RISERVE NATURALI
Definizione e classificazione. - In base alla più diffusa accezione, ogni porzione di territorio sottoposta a qualche forma di tutela dei caratteri ambientali attraverso limitazioni delle attività antropiche è da definire una ''riserva naturale''. Le r.n. comprenderebbero, secondo tale impostazione, aree della più diversa estensione e del più vario regime di tutela, raggruppate (a seconda delle finalità e del regime di protezione) in r.n. generali e particolari; le prime, a loro volta, comprenderebbero r.n. integrali, r.n. orientate e parchi nazionali (secondo alcuni, a questa categoria vanno pure ascritti i parchi regionali o locali), caratterizzati da vasta estensione e fini multipli (v. parchi naturali, in questa Appendice); le seconde comprendono le r.n. parziali e le r.n. speciali (Fanfani e altri 1977).
Tuttavia, secondo alcuni autori (per es., Giacomini 1971), tale classificazione non sarebbe soddisfacente, in quanto inadeguata rispetto alle situazioni reali di un mondo pesantemente antropizzato: i territori protetti a scopo scientifico o tecnico (riserve) dovrebbero infatti essere ben distinti da quelli tutelati a fini prevalentemente turistico-ricreativi o molteplici (parchi e aree). Tale ottica è in parte recepita nella suddivisione, proposta dall'Union Internationale pour la Conservation de la Nature (UICN 1985) per le zone protette, secondo ''categorie di gestione''; ossia: 1) riserve scientifiche, r.n. integrali; 2) parchi nazionali; 3) monumenti naturali, elementi naturali esemplari; 4) riserve di conservazione, r.n. orientate, santuari faunistici; 5) paesaggi terrestri o marini protetti; 6) riserve di risorse naturali; 7) riserve antropologiche, ecc,; 8) aree naturali gestite a fini multipli e per l'uso di risorse naturali; 9) riserve della biosfera, in relazione al programma internazionale Man And Biosphere (MAB); 10) beni naturali d'interesse mondiale (''patrimonio mondiale'').
La prima r.n. sarebbe stata quella di Hot Springs, istituita dagli USA nel 1832 in Arkansas. Ma è probabile che, già nell'antichità, certe aree venissero sottratte allo sfruttamento da parte dell'uomo e alla conseguente trasformazione per essere destinate il più delle volte al culto. Ciò dovette verificarsi in particolare per i boschi maturi, distrutti uno dopo l'altro per fini colturali e per sfruttarne il legname ma la cui arcana maestosità era ben presente nel ricordo, nella leggenda e nel mito, anche in rapporto al legame che si riconosceva tra il bosco e il perpetuarsi nel tempo della stirpe umana (è eloquente il nesso, anche filologico, tra lucus come bosco sacro e Lucina come divinità delle gestanti); a ciò potrebbe essere dovuta la salvaguardia, operata spontaneamente dalle popolazioni locali, di molti piccoli, antichi boschi nei pressi di centri abitati. Del resto, il legame tra il bosco d'alto fusto e certa antica sacralità è ben evidenziato dalla struttura del tempio greco, le cui colonne hanno evidenti somiglianze con la stilizzazione di una fustaia matura.
In altre circostanze storico-ambientali, l'esigenza di preservare certi boschi prospicienti a insediamenti umani derivò, con ogni probabilità, dalla loro azione di freno e di protezione contro eventi naturali calamitosi, quali inondazioni, frane e valanghe; ciò è abbastanza evidente in varie zone montane d'Italia, in rapporto all'antico istituto degli ''usi civici''. Ancora, certi boschi furono anticamente tutelati per garantire la produzione di legname di alta qualità: è il caso delle ''foreste di S. Marco'' tutelate nelle Alpi orientali dalla Repubblica di Venezia allo scopo di assicurarsi la materia prima per opere d'ingegneria civile e navale. In India, ove il rapporto uomo-ambiente naturale è stato per millenni interpretato in maniera equilibrata e non distruttiva, anche nell'ambito della spiritualità e della religiosità autoctone, già nel 3° secolo a.C. furono istituite in pratica delle r.n. sotto il nome di Abhayar ana, boschi messi sotto la personale tutela dal re Asoka; per ciò che concerne l'Europa, in Polonia, nel 16° secolo, re Sigismondo iii protesse le ultime aree di sopravvivenza dell'uro (Bos taurus primigenius), senza purtroppo raggiungere lo scopo d'impedirne la scomparsa (Dorst 1969). Preannunciata da alcune episodiche realizzazioni, dovute a volte all'iniziativa precorritrice di illuminati governanti, la tutela di territori per fini estetico-ricreativo-culturali si sviluppò solo nell'Ottocento (per es., la protezione dell'area di Fontainebleau, in Francia). Con le prime aree protette negli USA e in Europa si avviò la fase moderna delle r.n. sensu lato; in circa un secolo, tali istituti si sono moltiplicati ed estesi in tutto il mondo, con un ritmo esponenziale rallentato solo in concomitanza con i due conflitti mondiali.
