Hayworth, Rita
Nome d'arte di Margarita Carmen Cansino, attrice cinematografica statunitense, di origine spagnola, nata a New York il 17 ottobre 1918 e morta ivi il 14 maggio 1987. Negli anni della Seconda guerra mondiale e dell'immediato dopoguerra rappresentò sul grande schermo la quintessenza della bellezza femminile, affascinando le platee e provocando un fenomeno di infatuazione collettiva con la sua figura sinuosa, i capelli rosso fiamma, l'aggressiva e provocante esibizione della propria immagine. Immagine fondamentalmente legata al suo ruolo più famoso, quello di Gilda, protagonista dell'omonimo film diretto da Charles Vidor nel 1946, dark lady viziata e bugiarda, oggetto del desiderio e dello sguardo, in una fascinazione che coincide con quella stessa del cinema sullo spettatore. E mentre l'attrice, celebrata all'epoca come 'dea dell'amore', diveniva sostanzialmente prigioniera di quell'identificazione che ne avrebbe condizionato la carriera e la vita, il personaggio acquisiva una definitiva dimensione mitica racchiusa tutta nella sensualità di un gesto (il lento sfilarsi del guanto nel famoso spogliarello del film) e nel valore emblematico e terribile di un omaggio (la foto della H. e il nome di Gilda incollati sulla bomba atomica sganciata sull'atollo di Bikini dagli americani nel 1946).
La danza e la dura disciplina dello spettacolo segnarono sin dai primi anni la sua vita, in quanto il padre Eduardo apparteneva a una famosa famiglia di ballerini spagnoli e la madre, Volga Haworth, aveva lavorato nel corpo di ballo di Ziegfeld. I genitori le insegnarono prestissimo a danzare e pur se iscritta alla scuola pubblica di Jackson Heights, a Queens, la frequentò saltuariamente per seguire in tournée i Dancing Cansinos, la compagnia del padre e degli zii. Alla fine degli anni Venti Eduardo si trasferì con la famiglia a Hollywood per aprire la Professional Dancing School e curare le coreografie degli intermezzi musicali che precedevano la proiezione di film al Carthay Circle Theater, nei quali si esibiva anche la giovanissima Margarita, dimostrando un sicuro talento che spinse il padre a ridare vita con lei ai Dancing Cansinos. Con i capelli tinti di nero per accentuare l'aspetto esotico, la H. s'impose ben presto nei locali messicani, ove poteva lavorare pur essendo minorenne. Fu Winfield Sheehan, capoproduzione della Fox Film Corporation, a notarla e a farle firmare un contratto con lo studio nel 1935. Le abbreviò quindi il nome in Rita e le impose un ciclo di lezioni di recitazione, mentre la faceva comparire in piccole parti per prepararla al debutto come protagonista di Ramona, remake dell'omonimo film diretto nel 1928 da Edwin Carewer. La H., però, non ottenne mai quel ruolo in quanto la Fox venne assorbita dalla 20th Century Pictures e Darryl F. Zanuck, subentrato a Sheehan, non le rinnovò il contratto. Alla cocente delusione la giovane attrice reagì impegnandosi con infaticabile professionalità nei western interpretati per case di produzione minori come free lance. Tali opportunità e il ben più importante contratto di sette anni firmato nel 1937 con la Columbia Pictures Corporation di Harry Cohn arrivarono anche grazie alla perseveranza di Edward C. Judson, che la H. sposò in quello stesso anno e che fu per lei essenzialmente un manager, deciso a farla diventare una diva. Per decisione di Cohn le venne cambiato il cognome in Hayworth, mentre un accurato studio della sua immagine imponeva, tra l'altro, di alzarle l'attaccatura dei capelli per dare luce al volto. La giovane promessa della Columbia prese ad alternare partecipazioni a film che cominciarono a imporla all'attenzione della critica a una serrata vita mondana pianificata da Judson. Fu così che ottenne un ruolo di rilievo, quello maliziosamente seducente della ex fidanzata del protagonista (Cary Grant), in Only angels have wings (1939; Avventurieri dell'aria o Eroi senza gloria) di Howard Hawks, storia di amicizia virile incentrata su un gruppo di piloti civili. E dopo alcuni film di un certo interesse quali The lady in ques-tion (Seduzione), per la prima volta diretta da Ch. Vidor e accanto a Glenn Ford, e Angels over Broadway (Angeli del peccato) di Ben Hecht e Lee Garmes, entrambi del 1940, venne infine prestata alla Warner per sostituire Ann Sheridan nella parte della ragazza esuberante ed egoista che dà il titolo al film in The strawberry blonde (1941; Bionda fragola) di Raoul Walsh. Il successo fu notevole e la rivelò al pubblico, ma ben più ampio fu quello che ottenne con il ruolo interpretato nello stesso anno per la 20th Century-Fox di Zanuck in Blood and sand (Sangue e arena) di Rouben Mamoulian. Nella Spagna dai colori scintillanti ricreata dal regista la H., per la prima volta con i capelli rossi, è la pericolosa e volubile Doña Sol, avida di emozioni forti e di uomini, pronta a conquistare il matador Juan Gallardo (Tyrone Power) e ad abbandonarlo senza rimpianti per un nuovo astro delle corride, esibendo quell'"aria cattiva" da "artista bella ma che fa i tradimenti" che le avrebbe riconosciuto anni dopo M. Puig nel suo romanzo La traición de Rita Hayworth (1968; trad. it. 1988, pp. 75-76). Tornata alla Columbia, Cohn la volle al fianco di Fred Astaire (che ebbe lodi per questa partner dotata di grazia e professionalità) in due riusciti musical: You'll never get rich (1941; L'inarrivabile felicità) di Sidney Lanfield e You were never lovelier (1942; Non sei mai stata così bella) di William A. Seiter. La briosa dimensione del musical appariva ideale per valorizzare la H., ulteriormente esaltata, nello splendore del Technicolor, dalla fotografia di Ernest Palmer (che l'aveva già illuminata con Ray Rennahan in Blood and sand) in My gal sal (1942; Follie di New York) di Irving Cummings, ambientato nei teatri della New York di fine Ottocento, e da quella di Rudolph Maté in Cover girl (1944; Fascino) di Ch. Vidor, accanto a Gene Kelly, e in Tonight and every night (1945; Stanotte e ogni notte) di Victor Saville. In quegli anni la H. fu spesso impegnata in esibizioni e trasmissioni radiofoniche destinate ai militari al fronte, per i quali rappresentava il sogno erotico racchiuso in una fotografia o in un fotogramma e nel 1946 fissato per sempre nel personaggio di Gilda che ne fece una 'formidabile istituzione americana', secondo la definizione del presidente F.D. Roosevelt. Ancora una volta diretta dal fidato Vidor e accanto a Glenn Ford, in una torbida atmosfera noir che scandisce una storia spesso confusa, ambientata nei locali notturni di Buenos Aires dove si gioca d'azzardo e si organizzano improbabili traffici di tungsteno, il personaggio disegnato dalla H. attraversa il film emanando un forte potere seduttivo, amplificato dall'ambiguità del suo comportamento. Fino alle scene in cui l'impatto erotico si fa esplicito, ossia quando balla e canta (sempre doppiata da Anita Ellis) Amado mio e quindi Put the blame on Mame nel celebre spogliarello interrotto, ma vero culmine di una vicenda in cui il corpo femminile risulta esposto costantemente allo sguardo: del marito voyeur, di Johnny-Glenn Ford, l'amante di un tempo, di tutti gli uomini coinvolti nella storia, e soprattutto dello spettatore. L'amore tra i due protagonisti si rivela fino all'ultimo interrotto e impossibile, fino all'improbabile rovesciamento finale che trasforma la bad girl in compagna affidabile. Malgrado ciò Gilda resta il pericolo che sfalda e al contempo rafforza le certezze maschili, l'elemento perturbante del racconto cinematografico al di là del valore dello stesso film. Proprio la suggestione che la diva esercitava sul pubblico venne analizzata in maniera lucida e demistificante da Orson Welles (che l'aveva sposata nel 1943 e dalla quale era ormai separato) nel suo The lady from Shanghai (La signora di Shangai). In quest'opera, uscita solo nel 1948 e con scarso successo, ma amata dalla H., l'attrice è ancora una dark lady, di cui risulta enfatizzato il lato oscuro, amorale, cinico, contesa tra un uomo più giovane (il marinaio O'Hara) e uno più anziano (il potente marito), e lasciata morire senza pietà in un film che ha l'andamento soffocante dell'incubo. Deciso a giocare con gli stereotipi hollywoodiani, il regista lavorò sull'immagine della diva e la modificò radicalmente rispetto a quella ormai famosa, imponendo alla H. capelli corti