Ritmi biologici
di Hermann Remmert
Ritmi biologici
sommario: 1. Introduzione. 2. Prove dell'esistenza di un orologio fisiologico. 3. Sincronizzatori di orologi biologici. 4. Funzionamento dell'orologio fisiologico: a) dipendenza da fattori esterni; b) localizzazione dell'orologio: l'ipotesi del multioscillatore; c) meccanismi cellulari dell'orologio. 5. Utilizzazione dell'orologio fisiologico: a) inserimento nella periodicità annuale; b) orientamento con gli astri; c) orientamento in funzione del tempo nell'ambiente di vita. 6. Danni da sfasamento fra sincronizzatori e orologio circadiale. 7. Altri orologi biologici. 8. Conclusione. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Nello stesso luogo vivono durante le 24 ore animali diversi; di notte molte specie di fiori si richiudono e non emanano un odore sensibile, mentre altre specie emanano un odore più intenso proprio nelle ore notturne. Di giorno le infiorescenze del salice sono frequentate dal bombo, dalle api e da vari ditteri, di notte da lepidotteri (soprattutto Taeniocampidae e Noctuidae) e da neurotteri (Chrysopa). Sulla frutta in decomposizione si posano di giorno mosche (Lucilia, Calliphora, Mesembrina), vespidi e alcuni lepidotteri (Pyrameis atalanta), che all'imbrunire sono sostituiti da Drosophilidae e da moscerini del genere Fhryne; di notte, infine, vi si trovano soprattutto farfalle della famiglia Noctuidae (Agrotis, Catocala), forbicine (Forficula), opilionidi (Phalangium), isopodi (Oniscus e Porcellio), come pure numerose specie carnivore (Locusta, Carabus). Ben note sono le migrazioni in senso verticale, con periodicità giornaliera, dei Pesci e dello zooplancton di cui essi si nutrono. Se si mettono in relazione schematica gli animali predatori e le loro vittime, si ottengono per il giorno e per la notte catene alimentari ben differenziate. Dal punto di vista ecologico, infatti, è quasi solamente l'animale in attività a manifestarsi nel proprio ambiente di vita, e anche gli organi di senso dei predatori reagiscono prevalentemente ai soggetti in movimento (v. mimetismo). Così le catene alimentari si presentano in modo assolutamente diverso di giorno e di notte.
È possibile mettere in precisa relazione temporale tra loro differenti specie animali. Un nematode parassita, la filaria Wuchereria Bancrofti, può trovarsi nei vasi periferici dell'uomo solo in coincidenza con i periodi di attività degli ospiti intermedi, costituiti nelle varie regioni del globo da specie diverse di Ditteri; lo stesso vale per i corrispondenti stadi del plasmodio che provoca la malaria (v. Hawkin, 1970). Le metacercarie del parassita polmonare Paragonimus Westermanni escono dalla chiocciola, il loro primo ospite intermedio, nel pomeriggio, ossia nelle ore nelle quali è attivo il gambero d'acqua dolce che funge da secondo ospite trasportatore.
Gli animali diurni e quelli notturni spesso si differenziano nettamente tra loro. I primi sono fortemente pigmentati e tollerano senza inconvenienti le radiazioni ultraviolette, che possono invece risultare letali per gli animali notturni, quasi sempre debolmente colorati. Molti animali acquatici presentano di giorno una colorazione più intensa e più contrastata che non di notte, com'è noto a chiunque possegga un acquario. Gli animali diurni e quelli notturni presentano inoltre organi di senso molto diversi, soprattutto per quanto riguarda l'occhio. La visione a colori è possibile solo con l'elevata luminosità delle ore diurne (‟di notte tutti i gatti sono bigi"); perché nell'oscurità si delinei un'immagine, è necessario che il cristallino sia di grande diametro e di breve distanza focale, e cioè prossimo alla forma sferica. Negli Insetti la visione notturna è consentita dai cosiddetti occhi di sovrapposizione di Exner, in cui la luce proveniente da un certo numero di sistemi diottrici viene concentrata su una cellula fotosensibile. Un altro meccanismo di amplificazione dell'intensità luminosa è costituito dal tapetum, uno strato riflettente situato nella parte posteriore dell'occhio e destinato a riflettere nuovamente verso la retina i raggi luminosi che già l'hanno attraversata: è questa la ragione per cui ‛luccicano' gli occhi dei gatti, di molti ungulati e di numerose specie di farfalle notturne. Per contro, in molti animali notturni gli organi visivi sono ridotti e l'orientamento avviene in altri modi: per mezzo di ultrasuoni nel pipistrello, mediante brevi suoni udibili nella rondine notturna (Steatornis caripensis), e grazie a un olfatto particolarmente sensibile nell'uccello Apteryx.
2. Prove dell'esistenza di un orologio fisiologico
Tutti gli esempi sopra riferiti dimostrano l'esistenza di una rigorosa sincronia tra l'organismo e l'ambiente; si è dovuto quindi ammettere come un fatto evidente che gli organismi reagiscono direttamente alle variazioni dei fattori ambientali connesse con la rotazione terrestre. L'esistenza di un orologio fisiologico interno, ossia della possibilità di misurare autonomamente il tempo, non appariva invece necessaria né ipotizzabile; tuttavia, man mano che si è approfondito l'esame del fenomeno, sono nati nuovi e più gravi problemi. Negli Uccelli, ad esempio, è stato dimostrato che i passaggi dal sonno alla veglia non sono direttamente correlati con la luminosità dell'ambiente (v. Haarhaus, 1969, Eine Methode ... e Die Zeteraktivität..., 1973); analoghi risultati hanno dato esperimenti condotti sugli Insetti. Si è provato allora a mantenere per lungo tempo gli organismi in condizioni costanti e a registrarne l'attività in modo continuo. Le prime indagini di questo genere (Bünning, Kalmus: passaggio dallo stadio di pupa a insetto perfetto in Drosophila, attività motoria di Dixippus) risalgono a più di quarant'anni fa, ma solo dopo il 1950 le ricerche in questo campo si sono sviluppate con intensità crescente (v. Cloudsley-Thompson, 1961; v. Remmert, 1962 e Biologische..., 1965; v. Bünning, 1964).
È risultato evidente che nelle condizioni sperimentali suesposte scompare gradualmente la sincronia tra organismi e rotazione terrestre: l'orologio fisiologico degli animali ‛funziona male', ossia non segue più esattamente il periodo di 24 ore, ma se ne discosta in misura regolare e ben individuabile. Un gruppo di lucertole allevate nella stessa incubatrice, senz'alcuna possibilità di prendere a riferimento l'alternanza naturale di luce e oscurità con periodo di 24 ore, ha presentato un ritmo interno prossimo - ma non esattamente uguale - alle 24 ore, con qualche diversità tra i vari individui. Dati analoghi sono disponibili oggi per numerosissimi organismi, da quelli unicellulari (Gonyaulax, Euglena) agli Insetti (Drosophila, Carabidi), ai Pesci (Lota, Salvelinus), ai Rettili (Lacerta), agli Uccelli (soprattutto Passeracei) e ai Mammiferi (Mus, Tupaia, Homo).
La costanza delle condizioni ambientali non è però indispensabile: risultati analoghi si possono ottenere anche con un'alternanza a scelta dello sperimentatore di luce e oscurità. D'altra parte, alcune specie non tollerano bene l'esposizione continua alla luce o all'oscurità: in questi casi si può predisporre per gli animali un ricovero protetto dalla luce, nel quale essi periodicamente si trasferiscono per un certo tempo, trovandovi condizioni di luminosità diverse da quelle dell'ambiente non protetto. Poiché questa particolare alternanza di luce e oscurità non è determinata dalla rotazione terrestre, ma da una periodicità interna, il risultato sperimentale non cambia (Stumpf). Wahlström (v., 1965) ha indotto nei fringuelli un ciclo luce-oscurità in cui l'inizio dell'attività mattutina - testimoniato da una serie di impulsi molto ravvicinati sui contatti delle stanghette d'appoggio - faceva lentamente aumentare l'intensità luminosa, mentre il prolungarsi dei periodi di riposo - testimoniato da un minor numero d'impulsi nell'unità di tempo - provocava l'estinguersi della luce. Questo ciclo luce-oscurità, derivante da una scelta autonoma, rappresenta un tipico ritmo circadiale a corsa libera, non sincronizzato con la rotazione terrestre; identico risultato è stato ottenuto nell'uomo da Aschoff e altri (v., 1967).
