Abstract
Il prelievo «alla fonte» tramite lo strumento della ritenuta avviene nel momento di corresponsione del reddito da un soggetto al suo effettivo titolare. La ratio dell’istituto è quella di assicurare maggiore celerità e maggiori garanzie di riscossione del tributo all’erario; ad oggi, le imposte riscosse attraverso la ritenuta rappresentano una parte importante del gettito fiscale complessivo dello Stato. Due sono le tipologie di ritenuta alla fonte nel nostro ordinamento: quella a titolo di imposta che assicura una tassazione, per tramite del sostituto, unitaria e definitiva in capo al sostituito e quella a titolo di acconto che, invece, rappresenta una anticipazione della tassazione definitiva che si completerà in sede di dichiarazione dei redditi. È l’art. 64 d.P.R. 29.9.1973, n. 600 a fornire le basi delle suesposte considerazioni.
Nell’ordinamento tributario non si ravvisa una specifica nozione di ritenuta alla fonte; fondando sulle disposizioni del diritto positivo, tuttavia, la dottrina è stata in grado di fornire una definizione dell’istituto.
Nello specifico, si parla di ritenuta alla fonte intendendo lo strumento utilizzato per effettuare il prelievo tributario «alla fonte», id est nel momento in cui il reddito viene corrisposto da un soggetto al suo titolare (Cipolla, G.M., Ritenuta alla fonte, in Dig. comm., IV, 1997, 1).
E dunque, al momento di erogazione del reddito, il soggetto erogatore trattiene, a titolo definitivo ovvero in acconto, l’imposta che il reddituario deve versare all’erario.
Deve poi rilevarsi che esistono, e sono riconducibili nella categoria, diverse tipologie di ritenuta alla fonte quali, nello specifico: quella a titolo di imposta, quella a titolo di acconto, quella diretta a titolo di imposta e quella diretta a titolo di acconto. Le riferite tipologie presentano le stesse caratteristiche in merito al prelievo alla fonte pur differenziandosi, come vedremo in seguito, nella loro specificità.
I soggetti coinvolti nell’esercizio della ritenuta alla fonte sono di numero diverso a seconda della fattispecie concreta. Nel caso di ritenuta alla fonte – sia essa a titolo di imposta che di acconto – ne distinguiamo ben tre, id est: colui che eroga il reddito (cd. sostituto), chi lo percepisce (cd. sostituito) e l’erario a cui viene versato il tributo.
Ne deriva che nella fattispecie in questione, si formeranno due distinti rapporti giuridici: quello tra sostituto e sostituito e quello tra sostituto ed erario.
Nelle due restanti ipotesi di ritenuta alla fonte – quella diretta sia a titolo di acconto che di imposta – i soggetti coinvolti risultano essere soltanto due: il sostituto coincidente con un’amministrazione pubblica ed il sostituito che rimane, comunque, il percettore di reddito.
L’istituto in descrizione appare senz’altro in linea con il sistema tributario e con l’adempimento volontario dei contribuenti, laddove il fisco dovrebbe svolgere esclusivamente un ruolo di supervisore e di controllo (Cipolla, G.M., Ritenuta, cit., 1).
La ritenuta alla fonte rappresenta, poi, un valido strumento di lotta all’evasione fiscale, in quanto realizzata da un soggetto (erogatore) che ha già nella sua disponibilità le somme che il sostituito dovrebbe invece versare autonomamente: ciò importa la riduzione dei soggetti da sottoporre a controlli e l’effettuazione del prelievo da parte di un soggetto che non ha alcun interesse ad occultare la fattispecie imponibile(Parlato, A., Il responsabile ed il sostituto d’imposta, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, II, Il rapporto giuridico di imposta, Padova, 1994, 401).
Inoltre, tale meccanismo garantisce al fisco una più celere riscossione delle imposte; parimenti, anche il contribuente/sostituito, grazie all’istituto in analisi, non incorrerà in eventuali problemi di carenza di liquidità che potrebbero presentarsi in sede di versamento delle imposte quantificate in base alla dichiarazione dei redditi. Senza tener conto che il contribuente/sostituito potrebbe, in linea di principio, in ipotesi di ritenuta a titolo di imposta ed eccezionalmente anche per le ritenute a titolo di acconto, essere esonerato anche dalla presentazione della dichiarazione dei redditi. Quest’ultima «esenzione», nello specifico, si configura nel caso in cui il sostituito abbia subito una ritenuta a titolo di imposta in grado di estinguere in via definitiva il rapporto di imposta con l’erario, ovvero abbia subito una ritenuta a titolo di acconto e non sia titolare di altre fonti di reddito divenendo, perciò, tale ritenuta l’unica imposta dovuta.