e biondo platino e amplificando l'inquietante piacere della visione cinematografica (si pensi alla splendida sequenza del labirinto degli specchi, con la moltiplicazione illusionistica della figura della donna a evocarne l'artificiosità di creatura dello spettacolo). Lo schema narrativo di Gilda si era comunque rivelato così fortunato che i ruoli che vennero offerti in seguito all'attrice ne costituirono una più o meno riuscita variante. Così, se ancora nel 1947 aveva colto un personale successo nel pur pesantemente criticato Down to Earth (Bellezze in cielo), film musicale di Alexander Hall, risultò quasi scontato farle interpretare la voluttuosa zingara Carmen, simbolo stesso dell'infedeltà, in The loves of Carmen (1948; Gli amori di Carmen) ancora di Vidor, accanto all'amico Glenn Ford. In quel periodo di trionfi il matrimonio con il principe Alì Khan, celebrato in Europa nel 1949, l'allontanò dal cinema, mentre per altro verso contribuì ad alimentarne il mito e a suscitare la curiosità insaziabile della stampa e del pubblico (in particolare, la sezione cinematografica del Women's Club of America invitò a boicottare i suoi film accusandola di comportamento scandaloso). Il ritorno negli Stati Uniti e sul grande schermo coincise con la fine di quel legame, e il nuovo film che l'attrice accettò di interpretare, dopo molte perplessità, fu Affair in Trinidad (1952; Trini-dad) di Vincent Sherman, che riproponeva la coppia di Gilda e che del precedente famoso si rivelò una stanca rielaborazione, attaccata dalla critica, ma inaspettatamente acclamata dal pubblico. Seguirono nel 1953 un'edulcorata e del tutto hollywoodiana Salome (Salomè) di William Dieterle, ma anche un'intensa Miss Sadie Thompson (Pioggia) di Curtis Bernhardt, l'eroina di W.S. Maugham, consumata dagli uomini e da un cinismo disperato, cui l'attrice seppe conferire dolente umanità. Segnata dalle vicende private che avevano precocemente indurito la sua bellezza, fu nuovamente un'avventuriera, ancora più amara e disincantata, secondo lo schema ormai abusato, in Fire down below (1957; Fuoco nella stiva) di Robert Parrish. Mentre un notevole successo arrise al bel musical (l'ultimo interpretato dall'attrice) Pal Joey (1957) di George Sidney, con Frank Sinatra e Kim Novak, in cui la H., nella parte di un'ex ballerina sposata con un miliardario, domina la scena, conferendo il giusto tocco di sgradevole arroganza al suo personaggio e ironizzando su sé stessa nel balletto spogliarello Zip. Decisa a dimostrare la sua bravura, ottenne consensi dapprima interpretando il fortunato dramma dei sentimenti Separate tables (1958; Tavole separate) di Delbert Mann, dall'omonima pièce di Th. Rattigan, poi l'atipico e malinconico western They came to Cordura (1959; Cordura) di Robert Rossen, accanto a Gary Cooper, mentre solo la sua presenza anima The story on page one (1959; Inchiesta in prima pagina) di Clifford Odets, in cui ha il ruolo, fortemente voluto e opportunamente dimesso, di una casalinga accusata dell'omicidio del marito. Per tutto il decennio successivo l'attrice fu alla ricerca della grande prova della maturità, ma nessuno dei film interpretati fino all'inizio degli anni Settanta gliene offrì l'occasione: tra gli altri, non l'irrisolto poliziesco dai toni brillanti The happy thieves (1962; Furto su misura) di George Marshall, né Circus world (1964; Il circo e la sua grande avventura) di Henry Hathaway, con John Wayne. Come non arrivò mai il tanto atteso, ma altrettanto temuto, debutto sul palcoscenico, a lungo rimandato in quegli anni in cui infine dovette lottare dolorosamente contro la terribile malattia che l'avrebbe portata alla morte, e in cui si susseguivano, in un malinconico omaggio, le trasmissioni televisive e le retrospettive dedicate alle sue interpretazioni di un tempo.
G. Ringgold, The films of Rita Hayworth, Secaucus (NJ) 1974 (trad. it. Roma 1982).
G. Peary, Rita Hayworth, New York 1976 (trad. it. Milano 1989).
E.Z. Epstein, J. Morella, The life of Rita Hayworth, New York 1983 (trad. it. Milano 1989).
M.A. Doanne, Femmes fatales. Feminism, Film Theory, Psychoanalysis, New York-London 1991 (trad. it. Parma 1995, pp. 45-73).