Nel procedimento descritto è irrilevante a quale parametro del ritmo si riferisca la registrazione. Lo stesso individuo presenta infatti una pluralità di fenomeni oscillatori con periodicità giornaliera: nell'uomo si possono prendere in esame, ad esempio, la pressione arteriosa, la temperatura corporea, l'escrezione di urine, l'emissione di potassio, sodio e calcio, la frequenza del battito cardiaco, la velocità di reazione del sistema nervoso centrale. Per ragioni pratiche, le rilevazioni su altri esseri riguardano soprattutto l'attività motoria negli animali e i movimenti delle foglie nelle piante. È possibile anche, senza introdurre errori nelle misure, considerare e rilevare contemporaneamente due fenomeni tra loro distinti: ad esempio, nel termine generico di ‛attività motoria' possono essere conglobate due attività - come la ricerca della femmina e quella del cibo - nettamente distinguibili tra loro nelle farfalle (v. Götz, 1950). È importante però che le registrazioni estese a lunghi periodi riguardino la stessa forma o lo stesso gruppo di forme di attività. Gli actogrammi ottenuti vengono disposti l'uno sotto l'altro, riportando a lato, per una miglior visione sinottica, i dati relativi al giorno precedente e a quello seguente.
Come vanno interpretati questi dati? Gli animali possiedono un ritmo endogeno in cui si susseguono periodicamente stati diversi; questo ritmo, che ha un periodo uguale a circa un giorno, è denominato circadiale. Esso è innato, non essendo acquisito mediante imprinting o processi analoghi; ciò vale anche quando tale ritmo non sia completamente sviluppato fin dai primi giorni di vita, come accade nell'uomo.
Quest'orologio è fondato su un processo periodico svolgentesi nell'organismo: in laboratorio, in mancanza di sincronizzatori, esso continua a funzionare liberamente per un tempo considerevole e in alcuni casi illimitato. Non può quindi trattarsi di una ‛clessidra' (in senso tecnico), bensì di un meccanismo fondato su un processo che si svolge ciclicamente (sui principi della clessidra si veda il cap. 7).
Vi sono poi altri indizi dell'esistenza di un orologio interno. Se gli organismi si limitassero a seguire, nella loro attività variabile con ritmo giornaliero, le mutevoli condizioni esterne, essi dovrebbero presentare cicli d'attività normali anche con periodi che si discostino comunque dalla durata del giorno solare. Ma non è questo il caso, perché la maggior parte degli animali non si lascia sincronizzare su periodi sensibilmente diversi dalle 24 ore: quando si cerca di farlo, essi presentano un comportamento nettamente aritmico oppure - come quando sono sottoposti a condizioni costanti - una periodicità endogena con periodo poco diverso dalle 24 ore. Solo nel caso che il periodo indotto sia un multiplo o un sottomultiplo di tale durata, gli animali tornano al periodo di 24 ore (D. Haarbaus; R. Wever). Sono rare le specie in cui la periodicità interna dell'animale segue senza difficoltà quella indotta, anche per tempi molto lunghi: ciò avviene, ad esempio, nella schiusa delle pupe di Pseudosmittia arenaria, ma anche qui, appena possibile, il periodo ridiventa uguale alla durata del giorno solare (v. Remmert, 1955).
3. Sincronizzatori di orologi biologici
Gli organismi sono dunque dotati di un orologio intelno che funziona indipendentemente dalle condizioni ambientali. In condizioni costanti, tale funzionamento può continuare per un tempo pressoché illimitato - ad esempio in Lacerta e in Tupaia (v. Hoffmann, 1955; v. Menaker, 1971) - oppure può estinguersi dopo pochi giorni, ad esempio in Phaseolus e in altre piante verdi (v. Bünning, 1964). Nell'ambiente naturale, quest'orologio fisiologico viene ‛regolato' da sincronizzatori correlati con la rotazione terrestre, ossia da fattori che provvedono a sincronizzare rispetto al proprio ritmo l'attività dell'organismo, senza peraltro essere la causa di tale attività.
Quali fattori esterni possono considerarsi come sincronizzatori? In teoria, potrebbe agire come tale qualsiasi fattore direttamente o indirettamente correlato con la rotazione terrestre; in pratica però questa possibilità è soggetta a notevoli restrizioni.
Il sincronizzatore più ovvio è la luce, o meglio l'alternanza di luce e oscurità con periodicità giornaliera: è facile correlare con questo fattore le varie attività svolte da piante e da animali nell'ambiente naturale, e altrettanto facile è ottenere la sincronizzazione in laboratorio; anche quando l'alternanza di luce e oscurità è sfasata nel tempo rispetto a quella solare, gli organismi si adeguano rapidamente e senza difficoltà al sincronizzatore sperimentale.
Tuttavia, le difficoltà che nascono da una considerazione più attenta dei fenomeni ci inducono ad articolare il problema dell'alternanza di luce e oscurità in una serie di questioni.
1 . Qual è la differenza minima d'intensità luminosa tra ‛luce' e ‛oscurità' necessaria per ottenere la sincronizzazione? Questa differenza dipende, come vorrebbe la legge di Weber-Fechner, dal valore medio dell'intensità d'illuminazione?
2. È sufficiente una sequenza di segnali ‛acceso' o ‛spento' per ottenere la sincronizzazione, oppure il segnale dev'essere sostanzialmente del tipo ‛acceso-spento'?
3. Un'alternanza di luce e oscurità con diagramma rettangolare funziona da sincronizzatore in modo diverso da un'oscillazione di tipo sinusoidale?
4. La durata delle fasi di oscurità o di luce è irrilevante, oppure ciascuna parte del periodo del sincronizzatore deve avere una certa durata minima?
5. Nell'ambiente naturale - come pure in laboratorio - la differenza d'illuminazione, misurata in lux o in watt per unità di superficie, è quasi sempre associata a una variazione della composizione spettrale della luce, nel senso che di norma alla fase di minore illuminazione corrisponde una quota più elevata di radiazioni rosse. Potrebbe allora agire da sincronizzatore la semplice variazione cromatica della luce?
6. Nell'ambiente naturale la variazione dell'illuminazione è connessa con quella della posizione azimutale del sole. Può questa posizione agire da sincronizzatore, in connessione con gli elementi caratteristici del paesaggio? (La questione assume particolare rilevanza alle latitudini più alte).
In effetti, è risultato che entrambi i parametri - composizione spettrale della luce e posizione azimutale del sole - possono fungere da sincronizzatori (v. Demmelmeyer e Haarhaus, 1972; v. Haarhaus, 1974). Nel caso della semplice variazione periodica di luminosità, invece, sembra che per gli Uccelli un segnale di ‛luce accesa' debba essere costantemente associato a un segnale di ‛luce spenta' (v. Haarhaus, 1974), mentre per Drosophila sarebbe sufficiente un semplice segnale. Per quanto riguarda infine le differenze d'intensità luminosa occorrenti per assicurare la sincronizzazione, finora si conosce ben poco: ai livelli d'illuminazione più bassi i fringuelli riescono ancora a utilizzare come sincronizzatore una differenza dell'ordine di 2/1 (Krüll), mentre ai livelli più elevati gli esperimenti si presentano difficili e non risulta che finora ne siano stati compiuti.
Tutto ciò sta a dimostrare quanto sia complesso, a un esame più approfondito, il sincronizzatore ‛luce'. Gli altri sincronizzatori potenziali sono stati oggetto di studi molto meno esaurienti e li tratteremo quindi in modo relativamente sommario.
