Riti a cognizione piena. Modifiche all'azione di classe a tutela del consumatore
L’azione di classe ha subito, a poco più di due anni dalla sua entrata in vigore, un’operazione di maquillage che, lungi dall’averne alterato la fisionomia, appare per lo più inadeguata a far fronte ai tanti interrogativi posti da una disciplina apparsa sin da subito tutt’altro che ineccepibile sotto il profilo tecnico. L’analisi delle principali questioni emerse nella pratica applicazione pone all’attenzione l’esigenza di incrementare i margini di efficienza di uno strumento che, sul versante della tutela consumeristica, ha sinora deluso le aspettative. Lo squilibrio, a favore delle prime, tra azioni dichiarate inammissibili e azioni che, invece, hanno superato il filtro del giudizio di ammissibilità, unitamente alla varietà delle questioni processuali affrontate e decise nelle aule di giustizia, sono un chiaro segnale del deficit di affidabilità che affligge l’art. 140 bis c. cons.
L’art. 140 bis c. cons., come introdotto dall’art. 2, co. 446, l. 24.12.2007, n. 244, e successivamente sostituito dall’art. 49, co. 1, l. 23.7.2009, n. 99, regola i modi e le forme di un processo collettivo mediante il quale un singolo consumatore può agire per tutelare i propri diritti soggettivi, di tipo risarcitorio e restitutorio, nonché quelli, identici o omogenei, di altri individui, anch’essi consumatori, destinati a non acquistare la qualità di parte processuale ma a rimanere, a seguito della manifestazione di un atto di volontà di aderire alla azione di classe, vincolati agli esiti del giudizio.
A quasi tre anni dalla entrata in vigore della disposizione (1.1.2010)1, il legislatore ha apportato alcune modifiche, contenute nell’art. 6 d.l. 24.1.2012, n. 1, (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, in l. 24.3.2012, n. 27.
Le novità riguardano: a) l’inclusione della possibilità di tutelare con le forme dell’azione di classe non solo i diritti individuali, ma anche gli interessi collettivi dei consumatori (co. 1), accompagnata dalla specificazione che oggetto dell’azione di classe è l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni in favore di questi ultimi (co. 2); b) l’eliminazione di ogni riferimento al requisito della «identità» dei diritti individuali, sostituito con quello della «omogeneità» (co. 2 e 6); c) la possibilità, per i consumatori che vogliano aderire, di farlo anche mediante posta elettronica certificata e fax (co. 3); d) la previsione che, in caso di accoglimento della domanda e di indicazione del criterio omogeneo di calcolo delle somme dovute ai membri della classe, il giudice assegni un termine, non superiore a novanta giorni, per addivenire ad un accordo sulla liquidazione del danno, in mancanza del quale, su istanza di parte, il tribunale liquidi le somme dovute ai singoli aderenti (co. 12).
In sede di conversione in legge, è venuta meno la previsione, originariamente contenuta nel d.l., che attribuiva le controversie di classe alle sezioni specializzate in materia di imprese, istituite dall’art. 2 d.l. n. 1/2012, il quale, a propria volta, ha modificato gli artt. 1-4 d.lgs. 27.6.2003, n. 168 (Istituzione di sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale presso tribunali e corti d’appello, a norma dell’art. 16 della l. 12 dicembre 2002, n. 273)2.
L’art. 6 d.l. n. 1/2012 è rubricato Norme per rendere efficace l’azione di classe, il che pare chiaro sintomo di una certa sfiducia nutrita dal legislatore verso l’art. 140 bis c. cons., peraltro giustificata dagli esiti non proprio entusiasmanti, sul versante della tutela consumeristica, delle prime azioni di classe proposte davanti agli uffici giudiziari italiani.
1.1. Le principali questioni sorte nei primi due anni di applicazione dell’art. 140 bis c. cons.
Il ricorso alla tutela collettiva risarcitoria è stato, sotto il profilo numerico, abbastanza esiguo, se si considera che i provvedimenti editi non superano la ventina.
A quanto consta, soltanto in un caso, tra i processi che sono giunti a conclusione del giudizio di ammissibilità della domanda (ovvero della eventuale fase di reclamo), l’azione di classe ha superato la c.d. fase di filtro3, il che è indice delle difficoltà incontrate dagli operatori pratici nel destreggiarsi tra le non poche questioni interpretative poste dalla tutt’altro che ineccepibile disciplina positiva.
