. 604 bis c.p.), delle cui aggravanti daremo conto nel prosieguo; h) dell’immissione ‘in materia di tutela dell’ambiente’, dell’art. 452 quaterdecies c.p., Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, già contemplato all’art. 260 del d.lgs. 3.4.2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e inserito nuovamente nell’elenco di reati di particolare allarme sociale di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. (art. 3, co. 2, d.lgs. n. 21/2018); i) infine, dell’inserimento ‘in materia di tutela del sistema finanziario’, del reato di Indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento (art. 493 bis c.p.), precedentemente previsto all’art. 55, co. 5 e 6, secondo periodo, del d.lgs. 21.11.2007, n. 231 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione), e quello di Trasferimento fraudolento di valori (art. 512 bis c.p.), già previsto all’art. 12 quinquies, co. 1, del d.l. 8.6.1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla l. 7.8.1992, n. 356.
Le modifiche in tema di circostanze del reato riguardano la parte generale, in particolare: i) l’art. 61 bis c.p., che prevede l’aggravante del reato transnazionale, precedentemente previsto all’art. 4 della l. 16.3.2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001); ii) l’art. 69 bis c.p. che riguarda i casi di esclusione del giudizio di comparazione tra circostanze, precedentemente previsti all’art. 7, co. 4, d.l. 31.12.1991, n. 419 (Istituzione del Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive), convertito con modificazioni, dalla l. 18.2.1992, n. 172.
Rispetto agli interventi sulle circostanze di parte speciale si segnala: I) la creazione di un nuovo art. 270 bis.1 c.p., riferito ai delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, dove confluiscono la circostanza aggravante (co. 1 e 2), nonché le circostanze attenuanti della dissociazione e della collaborazione (co. 3 e 4), previste in precedenza rispettivamente all’art. 1 e agli artt. 4 e 5 del d.l. 15.12.1979, n. 625 (Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla l. 6.2.1980, n. 15; II) l’inserimento nel nuovo art. 416 bis.1 c.p. delle circostanze aggravanti e attenuanti per i reati connessi ad attività mafiose, precedentemente previste agli artt. 7 e 8 del d.l. 13.5.1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito con modificazioni dalla l. 12.7.1991, n. 203; III) l’accoglimento all’interno dell’art. 601 c.p., Tratta di persone, ai co. 3 e 4, degli artt. 1152 e 1153 del codice della navigazione, come aggravante del reato per il comandante o l’ufficiale delle navi, nonché come pena edittale minore per i componenti dell’equipaggio indipendentemente dal compimento dei fatti incriminati; IV) con riferimento al delitto di Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa (art. 604 bis c.p.), al terzo comma di quest’ultimo articolo è inserita l’aggravante del cd. ‘negazionismo’ prima prevista al co. 3-bis della l. 13.10.1975, n. 654 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), introdotto dalla l. 16.6.2016, n. 115; nonché le aggravanti regolate al nuovo art. 604 ter c.p., già previste all’art. 3 del d.l. 26.4.1993, n. 122 (Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa), convertito in l. 15.6.1993, n. 205.
Dalla sommaria elencazione suesposta si evince un quadro frammentario e confuso, non certo confortante rispetto all’auspicata attuazione della riserva di codice da intendersi come criterio di ordine sistematico, seppur tendenziale.
A ciò si aggiunga l’ultima modifica operata dal decreto legislativo, consistita nel trasferimento della confisca cd. ‘allargata’ di cui all’art. 12 sexies, co. 1 e 2-ter, del d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 356/1992, nonché della confisca di valore o per equivalente nel nuovo art. 240 bis c.p., rubricato Confisca in casi particolari, tra le misure di sicurezza patrimoniali. Il riordino della confisca cd. ‘per sproporzione’ (o ‘allargata’), all’interno della parte generale del codice penale, poteva apparire auspicabile in virtù delle complesse modifiche apportate alla materia, nonché dei continui ampliamenti del novero dei reati presupposto che ne consentono l’applicazione, ed in virtù dell’orientamento delle Sezioni Unite che ne hanno qualificato la natura giuridica come «misura di sicurezza patrimoniale atipica» (cfr. Cass. pen., S.U., 29.5.2014 n. 33451). Nonostante la nuova centralità attribuita all’istituto, l’inserimento all’interno del primo comma dell’art. 240 bis c.p. suscita forti perplessità. Occorre rammentare che l’istituto della confisca per sproporzione, nasce come eccezionale strumento di contrasto patrimoniale alle associazioni mafiose; come mezzo di controllo sulla concentrazione di ricchezza sproporzionata al reddito illecitamente acquisito, in capo a soggetti condannati per delitti collegati alla criminalità organizzata. Essa consiste in una ipotesi di confisca obbligatoria, che indipendentemente dal nesso di pertinenzialità con il reato, impone la confisca di tutti i beni, posseduti direttamente o indirettamente dal soggetto condannato per determinati reati di cui non riesca a dimostrare la provenienza lecita. Vige cioè una presunzione di arricchimento illecito per cui «tutto il patrimonio sarebbe riconducibile ad una pregressa anche se indimostrata attività illecita» (Bargi, A., Concorso esterno e strumenti patrimoniali di contrasto alla criminalità organizzata, in Arch. pen., 2, LXIV, 489). L’inversione dell’onere della prova espressione di una eccezione ai principi costituzionali, non più limitata ai gravi fatti di criminalità organizzata economica, ma a moltissime ed eterogenee fattispecie criminose, non sembra giustificare l’inserimento dell’istituto all’interno della parte generale del codice penale, quasi a qualificarlo come norma di sistema. Nonostante essa costituisca lo strumento di contrasto più diffuso per colpire i capitali illeciti – della cui opportunità si discute –, è innegabile la evidente contraddizione con il sistema delle fondamentali garanzie, che ogni codice penale che rivendichi centralità dovrebbe rispettare e perseguire.
