Riserva di legge e obblighi europei di armonizzazione
Nell’ottica del progressivo superamento del cd. deficit democratico del contesto istituzionale dell’Unione, tuttora oggetto di dibattito nella dottrina penalistica, la valorizzazione del ruolo dei parlamenti nazionali nel processo decisionale europeo assume un’importanza centrale. La l. 24.12.2012, n. 234 disciplina nel dettaglio la partecipazione delle Camere sia alla fase della elaborazione delle norme UE, sia alla fase della loro attuazione nell’ordinamento interno. Le notevoli prerogative assegnate alle assemblee nell’ambito della prima fase sembrano smentire definitivamente la tradizionale tendenza a riservare all’organo rappresentativo una funzione subalterna nella conduzione degli “affari europei”; tendenza invece confermata dalla disciplina della seconda fase, che conferma il protagonismo della delega legislativa nel quadro dei meccanismi di recepimento.
L’incidenza delle fonti europee sugli ordinamenti penali interni è da tempo un dato acclarato1, ora formalizzato nel Trattato di Lisbona mediante il conferimento all’Unione di una competenza penale indiretta, da esercitarsi attraverso l’adozione di direttive di armonizzazione penale destinate a essere recepite all’interno dei sistemi nazionali (art. 83 TFUE)2.
La principale obiezione opposta in passato alle sempre più insistenti proposte volte a riconoscere alle istituzioni europee una competenza normativa in materia penale era rappresentata dal cosiddetto deficit democratico dell’assetto istituzionale europeo; obiezione basata, in estrema sintesi, sull’insufficiente coinvolgimento dei parlamenti nazionali nella fase di elaborazione delle norme giuridiche europee (cd. fase ascendente del processo decisionale dell’Unione), nonché sulla tradizionale prevalenza del ruolo esercitato dagli organi esecutivi (Consiglio e Commissione) nella fase di definitiva formulazione e approvazione delle norme stesse (cd. fase accentrata). La persistenza del deficit democratico viene tutt’ora denunciata da chi ritiene i progressi compiuti dal Trattato di Lisbona insufficienti a compensare il vulnus inferto alla riserva di legge parlamentare e nazionale attraverso il trapasso da Roma a Bruxelles del controllo sulle opzioni di politica criminale, nei numerosi ambiti normativi dell’art. 83 TFUE3. Che si condividano o meno tali critiche, va riconosciuto che il percorso verso la democratizzazione del contesto istituzionale dell’Unione non si è certo compiuto con le pur significative riforme attuate a Lisbona. Questo percorso si compone di due corsie parallele, entrambe tese al potenziamento della “parlamentarizzazione” del circuito decisionale: la prima consiste nel consolidamento del coefficiente di rappresentatività dell’organo elettivo europeo e del suo ruolo nella fase accentrata; la seconda concerne lo sviluppo della capacità dei parlamenti nazionali di incidere concretamente sui contenuti delle norme di matrice europea, sia nella fase ascendente, sia nella fase di attuazione delle norme stesse nei sistemi giuridici nazionali (cd. fase discendente).
Lungo il tracciato della seconda corsia, la valorizzazione del ruolo dei parlamenti nazionali dipende dalla disciplina interna relativa sia ai loro poteri di controllo e indirizzo sulle posizioni assunte dai rispettivi governi nelle sedi istituzionali dell’Unione, nonché ai canali diretti di interazione con queste ultime in sede di elaborazione delle fonti UE (fase ascendente); sia al contributo dei parlamenti medesimi nel recepimento delle direttive in materia penale – e più in generale nell’attuazione sanzionatoria di tutte le fonti UE – all’interno degli ordinamenti dei Paesi membri (fase discendente).
La l. 24.12.2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea)4, ha operato una profonda riforma delle modalità attraverso le quali le istituzioni nazionali partecipano alle suddette fasi ascendente e discendente.