Il sistema delle riserve naturali. - Oggi le r.n. costituiscono, nel complesso, un sistema ricco e differenziato, anche se non privo di carenze e problemi. Limitando l'analisi alle aree che, secondo l'UICN (1985), offrono adeguate garanzie di tutela (parchi nazionali e riserve analoghe), gli stati che le ospitano risultano essere più di 130, con una superficie complessiva protetta di più di 4 × 106 km2, circa il 3% della superficie globale delle terre emerse. Sono rappresentati, nel sistema, tutti i principali biomi e le grandi regioni biogeografiche, pur se non tutti in misura adeguata.
Grazie all'immenso parco nazionale istituito in Groenlandia nel 1974, la Danimarca è in testa alle ideali classifiche mondiali relative alla superficie protetta, in senso sia assoluto (718.000 km2, ben oltre il doppio dell'intera superficie dell'Italia) che relativo alla popolazione (circa 14 ha per abitante), mentre per quanto riguarda il rapporto con la superficie del territorio nazionale, la classifica è guidata dalle Seicelle nelle quali più del 50% del territorio complessivo è protetto, seguite dal Lussemburgo. Immensa è pure l'estensione di alcune importanti r.n., quali: la Riserva del Kalahari centrale del Botswana, in Africa (5,2 × 106 ha); il Parco Marino della grande Barriera Corallina in Australia (4,7 × 106 ha); il Parco Nazionale del Gran Deserto di Gobi in Mongolia (4,5 × 106 ha); il Parco Nazionale di Canaima in Venezuela (3,0 × 106 ha); la Riserva delle Svalbard di nord-est in Norvegia (1,9 × 106 ha).
In base agli stessi criteri di valutazione, in Italia risulterebbe protetto, al 1985, poco più di mezzo milione di ha; questo valore viene però all'incirca triplicato, considerando le aree protette a livello regionale o anche, sia pure su ben minore superficie, da gruppi e associazioni di carattere privato, tra cui il WWF-Italia e la LIPU: Lega Italiana Protezione Uccelli (Lega per l'ambiente 1989). A parte i parchi nazionali (v. parchi naturali, in questa Appendice), che oggi occupano all'incirca l'1% del territorio nazionale, e i parchi regionali, sono state istituite quasi 200 r.n., per la maggior parte nell'ambito delle foreste demaniali. Alcune di tali r.n. sono di grande importanza per estensione e/o per valori ambientali custoditi; si possono citare come esempi: le foreste di Tarvisio (circa 23.000 ha); il complesso forestale del Bellunese (quasi 20.000 ha); alcuni biotopi insulari (per es. Caprera, circa 1500 ha; Montecristo, circa 1000 ha); alcune zone di tutela biologica marina (v. parchi naturali: Parchi marini, in questa Appendice); alcune ''zone umide'' (per es. le Saline di Margherita di Savoia, quasi 4000 ha; il complesso del Ferrarese, circa 1500 ha; quello del Grossetano, circa 1000 ha; alcune ''garzaie'' della Val Padana; il complesso Doberdò-P. Rossa-Sablici-Lisert, in Venezia Giulia, ecc.); relitti di boschi planiziari (per es., in Lombardia: boschi Negri e Fontana; Emilia-Romagna: bosco della Mesola, pinete di Ravenna; Veneto: bosco Nordio; ecc.); estesi consorzi forestali, in provincia di Novara (circa 3000 ha), Forlì e Arezzo (più di 4000 ha), Foggia (Foresta Umbra); Cosenza e Catanzaro (più di 5000 ha); paesaggi eccezionali e tipici (Carso, circa 4000 ha; Foce del Po, circa 1000 ha; Vesuvio, circa 1000 ha; ecc.); bacini fluviali (per es. Prescudin, Pordenone, più di 1500 ha; Orfento, Pescara, più di 2000 ha). Tenendo conto dei soli dati che vengono forniti dalla UICN, la posizione italiana nel sistema mondiale è all'incirca nella classe modale per quanto riguarda la superficie protetta rispetto al totale del territorio, mentre è lievemente al di sotto della classe modale per quanto riguarda la superficie protetta pro capite; nel complesso, tenendo conto di entrambi i parametri suddetti, l'Italia sembra essere su valori intermedi rispetto alla gamma della situazione mondiale. Da parte di varie organizzazioni protezionistiche nazionali si chiede la tutela del 10% del territorio nazionale, mentre adesso si sarebbe intorno al 6%; ma tale richiesta non sembra poggiare su robuste basi scientifiche.