La fonte normativa di cui si rende necessaria la puntuale esegesi per delineare il rapporto tra ritenuta alla fonte e rivalsa è, senza dubbio, l’art. 64, co. 1, d.P.R. 29.11.1973, n. 600. A norma di tale articolo «chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso».
Dalla lettera di tale disposizione, in primis, si evincono i chiari caratteri della cd. «sostituzione tributaria», laddove viene ravvisato l’obbligo in capo al sostituito di pagare l’imposta dovuta dal sostituito nei casi previsti ex lege pur non essendo a lui riferibile il presupposto di imposta.
È ivi previsto, inoltre, un generale obbligo di rivalsa in capo al sostituto « … se non è diversamente stabilito in modo espresso».
Dal combinato disposto, poi, con gli artt. 23 e ss. d.P.R. n. 600/1973 si enuclea l’ulteriore obbligo in capo al sostituto di effettuare la ritenuta alla fonte (anche a titolo di imposta) nei confronti del sostituito.
Per quanto espresso, non vi può essere dubbio alcuno sulla necessità di operare una netta distinzione ontologica tra rivalsa e ritenuta alla fonte; a conferma di quanto appena espresso, si segnala la presenza nel nostro ordinamento di casi di imposizione diretta tramite ritenuta senza obbligo di rivalsa. Tali ultime ipotesi si palesano nel caso di redditi in natura (vedi, infra, par. 6) e di erogazione di premi in natura (art. 25-bis, co. 4, d.P.R. n. 600/1973).
A proposito della natura della ritenuta alla fonte, giova dare conto della tesi sostenuta da una parte della dottrina, secondo cui la stessa non costituirebbe esercizio della rivalsa o del regresso bensì l’esercizio di un potere ulteriore, distinto da quelli che normalmente costituiscono il contenuto del diritto di credito (in questo senso: Salvini, L., Rivalsa, in Dig. comm., IV, 1997, 33; Fedele, A., Diritto Tributario e diritto civile nella disciplina dei rapporti interni tra i soggetti passivi del tributo, in Riv. dir. fin., 1969, I, 81, nt. 164 bis; De Mita, E., Fattispecie legale e rapporti giuridici nella sostituzione tributaria, in Giur. it., I, 1961, IV, 269).
La predetta tesi fonda sul presupposto che l’esercizio della ritenuta di cui all’art. 64 del d.P.R. n. 600/1973 ha la funzione di consentire al sostituto di avere in via preventiva la disponibilità delle somme da versare: ne deriva che non avrebbe senso riferirsi ad un diritto di credito del sostituto prima del pagamento all’erario da parte di quest’ultimo delle imposte in luogo di altri.
Diversamente, altra parte della dottrina è del parere che la ritenuta alla fonte costituisca lo strumento principale ancorché non esclusivo per esercitare il diritto di rivalsa nell’imposizione diretta (in questo senso Cipolla, G.M., op. cit., 8).
Tale tesi trae le mosse dal principio costituzionale fondante l’ordinamento tributario – id est l’art. 53 Cost. – in applicazione del quale il soggetto che deve essere inciso dal tributo è colui che manifesta capacità contributiva, ovvero chi realizza il presupposto di imposta e la rivalsa, eseguita per il tramite della ritenuta, non fa altro che rendere effettiva l’applicazione del riferito principio.
La struttura della rivalsa ex art. 64 d.P.R. n. 600/1973 appare corrispondente ai dettami costituzionali in quanto consente di tenere indenne il sostituto – colui che è obbligato per legge al pagamento delle imposte in luogo di altri – e legittima le disposizioni in ordine ai rapporti tra sostituto e sostituito (Cipolla, G.M., op. cit., 8; Gaffuri, G., L’attitudine alla contribuzione, Milano, 1969, 88; Fedele A., Le imposte ipotecarie, Milano, 1968, 118).