Per quanto attiene alla prima fase, la legge in questione ha inciso su molteplici aspetti critici della disciplina previgente, potenziando in maniera assai significativa il ruolo del Parlamento nazionale attraverso l’attribuzione di penetranti poteri di controllo e di indirizzo delle politiche europee dell’esecutivo. Per quanto attiene alla fase discendente, invece, i meccanismi di recepimento delle fonti europee precedentemente invalsi nell’ordinamento interno, pur formalmente ristrutturati, non sembrano essere stati emendati dei profili critici di interesse penalistico, riguardanti proprio l’effettiva partecipazione del Parlamento alla formulazione delle norme di attuazione sanzionatoria delle fonti UE.
La l. n. 234/2012 si accoda ad una serie di interventi normativi succedutisi negli ultimi decenni, in parte animati, specie i più recenti, dall’intento di garantire un’adeguata partecipazione dell’organo rappresentativo nazionale alle fasi della predisposizione e dell’attuazione interna delle norme europee, archiviando la tradizionale tendenza a relegare tale organo in posizione subalterna rispetto a quello esecutivo nella conduzione degli “affari europei”.
2.1 La fase ascendente prima della l. n. 234/2012
Nei primi decenni successivi al Trattato istitutivo del 1957 la conduzione dei negoziati in sede comunitaria è stata considerata questione riservata al Governo, mentre il Parlamento si limitava a essere informato ex post della posizione assunta in sede accentrata dal rappresentante dell’esecutivo nazionale, senza poterla minimamente condizionare.
Un primo timido tentativo di coinvolgimento dell’organo rappresentativo si deve alla l. 16.4.1987, n. 183 (cd. legge Fabbri), che introdusse l’obbligo per l’esecutivo di informare le Camere sui progetti di atti comunitari, onde consentire loro di «inviare al Governo osservazioni» (art. 9-10).
Questo sistema embrionale di partecipazione del Parlamento alla fase ascendente, rimasto sostanzialmente invariato con l’approvazione della l. 9.3.1989, n. 86 (cd. legge La Pergola), è stato in seguito potenziato con una serie di modifiche apportate a quest’ultima, tra le quali merita citare l’introduzione dell’art. 1 bis che obbligava il Governo a trasmettere alle Camere «i progetti degli atti normativi e di indirizzo» europei, onde consentire alle Commissioni parlamentari competenti di formulare osservazioni e atti di indirizzo vincolanti: si tratta del primo abbozzo di potere di indirizzo politico del Parlamento nei confronti dell’esecutivo in ordine alla posizione da assumere in seno alle istituzioni europee nella fase accentrata.
Ben più incisive sono risultate le novità apportate dalla l. 4.2.2005, n. 11 (cd. legge Buttiglione). Da un lato tale legge estendeva i contenuti degli obblighi informativi imposti al Governo nei riguardi del Parlamento all’agenda degli ordini del giorno del Consiglio dei ministri UE, alle posizioni che l’esecutivo nazionale avrebbe inteso assumere nelle riunioni semestrali del Consiglio europeo, massima istanza politica dell’Unione, e alle risultanze delle riunioni di entrambi gli organi, così da favorire la verifica parlamentare sul rispetto degli indirizzi manifestati dalle Camere nel corso del dibattito preventivo (art. 3). Dall’altro lato, la legge in questione introduceva l’istituto della riserva d’esame parlamentare, in virtù del quale laddove le Camere avessero iniziato l’esame dei progetti trasmessi, il Governo era tenuto a sospendere la propria posizione in sede europea fino al termine dell’esame stesso, ovvero fino allo scadere di un termine di venti giorni (art. 4, co. 1).
Ulteriori aggiustamenti della disciplina introdotta con la l. n. 11/2005 si sono in seguito resi necessari per adeguare l’ordinamento interno alle novità introdotte dal Trattato di Lisbona, tese a compensare il progressivo passaggio di competenze dagli Stati membri alle istituzioni europee mediante la rivitalizzazione dei rapporti tra queste ultime e gli organi rappresentativi interni5. Al fine di disciplinare il controllo delle Camere sulla conformità dei progetti di atti legislativi UE con il principio di sussidiarietà (art. 5.3 TUE), in linea con quanto previsto dal secondo protocollo al Trattato6, è stato ad esempio inserito l’obbligo apposito per il Governo di trasmettere al Parlamento «un’adeguata informazione sui contenuti e sui lavori preparatori relativi alle singole proposte», nonché «sugli orientamenti che lo stesso Governo ha assunto o intende assumere in merito»7, così da scongiurare al contempo il rischio della formulazione di un parere parlamentare discordante dalla posizione dell’esecutivo.
