Risorgimento
Gli studi dagli anni Settanta agli anni Novanta
Dalla metà degli anni Settanta del 20° sec. il R. ha continuato a essere oggetto di numerosissime ricerche che hanno mantenuto viva una solida tradizione di studi risalente ormai alla fine del 19° sec.; tuttavia in questa fase si sono aperti nuovi 'cantieri' analitici, che hanno tracciato percorsi di ricerca assai innovativi rispetto alle tradizioni storiografiche affermatesi in precedenza.
Se si osserva lo stato degli studi nel periodo che va dai primi anni Settanta sino alla metà degli anni Novanta, si può constatare che accanto a ricerche molto ben consolidate su vari aspetti del 'politico' nel R. italiano (leader, organizzazioni, idee, istituzioni) si erano fatti largo studi che avevano preso le distanze dai contenuti più specificamente ideologici dell'esperienza risorgimentale, andando a esaminare le formazioni sociali (nobiltà, borghesie, ceti popolari), le dinamiche economiche (processi di accumulazione e di trasformazione, soprattutto nel settore agrario) e gli assetti istituzionali (giurisprudenza e strutture statuali degli Stati preunitari) dell'Italia di primo Ottocento. In questa inclinazione non ideologica della ricerca, variamente definita come "revisionista" (Riall 1994) o "arisorgimentale" (Meriggi 1996), si poteva scorgere il desiderio di confrontarsi con la più aggiornata agenda storiografica europea, che all'epoca si era concentrata sulle modalità del passaggio da una società nobiliar-cetuale a una moderna società borghese.
Tuttavia, sia la prospettiva storiografica tradizionale (interessata agli aspetti politico-ideologici) sia quella più originale (interessata alle questioni economiche, sociali e istituzionali) avevano, per ragioni diverse, messo in second'ordine un aspetto essenziale per la comprensione del processo risorgimentale, ossia la formazione e il radicamento di un senso di appartenenza a una comunità nazionale italiana e, di conseguenza, anche la profondità culturale del processo di edificazione di uno Stato-nazione che da tale senso di appartenenza era derivato.
La prima corrente storiografica aveva trascurato questo insieme di questioni perché, in qualche modo, lo aveva considerato una sorta di a priori etico delle varie formazioni politiche di ispirazione nazional-patriottica che avevano condotto all'unificazione italiana, dandolo dunque, in qualche modo, per scontato; la seconda corrente - implicitamente o, molto più di rado, esplicitamente - aveva seguito l'idea secondo la quale una ricostruzione dei processi socioeconomici o istituzionali avrebbe alla fine reso più chiara e comprensibile l'intera parabola risorgimentale.
Di conseguenza, sebbene ricchi di risultati, gli studi che si sono richiamati a quelle prospettive hanno trascurato di esaminare il processo di formazione di un'identità nazionale e il suo grado di radicamento prima e dopo la formazione del Regno d'Italia.
Altri orientamenti
A colmare questa lacuna si sono dedicati prima studi che - sul modello dei lavori di G.L. Mosse per la Germania - hanno indagato i rituali di 'nazionalizzazione delle masse' nell'Italia postunitaria, fra cui spiccano, in particolare, quelli di B. Tobia (Una patria per gli italiani, 1991), di U. Levra (Fare gli italiani, 1992) e di I. Porciani (La festa della nazione, 1997). A essi hanno fatto poi seguito ricerche che più direttamente si sono impegnate nella ricostruzione delle connotazioni fondamentali dell'idea di nazione in epoca risorgimentale (A.M. Banti, La nazione del Risorgimento, 2000; C. Sorba, Teatri. L'Italia del melodramma nell'età del Risorgimento, 2001; Le immagini della nazione nell'Italia del Risorgimento, a cura di A.M. Banti, R. Bizzochi, 2002; e Storia d'Italia, Annali, 22° vol., Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti, P. Ginsborg, 2007). Concentrate in larga misura sull'esame delle modalità di costruzione e di diffusione dei miti e delle narrazioni che hanno reso persuasiva tale idea - all'epoca sostanzialmente ignota alla maggior parte degli abitanti della penisola -, queste nuove indagini si sono soffermate principalmente sulla forza comunicativa delle opere letterarie, delle opere teatrali, dei melodrammi o delle opere grafiche (quadri o ppure stampe) di ispirazione nazional-patriottica.