La tesi della seconda dottrina citata, inoltre, appare corroborata anche dall’analisi della rivalsa con particolare riguardo al tema della illiceità degli accolli di imposta e dell’omessa effettuazione della ritenuta alla fonte da parte del sostituto.
Con riferimento al primo dei temi enunciati, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza di legittimità non hanno mancato di sottolineare l’illegittimità e/o la nullità, nell’ordinamento tributario, degli accolli di imposta, e dunque dei patti con i quali i privati deroghino all’obbligo di rivalsa, in quanto incompatibili con il principio di capacità contributiva (Falsitta, G., Spunti in tema di capacità contributiva e di accollo convenzionale di imposte, in Rass. trib., 1986, I, 128; Gaffuri, G., Rilevanza fiscale dei patti traslativi dell’imposta, in Riv. dir. fin., 1986, II, 133; Cass., sez. I, 5.1.1985, n. 5; Cass., S.U., 26.11.1986, n. 6286).
In particolare, la Suprema Corte, nella pronuncia n. 5/1985, ha ribadito che la statuizione di un obbligo di rivalsa ex lege altro non significa che l’imposta deve «incidere inderogabilmente nel patrimonio del titolare della corrispondente capacità contributiva in modo definitivo, senza che esso possa essere comunque trasferito nel patrimonio di un altro soggetto qualsiasi».
Nell’ipotesi, poi, di omessa effettuazione della ritenuta alla fonte a titolo di imposta è legittimata dall’ordinamento la possibilità, laddove il sostituto abbia comunque versato l’imposta dovuta dal sostituito all’erario, di rivalersi in via di regresso nei confronti del sostituito.
In definitiva, in base alla seconda tesi qui illustrata, la rivalsa e la ritenuta alla fonte assumono connotati ben distinti pur dovendo la seconda ritenersi strumentale alla prima.
La distinzione tra ritenuta alla fonte a titolo di imposta e ritenuta alla fonte a titolo di acconto ci viene fornita dalla stessa denominazione loro attribuita. Ed invero, si parla di ritenuta a titolo di imposta laddove, tramite essa, il prelievo alla fonte esaurisce in toto l’obbligo di imposta verso l’erario; si configura, invece, ritenuta a titolo di acconto ogni qual volta il prelievo alla fonte costituisce un vero e proprio «acconto» rispetto alla obbligazione tributaria del sostituito.
In particolare, la sostituzione a titolo di imposta comporta l’applicazione di una aliquota fissa su un determinato provento che in tal modo viene sottratto dal reddito complessivo del percipiente (Tesauro, F., Istituzioni di diritto tributario, parte generale, Torino, 2009, 140).
In tale ipotesi, l’unico soggetto passivo è il sostituto in quanto unico debitore nei confronti dell’erario. Solamente nel caso in cui il sostituto non effettui la ritenuta alla fonte né esegua il versamento della stessa all’erario si configurerebbe una obbligazione solidale tra sostituto e sostituito nei rapporti con il fisco.
Tra le fattispecie di ritenute alla fonte a titolo di imposta disciplinate ex lege vi sono, tra le altre: 1) quella sui redditi di lavoro autonomo e sugli altri redditi di cui all’art. 53 del TUIR corrisposti a soggetti non residenti; 2) quella sulle provvigioni spettanti ai soggetti incaricati alla vendita a domicilio; 3) quella sui redditi di capitale di cui all’art. 26 d.P.R. n. 600/1973 e sui redditi derivanti dai titoli atipici corrisposti alle persone fisiche non imprenditori e ai soggetti non residenti; 4) quella sui redditi di capitale di cui all’art. 26, ult. co., d.P.R. n. 600/1973 erogati a soggetti non residenti o stabili organizzazioni di soggetti non residenti; 5) quella sui premi e vincite derivanti dalla sorte, da giochi di abilità, da concorsi a premio.
Con la sostituzione a titolo di acconto, invece, si realizza una forma di riscossione anticipata (Tesauro, F., Istituzioni, cit., 142). Il soggetto obbligato nei confronti del fisco è e rimane solo il sostituito, il quale, inoltre, dovrà indicare nella propria dichiarazione dei redditi l’importo della ritenuta a titolo di acconto subita con diritto di scomputarla dal quantum dovuto all’erario.