Peraltro, l’idea di un processo promosso dal singolo consumatore, che liberamente sceglie le forme dell’azione di classe perché animato da intento solidaristico nei confronti degli altri consumatori potenziali class members, pare smentita dalla (ampiamente prevista) tendenza alla gestione “oligopolistica” delle azioni di classe da parte delle associazioni consumeristiche; la funzione, per così dire, promozionale da queste assolta è ampiamente giustificabile alla luce della condivisa scarsa appetibilità del nuovo strumento processuale per il singolo consumatore (e per il suo avvocato), determinata dalla mancanza di una disciplina speciale e incentivante delle spese processuali4.
Sono state alcune delle più grandi associazioni di consumatori ad effettuare quella selezione degli illeciti plurioffensivi che, nell’esperienza statunitense, viene svolta da studi legali specializzati5, e ad acquisire, tramite mandato, la rappresentanza processuale del consumatore individuato quale ideale promotore dell’azione di classe.
L’analisi delle prime pronunce di merito intervenute, nonché della prima decisione di legittimità, consente di tracciare uno spettro dei principali problemi posti dal funzionamento della disciplina positiva, fino all’entrata in vigore delle modifiche di cui al d.l. n. 1/2012.
Tra questi, si segnala quello relativo all’applicabilità dell’art. 140 bis agli illeciti posti in essere successivamente all’entrata in vigore della l. n. 99/2009, che ha imposto alla giurisprudenza una non agevole attività di qualificazione degli illeciti dedotti in giudizio, sotto il profilo della loro natura istantanea o permanente6.
Incertezze sono emerse con riferimento alle forme di tutela esperibili con l’azione di classe, nel dubbio che questa possa essere esercitata al solo fine di ottenere una pronuncia di accertamento mero della nullità di clausole contrattuali7.
Controversa è parsa la qualificazione del mandato con cui il proponente affida all’associazione di consumatori il potere di promuovere l’azione di classe; alcune pronunce hanno ricondotto il rapporto alla rappresentanza processuale volontaria ex art. 77 c.p.c., il che ha talora determinato l’inammissibilità della domanda per mancata attribuzione all’ente del potere di disporre dei diritti sostanziali controversi8; meno formalistica e senza dubbio innovativa è parsa la soluzione che ha qualificato l’ente mandatario alla stregua di un mero gestore della controversia di classe, al quale non compete né la legittimazione ad agire, che resta comunque in capo al singolo, né la disponibilità del rapporto sostanziale dedotto con l’azione risarcitoria9.
Il divieto di intervento ex art. 105 c.p.c., espressamente sancito dall’art. 140 bis, co. 10, ha suscitato dubbi circa la possibilità delle parti di chiamare in causa terzi10. Difficoltà interpretative hanno posto la definizione e il contenuto della nozione di adeguatezza a curare gli interessi della classe, quale requisito di ammissibilità della domanda11.
L’equivocità della nomenclatura utilizzata dal legislatore, che, nella versione antecedente le modifiche apportate dal d.l. n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012, aveva utilizzato indistintamente i concetti di identità e omogeneità dei diritti individuali di proponente e class members, per riferirsi ad uno dei requisiti di ammissibilità della azione, è all’origine di alcune oscillanti soluzioni giurisprudenziali12.
La fase processuale destinata a concludersi con l’ordinanza che decide sulla ammissibilità ha posto numerose questioni, attinenti all’individuazione delle regole sul funzionamento del processo13, alla ripartizione dell’onere di dimostrare i requisiti di ammissibilità della domanda14, al tipo di valutazione che i giudici sono chiamati a compiere e alle caratteristiche della decisione resa15, al funzionamento della fase di reclamo e alla ricorribilità per cassazione del relativo provvedimento16.
Il ritorno, nella nomenclatura dell’art. 140 bis c. cons., del riferimento agli interessi collettivi17 non sembra in grado di incidere in modo significativo sull’impianto della norma, dato che questi assumono rilevanza formale allorché si configuri l’esigenza di prevenire il danno o evitare il rischio di una lesione e, quindi, soltanto nell’ambito di azioni volte ad ottenere provvedimenti inibitori, idonei a far cessare la condotta e a soddisfare congiuntamente ciascuno e tutti i portatori18.