Secondo questi lavori, alcune componenti ideali hanno avuto uno speciale rilievo nel definire il concetto di nazione. Fondamentale è stato, in primo luogo, il riferimento alla nazione come comunità di discendenza, cioè come una comunità dotata al tempo stesso di una sua genealogia parentale (che invitava a considerare l'Italia come 'madre', gli altri membri della nazione come 'fratelli' e i leader politici o militari come 'padri della patria'), e, anche, di una sua specifica storicità (che secondo alcuni intellettuali del Risorgimento risaliva al Medioevo, per altri all'epoca romana, per altri ancora a epoche preromane). Questa duplice elaborazione ha prodotto sviluppi concettuali significativi: considerare la nazione come una comunità composta di fratelli e sorelle, figli di una stessa madre, parte di una stessa rete di relazioni parentali, ha significato, intanto, porre un'enfasi speciale sul concetto di 'famiglia' come nucleo originario della comunità parentale stessa. È proprio a partire da questa constatazione che gli studiosi della cultura risorgimentale hanno cominciato a indagare i rapporti tra le concrete esperienze familiari e le rappresentazioni della più grande famiglia che è la nazione: si tratta di ricerche che hanno messo in relazione gli studi di storia della famiglia con l'indagine sui processi di educazione alla politica di persone che hanno preso parte - a vario titolo - all'esperienza del R. (esempi di questo orientamento sono in M. Bertolotti, Le complicazioni della vita, 1998; I. Porciani, Famiglia e nazione nel lungo Ottocento, in Passato e presente, 2002, 57; S. Cavicchioli, Famiglia, memoria, mito. Ferrero della Marmora (1748-1918), 2004; M.L. Lepscky Mueller, La famiglia di Daniele Manin, 2005).
L'idea della nazione come 'comunità di discendenza' è stata elaborata anche attraverso una sua forte storicizzazione; è, infatti, da questo tipo di concezione che è nato il culto nazionale dei grandi uomini (per es., Dante, Petrarca, Machiavelli, Parini ecc.), che all'epoca si considerava appartenessero 'naturalmente' al susseguirsi delle generazioni che connotavano la 'stirpe' italica; al suo fianco si pone anche il culto dei grandi eventi passati (la battaglia di Legnano, i Vespri siciliani, la disfida di Barletta, la difesa di Firenze, la rivolta di Genova ecc.), poiché si riteneva che quegli episodi non fossero altro che prefigurazioni della 'lotta finale' che le generazioni presenti dovevano compiere, ispirandosi alle battaglie combattute dagli avi.
Importante è apparsa anche la fortissima sacralizzazione del politico che è stata imposta dal linguaggio nazionale (occorre sempre ricordare che all'inizio dell'Ottocento risorgimento non ha altro significato che quello religioso di 'resurrezione'); non si tratta qui soltanto di constatare che alcuni importanti leader risorgimentali (per es., G. Mazzini, V. Gioberti o N. Tommaseo) facevano insistito ed esplicito riferimento alle dimensioni metafisiche del politico o contavano sull'appoggio delle istituzioni ecclesiastiche per il compimento della 'missione' nazionale; piuttosto, è rilevante considerare la profonda sacralizzazione del politico imposta dal discorso nazional-patriottico stesso: ne sono testimonianza, fra l'altro, le rielaborazioni santificanti della figura di G. Garibaldi, il rilievo che hanno il culto mortuario degli eroi e dei leader, l'insistenza con la quale si valorizza costantemente l'etica del sacrificio eroico (temi esplorati da L. Riall, Hero, saint or revolutionary? Nineteenth-century politics and the cult of Garibaldi, in Modern Italy, 1998, 2; D. Mengozzi, La morte e l'immortale, 2000; S. Luzzatto, La mummia della Repubblica, 2001; e A.M. Banti, L'onore della nazione, 2005).