L'alternanza di giorno e notte è sempre accompagnata da un'alternanza della temperatura; tutti gli animali sono dotati di recettori termici e dovrebbero essere in grado di utilizzare come sincronizzatori le differenze di temperatura, ma non è affatto così. Effetti sincronizzanti della temperatura sono stati accertati solo in Drosophila (cfr. Pittendrigh, in Withrow, 1959), in Lacerta (v. Hoffmann, 1970) e in Plasmodium (v. Hawkin, 1970); nel caso di Lacerta, è risultata efficace come sincronizzatore una variazione sinusoidale di temperatura dell'ampiezza di appena 0,9 °C. Negli animali a sangue caldo, invece, l'alternanza di temperatura non produce alcuna sincronizzazione, o la produce solo in ambiti non fisiologici, prossimi ai valori letali. Vero è che spesso anche in questi animali l'attività compare solo a una data temperatura, ma da un esame più accurato risulta trattarsi di un cosiddetto ‛mascheramento': un determinato livello termico ha solo l'effetto di rendere possibile l'attività dell'animale, e in realtà l'orologio interno funziona a corsa libera. Beck (v., 1972) è riuscito a dimostrare che in un ragno tropicale (Admetus pumilio) non v'è alcuna possibilità di sincronizzazione mediante cicli di temperatura. Il fatto che uno stimolo come quello termico, chiaramente percepito e manifestantesi regolarmente nel corso del giorno, non abbia alcuna capacità d'informazione nei riguardi dell'orologio interno, merita di essere attentamente considerato.
Per contro, i rumori e i richiami di particolari specie animali hanno un effetto sincronizzante sugli uccelli canori, anche se in misura relativamente modesta: la sincronizzazione avviene infatti solo occasionalmente e dopo un certo tempo (v. Gwinner, 1966).
Circa il modo di funzionare degli agenti sincronizzatori, un sincronizzatore molto efficace provoca un'esatta sincronia tra la propria fase e quella dell'organismo, mentre se l'agente è meno efficace, come nel caso di una luce d'intensità costante con variazione della sola composizione spettrale, la correlazione tra le fasi è meno evidente: fenomeni di questo tipo si manifestano in natura, ad esempio durante l'estate artica (v. Aschoff e altri, 1972). Se l'efficacia del sincronizzatore è ancor più limitata (canto di richiamo di una determinata specie), si ha di solito una sincronizzazione solo occasionale, e infine, In mancanza di sincronizzatori, l'orologio interno funziona a corsa libera con la propria frequenza spontanea; ciò avviene anche in presenza di un ‛mascheramento', ma in tal caso l'attività misurata si manifesta solo in presenza di un complesso di fattori.
Da quanto s'è detto risulta chiaro che un'analisi approfondita dell'azione dei sincronizzatori non è stata ancora svolta; ciò vale anche per la questione - di grande importanza per i problemi ecologici - dell'azione congiunta di più sincronizzatori. Ad esempio, l'uomo non si lascia sincronizzare nelle sue attività da un'alternanza artificiale di luce e oscurità con ciclo di 24 ore; ciò accade invece quando vi sia un segnale acustico aggiuntivo (v. Wever, Zur Zeitgeberstärke..., 1970). Pittendrigh (cit. in Withrow, 1959) ha studiato in Drosophila l'effetto combinato di un'alternanza sinusoidale della temperatura variamente sfasata rispetto a un'alternanza di luce e oscurità con diagramma rettangolare. La migliore sincronizzazione e la più intensa concentrazione di schiuse della pupa si sono avute quando il passaggio mattutino dall'oscurità alla luce coincideva con la risalita della temperatura subito dopo un minimo. Lo sfasamento del ciclo termico rispetto a quello luminoso riusciva a spostare la massima concentrazione di schiuse verso altre zone del periodo di luce, ma mai verso il periodo di oscurità.
Come abbiamo visto, non tutti gli organi di senso possono considerarsi come recettori degli agenti sincronizzanti con periodicità giornaliera. Quali sono dunque gli organi capaci di svolgere questa funzione? Menaker (v., 1971) ha dimostrato che negli uccelli canori i cicli luminosi agiscono da sincronizzatori anche dopo l'accecamento degli animali, in quanto i centri cerebrali sensibili alla luce arrivano a percepire l'alternanza di luce e oscurità attraverso l'involucro osseo e il rivestimento di piume. Già da tempo Benoit (v. Withrow, 1959) aveva indicato la stessa possibilità a proposito dell'influsso che il fotoperiodo ha sullo sviluppo dei testicoli nell'anatra selvatica (v. cap. 5, paragrafo a), mentre Hollwich e Tilgner (v., 1961) erano riusciti a provocare tale sviluppo esponendo il cervello dell'animale a una luce monocromatica. Nei Mammiferi ciò sembra escluso, mentre nei Vertebrati inferiori vi sono, oltre agli occhi, altri importanti centri fotosensibili (v. Hoffmann, 1970; v. Müller, 1970). Anche negli Insetti non sempre gli organi recettori degli stimoli luminosi sono costituiti dai grossi occhi composti, com'è stato dimostrato da Lees (v. Biological clocks, 1960) per quanto riguarda l'induzione fotoperiodica negli afidi. Nelle crisalidi di alcune farfalle (Cecropia e Pernyi) il sistema nervoso centrale è sensibile alla luce e la fase del ritmo dipende dal ritmo di esposizione (cfr. Truman, in AA. Vv., Circadian rhythmicity, 1972): in tal caso che gli occhi siano esposti alla luce è irrilevante e la resezione del nervo ottico non ha praticamente alcun effetto sulla percezione dello stimolo. Invece nel caso della blatta, dopo alcuni risultati iniziali che sembravano confermare questa tesi, è stato accertato che i soli recettori dello stimolo luminoso sono gli occhi composti: se s'impedisce a questi organi di funzionare, le blatte sottoposte a un'alternanza di luce e oscurità si comportano come se si trovassero in condizioni costanti. In conclusione è difficile, se non addirittura impossibile, generalizzare i risultati sperimentali in questo campo (cfr. Roberts, in Menaker, 1971).
4. Funzionamento dell'orologio fisiologico
a) Dipendenza da fattori esterni
Di fronte alla precisione del funzionamento dell'orologio fisiologico, si è presentato naturalmente il problema di una possibile alterazione del suo ritmo in dipendenza da fattori esterni. La questione presenta un aspetto ecologico, in quanto ogni influsso esterno ridurrebbe le possibilità d'utilizzazione dell'orologio in condizioni naturali, e un aspetto fisiologico, nel senso che ogni influsso eventualmente accertato potrebbe fornire indicazioni sulle modalità di funzionamento dell'orologio stesso.
Fin dall'inizio ha assunto particolare importanza in queste ricerche il fattore temperatura. Per gli organismi a temperatura variabile si considerava valida la curva normale di Krogh, per cui tutte le funzioni sarebbero dipese dalla temperatura nel senso della legge di van't Hoff, con un valore di Q10 compreso fra 2 e 3 (ove Q10 indica l'aumento della velocità di reazione per un aumento della temperatura di 10 °C); i risultati devianti da tale norma, riassunti da Precht e altri (v., 1955) erano definiti ‟insoliti" dagli stessi autori (p. 41). Un'eventuale indipendenza dalla temperatura, in quanto richiesta dalla funzione, andava dunque considerata come una caratteristica peculiare e fondamentale dell'orologio fisiologico. In effetti, l'indipendenza dalla temperatura (costante) alla quale si svolgevano gli esperimenti risultò sempre confermata, anche nel corso di ricerche a lungo termine: essa fu dimostrata per la prima volta da Pittendrigh (v., 1954) nei suoi studi sulla schiusa delle pupe di Drosophila: alle diverse temperature di sperimentazione il ritmo dell'orologio fisiologico della larva giovane, della pupa e dell'insetto perfetto rimaneva uniforme, con un periodo di circa 24 ore. Il fenomeno è tanto più importante in quanto nello stesso animale si può osservare una notevole dipendenza dello sviluppo dalla temperatura, con un valore di Q10 pari a 2-3, mentre il Q10 dell'orologio interno è rigorosamente uguale all'unità. Un'analisi approfondita di questo fenomeno è stata condotta da Jankowsky (v., 1969) sulla pulce di spiaggia Orchestia platensis. Il consumo di ossigeno di quest'animale è strettamente legato alla temperatura (con un Q10 di 2-3), e così pure il suo sviluppo (v. Bock, 1967); invece la sua capacità di orientarsi col sole (v. cap. 5, paragrafo b), dipendente dall'orologio fisiologico, mostra un Q10 poco maggiore di 1, che per tempi di sperimentazione molto lunghi dovrebbe tendere all'unità. Variazioni brusche della temperatura provocano a breve termine un acceleramento nel ritmo dell'orologio, che viene però compensato in seguito; lo stesso fenomeno si osserva nel ritmo della schiusa delle pupe di Drosophila.
