ritmo
Con il termine ritmo si indica in linguistica la successione regolare nel tempo di accenti (➔ accento) o prominenze. Il ritmo può anche essere definito come la successione ordinata e alternata di sillabe accentate (o forti) e sillabe atone (o deboli) (➔ sillaba; Allen 1973; Bertinetto 1981; cfr. anche §§ 3 e 4).
Quanto alle lingue naturali, la nozione di ritmo si applica nelle varie culture sia alla lingua parlata che a quella poetica (➔ lingua poetica; ➔ metrica e lingua). Nella Grecia classica, almeno fino al periodo attico, la parola rhythmós, indicando la forma assunta da un oggetto in movimento, si applicava così a un liquido come a un peplo. Partendo da questa accezione, ma estendendo la nozione al moto del corpo umano, Platone, nel II libro delle Leggi, definisce ritmo «l’ordine nel movimento», cogliendone così la struttura sequenziale e gerarchica da un lato e il carattere dinamico dall’altro.
Nella cultura greca la nozione di ritmo era riferita in primo luogo alla musica e alla danza, e solo per estensione alla parola cantata e quindi alla lingua parlata (Benveniste 1971). Nella poesia greca, che era sempre accompagnata dalla musica, la nozione di ritmo si legava a quella complementare di metro poetico, inteso come misura prosodica definita dalla presenza di sillabe lunghe e brevi, in un ordine determinato: ad es., si aveva un ritmo dattilico oppure giambico, secondo la presenza rispettivamente di una sequenza di dattili o di giambi. La stessa affinità tra ritmo e metro, intesa come legame indissolubile tra forma in movimento e ordine misurabile, continua nella poesia latina (che eredita dal greco anche il lessema rhythmus) e si perpetua nella cultura romanza in generale, e in quella italiana in particolare (Beltrami 1991; cfr. anche § 5).
Come per molti altri fenomeni prosodici, il ritmo linguistico può essere studiato da due punti di vista, quello fonetico e quello fonologico (➔ fonetica; ➔ fonologia; ➔ pronuncia), senza escludere che essi possano svolgersi in parallelo. In fonologia, il ritmo è stato studiato prevalentemente nell’ambito del modello della fonologia metrica (cfr. Hayes 1995; Marotta 1999; Marotta 2003), mentre in fonetica sperimentale lo studio del ritmo è associato al tema dell’isocronia (cfr. § 4).
La fonologia metrica è basata sul riconoscimento del piede come unità ritmica di base in ogni lingua. In linguistica, il piede è una struttura formata da due costituenti: una sillaba forte, cioè accentata, e una debole, cioè atona. La posizione dei costituenti può variare; se la sillaba forte precede quella debole abbiamo un ritmo trocaico; viceversa, un ritmo giambico (l’uso di questi termini tradisce le suggestioni, almeno in parte improprie, della metrica classica). Secondo la teoria metrica, le lingue naturali selezionano un solo tipo di ritmo, sicché, ad es., l’italiano e l’inglese hanno ritmo trocaico, mentre il francese ha un ritmo giambico.
Mentre la struttura metrica in piedi riguarda di norma il solo livello della parola, la griglia metrica rappresenta i livelli superiori della frase (cfr. Nespor & Vogel 1986; Nespor 1993). Nella griglia metrica, i segmenti temporali, corrispondenti alle sillabe, costituiscono le battute: le sillabe toniche si trovano in corrispondenza di battute forti, le atone di battute deboli. Tuttavia, le battute forti non sono tutte ugualmente forti, giacché sono inserite in una struttura gerarchica, corrispondente alla struttura sintattica, che fa sì che solo talune siano più forti o prominenti. Ad es., nel sintagma il pàdre di Giovànna vi sono due sillabe toniche a livello di parola, ma una sola sillaba prominente a livello di sintagma, cioè la penultima sillaba accentata di Giovànna.
Nelle lingue naturali esiste la tendenza generale ad alternare sillabe forti e sillabe deboli, ai vari livelli della gerarchia ritmico-prosodica; ciò implica che, almeno in teoria, ogni posizione forte deve essere seguita da almeno una posizione debole e che, viceversa, ogni posizione debole deve essere seguita da una posizione forte. Di conseguenza, sequenze fonetiche in cui vi siano due accenti contigui, come pure sequenze costituite da plurime sillabe atone, saranno da considerarsi aritmiche. In questi casi, le lingue possono applicare varie strategie di riparazione per ripristinare l’euritmia, nel rispetto del principio di alternanza ritmica sopra enunciato. In caso di contiguità di accenti, nel parlato continuo si ha spesso la deaccentazione della prima parola (ad es., in italiano metá tórta → meta tórta) o lo spostamento del primo accento (per es., ventitré cáni → véntitre cáni).
I ritmi più frequenti nelle lingue naturali sono quello binario (una sillaba tonica e una atona) e quello ternario (una sillaba tonica e due atone); in italiano ne sono esempi, rispettivamente, le frasi óra védo Màra bére e Bàrbara e Stéfano préndono càlici brónzei, con ➔ sinalefe (➔ fonetica sintattica) tra la vocale atona finale di Bàrbara e la congiunzione e.