Problemi metodologici. - Le r.n. rappresentano senz'altro un fondamentale strumento per la tutela dei valori ambientali; e tuttavia si nota a volte, anche all'interno di aree tutelate, un certo deterioramento delle caratteristiche stesse per le quali la tutela era stata decretata: così, la sospensione di talune attività antropiche estensive e tradizionali, di tipo per es. agro-silvo-pastorale e, a volte, persino venatorio, può produrre alterazioni del funzionamento degli ecosistemi nei quali esse fossero ormai inserite, soprattutto in paesi, come l'Italia, caratterizzati da un'antica e stabile presenza antropica. A titolo d'esempio, si possono citare il brusco acuirsi del dissesto idrogeologico in rapporto all'abbandono delle colture, in varie situazioni montane e collinari; i danni alla vegetazione e al suolo causati dall'eccessivo incremento di talune specie animali; la scomparsa di svariate entità tassonomiche e il relativo impoverimento biocenotico, ecc. (Newmark 1987). Ciò pone l'accento sull'esigenza di un approccio sempre più scientifico ai problemi delle r.n., sul quale tutti sono teoricamente concordi, anche se le potenzialità della moderna ecologia non sempre sono tenute nel debito conto. D'altra parte, più aumenta il numero di parchi e altre aree protette istituite senza basi ecologiche serie, meno se ne potranno istituire razionalmente nel futuro: se, infatti, dovesse perdurare l'attuale modello di sviluppo mondiale, il pure impressionante incremento delle aree protette non potrebbe che arrestarsi presto, di fronte al prevedibile tasso della distruzione ambientale, anche perché troppo spesso l'istituzione di una r.n. costituisce quasi un alibi per la sfrenata antropizzazione del territorio circostante. Occorre rilevare che, mentre oggi molte r.n. sono ancora immerse in un contesto ambientale scarsamente alterato, la tendenza futura è quella dell'alterazione generalizzata del territorio (Brown e altri 1988-89), al di fuori delle r. naturali. In assenza di opportuni correttivi, ciò potrebbe condurre, nel giro di uno o due secoli, a una situazione ''insulare'' di gran parte delle aree protette, il che (indipendentemente dall'estensione complessiva) produrrebbe un grave impoverimento dei valori ambientali custoditi; infatti, il rapporto aree protette/aree naturali, assai vicino allo zero nel 1800, circa uguale a 10−3 nel 1900 e presumibilmente prossimo a circa 1/5 nel 2000, potrebbe giungere ad attestarsi tra 1/2 e 1 nel 2100 (cfr. fig.). D'altra parte, col passare del tempo si riduce la possibilità di scegliere, per istituire nuove r.n., le aree realmente più adatte allo scopo.
Da quanto sopra emerge l'attuale urgenza, da un lato, di una qualche forma di tutela minimale per tutto il territorio non ancora irreversibilmente alterato dall'uomo; dall'altro, di un approccio razionale all'individuazione e valutazione comparativa dei territori potenzialmente destinabili a una particolare forma di tutela.