Da quanto s'è detto possono trarsi le seguenti conclusioni. Negli animali pecilotermi i processi di sviluppo dipendono dalla temperatura secondo la curva normale di Krogh, e la stessa dipendenza possono presentare altri processi metabolici che si svolgono contemporaneamente; l'orologio fisiologico, che certamente è fondato su meccanismi biochimici, dipende invece dalla temperatura solo per tempi molto brevi, e il suo periodo tende rapidamente verso una durata prossima alle 24 ore. Nello stesso animale sono dunque in atto contemporaneamente processi biochimici aventi diversa sensibilità alla temperatura. Studi recenti di biochimica hanno portato peraltro a dubitare che questa sia una singolarità dell'orologio fisiologico. Anche i processi dipendenti dalla temperatura finora rilevati appaiono costituiti da un'associazione di processi più o meno termodipendenti: i diagrammi di consumo dell'ossigeno o i diagrammi di accrescimento rilevati non sono altro che inviluppi di più curve distinte (per una rassegna sull'argomento, v. Hochachka e Somero, 1973). Perfino negli animali omeotermi vi sono sistemi enzimatici che non dipendono dalla temperatura, e forse tutti gli organismi sono riusciti a realizzare per certe funzioni tale indipendenza. Da un punto di vista biochimico ciò può accadere in tre modi: 1) aumenta il numero degli enzimi attivi; 2) nei vari campi di temperatura vengono attivati isoenzimi diversi con diverse costanti di Michaelis (v. catalisi enzimatica; v. enzimi). Se gli isoenzimi sono sostanzialmente compresenti, non è necessario un tempo di adattamento; se devono prima essere sintetizzati, gli organismi reagiscono agli sbalzi di temperatura nel modo già descritto; 3) alcuni enzimi subiscono una modulazione della costante di Michaelis in funzione della temperatura: tutti i processi si svolgono allora indipendentemente dalla temperatura, senza predisposizione di isoenzimi.
Con ciò il problema si è spostato in modo imprevisto: l'indagine non riguarda più i meccanismi che rendono l'orologio fisiologico indipendente dalla temperatura, bensì le ragioni per cui l'eventuale indipendenza dalla temperatura dei processi metabolici negli organismi pecilotermi non si estende anche ai processi di accrescimento e di sviluppo. A questo punto però il problema principale l'indipendenza dell'orologio interno dalla temperatura - è risolto in linea di principio e viene meno il carattere peculiare dell'orologio fisiologico.
Si è cercato anche d'influenzare il ritmo dell'orologio facendo variare l'intensità d'illuminazione. In questo modo Aschoff (v. Aschoff e Wever, 1962) è riuscito a ottenere negli uccelli canori una regolarità circadiale: l'attività, la frequenza spontanea e il rapporto fra durata dell'attività e durata del riposo sono correlati con l'intensità d'illuminazione, in senso positivo negli uccelli attivi di giorno e in senso negativo in quelli attivi di notte. Nei primi, quindi, al crescere dell'intensità d'illuminazione l'attività per unità di tempo aumenta, il periodo scende al disotto delle 24 ore e la durata del riposo diminuisce. La stessa regola non sembra però essere valida per altri animali. Erkert (v., 1967) ritiene che per ciascuna specie vi sia un optimum d'intensità d'illuminazione, a cui corrisponde un'attività particolarmente elevata; ma anche a questa teoria non può attribuirsi una validità generale. Resta il fatto notevole che in molti animali il periodo può essere influenzato dall'intensità d'illuminazione, anche se non è possibile ottenere per questa via alcuna indicazione circa i meccanismi biochimici dell'orologio.
Un terzo metodo, spesso usato per influire sulla velocità di funzionamento dell'orologio interno, è fondato sulla somministrazione di farmaci. Wahlström (v., 1965) ha sottoposto alcuni canarini (Serinus canarius) a un ciclo di luce e oscurità liberamente scelto (v. cap. 2); in queste condizioni l'attività degli animali era evidentemente libera e non correlata con la rotazione terrestre. In seguito alla somministrazione di sonniferi (reserpina, barbiturici, inibitori della monoamminossidasi) gli uccelli caddero in un lungo e profondo sonno. Negli individui trattati con reserpina e barbiturici, il risveglio e la successiva attività non subirono sfasamenti rispetto alle ore in cui gli uccelli si erano mostrati attivi prima del trattamento: l'orologio interno non era stato dunque influenzato. L'impiego degli inibitori della monoamminossidasi ebbe come conseguenza dapprima un notevole allungamento (rimasto peraltro isolato) del periodo e poi un lieve accorciamento dello stesso, protrattosi per più giorni.
Per influenzare l'orologio interno sono stati adoperati anche gli ormoni. È risultato che sotto la loro azione alcuni uccelli canori di passo diventano attivi nell'oscurità, mentre il barbagianni (Strix) nella stagione degli amori diventa attivo alla luce (Haarhaus).
Anche lo sfasamento dell'attività rispetto al sincronizzatore, che può essere osservato in tutti gli Uccelli nel corso dell'anno, è indicativo di azioni ormonali. Il periodo della produzione di steroidi da parte dei surreni è influenzabile in vitro mediante somministrazione di ACTH; l'aggiunta intermittente di ecdisone alle colture di cellule di ghiandole salivari di Drosophila ne altera il ritmo. Tuttavia, nei casi elencati non si ha una variazione del periodo, ma solo uno spostamento della fase; a quanto pare il meccanismo dell'orologio interno non è sottoposto a vere e proprie alterazioni (un quadro d'insieme del fenomeno è dato da Roberts: v. Aschoff, 1965). Alle stesse conclusioni porta la ricerca svolta da Menaker (v., 1961) sul periodo spontaneo dei pipistrelli durante l'attività e durante il letargo invernale: un allungamento di minima entità del periodo spontaneo degli animali ibernanti potrebbe spiegarsi con un'insufficiente compensazione della temperatura, che sarebbe in questo caso insignificante dal punto di vista biologico.
Più promettente per gli sviluppi teorici è apparso il trattamento degli organismi con acqua pesante (D2O): in effetti, si è ottenuto in questo modo un notevole allungamento del periodo sia in Phaseolus (v. Bünning, 1964), sia in Euglena (v. Bruce e Pittendrigh, 1960). Quest'ultima ha potuto adattarsi a un ambiente costituito per il 45% di D2O: il periodo è risultato sempre compreso tra le 26 e le 28 ore, mentre in condizioni normali il periodo spontaneo è minore di 24 ore.
b) Localizzazione dell'orologio: l'ipotesi del multioscillatore
Oltre a questi tentativi empirici di influire sul ritmo dell'orologio interno, ne sono stati condotti altri aventi lo scopo di identificare il sistema sede dell'orologio, in modo da poterne modificare il ritmo influenzando direttamente tale sistema.
La maggior parte di questi esperimenti sono stati eseguiti sui bombici (Cecropia e Pernyi: cfr. Truman, in AA.VV., Circadian rhythmicity, 1972). In condizioni naturali l'uscita dalla crisalide avviene di mattina in Cecropia e di sera in Pernyi: se alle crisalidi viene asportato il sistema nervoso centrale, la schiusa diventa aritmica; dopo la recisione del nervo ottico che collega gli occhi composti al cervello, la concentrazione delle schiuse nel tempo è meno accentuata, ma ancora chiaramente distinguibile. Se il cervello viene rimosso dalla sua sede naturale e impiantato nell'addome, esso continua a determinare il momento della schiusa: esponendo l'addome a un ciclo luminoso sfasato di 12 ore rispetto a quello agente sul capo dell'animale, si ottiene un analogo sfasamento della massima concentrazione di schiuse. Evidentemente il cervello è al tempo stesso luogo di recezione dello stimolo e sede dell'orologio che determina il momento della schiusa. Quest'ipotesi trova conferma nell'esperimento di trapianto incrociato del cervello tra i due animali: il cervello di Pernyi trapiantato nella crisalide di Cecropia ne determina la schiusa serale, mentre quello di Cecropia trapiantato in Pernyi ne provoca la schiusa al mattino. L'orologio che regola l'uscita di queste farfalle dalla crisalide ha dunque sede nel sistema nervoso centrale.