Il sostituto, dunque, adempie alla propria obbligazione con il versamento della ritenuta all’erario e il rilascio della relativa certificazione al sostituito, mentre quest’ultimo, ricevendo appunto la certificazione detta, acquisisce il diritto di scomputare nella sua dichiarazione l’importo della ritenuta subita e, quindi, di chiedere il rimborso dell’eccedenza non utilizzata.
Esempi di ritenuta alla fonte a titolo di acconto nel nostro ordinamento si rinvengono, esemplificativamente, : 1) sui redditi di lavoro dipendente corrisposti dagli enti e società soggetti passivi IRES, dalle società di persone, dalle persone fisiche esercenti un’impresa commerciale o agricola, nonché dalle persone fisiche esercenti un’arte o professione; 2) sui redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente; 3) sui redditi di lavoro autonomo e sugli altri redditi di cui all’art. 53 del TUIR corrisposti a soggetti residenti; 4) sulle provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio o di procacciamento affari; 5) sugli interessi, premi ed altri frutti corrisposti dalle società e dagli altri enti che hanno emesso obbligazioni e titoli similari ai soggetti passivi IRES; 6) sui dividendi in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione distribuiti dalle società di capitali, dalle società cooperative o da quelle di mutua assicurazione.
In ultima analisi, la ritenuta a titolo di imposta e quella a titolo di acconto, come si avrà modo di meglio specificare nel proseguo della trattazione, appaiono ben distinte da un punto di vista sostanziale soprattutto avendo riguardo alla definitività ovvero provvisorietà del prelievo alla fonte.
D’altra parte, deve pure rilevarsi che non mancano delle disposizioni che accomunano le due tipologie di ritenute.
In primis, in virtù dell’art. 3 d.P.R. 29.11.1973, n. 602 sia la ritenuta a titolo di imposta che quella a titolo di acconto configurano una delle modalità ex lege di riscossione delle imposte sul reddito mediante versamenti diretti.
Così pure l’art. 8 del medesimo decreto, il quale prevede differenti termini per il versamento delle ritenute non diversificando gli stessi in virtù della natura della ritenuta effettuata – a titolo di imposta piuttosto che di acconto – ma esclusivamente in base alla differente natura dei redditi tassati.
Identità di disciplina per le due tipologie di ritenute si rinviene nel citato d.P.R. n. 602/1973 anche con riferimento alla riscossione mediante i ruoli (artt. 10, 11 e 14). Ed infatti, le ritenute non versate vengono riscosse tramite la notifica di una cartella di pagamento al contribuente (art. 25). Infine, di identica disciplina per le enunciate ritenute deve parlarsi anche relativamente alla disciplina delle sanzioni amministrative e penali (vedi, infra, par. 7) ovvero della disciplina prevista per le ipotesi di rimborso delle ritenute non dovute (vedi, infra, par. 5).
La ritenuta a titolo di imposta è stata definita dalla dottrina maggioritaria in termini di autonomia rispetto al tributo originario e di alternatività con le imposte sul reddito, ciò al pari dei regimi fiscali sostitutivi.
Tale ritenuta, infatti, va a derogare l’applicazione dell’imposta ordinaria (in questo senso: Tabet, G., Reviviscenza dell’ILOR su royalties non assoggettate a ritenuta, in Riv. dir. fin., 1986, II, 7; Gallo, F., L’imposta sulle assicurazioni, Torino, 1970, 10 e ss.; Antonini, E., I regimi fiscali sostitutivi, Milano, 1969; Polano, M., Spunti teorici e prospettive in tema di regimi tributari sostitutivi, in Dir. prat. trib., 1972, I, 267).
Altra dottrina, al contrario, ritiene che la ritenuta a titolo di imposta non è riconducibile ai regimi fiscali sostitutivi in quanto non comporta la deroga a regimi ordinari determinando bensì la frammentazione e considerazione isolata per ragioni di praticabilità tecnica sostanzialmente immanenti alla ratio del tributo (Fantozzi, A., Diritto tributario, Torino, 1991, 146).
Quanto alle modalità di applicazione, giova sottolineare che tale tipologia di ritenuta deve essere commisurata in linea generale al reddito erogato al lordo, salvo le eccezioni previste ex lege (es. art. 25 d.P.R. n. 600/1973).