2.2 La fase ascendente nella l. n. 234/2012
Nonostante i condivisibili propositi alla base dei suddetti interventi, l’impianto legislativo antecedente il varo della l. n. 234/2012, risultato di aggiustamenti progressivi più che di una riforma ad ampio respiro, risultava affetto da talune contraddizioni interne e da talune inadeguatezze rispetto al quadro delle prerogative potenzialmente assegnate alle assemblee nazionali dal Trattato di Lisbona8.
La l. n. 234/2012, interamente sostitutiva della l. n. 11/2005, ha ulteriormente proseguito il percorso verso il deciso rafforzamento del ruolo del Parlamento nel processo di partecipazione dell’Italia alla formazione non solo della normativa, ma anche, più in generale, delle politiche dell’Unione.
Nel quadro del corposo Capo II della legge in questione, dedicato appunto alla «Partecipazione del Parlamento alla definizione della politica europea dell’Italia e al processo di formazione degli atti dell’Unione europea», è possibile individuare in estrema sintesi9 talune fondamentali linee di intervento.
In primo luogo, vengono ulteriormente irrigiditi gli obblighi del Governo di trasmettere tempestivamente alle Camere le informazioni relative ai progetti normativi in discussione (art. 6), riferendo preventivamente le posizioni che i rappresentanti dell’esecutivo intendono assumere nelle riunioni del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione e relazionando successivamente sugli esiti delle riunioni stesse (art. 4). In particolare, l’obbligo di trasmissione viene esteso alle relazioni e alle note informative predisposte dalla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione con riferimento agli incontri interistituzionali, le quali rappresentano «lo strumento più efficace ai fini della precoce valutazione delle iniziative politiche e legislative dell’Unione, della formazione della posizione italiana al riguardo e della verifica della coerenza dell’azione europea del Governo con gli indirizzi parlamentari»10. Altra novità consiste nell’obbligo per l’esecutivo, nei casi di particolare rilevanza o di richiesta espressa delle Camere, di corredare la documentazione con una relazione illustrativa della valutazione del Governo sulla proposta, con indicazione della data presumibile di discussione o approvazione (art. 6, co. 1-3).
In secondo luogo, vengono rafforzati i poteri di indirizzo del Parlamento nei confronti della posizione assunta dal Governo nell’ambito dei negoziati, poteri rispetto ai quali i suddetti obblighi informativi risultano funzionali. Ai sensi del art. 7, co. 1, l’esecutivo «assicura che la posizione rappresentata dall’Italia in sede di Consiglio dell’Unione europea ovvero di altre istituzioni od organi dell’Unione sia coerente con gli indirizzi definiti dalle Camere in relazione all’oggetto di tale posizione». Pur non trattandosi di un mandato con effetto vincolante – tanto che il successivo co. 2 stabilisce in capo al Governo l’obbligo di fornire «le adeguate motivazioni della posizione assunta» nel caso in cui «non abbia potuto attenersi agli indirizzi delle Camere» – non va dimenticato che il rapporto fiduciario tipico del sistema costituzionale italiano rende l’esecutivo (politicamente) responsabile del rispetto delle direttive impartite dal Parlamento anche negli affari europei, con la possibilità teorica di una crisi motivata da eventuali gravi inottemperanze dell’esecutivo proprio nella materia in esame. Anche l’istituto della riserva di esame parlamentare è stato assoggettato a talune innovazioni, la più incisiva delle quali concerne l’estensione a trenta giorni del termine durante il quale, a seguito dell’apposizione della riserva stessa, il voto del Governo in sede istituzionale resta sospeso (art. 10, co. 3), così da consentire agli organi parlamentari di esaminare i progetti UE anche sulla base della relazione illustrativa che l’esecutivo deve inviare, ai sensi dell’art. 6, co. 4, entro venti giorni dalla trasmissione dei progetti medesimi11.