Tuttavia un simile risultato non può essere esteso senz'altro ad altre specie. È probabile che nella blatta l'orologio che regola l'attività motoria sia localizzato nei lobi ottici, situati tra gli occhi composti e il cervello; negli Uccelli tale orologio potrebbe invece aver sede nell'epifisi (v. Hoffmann, 1970). Dopo l'asportazione di quest'organo l'attività in condizioni costanti diviene infatti aritmica, mentre gli animali sottoposti a un'alternanza di luce e oscurità si orientano verso il ritmo imposto.
A questo punto si pone però il problema se in generale sia corretto ipotizzare l'esistenza di un unico orologio. Nelle piante esposte alla luce continua, il ritmo circadiale dei movimenti delle foglie si mantiene per un certo tempo, ma quando vien meno il sincronismo con la rotazione terrestre cessa anche il sincronismo tra le varie foglie. Si deve pertanto supporre che ciascun organo (ciascuna foglia) della pianta sia sede di un orologio indipendente dagli altri, e che oltre alla desincronizzazione esterna tra l'organismo e la rotazione terrestre vi sia anche una desincronizzazione interna tra le varie funzioni ritmiche dello stesso organismo.
Già negli esseri unicellulari coesistono le più svariate funzioni associate al ritmo circadiale; il numero e l'articolazione di tali funzioni tendono a crescere negli organismi maggiormente differenziati. In base all'esempio citato a proposito delle piante, è logico aspettarsi che tutte queste funzioni non siano regolate da un unico orologio; tanto più se si considera che perfino singole parti di alcuni organi vegetali (ad esempio le strisce ricavate sezionando i petali di un fiore) continuano a presentare in laboratorio i movimenti di apertura e chiusura propri del fiore intero. Bünning (v., 1964) ha dimostrato che un segmento d'intestino di Mesocricetus, mantenuto in condizioni fisiologiche all'esterno dell'organismo, conservava il ritmo circadiale della sua peristalsi.
Una desincronizzazione interna è osservabile anche in animali integri mantenuti in condizioni costanti. In Tupaia il periodo di attività si scinde in due parti allorché l'intensità d'illuminazione in condizioni costanti diminuisce in maniera caratteristica (cfr. Hoffmann, in Menaker, 1971); in varie specie di fringuelli si osserva spesso un'analoga scissione dell'attività in condizioni di luce costanti, specialmente quando venga alterata la temperatura della luce colorata (Demmelmeyer). Nell'uomo sottoposto a un ciclo di luce e oscurità liberamente scelto, il ritmo della temperatura corporea diverge da quello di altre funzioni. A tale proposito va rilevato che alcune funzioni, come la temperatura rettale e l'eliminazione del potassio, variano sempre parallelamente, mentre altre (eliminazione d'acqua, di sodio, di calcio) sembrano variare in modo indipendente tra loro e dalle funzioni dell'altro gruppo (v. Wever, Die gegenseitige..., 1970). Lobban ha osservato il comportamento di orologi con periodo variabile dalle 21 alle 27 ore in animali esposti alla luce continua dell'estate artica; le desincronizzazioni interne manifestatesi in tali condizioni corrispondevano a quelle osservate in ambiente sperimentale (cfr. Lobban, in Aschoff, 1965, e in AA.VV., Circadian rhythmicity, 1972).
È evidente quindi che piante e animali dispongono di più orologi, funzionanti in sincronismo tra loro in condizioni naturali; poiché, come s'è detto, questi orologi sono presenti anche negli organismi unicellulari, prenderemo ora in esame le singole cellule.
c) Meccanismi cellulari dell'orologio
È necessario distinguere a questo proposito due ordini di fenomeni. Da un lato le cellule di un organismo presentano variazioni con periodicità giornaliera delle attività enzimatiche, delle dimensioni e delle proprietà strutturali: tali variazioni, più volte descritte nella letteratura, possono dipendere da un orologio celato in una qualche parte dell'organismo, e di esse non c'interesseremo in questa sede. D'altro lato, è stato possibile evidenziare fenomeni ritmici durante esperimenti su colture di cellule; tuttavia questi esperimenti hanno lo svantaggio di essere sempre limitati a tempi brevi, in quanto le cellule degli organi in studio non sono in grado di essere a lungo mantenute in coltura.
Dopo che Strumwasser (v. Aschoff, 1965) ha dimostrato che i gangli isolati del mollusco marino Aplysia possiedono un ritmo giornaliero di attività endogena, Jacklet (v. Menaker, 1971) è riuscito a identificare un andamento giornaliero degli impulsi provenienti dal nervo ottico di quest'animale; per di più, anche i singoli neuroni presentano un andamento giornaliero del potenziale d'azione da essi generato (cfr. Lickery, Zack e Birrel, in Menaker, 1971). Risulta con ciò provato che anche le cellule isolate degli organismi pluricellulari dispongono di un orologio interno: in queste cellule va dunque ricercato il meccanismo biochimico che fa funzionare l'orologio fisiologico. Nelle colture cellulari (eseguite su espianti di fegato di ratto, soprattutto da Hardeland e collaboratori, e di ghiandole salivari di Drosophila, specialmente da Rensing e collaboratori: v. Rensing, 1973) si sono manifestate le più svariate funzioni con periodicità giornaliera: le dimensioni dei nuclei e quelle dei nucleoli variano periodicamente e i rapporti tra DNA e RNA sono diversificati in modo abbastanza regolare. È evidente a priori che il ritmo è definito in ultima istanza a livello genetico, e cioè nel DNA: ciò vale sia per la fase di determinate funzioni rispetto al sincronizzatore, sia per il loro periodo. D. Neumann (v., 1966) ha incrociato due specie affini del dittero nematocero marino Clunio, che si differenziano per l'ora in cui avviene la schiusa. Nella prima generazione incrociata (f1) si ebbe un tempo di schiusa intermedio, mentre nelle generazioni successive ricomparvero tempi di schiusa differenti, com'era da prevedersi in base alle leggi di Mendel. Pittendrigh scelse da una popolazione di Drosophila due gruppi di individui, quelli usciti per primi e quelli usciti per ultimi dalla pupa; dopo un certo numero di generazioni all'interno di ciascun gruppo, nelle due popolazioni risultanti la schiusa avveniva con periodi di durata diversa, rispettivamente alquanto più breve e alquanto più lunga di 24 ore. Tuttavia questa prova dell'origine genetica della fase e del periodo non offre alcuna indicazione sul modo di funzionare dell'orologio interno; finora le indicazioni in proposito sono state fornite solo dalle singole cellule.
Particolarmente idonea a questo scopo s'è dimostrata l'alga Acetabularia, nota nel campo della ricerca morfogenetica. Esposta alla luce continua, essa conserva per un certo tempo il proprio ritmo di fotosintesi, e quindi di produzione dell'ossigeno; si direbbe che il fenomeno non dipenda direttamente dal nucleo, perché anche dopo l'asportazione di questo il ritmo può continuare per circa 40 giorni. Se però si scambiano fra loro i nuclei di individui esposti a cicli di luce e oscurità invertiti, e quindi con periodi di massima attività fotosintetica sfasati tra loro di 12 ore, la fase nelle cellule così ottenute è quella propria del nucleo trapiantato. Evidentemente negli individui di Acetabularia privati del nucleo il ritmo viene regolato in qualche modo da un RNA extranucleare, che nella specie in questione si conserva molto a lungo. Tuttavia questo RNA, in quanto ‛temporalmente improprio', potrebbe rapidamente essere demolito sotto l'azione di un nuovo nucleo con posizione di fase spostata, che assumerebbe allora la funzione regolatrice. Sembra peraltro che i veri e propri processi di misura del tempo avvengano all'esterno del nucleo (cfr. Schweiger, in Aschoff, 1965; v. Schweiger e altri, 1964).
