RITMO musicale
Il ritmo musicale è il moto ordinato dei suoni, cioè quello che si svolge sulla base di determinate unità di tempo aventi i seguenti requisiti: uguaglianza di durata (isocronismo); suscettibilità a dividersi esattamente in elementi di minore valore o a sommarsi in altri di maggiore; possibilità di differenziarsi fra di loro per un'accentuazione diversa (accento debole, accento forte).
Le unità di tempo sulle quali è basato il ritmo sono quelle con cui l'uomo, obbedendo a una sua naturale esigenza spirituale di simmetria, divide il tempo in tante parti esattamente eguali, e sulle quali egli costruisce il suo pensiero melodico-armonico.
L'unità di tempo, che nell'esempio precedente è rappresentata da una semiminima, può essere espressa graficamente in molti altri modi a seconda che la caratteristica di unità di tempo venga attribuita a uno piuttosto che a un altro dei valori musicali. Il valore però più frequentemente impiegato è la semiminima.
(questi valori, pur essendo equivalenti come unità di tempo, sono però tutti graficamente diversi).
Le unità di tempo (dette comunemente "tempi") hanno una velocità costante nel loro succedersi (astrazione fatta dai "rallentando" e dagli "accelerando" di carattere agogico), ma che è inizialmente molto varia, oscillando da un minimo di circa 40 a un massimo di circa 150 al minuto secondo e corrispondendo così all'ampia scala delle più diverse espressioni musicali, dalle più calme alle più agitate.
Le sole unità di tempo non sono tuttavia sufficienti per l'estrinsecazione dell'idea musicale e porterebbero inoltre a un'inevitabile monotonia ritmica. Per ottemperare a questa necessità di variare il ritmo, le unità di tempo vengono spesso suddivise in valori temporali minori oppure sommate fra loro per costituire unità di maggior valore. Esse vengono spesso sostituite da pause le quali conservano lo stesso valore ritmico dei suoni assenti.
Quando la velocità delle unità di tempo supera i 150 circa al minuto secondo, esse perdono il loro carattere di movimento-base del ritmo e vengono invece interpretate dall'orecchio quali valori divisionali secondo lo schema dell'esempio precedente.
È stato dunque detto che le unità di tempo debbono essere isocrone e suscettibili di suddivisione. Occorre ora che queste unità si differenzano fra loro per una diversa accentuazione, un diverso peso ritmico, senza di che esse non sarebbero che un'uniforme e incolore successione di suoni. Il movimento pendolare di un orologio o di un metronomo può dare un'idea esatta della continuità di una serie di suoni isocroni e senza alcuna accentuazione, i quali, considerati ognuno come a sé stante e di uguale importanza, sarebbero insufficienti a costituire un ritmo nel senso musicale della parola. Ma non appena l'ascoltatore divide mentalmente i movimenti del pendolo in gruppi di due o di tre, immediatamente egli realizza nel suo spirito delle formazioni ritmiche che dànno vita e colore a quella successione di suoni prima uniformi. Dividere in gruppi di due o di tre significa dare un accento ad alcuni movimenti a preferenza di altri, creare una gerarchia in virtù della quale alcuni debbono essere considerati movimenti forti (più accentuati) e altri movimenti deboli (meno accentuati). I termini debole e forte non hanno qui nulla a che vedere con la minore o maggiore intensità del suono che s'identifica con quel determinato movimento. Qui si tratta invece di una minore o maggiore importanza ritmica, la quale casualmente, ma non necessariamente, può coincidere con l'intensità sonora.
Con l'alternarsi dei movimenti (tempi) deboli e forti si costruiscono le diverse figure ritmiche. La più piccola di queste, quella che si trova alla base di qualunque composizione musicale, e che viene denominata "inciso", è composta di due tempi, il primo debole e il secondo forte, il primo corrispondente a un gesto di slancio (arsi), il secondo corrispondente a un gesto di riposo (tesi).
Come risulta dall'esempio, una stanghetta è posta immediatamente prima del tempo forte (tesi), secondo una consuetudine grafica che data da circa tre secoli. La stanghetta altro non indica che la posizione dell'accento forte dell'inciso, il punto di arrivo della figura ritmica. L'inciso è dunque a cavallo della stanghetta nella disposizione arsi-tesi.
La disposizione contraria (tesi-arsi) non è ammissibile, come formazione di inciso; assolutamente errato è delimitare l'inciso entro le due stanghette di misura.