Gli obiettivi del legislatore prefissati e raggiunti tramite l’introduzione dell’istituto in parola sono, come già accennato, quello di semplificare i rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti nonché quello di garantire una maggiore celerità e sicurezza della riscossione dei tributi al fisco.
D’altra parte, in aderenza a quanto pure sostenuto da avvertita dottrina, tale ritenuta costituisce anche, in special modo per quanto concerne i redditi di capitale, «un importante strumento di politica economica per incanalare le scelte dei risparmiatori verso una piuttosto che un’altra forma di investimento» (cfr., Cipolla, G.M., op. cit., 17).
La ritenuta alla fonte a titolo di acconto, come già illustrato retro, può definirsi come una sorta di anticipazione dell’imposta personale che deve versare il soggetto possessore di reddito, ovvero un acconto della stessa (cfr. Micheli, G.A.-Tremonti, G., Obbligazioni (dir. trib.), in Enc. dir., XXIX Milano, 1979, 421-422).
Tale definizione ben si attaglia al quadro normativo di riferimento quale è dato dagli artt. 22 e 79 del TUIR che disciplinano entrambi lo «scomputo degli acconti».
Contrariamente alle tesi sostenute da alcuni autori volte a qualificare la funzione della ritenuta a titolo di acconto vuoi come cautelare e cauzionale, vuoi quale esclusivo anticipato adempimento dell’obbligazione di imposta del sostituito, appare corretto affermare che tale tipologia di ritenuta altro non costituisce se non un prelievo provvisorio il cui adempimento è soltanto adempimento dell’obbligo o più esattamente dell’obbligazione relativa (cfr Cipolla, G.M., op. cit., 24).
In altri termini, dunque, la ratio della ritenuta a titolo di acconto è da ricercarsi sempre e comunque nell’interesse dell’erario ad una sicura e celere riscossione consentendo quindi a quest’ultimo di percepire immediatamente le somme dovute dal reddituario pur se in acconto.
Alla luce delle premesse e delle definizioni esplicate nei precedenti paragrafi, appare opportuna l’analisi degli aspetti patologici nei casi di omessa effettuazione della ritenuta alla fonte ovvero di omesso versamento della ritenuta in ipotesi sia di ritenuta a titolo di imposta che di acconto.
Nella prima eventualità prospettata, si ribadisce, unico soggetto passivo nei confronti dell’erario è il sostituto.
E, dunque, occorre distinguere il caso di omessa effettuazione della ritenuta da quello, invece, di omesso versamento della stessa ovvero, ancora, dall’ipotesi in cui risultino omessi entrambi gli obblighi da parte del sostituto.
Laddove il sostituto, infatti, ometta di effettuare la ritenuta ma si preoccupi di versare il relativo importo all’erario, il suo comportamento lo esporrà alle sanzioni amministrative relative (vedi par. 7) con riguardo al suo rapporto con il fisco. Al fine, poi, di evitare che il soggetto sostituto resti inciso dal tributo riferibile ad altri, l’ordinamento ammette l’esercizio di rivalsa successiva del sostituto nei confronti del sostituito tramite azione di regresso.
Nella ipotesi in cui il sostituto effettui la ritenuta alla fonte secondo legge ma poi ometta di versare il relativo importo, rimanendo quest’ultimo il soggetto obbligato nei confronti dell’erario, sarà passibile di sanzione amministrativa e, nei casi previsti dall’ordinamento, di sanzioni penali.
Nel caso in cui, invece, il sostituto, in violazione di legge, ometta di adempiere ai due obblighi previsti di effettuazione della ritenuta e del versamento della stessa, l’ordinamento prevede l’ampliamento della sfera soggettiva passiva del debito tributario: si determinerà, infatti, una coobbligazione solidale tra il sostituto e il sostituito.
A conferma di ciò vi è la disposizione di cui all’art. 35 d.P.R. n. 600/1973 la quale stabilisce che il sostituito è coobbligato solidale con il sostituto iscritto a ruolo per imposte, sanzioni ed interessi relativi a redditi per il quale il sostituto non ha effettuato la ritenuta né tantomeno ha effettuato il relativo versamento.
Nell’ipotesi in argomento appare del tutto legittima la previsione della predetta coobbligazione in virtù del fatto che entrambi i soggetti, sostituto e sostituito, risultano essere titolari della medesima obbligazione e, dunque, in base alle norme di diritto comune, si verificheranno gli stessi effetti previsti in tema di obbligazioni solidali laddove l’adempimento di uno dei condebitori ha effetti liberatori per tutti gli altri.