In terzo luogo, la l. n. 234/2012 disciplina le modalità di intervento del Parlamento in relazione all’ipotesi di procedura semplificata12 di modifica dei Trattati (art. 48, par. 6, TUE) e all’ipotesi in cui una decisione del Consiglio europeo consenta di approvare un atto mediante una procedura diversa da quella prevista dai Trattati stessi (art. 48, par. 7, TUE). Entrambe tali ipotesi sono suscettibili di ricadute di rilievo penalistico: ad esempio, ai sensi del par. 6, in prospettiva futuribile potrebbe essere modificato l’art. 83 TFUE al fine di attribuire una competenza penale diretta all’Unione, da esercitarsi mediante regolamenti; ai sensi del par. 7, potrebbe invece essere consentita l’istituzione della Procura europea mediante deliberazione a maggioranza, invece che all’unanimità come ora richiesto dall’art. 86 TFUE. Con riferimento ad entrambe le ipotesi in questione, in linea con le disposizioni dell’art. 48 TUE tese ad assicurare un adeguato coinvolgimento delle istituzioni nazionali13, l’art. 11 della legge in commento stabilisce che il Governo debba immediatamente informare il Parlamento, il cui assenso si considera prestato solo in caso di deliberazione positiva di entrambe le Camere.
Infine, vanno segnalati i poteri conferiti al Parlamento in relazione al cd. freno di emergenza, meccanismo di particolare rilievo penalistico in quanto attributivo a ogni Stato membro della facoltà di sospendere la procedura legislativa ogniqualvolta ritenga che un progetto di direttiva di armonizzazione penale incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale14. L’art. 12 l. n. 234/2012, pur in assenza di una disposizione dei Trattati che imponga di consultare i parlamenti nazionali, stabilisce che il rappresentante italiano in seno al Consiglio dell’Unione sia tenuto ad attivare il freno d’emergenza «ove entrambe le Camere adottino un atto di indirizzo in tal senso» entro trenta giorni dalla ricezione del progetto di direttiva in questione.
2.3 La fase discendente prima della l. n. 234/2012
Il ruolo tradizionalmente subalterno assegnato al Parlamento nella conduzione degli affari europei ha tradizionalmente contraddistinto anche la fase discendente del processo decisionale, ove si consideri che l’adeguamento del sistema giuridico interno alle fonti CE e UE ha da sempre orbitato attorno all’istituto della delega legislativa, esercitata peraltro con modalità poco conformi alla ratio dell’art. 76 Cost. tesa a evitare il trasferimento al legislatore delegato di margini eccessivi di discrezionalità.
La citata l. n. 183/1987, nel limitare la delega alle direttive già emanate, pose fine per lo meno all’aspetto della precedente prassi legislativa più clamorosamente in conflitto con la disciplina costituzionale, vale a dire l’attribuzione di deleghe persino con riferimento ad atti di futura emanazione. La svolta storica della regolamentazione della fase discendente venne tuttavia segnata dalla l. n. 86/1989, la quale introdusse il meccanismo della cd. legge comunitaria, da presentarsi alle Camere ogni anno e contenente, tra l’altro, le «disposizioni occorrenti per dare attuazione, o assicurare l’applicazione» alle fonti europee (art. 3, lett. b). Tale meccanismo, nella sostanza invariato nel quadro della l. n. 11/2005, prefigurava un ampio ventaglio di opportunità attraverso le quali provvedere al recepimento: disposizioni di legge formale (dettate nella stessa legge comunitaria, oppure in leggi di attuazione di singole fonti europee); delega legislativa al Governo; leggi regionali (nelle materie di competenza esclusiva di tali enti); fonti secondarie. Esclusa la compatibilità delle ultime due fonti con la riserva di legge in materia penale, va segnalato che, ogniqualvolta si è dovuto introdurre norme penali a presidio delle norme nazionali di recepimento, «si è sempre optato per il ricorso ad una delega al Governo, affinché proceda a mezzo di decreti legislativi»15, obliterando sistematicamente l’opzione della legge formale.