La tesi non può precedere l'arsi perché non vi può essere un riposo se prima non vi è stato uno slancio. Quando in seguito saranno esaminati ritmi iniziantisi con una tesi, essi saranno sempre considerati come il risultato dell'elisione dell'arsi (che è sottintesa) non potendosi concepire una figura ritmica costituita da un solo tempo. Si vedrà che essi saranno considerati piuttosto come una arsi di ordine superiore, pur restando tesi nel senso del ritmo elementare. Non è possibile, del resto, non solo invertire l'ordine naturale dei due elementi dell'inciso, ma neppure dissociarli. Esaminando attentamente il rapporto che intercede fra arsi e tesi, si nota agevolmente che mentre è facile collocare un respiro, finanche una pausa, dopo la tesi senza turbare il nostro senso ritmico musicale, non riesce invece possibile sciogliere lo stretto vincolo che lega l'arsi alla tesi senza avvertire un senso di sospensione e di insoddisfazione ritmica.
Ciò dipende dalla logica di movimento insita nella figura ritmica dell'inciso, nella quale il gesto di slancio non può trovare la sua soluzione che nel gesto successivo di riposo.
Alla possibilità di collocare un respiro o una pausa dopo la tesi si accompagna la possibilità di soffermarsi più o meno lungamente sulla tesi stessa, soddisfacendo la tendenza naturale a prolungare il suono che corrisponde al gesto di riposo. Quando questo prolungamento viene sostenuto fino a raggiungere il doppio del valore della tesi, si ottiene una diversa formazione ritmica dell'inciso, il quale da "binario" diventa "ternario".
La differenza tra inciso binario e ternario esiste solo in quanto una diversa entità di tempo occorre alla loro formazione, ma sostanzialmente bisogna ritenerli una variante l'uno dell'altro, dal momento che l'origine di entrambi è la stessa, e cioè la figura ritmica di un gesto di slancio che cade su un gesto di riposo. L'inciso ternario (come mostra l'esempio precedente) può presentarsi in tre forme, una delle quali (C) ha un carattere piuttosto agitato in quanto che essa, con la sua doppia arsi, contraddice il principio ritmico che l'ha generata (prolungamento del tempo forte).
La suddivisione dei movimenti (tempi) componenti l'inciso in valori minori non altera affatto il carattere e la disposizione degli accenti proprî all'inciso stesso. Alcuni esempî di figurazioni ritmiche, scelte tra le moltissime che sono costruite sulla semplice base dell'inciso, mostreranno in quale e quanta varietà di atteggiamenti possa estrinsecarsi l'idea musicale.
Negli esempî che sono stati esposti più sopra si noterà che il disegno melodico supera talvolta l'estensione normale dell'inciso (due semiminime, se binario; tre, se ternario), mentre altre volte non la raggiunge neppure.
Ciò dipende dalla possibilità che ha il disegno melodico di distribuirsi in maniera diversa sulle unità di tempo, utilizzandone una quantità minore o maggiore a seconda dei casi. Questo modo di procedere non produce perturbazioni di sorta nell'ordine ritmico degl'incisi, in quanto che un disegno melodico deficiente sarà compensato sempre da uno eccedente o viceversa.
Nel succedersi degl'incisi avviene spesso che uno di questi si colleghi, si saldi ritmicamente a quello che segue per ragioni melodiche o armoniche: in questi casi non esiste più una delimitazione netta fra i due incisi, perché la fine dell'uno coincide con l'inizio dell'altro.
L'inciso, sia nella forma binaria sia nella ternaria, non è che la figurazione più elementare del ritmo, la prima cellula dell'organismo ritmico-musicale. Essa, appunto per questa ragione, è stata contrassegnata negli esempî che precedono (seguendo la grafica di H. Riemann) con un (1) situato sotto la stanghetta indicante la posizione del tempo forte dell'inciso (tesi). Ma se si vuole giungere alla costruzione di un pensiero musicale ben definito e completo in tutte le sue parti, occorre che più incisi si susseguano e siano disposti in un determinato ordine logico.
L'ordine logico è dato dalla diversa accentuazione che assumono i varî incisi l'uno rispetto all'altro e che li pone gerarchicamente uno al disopra dell'altro come importanza ritmica. Questa concezione della gerarchia degli accenti non è affatto arbitraria, ma deriva direttamente dall'osservazione dei fenomeni ritmici. Se infatti si fa seguire al primo inciso un secondo inciso, non si può fare a meno di notare che il secondo ha il carattere di una risposta al primo e che possiede appunto per questo un peso ritmico maggiore del primo.