A favore di questa tesi stanno anche i dati sul dinoflagellato Gonyaulax pubblicati dal gruppo di Hastings (v. Aschoff, 1965). Una serie di inibitori della trascrizione e della traslazione - come ad esempio la puromicina e l'actinomicina D - provoca infatti la scomparsa della periodicità; d'altra parte, con la somministrazione di cloramfenicolo il ritmo viene a essere notevolmente evidenziato.
Riassumendo, è probabile che ogni cellula sia dotata di un proprio orologio interno. In un organismo multicellulare tutti questi orologi vengono sincronizzati fra loro in modo in gran parte ignoto, ma certamente diverso da un individuo all'altro: ciò può avvenire mediante collegamento in serie a un ‛orologio pilota' o per semplice sincronizzazione reciproca. Pertanto l'attività con periodo giornaliero rilevata in un organismo animale sarebbe sempre il risultato dell'azione di più oscillatori singoli.
Per quanto riguarda il meccanismo su cui sono fondati questi oscillatori a livello cellulare, le conoscenze attuali sono del tutto insufficienti. Si è sempre partiti dal tacito presupposto che esso fosse più o meno identico per tutti gli organismi, come sembrava indicare la forte somiglianza delle reazioni agli interventi sperimentali: soprattutto l'indipendenza dalla temperatura e la termocompensazione sembravano essere una caratteristica peculiare dell'orologio interno. Poiché quest'ipotesi è risultata errata (v. paragrafo a), si pone di nuovo il problema del carattere unitario dei processi che sono alla base dell'orologio biologico. Truman (v. AA. VV., Circadian rhythmicity, 1972) ha proposto una distinzione in due tipi che, pur non essendo rigorosamente valida nella forma datale dal suo autore, evidenzia un fenomeno essenziale: ritmi circadiali endogeni a lungo termine sono presenti solo negli animali con sistema nervoso ben sviluppato, mentre negli altri organismi il ritmo oscillatorio tende a estinguersi solo dopo un tempo relativamente breve. Evidentemente il sistema nervoso ha una funzione importante nel definire esattamente il ritmo; l'orologio andrebbe cercato in questo caso nell'azione congiunta di varie cellule. D'altra parte, la ricerca di un principio fondamentale unitario ha fatto finora trascurare certi fatti che depongono invece a sfavore di tale ipotesi. Ad es., è vero che il periodo del ritmo è fissato su base genetica e che negli animali il ritmo non si adegua oltre certi limiti alla periodicità anomala di un sincronizzatore; tuttavia il dittero nematocero Pseudosmittia arenaria si lascia guidare dal periodo del sincronizzatore entro un campo relativamente ampio, e solo in presenza di una giornata artificiale di 12 ore (6 ore di luce e 6 di oscurità) il periodo della schiusa torna bruscamente alla durata naturale di 24 ore. Questo ritorno può essere evitato se nella fase ‛notturna' l'animale, invece di esser mantenuto nell'oscurità assoluta, è esposto a una luce molto attenuata: con questo semplice fattore esterno il periodo può essere influenzato in modo duraturo e radicalmente alterato rispetto a quello naturale (v. Remmert, 1955). In effetti, in questa specie il fenomeno d'inversione è provocato dallo spostarsi della massima concentrazione di schiuse nella fase ‛notturna'; se invece anche in questa vi è una certa illuminazione, si ha uno slittamento del momento di massima concentrazione - che viene a ricadere nella fase 'diurna', anche quando la durata del giorno artificiale è di 12 ore - e il fenomeno d'inversione non avviene più.
Oltre che a una molteplicità di orologi ‛elementari', occorrerà dunque riferirsi alla molteplicità di fenomeni elementari che in essi si svolgono; una certa prospettiva in tal senso offrono i modelli di ritmi biochimici, che hanno ormai assunto un ruolo importante nella ricerca.
5. Utilizzazione dell'orologio fisiologico
Come abbiamo visto, non vi è una dipendenza assoluta degli organismi dall'ordinamento temporale del loro ambiente di vita: grazie all'orologio interno di cui sono dotati, essi possono in ogni momento predisporsi alle condizioni in cui si troveranno nel momento successivo. Durante il giorno sono in grado di far riferimento alla posizione del sole, e quindi di orientarsi con esso; possono inoltre valutare la durata della fase diurna (fotoperiodo), e quindi inserirsi nella periodicità annuale dell'ambiente in cui vivono.
a) Inserimento nella periodicità annuale
È ben noto che la fioritura di alcune specie (ad esempio del crisantemo) avviene solo in autunno, quando le giornate diventano più brevi; è possibile però anticipare la fioritura provvedendo a coprire le piante con un involucro opaco per alcune ore del giorno, in modo da abbreviare il tempo d'illuminazione. Disponiamo di analoghi risultati relativi a esperimenti su numerose specie vegetali e animali. Molti insetti entrano in diapausa in autunno per uscirne solo nella primavera successiva, in corrispondenza dell'aumento del fotoperiodo; vi sono molte specie che per svilupparsi hanno bisogno di un'alternanza regolare di giornate brevi e lunghe. L'aspetto di numerosi animali è determinato in misura notevole dal fotoperiodo, come dimostrano, ad esempio, le forme stagionali assunte da alcuni lepidotteri e cicale quali Araschnia levana ed Euscelis plebeius (v. Müller, 1959). Anche le piante hanno una crescita molto diversa in relazione alla maggiore o minore durata del periodo di luce. Nei Pesci e soprattutto negli Uccelli la maturità sessuale (e quindi la muta, con l'assunzione dell'abito nuziale), come pure il trasferimento nei quartieri d'inverno e il ritorno da essi, sono determinati in larga misura dalla diversa durata del fotoperiodo nel corso dell'anno. Anche qui i recettori dello stimolo si trovano non solo nella retina degli occhi laterali, ma anche in alcuni centri del cervello, non ancora esattamente localizzati (cfr., ad esempio, Benoit, in Withrow, 1959): le neurosecrezioni di questi centri arrivano all'ipofisi, che a sua volta influenza le altre ghiandole endocrine. Infine, anche i mutamenti di colore del mantello dei Mammiferi e le connesse variazioni ormonali sono strettamente dipendenti dal fotoperiodo (v. Hoffmann, 1973).
Questi fatti si prestano a varie interpretazioni. Il fotoperiodo può agire direttamente o essere il sincronizzatore di un ritmo annuale endogeno (v. cap. 7), e così pure la reazione a un fotoperiodo variabile può essere fondata su vari meccanismi: la misura del tempo in base all'orologio circadiale è solo uno di essi, anche se appare oggi il più plausibile, soprattutto dopo i lavori di Bünning (v., 1964).
Questo metodo di misura del tempo poggia sulla seguente ipotesi: grazie al loro orologio circadiale, gli organismi ‛si aspettano' la luce in certi momenti e l'oscurità in altri: si possono cioè distinguere una fase ‛fotofila' e una ‛scotofila'. Se così è, dev'essere possibile ottenere anche nelle giornate brevi l'effetto di una giornata lunga interrompendo la fase di oscurità con un impulso di luce proprio nell'istante corrispondente al termine naturale della giornata lunga. Gli impulsi di luce di questo tipo - le cosiddette ‛luci di disturbo' - hanno un ruolo importante nelle ricerche sulla fotoperiodicità. Usando in una giornata naturale breve una luce di disturbo opportunamente situata nel tempo, si è ottenuto quasi sempre l'effetto di una giornata lunga, anche se va riconosciuto che alcuni esempi mal si adattano allo schema proposto (esperimenti su Megoura viciae: cfr. Lees, in Menaker, 1971, e in Biological clocks, 1960). Può darsi che negli organismi si siano sviluppati vari metodi di percezione dei diversi fotoperiodi; quest'ipotesi è avvalorata dal fatto che nel regno vegetale e in quello animale si è avuto infinite volte un adattamento al ritmo delle stagioni, e che quindi la molteplice e autonoma formazione di un sistema adeguato di questo tipo costituisce un fatto accertato.
b) Orientamento con gli astri
Conoscendo l'ora e la posizione del sole è possibile determinare i punti cardinali: di questa possibilità l'uomo ha fatto uso fin dai tempi più antichi, ma la scienza moderna è arrivata al sorprendente risultato che la stessa facoltà si è sviluppata anche negli animali, grazie all'orologio circadiale di cui sono provvisti.