La specificazione circa l’oggetto dell’azione, rappresentato dall’accertamento della responsabilità e dal risarcimento del danno, peraltro già contenuta, con formula non dissimile, nel co. 1 dell’art. 140 bis c. cons., difficilmente potrebbe essere in grado di incidere sulla natura del processo di classe; questo, concepito per tutelare diritti risarcitori e restitutori e per concludersi, in caso di accoglimento, con provvedimenti di natura condannatoria, non dovrebbe poter, in virtù della aggiunta legislativa, mutare radicalmente e trasformarsi in un processo avente ad oggetto solo questioni comuni, quale, appunto, quella della mera responsabilità del danneggiante.
L’eliminazione del riferimento alla identità dei diritti, sostituita dalla omogeneità, è di indubbio rilievo e contribuirà a limitare le incertezze manifestate sul punto in giurisprudenza.
Infine, la scarna previsione della possibilità di un accordo sulla liquidazione, da definire all’esito della pronuncia che stabilisce il criterio omogeneo di calcolo del risarcimento o delle restituzioni in favore degli aderenti, non sembra seriamente in grado di costituire un modello affidabile ed efficiente di transazione collettiva, col quale, peraltro, il legislatore italiano si era già cimentato all’epoca della stesura originaria dell’art. 140 bis c. cons.19
2.1 L’impatto delle interpretazioni giurisprudenziali
La varietà delle questioni processuali poste dalle prime applicazioni pratiche dell’art. 140 bis, unitamente alla loro elevata incidenza sugli esiti della lite, è un chiaro segnale della scarsa qualità tecnica del testo normativo.
Gli interventi correttivi del legislatore non sembrano in grado di risolvere i dubbi emersi nella pratica, con l’unica probabile eccezione relativa all’uniformazione, sotto il concetto di omogeneità, del requisito di ammissibilità riferito ai diritti individuali tutelati; comunque, la giurisprudenza di merito, con riferimento alla qualificazione dei diritti fatti oggetto dell’azione di classe, aveva già escluso rigide interpretazioni del concetto di “identità”, precisando come la diversità di consistenza quantitativa delle pretese di attore e aderenti non ne pregiudichi la trattabilità congiunta nel processo di classe20.
Non c’è dubbio che i maggiori problemi di funzionamento siano emersi, con riferimento alla versione dell’art. 140 bis anteriore alla riforma operata dal d.l. n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012, nell’ambito del giudizio di ammissibilità, ed in particolare con riguardo ai suoi presupposti, alla sua regolazione e ai suoi esiti, sicché dalle pronunce che li hanno affrontati provengono le indicazioni di maggior impatto per gli interpreti.
Tra i requisiti di ammissibilità dell’azione, l’adeguatezza a curare gli interessi della classe è stata negata rispetto a proponenti impossibilitati a far fronte con i propri mezzi agli oneri economici connessi alla conduzione della controversia21; il problema dell’attribuzione alla parte “debole” dei costi necessari per garantire la partecipazione dei membri della classe al processo non è certo ignoto all’esperienza di ordinamenti giuridici stranieri22 ed è stato studiato anche in Italia23.
L’ammissibilità della domanda, esclusa per ragioni (peraltro fisiologiche) di squilibrio economico tra attore e convenuto, è stata invece riconosciuta a condizione che il representative plaintiff conferisca la rappresentanza ad associazioni di consumatori24.
Queste, qualificate dalle prime pronunce alla stregua di rappresentanti processuali volontarie dell’attore, con applicazione della relativa disciplina, come risultante dall’interpretazione dell’art. 77 c.p.c., potrebbero rivestire un ruolo, ignoto alla nostra tradizione giuridica, di ausiliari del proponente nella gestione della controversia collettiva, senza però assumere il potere di disporre dei diritti controversi25.
La soluzione, pur originale, dovrà, sul piano pratico, tener conto che la dissociazione tra rappresentanza in giudizio e disponibilità dei diritti fatti valere potrà incidere sulle vicende che, nel processo, ne impongono l’esercizio (conciliazione, giuramento, confessione etc.).
Peraltro, la riconducibilità del rapporto tra associazione e proponente ad una rappresentanza processuale sui generis, che si risolve in un «ausilio tecnico nella gestione della lite di massa», presuppone che entrambi i soggetti siano costituiti in giudizio.