Un aspetto estremamente importante, e collegato da vicino con le risonanze sacralizzanti del discorso nazionale, è la questione della partecipazione dei sacerdoti alla diffusione del discorso nazionale; se è apparso chiaro, dalle ricerche compiute, che molti parroci si avvicinarono, con grandissimo entusiasmo, alla militanza risorgimentale nel periodo che va dall'elezione al soglio pontificio di Pio ix sino alle fasi iniziali della prima guerra di indipendenza, è apparso tuttavia egualmente chiaro che anche negli anni seguenti il rapporto tra mondo cattolico e discorso nazional-patriottico non si interruppe del tutto, sia perché continuarono a esservi nuclei significativi di parroci-patrioti sia perché anche le gerarchie ecclesiastiche più ortodosse e rispettose delle mosse politiche e diplomatiche compiute da Pio ix dal 1848 in avanti non cessarono di subire la fascinazione del discorso nazionale, per quanto si tenessero lontane dall'approvare le modalità di costruzione dello Stato unitario (valutazioni equilibrate e innovative nei saggi di E. Francia e di D. Menozzi, in Storia d'Italia, Annali, 22° vol., Il Risorgimento, 2007).
Non meno rilevante, infine, è sembrato l'appello alla difesa dell''onore' nazionale, un valore che rinvia a una nuova definizione dei profili di mascolinità e di femminilità. È qui che la più recente storiografia del R. ha incontrato - assai fruttuosamente - gli studi di genere. Le indagini si sono concentrate, dunque, sull'esame delle modalità attraverso le quali gli intellettuali risorgimentali cercarono di smontare uno stereotipo che si era depositato sulla penisola sin dal 16°-17° sec., lo stereotipo secondo il quale gli italiani non sapevano combattere, erano codardi, oppure inclini solo agli intrighi, affrettando per questi loro caratteri negativi la 'decadenza' della loro patria. A questo stereotipo se ne collegava un altro, come il primo elaborato e diffuso soprattutto da stranieri che visitavano la penisola, secondo il quale le donne italiane erano facili a lasciarsi corrompere, e inclini, specialmente quelle appartenenti a strati sociali alti, a comportamenti moralmente e sessualmente riprovevoli.
La ricerca ha mostrato che a questi stereotipi si opposero moltissimi intellettuali e leader politici risorgimentali, con determinazione e insistenza, e con tutti i mezzi a loro disposizione (libri, pamphlet, discorsi, prediche): l'obiettivo era far passare un messaggio tonificante ed esaltante, attraverso il quale si voleva convincere l'opinione pubblica patriottica che gli italiani erano virilmente eroici e pronti al sacrificio e le italiane virginalmente caste e desiderose di ricoprire con dedizione i ruoli di mogli e di madri (si veda soprattutto S. Patriarca, Indolence and regeneration: Tropes and tensions of Risorgimento patriotism, in The American historical review, 2005, 2).
Se questa è la dimensione retorica, interessante è andare a vedere in che misura questo tipo di modelli comportamentali siano stati concretamente vissuti. Numerosi sono stati, dunque, gli studi che hanno ricostruito la vita di donne che sono state vicine al movimento nazional-patriottico; si è così potuto osservare che se ha dominato il modello normativo della madre pronta a sacrificare sé stessa e i propri figli ai bisogni patriottici, un modello al quale un buon numero di donne ha cercato di conformare le propria vita, non sono mancate anche traiettorie assai più creative e anticonformiste, tanto nel modo di vivere la militanza patriottica quanto nel modo di vivere i sentimenti, gli affetti e la vita familiare (una sintesi delle ricerche è nel saggio di S. Soldani, in Storia d'Italia, Annali, 22° vol., Il Risorgimento, 2007).))ci sopraLe commemorazioni per i 150 anni dalle rivoluzioni del 1948-49. - Un banco di prova significativo per verificare premesse e implicazioni di questi nuovi orientamenti è stato offerto dalle commemorazioni per i 150 anni dalle rivoluzioni del 1848-49, che hanno stimolato nuove ricerche e occasioni di incontro e di discussione. Se la pratica delle celebrazioni accademiche in occasione di anniversari di frequente è avara di studi interessanti e degni di nota, in questo caso si deve fare un'eccezione: pur all'interno di un panorama non straordinariamente ricco di iniziative e pubblicazioni, ve ne sono state alcune che hanno gettato nuova luce sul grado e sul significato della partecipazione alle vicende politiche del 1848-49.