Per di più, nel ricorrere senza posa alla delega legislativa per l’attuazione sanzionatoria delle fonti europee – scelta di per se criticabile e certamente poco coerente con l’esigenza di salvaguardare il ruolo del Parlamento nella fase discendente16 – il legislatore delegante ha dimostrato scarsa accuratezza nella redazione dei principi e criteri direttivi di cui all’art. 76 Cost., la cui attitudine a comprimere la discrezionalità dell’esecutivo dovrebbe essere invece particolarmente salvaguardata proprio nel caso di deleghe in materia penale. Ed invece, è risultata assolutamente prevalente la formulazione, all’interno di tali principi e criteri direttivi, di canoni sanzionatori a carattere generale, ovvero destinati ad applicarsi a tutti i decreti attuativi di tutte le fonti europee e dunque inevitabilmente assai vaghi e generici, dovendo adattarsi a settori normativi anche molto differenziati17. Per giunta, è invalsa la tendenza a replicare nelle singole leggi comunitarie canoni sanzionatori a carattere generale fotocopia rispetto a quelli dettati l’anno precedente18, segno della palese noncuranza del delegante rispetto all’esigenza di confezionare principi e criteri direttivi per quanto possibile stringenti, attorno alle specificità delle singole materie da regolare.
2.4 La fase discendente nella l. n. 234/2012
La novità più evidente apportata dalla legge in questione al meccanismo di adeguamento dell’ordinamento interno al diritto UE è rappresentata dallo sdoppiamento della legge comunitaria annuale in due distinti provvedimenti: il primo provvedimento è rappresentato dalla legge di delegazione europea, il cui oggetto è limitato al recepimento dei regolamenti, delle direttive e delle decisioni quadro, nonché all’adeguamento del diritto nazionale ai pareri adottati dalla Commissione UE e alle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di giustizia nell’ambito delle procedure di infrazione (art. 29). Il secondo provvedimento consiste nella legge europea, volta a prevedere tutte le altre disposizioni necessarie a garantire più in generale l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello dell’Unione (art. 30). La ratio di tale sdoppiamento risiede nella necessità di prevedere una corsia preferenziale ed esclusiva per l’adozione delle misure più urgenti in vista della scadenza degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’UE, riservando a questo fine un provvedimento apposito, ovvero la succitata legge di delegazione europea.
Se il fine più manifesto della l. n. 234/2012 è dunque quello di garantire un tempestivo adeguamento dell’ordinamento interno agli obblighi suddetti, in vista del contenimento del numero di procedure di infrazione a carico dell’Italia, va tuttavia segnalato che le legge in esame ha lasciato l’istituto della delega legislativa al centro del meccanismo di recepimento: l’art. 30, co. 2, nell’elencare i contenuti della legge di delegazione europea (la cui denominazione è peraltro sufficientemente esplicita), opera un continuo riferimento a tale istituto, il cui protagonismo nel settore penale è reso manifesto, già all’interno dello stesso comma, dalla lett. d), che contempla la «delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea» diversi dalle direttive19. Particolare attenzione merita infine l’art. 32, il quale – fatti salvi «gli specifici princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla legge [annuale] di delegazione europea» e «in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare» – detta una tantum una nutrita serie di principi e criteri direttivi generali, validi per tutti i decreti legislativi adottati di volta in volta in esercizio delle deleghe conferite dalle singole leggi annuali di delegazione. In particolare, i suddetti principi e criteri direttivi mirano a orientare la discrezionalità del legislatore delegato in ordine alla scelta tra sanzioni amministrative e sanzioni penali; e, laddove questi opti per le sanzioni penali, nella scelta se comminare l’arresto e l’ammenda in via alternativa o congiunta, prefigurando dunque il ricorso esclusivo a fattispecie di natura contravvenzionale.
Le innovazioni attuate dalla l. n. 234/2012 nella prospettiva del rafforzamento del ruolo del Parlamento nazionale nel processo decisionale europeo, e dunque del coefficiente di legittimazione democratica di quest’ultimo, meritano un giudizio ambivalente.
Quanto alla fase ascendente, la legge in questione ha senz’altro inciso positivamente su diversi aspetti critici della disciplina pregressa, se non eliminandoli, comunque attenuandoli. Gli obblighi di informare le Camere, in relazione sia ai contenuti delle fonti UE in fase di elaborazione, sia alla posizione che il Governo intende assumere nel corso dei negoziati, escono rafforzati. Ne beneficiano di conseguenza anche i poteri di controllo e di indirizzo assegnati al Parlamento, i cui meccanismi di funzionamento sono stati ulteriormente messi a punto. Il ruolo assegnato al Parlamento dai Trattati e dai relativi protocolli risulta valorizzato talvolta anche al di là di quanto le norme europee di diritto primario non richiedano espressamente.