Diversamente accade per la ritenuta a titolo di acconto.
In tale ipotesi, come detto, il soggetto passivo nei confronti del fisco è il sostituito relativamente alla obbligazione di imposta mentre il sostituto resta obbligato per il versamento del tributo.
Se il sostituto omette di effettuare la ritenuta e di versare l’importo relativo non si avrà, come nel caso di sostituzione a titolo di imposta, una coobbligazione solidale, ma l’unico soggetto debitore del tributo dovrà essere individuato nel sostituito mentre il sostituto sarà esposto alle sanzioni amministrative di riferimento.
Se il sostituto, invece, ometta di effettuare la ritenuta alla fonte a titolo di acconto ma si preoccupi, comunque, di versare il relativo importo all’erario, gli si riconosce la possibilità di agire in via di rivalsa successiva. A tale riguardo, però, bisogna tenere distinte le ipotesi in cui il sostituito che non abbia subito la ritenuta abbia comunque presentato dichiarazione e assoggettato a tassazione per intero i redditi percepiti, dall’ipotesi in cui lo stesso non abbia presentato ancora dichiarazione. Solo in quest’ultimo caso, infatti, il sostituto potrà esercitare successivamente la rivalsa tramite azione di regresso (Uckmar, V., Del sostituto d’imposta, in Dir. prat. trib., 1940, 122; De Mita, E., Sostituzione tributaria, in Nss .D. I., Torino, 1970, 1001; De Mita, E., La ritenuta sugli interessi per conti interbancari, Dir. prat. trib., 1976, I, 646; Cipolla, G.M., op. cit., 8).
Legittimati a proporre istanza di rimborso per le ritenute erroneamente operate, a mente dell’art. 38 d.P.R. n. 602/1973 sono sia il soggetto che ha effettuato il versamento diretto (sostituto) che colui il quale percepisce delle somme assoggettate a ritenuta.
In virtù della lettera della citata disposizione la conseguenza di tale interpretazione porta a ritenere esistente un litisconsorzio necessario tra sostituto e sostituito in sede processuale con la funzione di evitare che l’amministrazione finanziaria possa essere costretta eventualmente a rimborsare due volte il medesimo importo.
Alcuni autori, di recente, non hanno, però, mancato di sottolineare che la legittimazione al rimborso, in virtù di una diversa interpretazione del citato art. 38, dovrebbe essere riconosciuta unicamente in capo al sostituito. Una legittimazione in tal senso è, invece, riconosciuta eccezionalmente al sostituto nell’ipotesi in cui, pur essendo avvenuto il versamento dell’imposta, egli non abbia esercitato la rivalsa nei confronti del sostituito. Così pure, nel caso in cui il sostituto abbia effettuato la ritenuta su un reddito che non vi era soggetto e si sia reso subito conto dell’errore, diventando, di fatto, il soggetto legittimato a proporre l’istanza di rimborso all’amministrazione finanziaria. Per la dottrina in questione, avrebbe senso parlare di una legittimazione «non cumulativa, in quanto piuttosto alternativa» (Randazzo F., Le rivalse tributarie, Milano, 2012, 142).
La ritenuta alla fonte deve essere effettuata sia sui redditi in denaro che su quelli in natura.
In un primo momento, si riteneva la necessarietà della quantificazione monetaria del reddito al fine della legittima effettuazione della ritenuta; tale convincimento veniva desunto da alcune disposizioni quali, ad esempio, il più volte citato d.P.R. n. 600/1973 che, all’art. 7, prevedeva che il sostituito dovesse indicare nella propria dichiarazione l’ammontare delle somme corrisposte al lordo e al netto della ritenuta. La stessi tesi fondava, pure, sull’esegesi dell’art. 23 della medesima fonte normativa che faceva riferimento ai compensi e altre somme di cui all’art. 46 TUIR, lasciando intendere che doveva trattarsi di somme in denaro.
Anche l’art. 2, co. 2, l. 7.8.1982, n. 516 – che disciplinava il reato di omesso versamento di ritenute – prevedeva che tale illecito sussisteva laddove non fossero versate all’erario le ritenute sulle somme pagate.