Sotto altro profilo, il ricorso alle forme della tutela collettiva risarcitoria per esercitare azioni di accertamento o inibitorie parrebbe essere stato escluso: ogni qual volta si presenti una «situazione di pericolo» per i consumatori, derivante da atti o comportamenti illeciti delle imprese o dall’adozione di clausole contrattuali abusive, e tuttavia non vi sia stata ancora la produzione di un danno, non è consentito esercitare l’azione di classe, in funzione di «accertamento della responsabilità».
Si tratta di un mero problema di tecnica processuale, dato che, pur tralasciando le questioni inerenti al diverso configurarsi dell’interesse ad agire tra azioni di mero accertamento e azioni di condanna, l’(ipotetico) esperimento dell’azione di accertamento della responsabilità, promossa con le forme dell’azione di classe, non produrrebbe alcuna utilità né per il proponente, né per gli altri consumatori potenziali aderenti; al contrario dell’azione inibitoria collettiva, esercitabile soltanto dagli organismi indicati nell’art. 139 c. cons., la quale è specificamente finalizzata ad arrestare il perpetrarsi della condotta illecita e ad impedirne la continuazione o la reiterazione26.
Infine, occorre prendere atto della formazione dell’orientamento secondo il quale la decisione sull’ammissibilità, resa all’esito di una fase processuale regolata sulla base del modello del processo ordinario, ma con una prima udienza che non può essere assimilata tout court a quella di prima comparizione e trattazione27, è frutto di una delibazione sommaria che, in quanto tale, non è idonea al giudicato sostanziale e non preclude la riproposizione della domanda in via ordinaria28; ne consegue, dunque, che l’ordinanza, resa in sede di reclamo, non può considerarsi ricorribile per cassazione, perché priva dei caratteri di definitività e decisorietà.
Fermo restando che si tratta di una decisione condivisa anche da una parte della giurisprudenza di merito, è bene sottolineare come nessun elemento testuale dell’art. 140 bis c. cons. suggerisce che il giudizio di ammissibilità debba svolgersi in modo sommario, con una cognizione superficiale e concludersi con una decisione resa allo stato degli atti; anzi, è sufficiente considerare, per sollevare qualche dubbio circa la natura di mera delibazione dell’accertamento cui è chiamato il collegio, che a) l’intervento del pubblico ministero, necessario destinatario della notifica dell’atto introduttivo, può avere luogo solo in questa fase del processo (il che è indice dell’aspirazione del legislatore ad un controllo sui suoi esiti e ad una particolare accuratezza della decisione) e, soprattutto, che b) l’inammissibilità può conseguire alla verifica, oltre che della manifesta infondatezza, anche di circostanze, quali un conflitto di interessi, la disomogeneità dei diritti individuali di aderenti e attore e l’inadeguatezza del proponente a curare l’interesse della classe, tali da richiedere un’attività di cognizione presumibilmente approfondita.
Quanto agli esiti del giudizio di reclamo, nel caso in cui la corte d’appello riformi l’ordinanza di inammissibilità, è stata preferita la soluzione secondo cui il processo non prosegue davanti a questa, ma davanti al tribunale, al quale è rimessa la causa29.
Tra le novità apportate al testo dell’art. 140 bis c. cons., solo il venir meno del riferimento alla identità dei diritti, sostituito con quello alla omogeneità, contribuirà ad incrementare i margini di efficienza dell’azione di classe, in quanto potrà ridurre le incertezze, sinora manifestate dalla giurisprudenza di merito, sulla non agevole distinzione tra i due concetti30.
Venuto meno questo ostacolo, permane comunque la necessità di definire positivamente il significato di «omogeneità», riferito a situazioni giuridiche di vantaggio.
In rapidissima sintesi, sarebbero omogenei quei diritti, facenti capo a diversi soggetti, rispetto ai quali vengono in rilievo questioni comuni in misura prevalente rispetto alle questioni individuali31.
Nell’ambito dell’azione di classe, una volta superato il vaglio di ammissibilità e accertate le questioni comuni, dovrebbe farsi luogo ad un giudizio cd. “di completamento”, avente ad oggetto le specifiche questioni concernenti ogni singolo consumatore aderente, al fine di giungere ad una sentenza che non solo accerti la responsabilità del danneggiante, ma contenga anche la liquidazione del quantum nei confronti di tutti gli aventi diritto: l’espressa previsione, introdotta dalla recente novella, che in caso di mancato accordo tra aderenti e comune litigant, il tribunale, limitatosi a stabilire il criterio omogeneo di calcolo, sia poi tenuto a liquidare le somme dovute nei confronti di ciascun class members, non lascia dubbi sulla volontà del legislatore di affidare al processo di classe non solo l’accertamento delle questioni comuni, ma anche di quelle individuali, qual è, appunto, quella relativa alla misura del risarcimento o della restituzione.