Tra i nodi irrisolti, si segnala invece la persistente pedissequa duplicazione delle attività di controllo svolte dalle due Camere sulle medesime questioni20, quale conseguenza di un regime di bicameralismo perfetto. Una scelta disfunzionale rispetto a due obiettivi fondamentali: primo, velocizzare l’esercizio dei poteri attribuiti al Parlamento, per evitare impasse istituzionali o, più semplicemente, la scadenza dei termini assegnati al medesimo per deliberare atti d’indirizzo nei confronti dell’esecutivo; secondo, scongiurare i rischi di disallineamento tra le valutazioni delle due Camere. Possibile soluzione, l’istituzione di un’unica commissione bicamerale per gli affari europei.
Un giudizio decisamente meno favorevole tocca invece alla disciplina della fase discendente. Sotto un primo profilo, desta sorpresa la prospettazione, ad opera dell’art. 32 lett. d) della legge in commento, del ricorso alle sole fattispecie contravvenzionali per l’attuazione sanzionatoria delle fonti UE, ove si consideri che l’art. 83.1 TFUE, nell’attribuire all’Unione la competenza ad adottare direttive di armonizzazione penale, si riferisce alle «sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale»21, rispetto alle quali il ricorso alle sole sanzioni dell’arresto e dell’ammenda si rivela assolutamente sproporzionato per difetto.
Sotto un secondo profilo, la formulazione nello stesso art. 32 lett. d) di canoni sanzionatori a carattere generale, destinati ad applicarsi a tutti i decreti legislativi da adottarsi anno per anno, rischia di acuire uno dei difetti in precedenza segnalati in relazione alle modalità di conferimento delle deleghe legislative da parte del Parlamento italiano: si allude alla prassi consistente nel “fotocopiare” di anno in anno nelle singole leggi comunitarie gli stessi identici canoni sanzionatori a carattere generale, i quali mantenevano dunque in tali leggi tutta la loro vaghezza, dato che neppure se ne variava la formulazione in dipendenza dei gruppi di direttive da attuare nei diversi periodi di riferimento.
Vero è che, sotto entrambi i profili segnalati, il rango ordinario della l. n. 234/2012 non impedirà al Parlamento, in sede di formulazione dei principi e criteri direttivi nelle singole leggi di delegazione annuale, di discostarsi dai suddetti canoni sanzionatori generali, o eventualmente di integrarli. Resta il fatto che la completa obliterazione dei principi e criteri direttivi appropriati alla trasposizione del direttive di cui all’art. 83.1 TFUE, nonché la cristallizzazione di uno degli aspetti più critici della prassi preesistente, proprio nell’ambito della disciplina generale dell’attuazione interna delle fonti dell’Unione, si segnalano tra gli aspetti più controversi del provvedimento in esame.
1 V., ex multis, Bernardi, A., L’europeizzazione del diritto e della scienza penale, Torino, 2004; Grasso, G., Comunità europee e diritto penale, Milano, 1989; Sicurella, R., Diritto penale e competenze dell’Unione europea, Milano, 2005.
2 Sulle novità del Trattato di Lisbona v., per tutti, Viganò, F., Fonti europee e ordinamento italiano, in Europa e giustizia penale. Speciale di Dir. pen. proc., 2011, 4 ss.
3 In questo senso v., da ultimo, Cupelli, C., La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge nel diritto penale, Napoli, 2012, 293 ss. Di diverso avviso, volendo, Grandi, C., Riserva di legge e legalità penale europea, Milano, 2010, 71 ss., 114 ss.
4 In G.U. 4.1.2013, n. 3. V. Cupelli, C., La nuova legge sulla partecipazione alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’UE, in Dir. pen. proc., 2013, 405 ss.; Esposito, A., La legge 24 dicembre 2012, n. 234, sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’UE, in www.federalismi.it.