Altresì inopportuno risulta l’inserimento al co. 2 dell’art. 240 bis c.p. della confisca di valore o per equivalente. Essa trova applicazione negli stessi casi previsti al co. 1 del medesimo articolo, qualora la confisca diretta non risulti possibile; nel senso che il giudice impossibilitato ad intervenire sul prodotto, profitto e prezzo del reato, ne effettuerà la quantificazione ed ordinerà la confisca del denaro, beni o altra utilità di cui si è accertata la disponibilità anche per interposta persona del condannato, in misura e per un valore corrispondente. Il giudice cioè dovrà quantificare il prodotto, il profitto o il prezzo del reato e recuperarlo per equivalente. Occorre sottolineare che nel caso di specie, ancor più evidente è la mancanza di un legame tra il reato e i beni confiscati, come richiede espressamente l’art. 240 c.p.; ciò «escluderebbe il presupposto tipico della confisca come misura di sicurezza consistente nella pericolosità del bene, conferendo così alla figura la consistenza di vera e propria pena» (Cass. pen., S.U., 31.1.2013, n. 18374). A ben vedere la confisca per equivalente «assolve una funzione ripristinatoria della situazione economica» (de Flammineis, S., L’età della (apparente) codificazione: brevi riflessioni sul d.lgs. 1° marzo 1028, n. 21, 36, in Dir. pen. cont., fasc. n. 6/2018, www.penalecontemporaneo.it ) che ne evidenzia il carattere afflittivo. Mancherebbe la caratteristica propria della misura di sicurezza, consistente nella natura cautelare-preventiva incentrata sulla pericolosità del bene, quindi idonea a fronteggiare la pericolosità sociale del soggetto. Ha precisato la Corte costituzionale, richiamandosi a diversi precedenti della Cassazione, che «la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un “rapporto di pertinenzialità” (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva, attribuendole, così, una natura “eminentemente sanzionatoria”, che impedisce l’applicabilità a tale misura patrimoniale del principio generale dell’art. 200 cod. pen., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive» (C. cost., ord. 1.4.2009, n. 97).
Ciò evidenzia che questo tipo di confisca non potrà applicarsi retroattivamente, costituendo una eccezione rispetto alla disciplina generale delle misure di sicurezza. Ciò contraddice «le ragioni di ordine sistematico», tanto rivendicate dalla Relazione illustrativa, che hanno condotto a dettare «la disciplina unitaria della confisca allargata», racchiudendo all’interno di un’unica norma situazioni eterogenee che in comune hanno il nomen iuris. Tutto ciò in sfregio a quella esigenza di chiarezza e coerenza che dovrebbe rappresentare il principio ispiratore del decreto legislativo.
Fondamentale, in conclusione, è l’analisi del nuovo art. 3 bis c.p., rubricato Principio di riserva di codice, il quale dispone: «nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia». Si legge nella relazione illustrativa che l’inserimento della disposizione nella parte generale del codice, seppur non assurge a rango costituzionale, costituisce «una norma di indirizzo», elevandosi «a principio generale di cui il futuro legislatore dovrà necessariamente tenere conto, spiegando le ragioni del suo eventuale mancato rispetto». Occorre a questo punto verificare l’effettiva portata della nuova norma che, per le motivazioni prima riportate, non potrà consistere in «una antistorica eliminazione delle leggi speciali» (Donini, M., op. cit., 435), bensì dovrà tendere ad una razionalizzazione della produzione legislativa, così da permettere, come richiede la stessa legge delega, migliore conoscibilità e comprensione della normativa penale. Conoscibilità che certamente non si raggiunge attraverso una meccanica trasposizione topografica della legge speciale nel codice penale, bensì attraverso un intervento ad ampio raggio, organico, che sappia attuare il necessario coordinamento tra codice penale e gli altri settori della legislazione penale. La ‘riserva di codice’ cioè, dovrebbe vincolare il legislatore alla produzione di leggi organiche, che rispettino la coerenza con l’intero sistema penale; dovrebbe avere una funzione di ‘controllo’ per la proliferazione di quella legislazione penale, dettata da emergenza ed eccezionalità. Ma il controllo delle norme extra codicem può davvero esercitarsi con legge ordinaria in assenza di quell’auspicato rafforzamento costituzionale della riserva di legge? Si aggiunga poi che l’art. 3 bis c.p. non inserisce nel testo la quanto mai opportuna aggiunta del progetto Pisapia che, imponeva alla legislazione speciale seppur organica, un necessario «coordinamento con le disposizioni del