risorse idriche, sovrasfruttamento e stress ambientali delle
risórse ìdriche, sovrasfruttaménto e strèss ambientali delle. – Bacini e falde sono contenitori che devono essere sfruttati rispettando il bilancio idrico tra alimentazione e prelievo. L’inquinamento delle risorse idriche superficiali e sotterranee diminuisce la disponibilità di acqua potabile e ne aumenta i costi di gestione. Un eccessivo prelievo delle risorse idriche è comune nelle aree che dipendono fortemente dall’agricoltura, come avviene nel bacino dell’Indo-Gange, nelle piane settentrionali della Cina e negli altopiani dell’America meridionale, ma l'indicatore dello stress idrico, cioè il rapporto tra la quantità di acqua prelevata e la quantità di acqua rinnovabile disponibile, segnala su scala mondiale anche altre regioni di sovrasfruttamento (fig.). La difficoltà di utilizzare acque superficiali spinge allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo, con costi maggiori e con alto rischio di squilibrio ecologico. In Messico, per es., l’80% dei consumi di acqua è destinato all’agricoltura e a causa della continua richiesta il 40% delle risorse proviene da pozzi profondi. Tuttavia 100 dei 653 acquiferi sono sovrasfruttati, a rischio quindi di prosciugarsi nel corso degli anni con gravissimo danno economico per i contadini. L’eccessivo prelievo produce anche parte dell’inquinamento che ha ridotto la disponibilità di acqua dolce. Nella Striscia di Gaza per es., area che fa già parte di una delle regioni di maggiore criticità per le risorse idriche rinnovabili, il continuo sovrasfruttamento della falda ha causato l’ingresso delle acque salate marine nell’acquifero dolce sovrastante, rendendo salmastra la maggioranza delle acque. La difficile situazione politica dell’area non ha permesso scelte più rispettose dell’ambiente e la necessità di acqua, in particolare per la produzione agricola, ha superato di gran lunga la capacità di ricarica della falda, comportando così un inquinamento di cloruri e nitrati, abbondantemente sopra i limiti di potabilità fissati dalla Organizzazione mondiale della salute. Lo stato delle cose continua a peggiorare in quanto alla domanda crescente si somma il mancato trattamento delle acque utilizzate che vengono rimesse in falda, aumentandone così l’inquinamento sia chimico sia batteriologico. Annualmente e su scala mondiale circa 450 km3 di acqua di scarico (intorno al 12% dei prelievi) vengono riversati nelle falde, nei fiumi e nei mari, aumentando il carico inquinante. Circa il 90% dei liquami e il 70% dei rifiuti industriali vengono smaltiti senza subire alcun trattamento: ne pagano le conseguenze soprattutto le acque superficiali, incanalate nei principali corsi fluviali, e le falde superficiali, con la conseguente necessità di approfondire i pozzi per trovare acque non inquinate, facendo crescere i costi di estrazione e minacciando sensibilmente l’equilibrio ecologico delle falde profonde, la cui ricarica è più fragile rispetto a quelle superficiali. Il massiccio utilizzo di prodotti chimici in agricoltura e lo scarico di minerali pesanti da parte dell’industria aumentano sempre più la necessità di impianti di trattamento incidendo sul costo dell’acqua, che rappresenta uno degli ostacoli al suo accesso per le popolazioni più povere. Il disboscamento e i fenomeni sempre più accelerati di desertificazione comportano una minore attività di ritenzione delle acque e di alimentazione degli acquiferi, in quanto l’evapotraspirazione e il forte dilavamento superficiale non permettono all’acqua di penetrare nei terreni e ricaricare le falde; rimanendo in superficie, l’acqua tende anche a scaricarsi prepotentemente a valle, aumentando l’erosione e provocando più frequenti piene e inondazioni. Il regime idrico viene pertanto sconvolto, l’accesso alle risorse si rende più difficile, comportando investimenti per riparare danni ecologici talora irreversibili ed esponendo le popolazioni più povere sempre più al rischio idrico. In particolare, il continuo allargamento della frontiera agricola nelle regioni boschive andine comporta un accrescimento della velocità delle acque verso valle, con la conseguente perdita di materiale nutriente per le coltivazioni, aumento dei regimi torrentizi e diminuzione delle inondazioni naturali delle aree pedemontane e vallive.