Tra i due accenti forti (tesi) di cui sono forniti i due incisi viene quindi a formarsi lo stesso rapporto che intercorre tra il tempo debole (arsi) e il tempo forte (tesi) di ciascun inciso, e cioè un tempo forte avente carattere di arsi rispetto all'altro tempo forte che rappresenta invece una tesi (arsi e tesi, s'intende, che si riferiscono a un ordine superiore). I due incisi fra loro legati da questo vincolo ritmico costituiscono la figura ritmica che potrà essere denominata "gruppo".
Il sorgere di questa più importante figura ritmica dà luogo alla formazione della "misura" (detta anche "battuta"), cioè quella parte di materiale ritmico-sonoro che si trova circoscritto dalle due stanghette precedenti il tempo forte dei due incisi (dette appunto "stanghette di misura"). Dopo quanto è stato detto è ormai chiaro che la misura non può assolutamente essere considerata come figura ritmica. Essa non rappresenta né l'inciso né il gruppo, ma soltanto metà dei due incisi (la tesi del primo e l'arsi del secondo). L'errore in cui sono caduti alcuni trattatisti nell'esaminare la delicata questione della misura in rapporto con l'inciso dipende dal non avere veduto chiaramente che la figura ritmica dell'inciso si trova a cavallo della stanghetta di misura e non entro i limiti della misura stessa.
Quanto è stato detto per il gruppo di incisi binari vale anche per il gruppo di incisi ternarî, come pure per una mescolanza delle due varietà di incisi (binario-ternario, ternario-binario) o ad altra combinazione di ritmi, sempre più libera. A questo proposito è bene far notare che, se si può logicamente distinguere il ritmo libero (quello dei canti liturgici gregoriani o anche di molte melodie strumentali) dal ritmo misurato (quello di tutte le forme di danza o da queste derivate), questa distinzione non ha valore per quanto riguarda la sottomissione ai principî sopra esposti circa il comportamento degli accenti ritmici degl'incisi e dei gruppi. Qualunque sia la composizione degl'incisi, essi avranno sempre a comune il gesto di slancio e quello di riposo; comunque si susseguano le varietà degl'incisi, essi costituiranno sempre un gruppo in cui il primo inciso si collegherà col secondo in un'unità di ordine superiore.
Proseguendo nella contrapposizione di figure ritmiche, si può far seguire al primo gruppo un altro gruppo, costituendo così quello che viene chiamato ("semiperiodo", e applicare a questa più grande figura ritmica gli stessi criterî interpretativi che sono stati adottati sinora. Si avrà quindi un secondo gruppo che risponde al primo e che sarà d'importanza ritmica maggiore di esso: il primo gruppo avrà tendenza a collegarsi col secondo in un'unità ritmica superiore: l'accento forte del primo gruppo (2) diventerà l'arsi, in senso largo, dell'accento forte del secondo gruppo (4), il quale accento rappresenterà la tesi di tutto il semiperiodo.
Contrapponendo infine a un semiperiodo un altro semiperiodo, si avrà il periodo completo, base regolare di ogni formazione melodica (anche se contraddetta da eccezioni e variazioni, come si vedrà in seguito), costituito da otto incisi raccolti in quattro gruppi. Il primo semiperiodo viene chiamato "protasi", il secondo "apodosi".
È stata già chiarita la differenza che passa tra misura (battuta) e inciso e la sua impossibile confusione. In base allo stesso principio si deve ora definire il periodo musicale regolare come quello composto di otto incisi e non di otto misure. I trattatisti che identificano misura con inciso, quando si trovano ad analizzare un periodo normale completo, sono costretti a escludere la prima misura (incompleta) contenente la prima arsi (anacrusi) per non dover essere tenuti a conteggiare nove misure invece di otto, quasi che l'anacrusi fosse un prefisso facoltativo e si potesse separare da tutto il resto del periodo. È necessario invece considerare gl'incisi indipendentemente dalle misure se si vuole essere fedeli alla realtà della costruzione ritmica e sottrarsi al fallace principio di controllare la regolare formazione del periodo musicale con il conteggio puramente formale delle misure. Il periodo è dunque composto di otto incisi raccolti in quattro gruppi. Gli accenti forti di questi gruppi rappresentano i punti di arrivo ritmici di maggiore importanza, e fra questi sono di più rilievo il secondo (4) e il quarto (8), quest'ultimo di peso ritmico superiore a tutti gli altri perché conclusivo dell'intero periodo. Allo stesso modo che la tesi del primo inciso diventa arsi (in senso lato) rispetto alla tesi del secondo inciso, così pure la tesi del primo gruppo (2) diviene arsi rispetto a quella del secondo (4), e la tesi del primo semiperiodo (4) arsi rispetto alla tesi finale del periodo (8). Si può facilmente riscontrare una reale rispondenza di ciò nella pratica musicale, quando si esamini il contenuto armonico di un determinato periodo musicale. Si noterà infatti che i movimenti cadenzali (cadenze perfette e imperfette, semicadenze e modulazioni) si effettuano partendo dai punti ritmici più deboli del periodo per risolvere su quelli più forti. L'istinto musicale che fa di solito cadere una semicadenza alla fine del primo semiperiodo (4) e una cadenza perfetta alla fine del secondo (8), rendendo manifesto il rapporto di arsi e di tesi fra i due semiperiodi, comprova lo stesso principio ritmico. Quando avviene il contrario (cadenza perfetta alla fine del primo semiperiodo e semicadenza alla fine del secondo) è perché il pensiero musicale è stato concepito in modo da sorpassare le dimensioni del normale periodo di otto incisi, così che esso diverrà completo e conclusivo soltanto con l'ulteriore contrapposizione di un nuovo periodo.