Dovrebbe escludersi, quindi, che l’azione di classe possa limitarsi all’accertamento della responsabilità del danneggiante e chiudersi con un provvedimento inidoneo a costituire titolo esecutivo, che imporrebbe a ciascun aderente, per ottenere la liquidazione del proprio diritto di credito risarcitorio o restitutorio, di avviare un autonomo giudizio32.
Quanto alla novità rappresentata dalla previsione di una fase di conciliazione collettiva, deve evidenziarsi come essa appaia poco più che un abbozzo, certamente insufficiente per garantire la gestione efficace di una procedura di transazione assistita che potrebbe riguardare un ingente numero di consumatori; si tratta, più che di un passo in avanti33, di una occasione persa per garantire maggiori margini di efficacia dell’azione di classe, la quale, notoriamente, non può prescindere da una adeguata regolazione della fase conciliativa34, come insegna il modello della class action federale statunitense35.
La disciplina, di cui all’art. 140 bis, co. 12, secondo periodo, in combinato disposto con il co. 15, appare lacunosa e tecnicamente sciatta: a) il legislatore utilizza il termine «parti», il che, nel contesto dell’azione di classe, può essere foriero di equivoci, dato che non è chiaro se esso vada riferito, oltre che al convenuto, soltanto al proponente, che così si troverebbe a gestire per conto della classe anche la fase conciliativa, ovvero a ciascuno degli aderenti, che, come è noto, non rivestono la qualità di parte processuale36; b) la previsione che il verbale di conciliazione, per acquistare efficacia di titolo esecutivo, debba essere sottoscritto dalle «parti e dal giudice» lascia intravedere la volontà di affidare al collegio un ruolo di controllo sulla procedura conciliativa, giacché, altrimenti, sarebbe priva di concreta portata precettiva: consumatore e danneggiante ben potrebbero formare un accordo che risponda ai requisiti dell’art. 474, co. 2, n. 2, c.p.c., indipendentemente dalla sottoscrizione del giudice; c) fatta eccezione per la sottoscrizione del processo verbale, manca qualsivoglia previsione che individui i tratti di un controllo o di una gestione della fase conciliativa affidata al tribunale; d) non è regolata la possibilità che la classe si disaggreghi (implicitamente ammessa dal co. 15, secondo il quale «le rinunce e le transazioni intervenute tra le parti non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi hanno espressamente consentito») e che solo alcuni consumatori addivengano all’accordo conciliativo; e) in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, anche solo per alcuni consumatori, non è chiaro se soltanto l’attore e/o il convenuto, oppure anche gli aderenti, siano legittimati a dare impulso al processo, formulando l’istanza al tribunale perché provveda alla liquidazione in favore dei membri della classe.
In conclusione, le soluzioni adottate dal legislatore, nel porre mano alle modifiche dell’art. 140 bis c. cons., rivelano una scarsa attenzione ai principali problemi di funzionamento segnalati dall’esperienza applicativa della disposizione e dalle prime pronunce di merito; gli interventi modificativi adottati paiono di scarso rilievo pratico o, come nel caso della conciliazione collettiva, destinati più ad incrementare le incertezze interpretative che i margini di efficienza della tutela collettiva risarcitoria.
1 Si consenta di rinviare, per indicazioni circa la genesi della disciplina, a De Santis, A.D., Azione di classe a tutela del consumatore, in Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 679 ss.
2 Come evidenzia Caponi, R., Azione di classe: il punto, la linea e la discontinuità, in Foro it., 2012, V, 149, in sede di conversione si è scelto di dare al tribunale delle imprese una diffusione territoriale maggiore di quella degli uffici giudiziari attualmente competenti a conoscere delle azioni di classe secondo l’art. 140 bis, co. 4, c. cons., che è rimasto alla fine invariato; più che di scelta consapevole, si sarebbe trattato di un «caso fortuito».
3 App. Torino, 23.9.2011, in Foro it., 2011, I, 3422, con nota di De Santis, A.D., con cui è stato accolto il reclamo proposto avverso l’ordinanza del tribunale dichiarativa della inammissibilità della azione.