Attenta dottrina, non aveva mancato di evidenziare che le uniche eccezioni a tale disciplina fossero rappresentate dalla ritenuta effettuata in caso di distribuzione di redditi in natura ovvero di premi o utili (Cipolla, G.M., op. cit., 7).
Ad oggi, anche in virtù della formulazione del vigente art. 2, co. 2, d.P.R. 22.7.1998, n. 322 (che non fa esplicito riferimento alla necessità che le ritenute siano operate su somme di denaro) e del dettato dell’art. 10 bis d.lgs. 10.3.2000, n. 74 – il cui testo è riportato nel successivo par. 7 – appare legittimo ritenere che le ritenute debbano essere operate anche sui redditi in natura.
Conferma in tal senso perviene anche dalla prassi amministrava in subiecta materia: così, nella Ris. 24.3.2009, n. 76/E, viene specificato, con specifico riferimento ai redditi di lavoro dipendente, che «il datore di lavoro deve effettuare le ritenute a titolo di acconto con riferimento a tutte le somme ed i valori che il lavoratore dipendente percepisce».
Va da sé che nell’ipotesi in cui la ritenuta debba essere eseguita su compensi in natura, la base imponibile cui commisurare il prelievo sarà determinata avendo riguardo al valore normale quantificato a norma dall’art. 9, co. 3, del TUIR.
Le sanzioni previste in caso di omesso versamento delle ritenute alla fonte sono di natura amministrativa e di natura penale.
La disciplina delle sanzioni amministrative è da ricavarsi dal combinato disposto degli artt. 13 e 14 d.lgs. 18.12.1997, n. 471, in virtù dei quali si prevede una sanzione amministrativa (non più soprattassa) pari al 30% delle somme non versate se i versamenti sono omessi o ritardati ovvero, laddove le ritenute alla fonte non siano effettuate, è prevista una sanzione pari al 20% dell’ammontare non trattenuto.
La ratio di tale ultima penalità è da ricercarsi nella lettura costituzionalmente orientata della disposizione sanzionatoria posto che l’omissione della effettuazione della ritenuta comporterebbe l’erogazione al sostituito di un compenso aumentato dell’importo della ritenuta già versata dal sostituto. Come detto, una sanzione è prevista anche nel caso di omesso o ritardato versamento delle ritenute già effettuate dal sostituto sul sostituito; in tal caso, l’interesse tutelato dall’ordinamento è quello dell’erario alla riscossione delle somme ad esso dovute. Ne deriva che, in caso di omessa effettuazione della ritenuta e di omesso versamento della stessa, il sostituto sarà assoggettato ad entrambe le sanzioni amministrative illustrate.
Le sanzioni di natura penale, invece, erano in passato disciplinate dall’art. 2 d.l. 10.7.1982, n. 429 che prevedeva, da un lato, una contravvenzione punita con l’arresto fino a tre anni ovvero con l’ammenda fino a lire 6.000.000 in caso di omesso versamento delle ritenute entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti di imposta per un ammontare complessivo superiore a lire 50.000.000 per ciascun periodo di imposta. Dall’altro lato, la stessa disposizione normativa prevedeva una fattispecie delittuosa punita con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 3.000.000 a lire 50.000.000 in caso di omesso versamento entro il suddetto termine delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti per un ammontare complessivo superiore a lire 20.000.000 per ciascun periodo di imposta.
Con la legge 30.12.2004, n. 311 è stato inserito nel d.lgs. n. 74/2000, l’art. 10 bis il quale prevede il reato di “omesso versamento delle ritenute certificate” e testualmente stabilisce che: «È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta».
Si rappresenta, infine, che un decreto di prossima emanazione potrebbe innalzare ad € 150.000 la soglia di rilevanza penale della violazione consistente nell’omesso versamento di ritenute certificate.
Artt. 7, 23, 25, 25 bis, 26 e 35 d.P.R. 29.9.1973, n.600; artt. 3, 8, 10, 11, 14, 25 e 38 d.P.R. 29.11.1973, n. 602; artt. 13 e 14 d.lgs. 18.12.1997, n. 471; art. 10 bis d.lgs. 10.3.2000, n. 74; art. 2, co. 2, d.P.R. 22.7.1998, n. 322; artt. 9, co. 3, 22, 46, 53 e 79 d.P.R. 22.12.1986, n. 917.
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