Se il periodo regolare di otto incisi va considerato come la base della costruzione di un pensiero musicale compiuto, molte sono però le alterazioni che esso può subire nella pratica da parte dei compositori, i quali non possono certo essere costretti a creare sulla falsariga di un unico e immutabile schema ritmico, ma sono liberi invece di variarlo in infinite maniere secondo le esigenze della loro fantasia.
La deviazione più semplice, e anche la più comune, dalla stretta simmetria del periodo regolare è quella consistente nella elisione dell'arsi del primo inciso (anacrusi). Il periodo s'inizierà con il primo tempo forte del primo inciso.
Avviene spesso che la tesi del primo inciso (con cui s'inizia il periodo) non si trovi, come appare invece negli esempî precedenti, in una situazione d'indipendenza melodica rispetto a ciò che segue, ma si colleghi piuttosto in una unità ritmica superiore con l'arsi dell'inciso successivo, diventando arsi, in senso lato, dell'intero primo gruppo.
(il sol, tesi del primo inciso, non può essere considerato a sé stante e nettamente separato dall'inciso che segue, perché esso diventa, nel secondo movimento della misura, ritardo del fa diesis).
Altra forma di elisione è quella relativa all'intero primo inciso, elisione che viene spesso estesa al primo tempo (arsi) del secondo inciso.
In entrambi i casi il primo gruppo (2) è incompleto, mentre il secondo (4) si presenta completo. Ne consegue che il primo semiperiodo sarà formato da tre incisi invece che di quattro. Ciò non esclude che il secondo semiperiodo prosegua perfettamente regolare. Se invece questo si presenterà con la stessa formazione del primo, si avrà l'elisione simmetrica del primo e quinto inciso.
Se si vuole, pur operando le elisioni, rendere regolare un periodo siffatto, si dovrà compensare il vuoto prodotto dall'elisione ponendo delle pause o prolungando la tesi del secondo e quarto gruppo di quanto l'elisione ha sottratto al primo e al terzo.
Il prolungamento della tesi può anche consistere nella trasformazione della terminazione tronca (maschile) in una terminazione piana (femminile) estesa in modo da coprire il vuoto lasciato dalla elisione.
È anche possibile sostituire al prolungamento puro e semplice della tesi un inciso supplementare il quale sia in stretta dipendenza tematica o ritmica con quanto precede e che avrà appunto per questo il carattere di "inciso aggiunto".
Altre elisioni, meno comuni, sono quelle che si riferiscono a tutto il primo gruppo o anche a tutto il primo semiperiodo. Una elisione radicale è quella, infine, che colpisce l'intero periodo, a eccezione dell'ultimo inciso o dell'ultima tesi. Questi suoni terminali del periodo, con i quali incomincia una composizione musicale, e che di solito hanno un carattere fortemente affermativo e servono quasi di richiamo all'attenzione dell'ascoltatore per avvertirlo dell'imminente inizio del pensiero musicale, non possono essere considerati che a sé stanti, come conclusione di un periodo precedente interamente soppresso.
Un'altra importante forma di alterazione del regolare periodo è la contrazione di questo. Ciò avviene quando la terminazione di una qualsiasi parte del periodo (inciso, gruppo, semiperiodo) o anche quella conclusiva del periodo stesso coincide con l'inizio di un nuovo periodo o di una qualsiasi parte di esso.
