risibile
Nella forma volgare, come in quella latina (risibilis) di cui è traduzione, l'aggettivo vale " che può o che è atto a ridere ", con specifico riferimento all'uomo (cfr. Garlandus Compotista Dialectica, III, ediz. L.M. De Rijk, 67: " ‛ Risibile ' enim imposuerunt phylosophi et in actu et extra actum illi significato quod est aptum natum ad ridendum ").
In Vn XXV 2 D. afferma: Dico anche di lui [Amore] che ridea, e anche che parlava; le quali cose paiono essere proprie de l'uomo, e spezialmente essere risibile; e però appare ch'io ponga lui essere uomo. Nel giustificare la personificazione di Amore (come se fosse corpo, ancora sì come se fosse uomo) D. dichiara di avergli attribuito il ridere e il parlare, in quanto cose... proprie (i propria del linguaggio scolastico) dell'uomo, cioè in quanto sue ‛ proprietà distintive ' se non sostanziali (cfr. Tomm. Comm. Anal. post. II 3 " non omne quod est proprium alicui, pertinet ad essentiam eius, sicut risibile homini "). Se il parlare è proprio, ma non esclusivo dell'uomo, l'essere risibile, cioè l'esser atto o capace di ridere, è attributo esclusivo della sua specie (spezialmente).
Porre Amore come r. significa quindi porlo come uomo (i termini, infatti, sono in questo caso ‛ convertibili ': v. oltre). Da notare che il passo ha il ritmo argomentativo di un sillogismo: Amore ride e parla; parlare e ridere sono propri dell'uomo; quindi Amore è uomo.
Che il riso fosse esclusivo della specie umana l'aveva affermato Aristotele in Part. an. III 10, 673a 8-9 laddove, parlando delle funzioni del diaframma, affermava che il solletico solo nell'uomo eccita il diaframma, dando luogo al riso: " Quod autem solus homo huiusmodi titillatione mutatur, causa est, quod pellem habeat valde tenuem, et carnem valde subtilem... et ideo nullum animal ridet nisi homo ". Di qui la conclusione che il riso è segno distintivo dell'animale uomo. Alberto Magno, ad esempio, nelle Quaestiones de animalibus (III 17-18, De Risu) dedicherà una " quaestio " al problema " utrum risus soli homini conveniat ", concludendo che " in aliis animalibus non est risus " e che " mundificatio sanguinis in homine causa est, quare risus sibi inest appropriate ".
In tal senso un uso topico dell'enunciato " homo est risibilis " (analogamente a quelli di " homo est grammaticus ", " homo est musicus ", ecc.) divenne ampiamente corrente nell'esemplificazione dei trattati logici medievali. Esso stava a indicare l'esplicazione, nel predicato, di un attributo conseguente alla natura del soggetto.
A quest'uso va ricondotto l'esempio di Ep XIII 74. Nel passo, a commento di Pd I 4, si vuol dimostrare come la circonlocuzione Nel ciel che più de la sua luce prende equivale a " Paradiso " o Empireo.
L'argomentazione prende le mosse dalla premessa (antecedens) che Omne quod movetur, movetur propter aliquid quod non habet (§ 71), ma per dimostrarne la falsità in rapporto al cielo Empireo (in tal senso si tratta di un argomento ad destructionem antecedentis): poiché il moto perenne dei cieli tende all'attuazione della potenzialità della loro materia, e ciò non si dà nel caso del cielo Empireo, ne consegue che quest'ultimo ha attuata in ogni sua parte la potenzialità di cui è capace, è in stato di perfetta quiete, in quanto dipende immediatamente da Dio che è somma perfezione.
Ma un tale procedimento, considerato dal punto di vista formale (simpliciter et secundum formam arguendi, § 73) non è sufficientemente garantito nella sua validità (non probat), per la natura dello strumento logico impiegato (il procedimento della destructio antecedentis). Perché l'argomento sia valido (bene probat) occorre considerare non tanto la struttura ‛ formale ' del discorso, quanto piuttosto l'uso e la portata dei termini impiegati (materiam eius). Se infatti consideriamo che nei cieli - sostanze sempiterne - è eternato un difetto che li fa muovere verso la perfezione prima, è evidente che l'unico cielo a cui Dio non diede alcuna materia ‛ difettiva ' e quindi alcun moto, è solo il cielo Empireo che massimamente riceve la divina luce.
È in virtù di questa supposizione che l'argomento è comunque valido in ragione dei termini (tenet argumentum ratione materiae, § 74). Perciò quella circonlocuzione è usata legittimamente a designare il Paradiso, giacché essa indica una ‛ proprietà ' che consegue alla natura stessa del primo cielo e lo individua.
Conclude il testo: et est similis modus arguendi ac si dicerem: Si homo est, est risibile; nam in omnibus convertibilibus tenet similis ratio gratia materiae. Sic ergo patet cum dicit: ‛ in illo coelo, quod plus de luce Dei recipit ', intelligit circumloqui Paradisum, sive coelum empyreum (§ 74). L'esempio di homo risibile (cioè ‛ ente r. '), è qui portato per chiarire la nozione di ‛ convertibilità ' dei termini. Nel caso di homo e di risibile, infatti, risibile esprime un proprium dell'uomo. Inoltre, in base alla dottrina aristotelica (cfr. Top. I 5, 102a 18 ss.) ciò che è proprio di un soggetto sta con esso in un rapporto convertibile di predicazione (l'uno può essere predicato dell'altro), in quanto ambedue hanno un'identica estensione: se un ente è uomo, esso è r., e se un ente è r. esso è uomo. Allo stesso modo, se un cielo riceve più della luce divina, esso è il cielo Empireo, e se un cielo è Empireo, esso riceve più della luce divina.