4 Basti pensare che, a fronte della mole di lavoro che la gestione di un processo di classe comporta per l’avvocato che rappresenta il c.d. representative plaintiff, l’art. 140 bis non reca alcuna disciplina speciale delle spese giudiziali; v. De Santis, A.D., Profili dell’azione di classe a tutela di consumatori e utenti, in Giusto proc. civ., 2010, 1065, spec. 1090.
5 L’attività di individuazione e “reclutamento” del representative plaintiff è appannaggio, come è noto, degli avvocati che, negli Stati Uniti, vestono, soprattutto nell’ambito delle class action, i panni degli imprenditori, spesso sostenendo in proprio (vale a dire tramite la law firm cui appartengono) l’impegno tecnico e finanziario della lite (cfr., oltre al Manual for complex litigation, a cura del Federal Judicial Center, IV ed., 2004, 242 ss., spec. 258 ss., anche Giussani, A., Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008, 128). Il generale divieto di accaparramento di clientela è inapplicabile alla categoria delle class actions (cfr. N.A.A.C.P. v. Button, 371 U.S. 1963, 415 e ss.; In re Primus, 436 U.S. 1978, 412 e ss.) e addirittura la legislazione federale consente allo studio legale che promuove la class action di farsi carico di tutte le spese, con l’impegno a non rivalersi, in caso di insuccesso, nei confronti dell’attore. Si tratta di una pratica che è ben diversa dal patto di quota lite (contingent fee) e che è ammessa, nonostante il divieto di maintenance.
6 App. Roma, 27.10.2012, in Foro it., 2012, I, 1908; App. Torino, 23.9.2011, ivi, 2011, I, 3422; Trib. Roma, 11.4.2011, ibidem, 3424; Trib. Roma, 25.3.2011, ibidem, 1889.
7 App. Torino, 27.10.2010, in Foro it., 2010, I, 3530, con nota di A.D. De Santis.
8 Trib. Torino, 28.4.2011, in Foro it., 2011, I, 1888; Trib. Torino, 7.4.2011, in Corr. giur., 2011, 1108, con commento di E. Marinucci; Trib. Roma, 11.4.2011, in Foro it., 2011, I, 3224; Trib. Torino, 25.5.2010, in Danno e resp., 2010, 67.
9 App. Torino, 23.9.2011, in Giur. it., 2012, 1581, con commento di A.D. De Santis
10 Trib. Napoli, decr. 31.5.2010, in Giusto proc. civ., 2010, 815, con commento di S. Menchini, e in Corr. giur., 2010, 985, con commento di C. Consolo, e G. Costantino.
11 Trib. Napoli, 9.12.2011, in Foro it., 2012, I, 1909; Trib. Firenze, 11.7.2011, ibidem, 1910; Trib. Torino, 28.4.2011, cit.; App. Torino, 23.9.2011, cit.
12 App. Roma, 27.1.2012, in Foro it., 2012, I, 1908; Trib. Firenze, 15.7.2011, ibidem, 1910; Trib. Torino, 31.10.2011, ibidem, 1910; Trib. Napoli, 9.12.2011, ibidem, 1909; App. Torino, 23.9.2011, cit.; Trib. Roma, 11.4.2011, ibidem, 3424; Trib. Roma, 25.3.2011, ivi , 2011, I, 1889.
13 App. Milano, 3.5.2011, in Foro it., 2011, I, 3423; Trib. Milano, 20.12.2010, ibidem, 617.
14 Trib. Torino, 28.4.2011, in Foro it., 2011, I, 1888.
15 Trib. Roma, 11.4.2011, in Foro it., 2011, I, 3424.
16 App. Torino, 23.9.2011, in Foro it., 2011, I, 3422; Cass., 14.6.2012, n. 9772, in Foro it., 2012, I, 2304, con commento di A.D. De Santis.
17 La versione originaria dell’art. 140 bis c. cons., introdotto dall’art. 2, co. 446 ss., l. 24.12.2007, n. 244, si riferiva esclusivamente agli interessi collettivi, senza menzionare i diritti individuali; v., per approfondimenti, Dalfino, D., Questioni di diritto e giudicato. Contributo allo studio delle «preliminari», Torino, 2008, 295 ss.