È realmente facile dimostrare che si tratta di un vero e proprio orientamento col sole. Se un animale di cui sia nota la preferenza per una certa direzione viene messo in una cassetta munita di fessure laterali che lascino entrare la luce del sole, la direzione preferenziale rimane immutata. Ponendo dinanzi alle fessure degli specchi, in modo da simulare una diversa provenienza dei raggi solari, la direzione preferenziale si modifica in conformità colla nuova posizione apparente del sole (esperienze di Santschi); la nuova direzione resta poi invariata anche se all'animale (che è in grado di ‛compensare' lo spostamento del sole nel corso della giornata) viene temporaneamente impedita la vista della luce. Questo fatto è particolarmente notevole in quanto la velocità di variazione dell'azimut non è affatto costante: in corrispondenza degli equinozi, all'equatore il sole sorge a est, sale con andamento apparentemente verticale e passa poi bruscamente da est a ovest. Questa differenza di velocità nella variazione dell'azimut viene compensata dall'animale in funzione della latitudine e della stagione in cui si trova. Spostando l'orologio interno (ad esempio con l'esporre per qualche tempo l'animale a un ciclo di luce e oscurità con fase alterata rispetto a quella naturale), è possibile influire sull'orientamento: una volta riportato in condizioni naturali, l'animale tiene conto della nuova posizione del sole e si orienta in funzione di essa.
Una simile capacità di orientarsi con gli astri è stata riscontrata in un gran numero di specie animali. Nelle api essa fu scoperta da von Frisch (v., 1965): oltre a orientarsi per mezzo del sole nei loro voli verso i luoghi ricchi di cibo, le api possono comunicare alle compagne d'alveare la direzione e la distanza di tali luoghi. L'orientamento col sole ha una notevole importanza anche negli animali che vivono sulle spiagge, come hanno mostrato per primi Papi e Pardi (v. Biological clocks, 1960). Alcune specie della costa adriatica italiana, immerse nel mare, tornavano nel proprio ambiente dirigendosi verso ovest, ossia verso la terraferma, mentre si spostavano in direzione opposta, verso il mare, quando venivano portate nell'entroterra. Trasferiti sulla costa tirrenica, gli animali conservarono l'orientamento abituale, che qui però risultava controproducente: l'animale orientato verso il mare tendeva ad allontanarsi verso il largo e quello orientato verso l'entroterra tendeva ad addentrarvisi sempre più. Anche in questo caso gli esperimenti con gli specchi hanno provato che alla base del fenomeno vi è un orientamento col sole; lo stesso risultato hanno dato esperimenti su altre specie viventi sulle spiagge, comprendenti crostacei (Orchestia, Talitrus, Tylos), ragni (Arctosa, Lycosa) e insetti (ad esempio Omophron). Analogamente alle api, tutte queste specie possono orientarsi col sole anche senza vederlo direttamente: la luce del cielo è infatti polarizzata linearmente, secondo una direzione che varia con la posizione del sole in modo percepibile da insetti, ragni e altri animali, come i Cefalopodi e i Lacertidi. L'orientamento col sole assume particolare importanza nelle migrazioni su scala mondiale di molti animali (Uccelli, tartarughe marine) e nella straordinaria capacità di tornare alla base tipica dei colombi viaggiatori: in tutte queste specie è stata infatti accertata la capacità di orientarsi col sole (v. orientamento degli animali). Nel caso delle migrazioni, sotto l'influsso di un fotoperiodo di durata crescente o decrescente prevale negli Uccelli la tendenza a volare rispettivamente verso nord o verso sud. Tuttavia l'orientamento col sole non è sufficiente, giacché non permette la determinazione del punto e quindi la navigazione, ossia la definizione delle coordinate di un punto qualsiasi rispetto a quello di partenza. Per di più, alcuni colombi ai quali si era impedito d'individuare la posizione del sole mediante l'applicazione di schermi opachi sugli occhi riuscirono ugualmente a ritrovare la direzione di provenienza, mentre risulta che la capacità di ritorno alla base dei colombi viaggiatori è compromessa dalla resezione del nervo olfattivo (v. Papi e altri, 1971 e 1972). Da esperienze condotte su api e su uccelli migratori, si può ritenere ormai accertato che anche il campo magnetico terrestre abbia una sua funzione ai fini dell'orientamento: trova cosi conferma una vecchia ipotesi di Darwin, che a suo tempo sollecitava per lettera l'entomologo Fabre a compiere esperimenti in tal senso. (Per una sintesi delle ricerche sull'orientamento v. Schmidt-Koenig, 1972; v. migrazioni degli animali).
c) Orientamento in funzione del tempo nell'ambiente di vita
Nel corso di esperimenti è risultato che nelle varie ore del giorno un uccello, una lucertola o un insetto vanno in cerca di luoghi con luminosità molto differenti. Un coleottero di spiaggia, la cicindela, cambia nel corso delle 24 ore la sua temperatura preferenziale: mentre nelle ore diurne frequenta luoghi in cui la temperatura supera i 30 °C, di notte preferisce ambienti con temperature molto più basse. Questi cambiamenti di preferenze per quanto riguarda l'illuminazione e la temperatura fanno sì che la cicindela, molto tempo prima che sopraggiunga la notte, vada in cerca di un luogo riparato dalla luce e dal caldo, nel quale si rifugia e da cui tende ad allontanarsi al mattino successivo prima che la temperatura ambiente sia risalita.
Negli insetti d'acqua dolce la schiusa delle pupe avviene costantemente verso sera. La pupa è esposta infatti a gravi pericoli, giacché deve risalire una notevole profondità d'acqua, in cui rischia d'imbattersi in molti nemici: mentre di giorno potrebbe essere facilmente vista e catturata dai pesci, al crepuscolo può venire alla superficie con una certa sicurezza e l'insetto perfetto può prendere il volo nella penombra imminente (v. Fischer e Rosin, 1968).
Le varie specie sono dunque inserite nell'andamento giornaliero dei fattori ambientali, da cui dipende anche la successione cronologica di certe relazioni tipiche fra predatori e vittime; soprattutto in ambiente acquatico queste relazioni possono risultare importanti per l'intero ecosistema.
Da lungo tempo sono note le intense migrazioni verticali dello zooplancton, che si svolgono nell'acqua con periodicità giornaliera: di notte lo zooplancton sale verso la superficie, mentre di giorno si sposta verso gli strati profondi. I pesci che se ne nutrono compiono movimenti analoghi, e pertanto è più facile trovarli in superficie di notte anziché di giorno. Le alghe planctoniche che producono le sostanze organiche in mare non partecipano a questa migrazione verticale, ma restano sempre in prossimità della superficie; lo zooplancton può quindi cibarsene solo di notte, ossia quando le alghe non sono in grado di compiere la fotosintesi e si limitano a degradare, con la respirazione, la sostanza organica formata durante il giorno. Da esperienze e da processi simulati è risultato che in questo modo si consegue una produttività particolarmente elevata: se infatti lo zooplancton si nutrisse di alghe con continuità, o solo nelle ore diurne, la produzione di sostanze organiche sarebbe nettamente minore (cfr. McAllister, in Remmert, 1969).
Grazie a una programmazione cronologica molto precisa, lo stadio di maturità sessuale di alcune specie vegetali e animali può avere una durata estremamente breve. Un efemerottero che vive nella regione del Lago Vittoria, Povilla adusta, ha una schiusa strettamente connessa col periodo lunare e con l'ora del giorno. Nello stadio di maturità sessuale, gli insetti perfetti vivono solo da 20 a 40 minuti; la schiusa dei maschi avviene poco prima di quella delle femmine. Questo fenomeno si presenta nella forma più accentuata nel dittero nematocero marino Clunio, la cui femmina non può uscire dalla pupa senza l'aiuto del maschio: la vita dell'insetto perfetto ha una durata di circa 20 minuti e questo tempo può addirittura dimezzarsi.