codice e nel rispetto dei principi in esso contenuti». La stessa relazione avverte la difficoltà di contrastare con legge ordinaria il pericolo della decodificazione, costituendo «un argine alquanto labile all’espansione poco meditata del diritto penale». Occorre intendersi sull’obiettivo perseguito dal legislatore attraverso la formulazione del principio di riserva di codice; esso deve garantire «migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena». Per usare le parole di un eminente studioso: «i codici rispondono fin dal loro nascere ad una esigenza di ordine» (Vassalli, G., op. cit., 19). Scopo precipuo dell’art. 3 bis c.p., elevato a principio e inserito tra i primi articoli della parte generale, è quello di garantire una migliore conoscenza/comprensione dei precetti e delle sanzioni, attraverso una trattazione sistematica degli istituti penalistici in esso compresi. Il principio di riserva di codice, come anticipato in premessa, esprime ‘una vocazione al sistema’, è «sinonimo di coerenza, controllo, ordine sistematico, conoscibilità di precetti e sanzioni» (Donini, M., op. cit., 438). Bene è stato detto che la riserva di codice rappresenta un «principio costituente» per la materia penale, cioè prescrive l’attuazione delle garanzie costituzionali (Donini, M., op. cit., 438), da intendersi come accessibilità e conoscibilità della legge penale, e quindi prevedibilità delle sue conseguenze applicative. Scrive efficacemente la Corte costituzionale in una storica sentenza: «nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato, ed a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenuti riconoscibili, direttive di comportamento» (C. cost., 23.3.1988, n. 364). Occorre auspicare che la futura legislazione penale attraverso una tecnica di redazione che renda i concetti chiari e distinti inserisca all’interno del codice solo fattispecie compatibili e coerenti con le norme del codice penale, attuando così nel concreto la ratio legis che la delega auspicava. Chiarezza che si è voluto elevare a precetto, se non vincolante nella gerarchia delle fonti, quantomeno orientativo, nella sua collocazione sistematica, di ‘norma di indirizzo’ inderogabile, nella consapevolezza che «il dissesto del linguaggio della legge e la mole magmatica e oscura del diritto penale complementare hanno una loro perversa razionalità», servendo come «formidabile strumento di dominio capace di tenere in ostaggio una collettività in perenne dubbio sulla liceità dei proprio comportamenti quotidiani» (Insolera, G., Il diritto penale complementare, in Diritto penale minimo, a cura di U. Curi e G. Palombarini, Roma, 2002, 69). Una vera svolta potrà essere segnata da un codice penale, che sia il frutto di ragionate scelte politico-criminali, che privilegi esigenze di certezza, nel rispetto dei valori fondamentali dell’individuo. Solo così si potrà conseguire quel ruolo centrale che spetta ad ogni opera di codificazione, e solo così riformato esso potrà significare un modello irrinunciabile per la legislazione complementare.
Fonti normative
D.lgs. 1.3.2018, n. 21; art. 1, co. 82 e 85, lett. q), l. 23.6.2017, n. 103; artt. 3 bis, 61 bis, 69 bis, 240 bis, co. 1 e 2, 270 bis.1, 289 ter, 388, co. 2, 416 bis.1, 452 quaterdecies, 493 bis, 512 bis, 570 bis, 586 bis, 593 bis, 593 ter, 601, co. 3 e 4, 601 bis, co. 1 e 2, 604 bis, 604 ter, c.p.
Bibliografia essenziale
Donini, M., L’art. 3 bis c.p. in cerca del disegno che la riforma Orlando ha forse immaginato, in Dir. pen. proc., 2018, 4, 429 ss.; Vassalli, G., Riforma del codice penale: se, come e quando, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 10 ss.; de Flammineis, S., L’età della (apparente) codificazione: bevi riflessioni sul d.lgs. 1° marzo 2018, n. 21, 36, in Dir. pen. cont., fasc. n. 6, 2018, www.penalecontemporaneo.it; Fiandaca, G., Il tema dei rapporti tra codice e legislazione penale complementare, in Dir. pen. proc., 2001, 2, 137 ss.; Borgogno, R., La “riserva di codice” e le altre modifiche al codice penale introdotte con il D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in Arch. pen., Speciale riforme, in www.archiviopenale.it; Bernardi, S., Il nuovo principio della “riserva di codice “ e le modifiche al codice penale: scheda illustrativa, in Dir. pen. cont., fasc. n. 4, 2018, www.penalecontenporaneo.it; Cisterna, A., Appunti in materia di “riserva di codice”, legislazione penale ed azione penale nello Stato di diritto, in www.archiviopenale.it; Papa, M., Dal codice penale “scheumorfico” alle playlist: considerazioni inattuali sul principio della riserva di codice, in Dir. pen. cont., fasc. n. 5, 2018, www.penalecontemporaneo.it.