L'inciso aggiunto", che prima è stato esaminato quale compenso di una elisione precedentemente avvenuta, apre la via a un'altra categoria di deviazioni dalla formazione normale del periodo, e cioè quella delle amplificazioni. La possibilità, infatti, di aggiungere un inciso a un determinato periodo può essere sfruttata anche se prima non è avvenuta alcuna elisione, e non soltanto limitandosi all'aggiunta di un semplice inciso, ma estendendosi alla ripetizione dell'intero gruppo. In questo modo il periodo viene a essere ingrandito nelle sue proporzioni senza che sia turbato l'ordine simmetrico fondamentale dei due semiperiodi. L'inciso aggiunto può amplificare anche il semplice inciso, ma a preferenza esso si troverà al seguito del secondo gruppo (4), e più ancora dopo l'ultimo gruppo (8) a conclusione dell'intero periodo.
Un'altra maniera di amplificare il periodo consiste nel costruire la figura ritmica del gruppo con tre incisi invece di due, amplificazione che può essere adottata occasionalmente per il solo gruppo o anche adottata per l'intero periodo, il quale verrà ad essere, così, composto di dodici incisi invece che di quattro.
Sono possibili infine altre due forme di amplificazione del periodo regolare e cioè: la ripetizione sempre più intensa del primo inciso (1), allo scopo di preannunciare e far desiderare l'inizio del periodo, e il prolungamento del penultimo inciso (7), allo scopo di far desiderare la conclusione del periodo. In questi casi trovano molto sovente il loro impiego le forme, ben note a tutti i musicisti, delle "progressioni" e del "pedale", entrambe atte, per la loro natura, ad allargare i limiti del normale svolgimento del periodo.
Nella musica polifonica le linee melodiche che si trovano sovrapposte possono trovarsi in conflitto fra loro per ciò che riguarda il ritmo, possedendo ciascuna di esse una condotta ritmica individuale e indipendente. In questi casi o prevarrà il ritmo della melodia più importante e le altre si coordineranno in polifonia accompagnante, oppure procederanno saldandosi fra loro in gruppi o semiperiodi incatenati (fine di una linea melodica parziale o totale che s'identifica con l'inizio di un'altra). Il ritmo generale della composizione subirà allora, a seconda dei casi, delle contrazioni o delle amplificazioni notevoli.
Un'ultima osservazione: nella pratica della scrittura musicale avviene molto spesso che due o più misure (battute) vengano fuse in una, oppure il contrario, e cioè che ogni misura corrisponda a un solo movimento (unità di tempo).
Queste sono tutte varietà grafiche che non hanno alcuna influenza sulla formazione del periodo e la distribuzione degli accenti principali di esso. Quello che importa ai fini dell'analisi della costruzione del periodo è il numero e la disposizione delle unità di tempo, qualunque sia la grafica che le esprime. È bene poi rendersi conto che talvolta i compositori, invece di collocare la stanghetta di misura, come sarebbe più logico, avanti la tesi dei gruppi (2-4-6-8), la collocano avanti la tesi degl'incisi deboli (1-3-5-7), facendo in questo modo cadere le terminazioni melodiche a metà della misura invece che al principio.
A complemento dell'esposizione teorica gioverà dare la definizione dei seguenti termini più in uso:
Ritmo acefalo o procatalettico, senza testa, in quanto che manca il primo tempo in battere della misura. Errata definizione perché la pausa posta in principio della misura non ha alcun rapporto con l'inciso che segue, il quale si trova a cavallo della stanghetta di misura, e non fra le due stanghette.
Ritmo anacrusico o protetico, fornito di arsi, quindi ritmo regolare.
Ritmo tetico, iniziantesi con la tesi. Poiché questo ritmo è la conseguenza della elisione dell'arsi iniziale dell'inciso, si potrebbe più giustamente chiamare "acefalo".
Ritmo in bilico, a cavallo della stanghetta di misura, quindi ritmo regolare.
Ritmo tronco o maschile, quando la terminazione dell'inciso è costituita da un solo suono.
Ritmo piano o femminile, quando la terminazione dell'inciso è costituita da due o più suoni che siano fra loro in stretto rapporto melodico e armonico.
Bibl.: M. Lussy, Le Rythme musical, Parigi 1883; H. Riemann, Musikalische Dinamik und Agogik, Amburgo 1884; E. Prout, Musical Form, Londra 1893; A. Galli, Estetica della musica, Torino 1900; H. Riemann, Musikalische ısthetik, Berlino 1900; id., Grosse Kompositionslehre, ivi 1902; id., System der musikalischen Rhytmik und Metrik, Lipsia 1903; M. Lussy, L'anacrouse dans la musique moderne, Parigi 1903; id., Traité de l'expression musicale, ivi 1904; H. Riemann, Kompositionslehre, Lipsia 1905; G. Bas, Trattato di forma musicale, Milano 1920; V. d'Indy, Cours de composition musicale, Parigi 1912 segg.