In questa molteplice utilizzazione degli orologi interni, è piuttosto raro che una funzione non sia accoppiata a un qualche ritmo circadiale. Più del 90% degli Insetti si trasformano in insetti perfetti in ore del giorno rigorosamente prefissate (v. Remmert, 1962), e anche nelle lunghe giornate delle zone polari, dove c'è ancora vita, il ritmo degli animali continua a essere sincronizzato con la rotazione terrestre (v. Remmert, Über den Tagesrhythmus..., 1965; v. Haarhaus, 1969; alcune eccezioni sono riferite in Müller, 1970). Forse solo nelle specie propriamente cavernicole e in quelle abissali si può ritenere che manchi qualsiasi ritmo, sebbene siano state osservate migrazioni giornaliere verticali di pesci anche da profondità di oltre 1.000 metri.
6. Danni da sfasamento fra sincronizzatori e orologio circadiale
Che cosa avviene quando un organismo viene mantenuto per lungo tempo privo di sincronizzatori, o quando questi si discostano permanentemente o molto spesso dal ritmo di 24 ore? Il problema ha assunto particolare importanza nella moderna società industrializzata: un esempio di sfasamento del sincronizzatore è dato dai notevoli e rapidi cambiamenti di longitudine, divenuti abituali nell'odierno traffico aereo, mentre un'altra occasione di continuo cambiamento del ritmo interno dell'uomo è data dai turni di lavoro con rotazione dell'orario (6-14; 14-22; 22-6). Per rispondere a questa domanda, sono state condotte numerose esperienze su piante e animali. Le piante verdi tenute costantemente nell'oscurità non si sviluppano, mentre quelle assoggettate a una luce continua si sviluppano ma vanno in necrosi e non sono capaci (fatta eccezione per le specie polari) di riprodursi. Negli animali mantenuti in condizioni costanti spesso il gradiente di crescita diminuisce e insorgono desincronizzazioni interne (v. cap. 4, paragrafo b), che però non sono state ancora sufficientemente analizzate: esse sono state invece studiate in modo abbastanza approfondito nell'uomo, sebbene manchino fino a questo momento dati precisi sulla loro importanza. E certo però che queste desincronizzazioni hanno conseguenze estremamente dannose sul ricambio degli organismi, anche se un certo numero di animali (ad esempio Tupaia glis) sembra in grado di sopportare una permanenza illimitata in condizioni costanti (cfr. Hoffmann, in Menaker, 1971).
L'importanza dei ritmi anomali è stata finora scarsamente studiata. Aschoff e altri (v., 1971) hanno trovato in Drosophila una sensibile diminuzione della durata probabile di sopravvivenza. Poiché in queste condizioni l'orologio interno tende a funzionare a corsa libera e possono insorgere desincronizzazioni interne, è probabile che gli effetti non siano molto diversi da quelli che si hanno in condizioni costanti. In ogni caso, è urgente che su questi temi vengano avviate nuove ricerche.
7. Altri orologi biologici
Finora abbiamo fatto riferimento solo all'orologio circadiale, che è quello più studiato; ma accanto all'alternanza di giorno e notte vi è tutta una serie di altri ritmi naturali che influiscono sui processi biologici e che in ultima analisi sono correlati anch'essi con la rotazione terrestre. Essi sono: a) il ritmo delle maree (periodo 12,4 ore); b) il doppio ritmo di marea (periodo 24,8 ore); c) il ritmo lunare (periodo 29,5 giorni); d) il ritmo semilunare (periodo 14,7 giorni); e) il ritmo annuale (periodo 365 giorni).
Fra questi ritmi è stato ampiamente studiato solo l'ultimo, che a quanto pare ha sempre come sincronizzatore il fotoperiodo. Tuttavia si è avuto modo più volte di notare che non sempre è possibile un'induzione fotoperiodica: alla maturazione delle gonadi e alla cova, provocate dall'aumento primaverile del fotoperiodo, subentra una fase di refrattarietà che non è possibile interrompere mediante un nuovo allungamento del fotoperiodo; una risposta può aversi solo in seguito a una protrazione molto più spinta. E noto il caso degli uccelli che migrano attraversando l'equatore, a sud del quale il fotoperiodo aumenta: al loro ritorno verso le regioni di cova, finché non è stato riattraversato l'equatore, le giornate tendono a diminuire, ma le gonadi cominciano ugualmente a svilupparsi e l'uccello assume il suo piumaggio nuziale.
Due gruppi di procellarie della specie Puffinus - che al termine della cova usa migrare dalla Tasmania al Mare di Bering - furono trattenuti in Australia e sottoposti l'uno a un fotoperiodo costante di 12 ore e l'altro a un fotoperiodo uguale a quello che gli uccelli avrebbero incontrato durante la migrazione, ma con frequenza doppia di quella naturale, così da esaurire il ciclo dell'anno in soli sei mesi. Entrambi i gruppi ridiventarono fecondi solo al ritorno della stagione naturale della cova. Esempi analoghi sono stati studiati in gran numero, soprattutto per quanto riguarda la capinera (Sylvia), il liù (Phylloseopus) e lo storno (Sturnus). Anche la lumaca (Limax) presenta lo stesso fenomeno: in individui sottoposti a condizioni costanti in ambiente climatizzato la deposizione delle uova è avvenuta a intervalli di circa un anno (cfr. Segal, in Biological clocks, 1960). Anche le chiocciole (Helix) non si ridestano senza alterazioni dal letargo invernale: negli individui mantenuti in condizioni costanti, l'ambiente ionico nell'emolinfa varia prima del risveglio fino a raggiungere i valori estivi (v. Meincke, 1972).
Molto eloquenti sono i risultati di ricerche condotte sulla germinazione dei semi di varie fanerogame: la capacità germinativa presenta un ritmo circannuale non influenzabile dalla temperatura. È evidente quindi che esiste un orologio interno annuale che continua a funzionare indisturbato anche nei semi delle piante (v. Remmert, Biologische..., 1965); non disponiamo tuttavia di studi sul meccanismo di quest'orologio.
Sui ritmi di marea e su quelli lunari, in condizioni naturali, vi sono invece numerosi dati: in genere gli animali e le piante che vivono nelle acque interessate dalle maree presentano, oltre a quelli circadiali e circannuali, anche ritmi di questo tipo. Le ricerche sperimentali sono limitate quasi esclusivamente alla pulce di mare Clunio (cfr. Neumann, in Remmert, 1969; v. Pflüger e Neumann, 1971), il cui ritmo di marea è dettato da un orologio del tipo a clessidra, anziché del tipo a oscillatore proprio dei ritmi circadiali o circannuali. In tutti gli altri ritmi di marea noti compare come sincronizzatore un'alternanza di luce e oscurità; in questo caso è molto probabile che non si tratti di un ritmo prossimo a quello di marea, ma semplicemente di un ritmo circadiale capace di sincronizzare l'animale o la pianta col ritmo della marea. Una simile possibilità esiste: è sufficiente che l'orologio venga ‛regolato' più spesso di quanto non avvenga nel caso del ritmo giornaliero.
Sono stati individuati ritmi endogeni semilunari e lunari in un certo numero di piante e di animali, tra cui in particolare gli anellidi Eunice viridis, Platynereis damerilii e il dittero Clunio, già citato. Si tratta in effetti di oscillazioni endogene corrispondenti a un ritmo circadiale; come sincronizzatori agiscono la luce lunare e la turbolenza dell'acqua (cfr. Neumann, in Remmert, 1969).
8. Conclusione
Gli organismi si adattano per mezzo di meccanismi endogeni al ritmo del giorno e dell'anno, e talvolta anche al ritmo della luna o delle maree. Ciò significa che gli organismi oggetto delle nostre ricerche in un dato momento differiscono dagli stessi organismi presi in esame l'indomani o un'ora dopo: trovano così risposta numerosi interrogativi nati dalla non riproducibilità di certi risultati sperimentali. Questa realtà pone di fronte a difficoltà quasi insormontabili - ma dalle quali non è possibile prescindere - il biologo che si accinga a trarre conclusioni o a enunciare previsioni in base agli esperimenti compiuti.
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