Si deve a Pike (1945) la distinzione tipologica (su base prosodica) fra due tipi di lingue: quelle che hanno isocronia accentuale (stress timing) e quelle che hanno isocronia sillabica (syllable timing: Bertinetto 1977; ➔ sillaba; ➔ pronuncia).
Nelle lingue ad isocronia accentuale, l’unità ritmica basilare, tendenzialmente isocrona, è il piede, cioè l’intervallo temporale comprendente una sillaba accentata e le sillabe atone seguenti fino al successivo accento. Nelle lingue a isocronia sillabica, invece, è la sillaba a costituire l’elemento di riferimento temporale per il ritmo. Le lingue germaniche sono in genere isoaccentuali, le lingue romanze sono isosillabiche. L’italiano, in particolare, sembra costituire un buon esempio di lingua a isocronia sillabica (Bertinetto 1977; Bertinetto 1981; Marotta 1985).
Il modello binario proposto da Pike (1945) è stato recentemente ampliato con l’aggiunta della classe delle lingue a isocronia moraica, in cui cioè l’unità isocrona sarebbe la mora (➔ sillaba), un componente fonologico sub-sillabico. L’ipotesi forte che vi sia in ogni lingua un’unità di base di durata simile è stata empiricamente smentita, dal momento che per nessuna lingua naturale è possibile sostenere l’isocronia stretta tra piedi, come pure tra sillabe o more (cfr. Bertinetto 1989 per una revisione critica generale sul tema); ciò nonostante, la nozione di isocronia esprime l’intuizione che le lingue si diversificano sul piano fonetico non solo per la loro struttura fonetica segmentale, ma anche su base prosodica, e ritmica in particolare.
Un contributo essenziale alla rilettura della dicotomia stress timing ~syllable timing è derivato dal contributo di Dauer (1983), che ha proposto di collegare le tendenze isocrone delle lingue con alcune caratteristiche della loro fonologia; in particolare, la ricchezza rispettivamente maggiore o minore della struttura sillabica, la tendenza più o meno forte verso la centralizzazione delle vocali atone, la relativa flessibilità o rigidità nell’assegnazione dell’accento di parola, i bersagli della riduzione temporale dovuta all’aumento della velocità di elocuzione da parte del parlante (vale a dire, rispettivamente, sillabe toniche compresse al massimo grado nel primo caso, riduzione proporzionale su sillabe atone e toniche nel secondo).
Lo studio dei rapporti tra struttura ritmica delle lingue e isocronia ha conosciuto una nuova fase di interesse all’inizio del XXI secolo, in seguito all’ipotesi che l’appartenenza a una classe ritmica piuttosto che all’altra possa dipendere dalla percentuale di ‘vocalicità’ presente nella catena fonica. In altri termini, nelle lingue con inventario sillabico ridotto la percentuale di segmenti vocalici per unità di tempo sarà superiore a quella di lingue con struttura sillabica più ricca e complessa (cfr. Ramus, Nespor & Mehler 1999). Di conseguenza, in giapponese, il ritmo sarà tendenzialmente isomoraico, in italiano isosillabico, in tedesco o inglese isoaccentuale. Questa nuova linea di ricerca ha dato impulso allo sviluppo di vari algoritmi matematici capaci di rappresentare in forma più o meno esaustiva le tendenze ritmiche delle diverse lingue naturali, reinterpretando in modo nuovo la classificazione delle lingue in classi ritmiche (si vedano, tra gli altri, Grabe & Low 2002; Dellwo 2006; Bertinetto & Bertini 2008; Arvaniti 2009).
Come per altri fenomeni prosodici, anche il ritmo poetico di una lingua non può prescindere dalle proprietà fonologiche (sia segmentali che soprasegmentali) della lingua medesima. Non è un caso che la metrica italiana (e romanza in generale) sia basata sul computo delle sillabe, appartenendo l’italiano alla classe ritmica delle lingue isosillabiche (cfr. § 4), mentre quella inglese sia misurata sui piedi, essendo le lingue germaniche tendenzialmente isoaccentuali.
In prospettiva storica, va tenuta presente una distinzione fondamentale: mentre nella metrica classica il ritmo indicava l’alternanza di sillabe lunghe e brevi, dato il valore fonologico della quantità vocalica (➔ quantità fonologica), nella metrica italiana si riferisce all’alternanza tra sillabe accentate e sillabe atone, reinterpretabili con i termini, ancora una volta classici, di arsi e tesi. Del resto, in epoca classica il ritmo è legato di norma al metro, cioè al verso poetico regolarizzato dalla poesia.
In epoca moderna, la consapevolezza della differenza tra metro e ritmo si impone in maniera sempre più chiara: la metrica diventa il sistema di norme poetiche misurate e fissate, mentre il ritmo recupera il suo valore eminentemente linguistico, dal momento che può essere percepito e riconosciuto dal parlante anche in assenza di specifica conoscenza delle norme sottese alla costituzione di un verso poetico (Beltrami 1991). Come già sosteneva il grammatico Beda, può esserci ritmo senza metro, ma non viceversa.
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