Esemplari le due raccolte di saggi che riproducono i testi di due convegni organizzati dall'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti nel 1998 e nel 1999 (La rivoluzione liberale e le nazioni divise, 2000; e 1848-1849. Costituenti e costituzioni, 2002, entrambi a cura di P.L. Ballini), l'una su aspetti diversi del nazionalismo quarantottesco, l'altra su costituenti e costituzioni del biennio rivoluzionario; in entrambi i casi, gli studi sulle vicende risorgimentali sono stati posti all'interno di un contesto comparativo: un'operazione assai ricca di suggestioni, che è stata compiuta anche in un numero monografico dedicato nel 1999 dalla rivista Passato e presente al Quarantotto europeo (1848. Scene da una rivoluzione europea, a cura di H.-G. Haupt e S. Soldani). Una medesima prospettiva ha orientato anche altre ricerche sulle pratiche e le retoriche della rappresentanza nelle esperienze parlamentari del biennio (per es., G.L. Fruci, L'abito della festa dei candidati, in Quaderni storici, 2004, 3; Il fuoco sacro della Concordia e della Fratellanza, in Elezioni e personalizzazione della politica, a cura di F. Venturino, 2005). Alcuni sviluppi della ricerca sul caso toscano, infine, si segnalano perché collocano le vicende rivoluzionarie all'interno di una prospettiva analitica di medio periodo, come è quella tipicamente risorgimentale, che si apre con la Restaurazione e giunge fino all'Unità (in particolare, Th. Kroll, Die Revolte des Patriziats. Der toskanische Adelsliberalismus im Risorgimento, 1999, trad. it. La rivolta del patriziato. Il liberalismo della nobiltà nella Toscana del Risorgimento, 2005).
Infine, se c'è un elemento che vale la pena di estrarre da lavori così compositi, e di così vario orientamento, è l'intensità della partecipazione che diversi gruppi sociali italiani manifestarono nei confronti del movimento nazional-patriottico: può darsi che talora questa partecipazione fosse strumentale e forzata (come nel caso del patriziato toscano, secondo Kroll); ma certo in molte altre circostanze fu invece sentita e animata da una solida determinazione militante, come accadde ai molti che parteciparono alle iniziative del volontariato militare risorgimentale o ai diversi appuntamenti elettorali che punteggiarono in vari momenti, l'esperienza del R. (una questione trattata dall'Introduzione e da diversi saggi di Storia d'Italia, Annali, 22° vol., Il Risorgimento, 2007).
bibliografia
Uno strumento indispensabile per orientarsi nella ricchissima produzione bibliografica sul R. è Bibliografia dell'età del Risorgimento. 1970-2001, Firenze 2003, 3 voll.
Un'eccellente panoramica sugli studi "revisionistici" è in L. Riall, The Italian Risorgimento. State, society and national unification, London 1994 (trad. it. Il Risorgimento: storia e interpretazioni, Roma 1997); la definizione di "arisorgimentali" applicata a quegli studi è in M. Meriggi, Risorgimento, in Storica, 1996, 6, che è una recensione del libro di L. Riall.
Recenti narrazioni di sintesi del processo risorgimentale sono offerte da: G. Pécout, Naissance de l'Italie contemporaine (1770-1922, Paris 1997 (trad. it. Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea, 1770-1992, Milano 1999); D. Beales, E.F. Biagini, The Risorgimento and the unification of Italy, London 2002 (trad. it. Bologna 2005); e A.M. Banti, Il Risorgimento italiano, Roma-Bari 2004.
Una descrizione dei caratteri essenziali delle istituzioni negli Stati preunitari è in M. Meriggi, Gli stati italiani prima dell'Unità: una storia istituzionale, Bologna 2002.