Cambiamento climatico. – Si stima che nel 21° sec. il 20% della scarsità d'acqua sarà attribuibile ai cambiamenti climatici, che produrranno grandi variazioni nell’evaporazione e nelle precipitazioni, insieme a mutamenti non prevedibili del ciclo idrogeologico. L’innalzamento delle temperature comporterà una maggiore evaporazione negli oceani, intensificando il ciclo dell’acqua e la formazione di nuvole ma, nello stesso tempo, il sovrariscaldamento delle terre farà sì che una minore quantità di acqua piovana possa raggiungere i fiumi in quanto vaporizzerà più velocemente. Le zone umide saranno probabilmente interessate da maggiori precipitazioni, più intense e concentrate nel tempo, causando quindi fenomeni alluvionali, mentre nelle zone più aride, nonché in alcune zone tropicali e subtropicali, vi sarà presumibilmente una diminuzione e una maggiore irregolarità delle piogge. I cambiamenti climatici potranno incidere negativamente sulle risorse idriche rinnovabili in alcune aree del mondo particolarmente legate alla produzione agricola, come Angola, Malawi, Zambia, Zimbabwe, Senegal, Mauritania, Medio Oriente, parte del Brasile, del Venezuela e della Colombia. L’influenza del cambiamento climatico è una combinazione di fattori che condizionano la quantità di precipitazione, l’evapotraspirazione e la durata delle precipitazioni. Nell’area subsahariana, inclusi il Sahel e l’Africa orientale, si potranno avere maggiori precipitazioni distribuite su tempi più brevi e, contemporaneamente, la forte evapotraspirazione, dovuta all’innalzamento delle temperature, potrà causare periodi di siccità. Per lo stesso motivo in Asia meridionale si potrà avere un aumento della piovosità con frequenti rischi di alluvione, in quanto i monsoni potranno diventare più intensi per l’aumento della quantità di acqua estratta dall’oceano per evapotraspirazione. In linea generale si continuerà ad assistere a una maggiore imprevedibilità di fenomeni alluvionali e di siccità. L’evoluzione e la frequenza degli eventi alluvionali sono strettamente legate sia alla capacità di scarico dei corsi d’acqua sia alle variazioni delle forme di precipitazione e, pertanto, a cambiamenti climatici a lungo termine, determinando quindi un elemento di criticità per il 21° sec., in quanto il regime dei principali fiumi sarà in parte condizionato dagli eventi meteorologici dipendenti dai cambiamenti climatici. Inoltre, le riserve d’acqua dei ghiacciai sono in diminuzione e il riscaldamento climatico determina rilasci in tempi più brevi, causando eventi alluvionali in primavera e mancanza d’acqua in estate. A rischio anche i ghiacciai del Tibet e dell’Himalaya, che forniscono acqua potabile a più di 2 miliardi di persone. Piccoli e medi ghiacciai sono in via di esaurimento nelle zone andine, che rappresentano il serbatoio naturale d’acqua per molti paesi dell’America Meridionale durante la stagione estiva. Infine secondo l’IPCC, il livello medio del mare potrebbe innalzarsi tra 9 e 88 cm entro i prossimi 100 anni, con conseguenze significative sulla sicurezza all’accesso di risorse di acqua potabile. Oltre all’aumento della salinità degli acquiferi costieri, si assisterebbe a fenomeni di accelerazione dell’erosione delle coste e le inondazioni minaccerebbero milioni di persone. Le aree più a rischio sono quelle dei grandi delta, in particolare in Bangladesh, Egitto, Nigeria e Thailandia, dove vivono circa 110 milioni di persone. La Banca mondiale stima che in Bangladesh, alla fine del 21° sec., si potrebbe perdere circa il 16% delle terre a causa dell’avanzamento delle acque marine, coinvolgendo un’area che supporta il 13% della popolazione e produce, attraverso l’agricoltura, il 12% del prodotto nazionale lordo. L’unico intervento possibile da parte della comunità internazionale per mitigare questo fenomeno è minimizzare il cambiamento climatico, indebolendo il legame tra sviluppo economico ed emissione di anidride carbonica. Il passo principale fatto negli ultimi anni nella direzione della mitigazione dei cambiamenti climatici è rappresentato dal Protocollo di Kyoto.