5 V. artt. 10.1 e 12 TUE. In argomento v. Caretti, P., Il ruolo dei parlamenti nazionali prima e dopo il Trattato di Lisbona, in Osservatoriosullefonti.it, n. 3, 2010.
6 Tale protocollo, sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, prevede infatti all’art. 6 che ciascuna assemblea nazionale possa formulare, entro il termine di otto settimane dalla trasmissione dei progetti di atti legislativi, un parere motivato sulla conformità dei medesimi al principio di sussidiarietà. Nel caso in cui il complesso dei pareri negativi superi determinate soglie numeriche, il successivo art. 7 prefigura significativi aggravi procedurali per l’adozione dei progetti medesimi.
7 Art. 4 quater inserito ad opera della l. 4.6.2010, n. 96.
8 Si può ad esempio segnalare come il termine previsto per l’invio delle informazioni di cui al succitato art. 4 quater l. n. 11/2005 (tre settimane dall’inizio dell’esame della proposta), mal si conciliasse con l’immutato termine per la riserva di esame parlamentare (venti giorni ai sensi dell’art. 4), spirato il quale il Governo avrebbe comunque potuto esprimersi in sede europea: l’utilità delle suddette informazioni è ben scarsa se il Parlamento non è posto in grado di utilizzarle per formulare atti di indirizzo, conoscendo l’orientamento del Governo prima che questi assuma una posizione definitiva in sede UE. Si consideri altresì la mancata definizione nell’ordinamento interno delle prerogative parlamentari prefigurate dall’articolo 48 TUE nel quadro dei meccanismi di revisione dei Trattati. V., amplius, Fasone, C., Gli effetti del Trattato di Lisbona sulla funzione di controllo parlamentare, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2011, 384 ss.
9 Sia consentito il rinvio a Grandi, C., Processo decisionale europeo e democrazia penale, in Dir. pen. contemp., n. 2, 2013, 55 ss.
10 Esposito, A., op. cit., 23 s.
11 Viene così posto rimedio all’incongruenza segnalata, supra, nota 8.
12 Ovvero attuate senza la convocazione di una convenzione composta dai rappresentanti dei Paesi membri e delle istituzioni UE.
13 L’art. 48 TUE stabilisce infatti che il dissenso manifestato anche da un solo Stato membro impedisce il perfezionamento delle procedure in oggetto.
14 In questa ipotesi la questione viene rimessa al Consiglio europeo e solo in caso di raggiungimento di un accordo entro quattro mesi il progetto è nuovamente trasmesso al Consiglio dell’Unione; in caso di persistente disaccordo, un gruppo di almeno nove Stati membri può avviare la procedura di cooperazione rafforzata (art. 83, par. 3, TFUE). V, amplius, Satzger, H., International and European Criminal Law, München, 2012, 80 ss.
15 Cupelli, C., La legalità delegata, cit., 285.
16 V., da ultimo e per tutti, Cupelli, C., ult. op. cit., 22 ss., 123 ss., 290.
17 V. Bernardi, A., I principi e criteri direttivi in tema di sanzioni nelle recenti leggi comunitarie, in Annali dell’Università di Ferrara – Scienze giuridiche, vol. XIV, 2000, 92 s.
18 Sul punto v. Vergine, A.L., Rossi di vergogna anzi paonazzi…leggendo la legge comunitaria 2009, in Ambiente e sviluppo, 2011, 131.
19 La norma si riferisce specificamente all’ipotesi contemplata dall’art. 33, la quale prevede, sempre nell’ambito della legge di delegazione europea, la delega al Governo per l’attuazione sanzionatoria degli obblighi contenuti «in direttive europee attuate in via regolamentare o amministrativa, ai sensi delle leggi di delegazione vigenti, o in regolamenti dell’Unione europea … per i quali non sono già previste sanzioni penali o amministrative».
20 In relazione, in particolare, al controllo di conformità dei progetti UE con il principio di sussidiarietà, nonché ai pareri sulle procedure di revisione semplificata dei Trattati e in materia di modifica del procedimento di adozione degli atti (v., supra, par. 2.2).
21 Ivi inclusi, tra gli altri, il terrorismo, la tratta di esseri umani, il traffico di armi e di stupefacenti.