A tale scopo, sarebbe opportuno analizzare e rendere esplicita la nozione di ''valore naturale'', sottraendola all'enfasi retorica abituale in qualche ambiente protezionista. Alcuni autori (per es., Margules e Usher 1981), sulla base di una letteratura ormai cospicua, soprattutto nei paesi anglofoni, hanno evidenziato come la validità ambientale di una r.n. possa esprimersi attraverso un certo numero di parametri quantificabili e di altre componenti più difficilmente esprimibili in termini quantitativi: tra i primi, i più importanti sono considerati dalla maggior parte degli autori la diversità, soprattutto se si consideri oltre al numero di taxa (o la ricchezza) anche l'equiripartizione degli individui tra di essi (o evenness), e se a un approccio puramente tassonomico si aggiunga quello che esprime la complessità delle relazioni funzionali fra gli organismi; l'unicità, collegabile con il numero di endemiti; la rappresentatività, calcolabile in base ai valori medi di taluni parametri ambientali del contesto territoriale generale. Questi due ultimi criteri sono, per definizione, difficilmente compatibili fra di loro. Altri criteri, come la naturalità, la fragilità, ecc., rientrano nel secondo gruppo, al quale appartiene pure la rarità, concetto questo da analizzare assai criticamente, anche perché troppo abusato nella corrente letteratura protezionistica. Si può perlomeno distinguere una rarità per localizzazione, alla quale attengono anche gli endemismi, da una rarità per dispersione; la prima riguarda entità per lo più di piccole dimensioni, stenoecie, poco vagili, localmente anche abbondanti ma con areale ridotto e/o frammentato; la seconda riguarda entità spesso di grandi dimensioni, euriecie, ad areale anche assai ampio ma presenti sul territorio con densità basse.
La tutela della diversità di specie (legata alla ''ricchezza'' di cui sopra) è stato un problema affrontato in particolare da vari studiosi, soprattutto sulla base della teoria biogeografico-statistica degli equilibri insulari (Mac Arthur e Wilson 1967); si sono enunciati alcuni ''principi geometrici'' circa le dimensioni, il numero, la forma, la posizione reciproca e la presenza di collegamenti con altre r.n., nonché sul numero di ''specie affini'' in una r. naturale. In base a ciò, sarebbe possibile prevedere, in una r.n. isolata, quante entità rimarranno col passare del tempo, nonché l'ordine di scomparsa delle specie non destinate a permanere entro un certo tempo (Diamond e May 1976). Tuttavia, negli ultimi tempi alcuni di tali principi sono stati posti in discussione: così, le r.n. non dovrebbero di necessità essere di forma circolare o quasi, né troppo vicine tra loro; non si è più certi che una sola r.n. sia sempre preferibile a più r.n. della stessa superficie complessiva, ma tutti concordano sul fatto che esiste comunque una superficie minima per la tutela di una certa specie critica o ''focale''. Si è sostenuta lucidamente la necessità (Giacomini 1983), per le maggiori aree protette, di confini non rigidi ma ''aperti'', anche attraverso fasce di ''preparco'', il che implica una gradualità dei vincoli dall'interno all'esterno dell'area da tutelare. Ciò risulta di particolare importanza per paesi, come l'Italia, nei quali la superficie media di una r.n. è assai più piccola (circa un ordine di grandezza) rispetto alla norma mondiale che si aggira su 105 ha; in queste circostanze, molte delle più vistose specie protette nelle r.n., rappresentate da un numero di effettivi di necessità assai basso, non potranno presumibilmente sopravvivere a lungo se non godranno di possibilità di espansione in un ambito territoriale in qualche modo protetto anche all'esterno delle r.n. e di queste molto più vasto.
Oggi, si conviene che una r.n. debba essere abbastanza grande da ospitare il maggior numero di taxa in quel dato contesto biogeografico ed ecologico e tale da garantire la minima probabilità di scomparsa o di alterazione genetica delle specie ''focali'', possibilmente anche in chiave evoluzionistica. Oltre tale limite, converrebbe istituire altre r.n. distinte dalla prima, dovendosi tra l'altro preferire che le ''specie focali'' siano tutelate in più di una r.n. e che su di esse sia programmato l'ambito territoriale da proteggere, anche perché la scomparsa di certe specie-chiave può avviare una scomparsa a ''cascata'' di altre specie locali dall'ecosistema protetto (Frankel e Soulè 1981).