18 Cfr. Costantino, G., La tutela collettiva: un tentativo di proposta ragionevole, in Foro it., 2007, V, 140.
19 Cfr., sul punto, De Santis, A.D., Azione collettiva risarcitoria (art. 140 bis cod. consumo). La proposta dell’impresa soccombente e le forme della conciliazione, in Foro it., 2008, V, 209.
20 Trib. Napoli, 9.12.2011, cit.
21 Trib. Torino, 28.4.2011 e 7.4.2011, citt.
22 Cfr. il celebre caso Eisen v. Carslisle & Jaqueline, 417 U.S. 156, 1974, ricordato da Costantino, G., Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 14; Vigoriti, V., Interessi collettivi e processo: la legittimazione ad agire, Padova, 1979, 291 ss.; Cappelletti, M., Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile, in Riv. dir. proc., 1975, 396 s.; v., anche, Giussani, G., Studi sulle “class actions”, Padova, 1996, 80 ss.; cfr. anche, con riguardo ai profili di analisi economica del diritto, Bone, R.G., The Economics of Civil Procedure, New York, 2003, 250 ss.
23 Cfr. Trocker, N., Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990; Cappelletti, M.-Garth, B., The Protection of Diffuse, Fragmented and Collective Interests in Civil Litigation, in Effektiver Rechtsschutz und verfassungsmäßige Ordnung, a cura di W. Habscheid, Würzburg, 1983, 158 ss.
24 App. Torino, 23.9.2011, cit.; Trib. Napoli, 9.12.2011, cit.
25 App. Torino, 23.9.2011, cit.
26 App. Torino, 27.10.2010, cit.; con riferimento alla azione inibitoria ex art. 140 c. cons., nel senso che «le associazioni dei consumatori sono legittimate a proporre domande di risarcimento del danno e di restituzioni in favore dei consumatori nei limiti in cui facciano valere l’interesse collettivo della categoria ad ottenere l’accertamento di questioni comuni alle domande della pluralità di danneggiati dalla violazione di norme antitrust, quali l’illiceità della condotta, la responsabilità, il nesso causale tra illecito e danno e l’entità potenziale dei danni prodotti», v. Cass., 18.8.2011, n. 17351, in Corr. giur., 2011, 214 ss., con commento di R. Donzelli, e in Foro it, 2012, I, con commento di A.D. De Santis.
27 App. Milano, 3.5.2011, cit.; Trib. Milano, 20.12.2010, cit.
28 Cass., 14.6.2012, n. 9772, cit.; Trib. Roma, 11.4.2011, cit.
29 App. Torino, 23.9.2011, cit.
30 Donzelli, R., L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, 2011, 195 ss., spec. 206 ss.; Alpa, G., L’art. 140-bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 379 ss., spec. 383 ss.
31 Sul punto, si rinvia a Poli, R., Sulla natura e sull’oggetto dell’azione di classe, in Riv. dir. proc., 2012, 38 ss., spec. 40 s.
32 In tal senso, v., da ultimi, Consolo, C.-Zuffi, B., L’azione di classe ex art. 140 bis cod. cons. Lineamenti processuali, Padova, 2012, 290 s.
33 Nel senso che «la soluzione è tutto sommato ben congegnata» v. Consolo, C.–Zuffi, B., L’azione di classe ex art. 140 bis cod. cons. Lineamenti processuali, cit., 56.
34 Cfr. Gitti, G.-Giussani, A., La conciliazione collettiva nell’art. 140 bis cod. cons., dalla l. n. 244 del 24 dicembre 2007 alla l. n. 99 del 23 luglio 2009, alla luce della disciplina transitoria, in Riv. dir. civ., 2009, II, 639.
35 La Rule 23 delle FRCP dedica il capo (e) alla regolazione dei settlements, nonché delle ipotesi di voluntary dismissal e di compromise, che integrano ipotesi di chiusura del processo senza decisione, ritagliando per la corte un ruolo di assoluta preminenza e controllo (cfr. Giussani, A., Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, cit., 87 e ss.; per la dottrina statunitense, v., esemplificativamente, Rubenstein, W.B., The Fairness Hearing: Adversarial and Regulatory Approaches, in 53 UCLA Law Rev., 2006, 1435 ss.).
36 Cfr. Canale, G., Il «convitato di pietra» ovvero l’aderente nell’azione di classe, in Riv. dir. proc., 2010, 1304.