risolvere (resolvere)
Tre sole occorrenze, nella Commedia. In senso proprio, come intransitivo pronominale, per " dissolversi ", " dissiparsi ": al soffio del maestrale si purga e risolve la roffia / che pria turbava l'aria (Pd XXVIII 82).
In Pg XIII 88 (ove si accetta la forma resolvere: cfr. Petrocchi, Introduzione 431) il verbo è transitivo: se tosto grazia resolva le schiume / di vostra coscïenza. Dunque, in metafora, " sciogliere ", " purificare " la coscienza, ossia la " memoria ", dalle impurità dei ricordi terreni. Ma per gli antichi la coscienza era invece l'intelletto, nel quale la grazia stessa di Dio (de la mente il fiume, v. 90) sarebbe scesa, dopo averlo " purificato " delle impurità del peccato (cfr. Benvenuto, Buti).
Più lontano dall'uso proprio il traslato di Pd II 135 come l'alma dentro a vostra polve / per differenti membra e conformate / a diverse potenze si risolve, in cui il valore di r. come " manifestarsi ", " estrinsecarsi ", trova conferma nei versi seguenti: così l'intelligenza [angelica] sua bontate / multiplicata per le stelle spiega...; " la virtù spirata dall'Angelo, quasi anima del mondo... si spiega, si svolge, si comparte per le varie nature, come l'anima umana per le varie parti del corpo. Qui risolvere non è affine a dissolvere; è quasi snodarsi, aprire la potenza negli atti " (Tommaseo). L'uso del verbo è forse derivato da Boezio cons. phil. III m. IX 14 (ma si veda anche Virgilio Aen. VI 724).