È bene comunque ricordare che nessuna r.n. potrà mai salvaguardare tutte le entità della propria regione biogeografica. Appare dunque necessario, quanto meno, il cosiddetto approccio ''sistemico'' alla pianificazione delle r.n. di un dato territorio: si tratta cioè di dar corso alle varie realizzazioni secondo una successione temporale che garantisca i migliori risultati per la tutela dei valori naturali della regione, tenendo conto nel contempo dell'esigenza di una rete di ''ponti biotici'' tra le r.n. stesse, onde sottrarle il più possibile all'isolamento. In questo particolare settore di studio dell'ecologia applicata, l'Italia è ancora in grave ritardo. Nonostante alcuni lavori (cfr. per es. De Marchi 1983; Contoli 1985; Castelli e Contoli 1985) si è ancora a una fase di semplice, pur se necessario, inventario delle aree da proteggere o protette (a partire da Cederna 1967; Contoli e altri 1971; Società Botanica Italiana 1971-79; fino a Fanfani e altri 1977; Palladino 1987 e in corso di stampa; ecc.).
Quanto alle prospettive future è evidente che l'istituzione di r.n., sorta come episodica eccezione alla norma d'uso del territorio, fa ormai parte della complessa problematica della pianificazione socio-economico-politica del territorio e come tale coinvolge competenze e interessi assai vari quando non addirittura contrastanti. Se, da un lato, ciò impone il superamento dell'approccio strettamente protezionistico-vincolistico (dimostratosi insufficiente anche per la stessa tutela dei valori naturalistici in senso stretto), a favore di un modello di tutela ambientale integrata con le esigenze di vita dell'uomo, d'altro lato il grande espandersi delle r.n. nel mondo rende ormai impossibile ignorarne le esigenze, anche nella prospettiva ormai ineludibile di un modello di sviluppo mondiale basato sul rispetto e sull'oculata gestione delle risorse naturali.
Bibl.: A. Cederna, Prima carta dell'Italia da salvare, in Abitare, 59 (1967); R.H. Mac Arthur, E.O. Wilson, The theory of Island biogeography, Princeton (N.J.) 1967; J. Dorst, Prima che la natura muoia, trad. it., Milano 1969; V. Giacomini, Tipologia e classificazione delle Riserve naturali italiane, in Libro bianco sulla natura in Italia, Quad. de ''La Ricerca Scientifica'', 74 (1971), pp. 275-80; CNR e Min. LL.PP., Carta dei biotopi d'Italia. Programma di ricerca territoriale sulle aree naturali da proteggere, i, a cura di L. Contoli, S. Palladino e R. Sebasti, Roma 1971; Società Botanica Italiana, Gruppo di lavoro per la conservazione della natura, Censimento dei biotopi di rilevante interesse vegetazionale meritevoli di conservazione in Italia, Camerino 1971-79; J.M. Diamond, R.M. May, Island biogeography and the design of natural reserves, in Theoretical ecology, a cura di R.M. May, Oxford 1976, pp. 163-86; A. Fanfani, R. Groppali, M. Pavan, La tutela naturalistica territoriale sotto potere pubblico in Italia: situazione e proposte, Ministero Agricoltura e Foreste, ''Collana verde'', 44 (1977); O.H. Frankel, M.E. Soulè, Conservation and evolution, Cambridge 1981; C. Margules, M.B. Usher, Criteria for assessing wildlife conservation potential, in Biol. Conserv,, 21 (1981), pp. 79-109; A. De Marchi, La progettazione ecologica di un Parco naturale (Pietra Bismantova, Appennino settentrionale), in Arch. Bot. Biogeogr. Ital., 59 (1983), pp. 1-39; V. Giacomini, La rivoluzione tolemaica, Brescia 1983; A. Castelli, L. Contoli, Valutazione di Parchi naturali in progetto e dei relativi studi, ''S.IT.E. - Atti'', 5 (1985), pp. 1049-52; L. Contoli, L'individuazione dei sistemi territoriali di speciale interesse naturalistico: criteri e metodi, ibid., pp. 1043-47; Union Internationale pour la Conservation de la Nature et de ses Ressources, Liste des Nations Unies des Parcs Nationaux et des Reserves Analogues, Morges 1985; W.D. Newmark, A land-Bridge Island perspective on mammalian extinction in Western North American parks, in Nature (1987); S. Palladino, Lista delle aree naturali protette in Italia, Centro di Studio per la Genetica Evoluzionistica, CNR (Roma), Penne (Pescara) 1987 e in corso di stampa; L. Brown e altri, State of the World, Torino 1988-89; Lega per l'ambiente, Ambiente Italia. Rapporto 1989: dati, tendenze, proposte, Torino 1989.