RITRATTO
Le aspettative collegate a un r. nel Medioevo sono di diversa natura. In ambito religioso, per es. come immagine del fondatore, oppure come effigie funebre, il r. manifesta la speranza dei singoli individui nella ricompensa divina ed è quindi componente ed espressione di un perenne timore nell'aldilà. Un tale r. può, allo stesso tempo, rappresentare in terra il rango sociale e la continuità di una carica o di una corporazione, assumendo dunque funzioni proprie delle raffigurazioni di carattere ufficiale. Spesso esso testimonia l'adempimento di un obbligo sociale. Nella maggior parte dei casi alla preghiera nei confronti di un destinatario celeste - oppure alla richiesta di essere ricordati nelle preghiere - si unisce il desiderio che la persona rappresentata possa occupare un buon posto nel ricordo dei posteri.Nel Medioevo il r. come immagine votiva - sia nella forma devozionale sia in quella ufficiale - si ritrova in contesti sepolcrali, e in alcuni momenti della prassi giuridica sostituì la persona stessa (r. sostitutivo; Reinle, 1984). Anche i r. dei santi (v. Icona) possono essere spesso considerati, dal punto di vista funzionale, dei sostitutivi della persona venerata.I r. del Medioevo - anche nel caso in cui essi si trovino all'interno di una produzione artistica dal carattere così esclusivo come può essere quella miniata e anche se si rivolgono per lo più a un destinatario celeste - ebbero in linea di principio un carattere pubblico. I casi limite di r. dal carattere privato in contesti religiosi si limitano a forme di devozione privata nel Tardo Medioevo. Quand'anche nel corso del Medioevo siano esistiti r. autonomi dal carattere di memoria privata di un singolo, essi tuttavia non si sono conservati.La premessa per un r. era costituita di norma da un'opera che si esplicava nella forma di una donazione di alto valore materiale o, almeno, dalla partecipazione a un'opera, come testimoniano i r. degli architetti e degli scultori (v. Autoritratto). Il r., anche con questa motivazione, era limitato quasi esclusivamente ai vertici della gerarchia ufficiale o sociale: alta nobiltà, principi, nobili, dignitari ecclesiastici, così come, nel Tardo Medioevo, patrizi e dotti.Tali r. - anche nel caso in cui essi, grazie ai nomi, siano individuabili - hanno un carattere impersonale e vanno visti come immagine rappresentativa del ruolo di rilievo all'interno di gruppi distinti dalla professione, dalla genealogia o dai meriti. Soltanto in casi particolari essi acquistano il carattere di testimonianza figurativa di un merito o di un vanto individuale. La rinuncia da parte di una persona di elevata posizione ad avvalersi del diritto di farsi ritrarre deve essere considerata un gesto di particolare umiltà. I r. di carattere ufficiale in ambito profano sono più rari di quelli in contesto religioso, ma sottostanno ad analoghe condizioni.È possibile operare una distinzione tra le categorie e le tipologie del r. medievale, ma nei casi specifici si creano delle differenziazioni, derivate dalla funzione, che vanno a interferire con quelle dovute al rango sociale del raffigurato, alla tipologia del manufatto, al suo sviluppo o alla sua forma.
La tradizione tardoantica del r. con lineamenti individualizzati perdurò fino all'epoca paleocristiana, innanzitutto nella scultura dei sarcofagi, nella rappresentazione dei sovrani, nelle statue dei funzionari e anche in forme di r. individuale, come sui vetri dorati. I motivi per cui tale tradizione si interruppe nel sec. 6° (a Bisanzio un po' più tardi) sono molteplici e probabilmente non soltanto di natura teologica. Ciò che dell'antica tradizione del r. si trasmise nel Medioevo si limitò, per ciò che riguarda la tendenza verso la somiglianza, all'immagine di Cristo e dei santi, la cui autorità conserva ancora, nella filiazione di riproduzioni, qualcosa della ritrattistica antica (per es. le icone di Cristo e di s. Pietro nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai, secc. 6° e 7°). Nel Medioevo non venne però del tutto dimenticato l'antico concetto di immagine, attestato nelle leggende e negli scritti polemici. Occasionali riferimenti a immagini, le cui funzioni possono chiarirsi solo attraverso la somiglianza individuale, dovrebbero indurre a considerare con circospezione l'opinione per cui il Medioevo, fino al sec. 14°, non avrebbe avuto possibilità o capacità di rendere le somiglianze in un ritratto. Così Guglielmo di Malmesbury riferisce di una sorta di immagine-lasciapassare ("imaginem eius in tabula pingi fecisse"; Lehmann-Brockhaus, 1955-1960, nr. 5840), che un pittore fece di Anselmo di Aosta a Roma nel 1099. Una tale immagine dalle funzioni limitate nel tempo non aveva possibilità di conservarsi, poiché non serviva come memoria.Uno dei rari r. di epoca romanica per cui è accertata l'intenzionalità della somiglianza, è costituito dalla testa bronzea di Federico I Barbarossa (1152-1190) nella parrocchiale di Cappenberg, risalente al 1160 circa. Con i grandi occhi, la bocca minuta e la peculiare trattazione decorativa della barba, essa appariva ai contemporanei come r. riconoscibile: "capud argenteum ad imperatoris formatum effigiem" (Fillitz, 1977, p. 394, nr. 535). Non è chiara l'originaria destinazione dell'opera; il fatto che non si trovò per questa testa alcuna modalità di utilizzo e che ben presto sia stata trasformata in reliquiario di s. Giovanni Evangelista mostra quanto fosse estranea a quest'epoca la comprensione di più autonome forme di ritratto. I r. medievali, compresa la testa di Cappenberg, appaiono a occhi moderni generalmente tipizzati, spesso senza età e privi di caratteri individuali. È controverso se le eccezioni che si ritrovano nei sigilli - singolare, per la presenza dei segni dell'età, il r. del 1097 della contessa palatina Adelaide (Wiesbaden, Staatsarch.; Reinle, 1984, p. 108), cofondatrice del monastero di Maria Laach - oppure nei monumenti funebri (per es. quello di papa Clemente IV, m. nel 1268, nel S. Francesco di Viterbo o quello di re Rodolfo di Asburgo, m. nel 1291, nel duomo di Spira, in cui i giacenti per i segni dell'età, oppure per l'espressione, sembrano essere r.) costituiscano una testimonianza fisionomica fedele, oppure se ci si trovi soltanto di fronte a una maggiore caratterizzazione. È oggetto di discussione se durante il Medioevo si sia cercato di fissare i tratti individuali del volto con l'aiuto di calchi di cera o di gesso. Prove concrete a favore di tale ipotesi si hanno soltanto a partire dal 14° secolo.È singolare - e confonde il quadro delle varianti del r. medievale - il fatto che, all'epoca del Gotico maturo, quando il r. di personaggi contemporanei corrispondeva generalmente a una norma ideale di giovinezza, per la rappresentazione di personaggi biblici, oppure di persone da tempo defunte, si poteva avere - in particolare per le arti plastiche - un'osservazione naturalistica acuta a tal punto da far apparire tali opere proprio come pseudo-ritratti. Ne sono importante esempio i profeti della cassa dei re Magi (1190-1200) della bottega di Nicola di Verdun nel duomo di Colonia e le figure postume dei fondatori nel coro occidentale della cattedrale di Naumburg (1240-1250). Si potrebbe stabilire, per quest'epoca e per questo genere di produzione artistica, una legge di disgiunzione: l'aspetto dell'individualità e la somiglianza ritrattistica restarono a lungo dimenticate e vennero riservate soltanto ai personaggi storici, mentre ai contemporanei fu tolto ogni carattere individuale o, per lo meno, essi vennero rappresentati senza l'accentuazione di caratteri peculiari.In pittura, gli esordi concreti di una ritrattistica volta a rendere la somiglianza con la persona rappresentata risalgono al sec. 14°; fu probabilmente Giotto, a quanto tramanda l'aneddotica relativa all'artista, a dare l'esempio all'inizio del secolo. Poco però si è conservato della sua opera a questo riguardo: l'unico esempio rimasto è quello di Enrico Scrovegni, raffigurato come donatore/fondatore nell'affresco del Giudizio universale nella cappella dell'Arena a Padova (1306-1307). Se si confrontano l'immagine appena citata, la statua di Enrico Scrovegni nella sagrestia della medesima cappella (1310 ca.) e il suo r. funebre postumo, è possibile riconoscervi lo stesso individuo, raffigurato in tre diverse età. Dunque l'immagine del donatore/fondatore dipinta da Giotto deve essere ritenuta il primo r. medievale conservato, caratterizzato con certezza da una fisionomia individuale. Anche nella figura inginocchiata e di profilo del re Roberto d'Angiò, dipinta nel 1317 da Simone Martini (Napoli, Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte), sono contenuti elementi tali da poter ammettere una somiglianza con il sovrano. Il re si inginocchia in atteggiamento di devozione davanti a s. Ludovico di Tolosa, che gli porge la corona.Nelle immagini della storia biblica e nelle allegorie politiche del Trecento si incontrano frequentemente figure di contorno, nelle quali si possono riconoscere r. nascosti di contemporanei, che non sempre agli occhi dei moderni appaiono come r. individuali, per es. nell'affresco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti nella sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena (1337-1339).Sono più vicine alla moderna concezione di r. autonomo due tavole con la raffigurazione della testa di due sovrani: il più grande di questi r. (Parigi, Louvre) appare maggiormente individualizzato; si tratta della raffigurazione di profilo di Giovanni II il Buono (1350-1364), che un'iscrizione indica come "Jehan Roy de France". Il fatto che il sovrano sia privo di corona permette di datare il r. a un'epoca anteriore all'incoronazione. La formazione italiana del pittore è evidente, mentre è enigmatica la funzione originaria del ritratto. La seconda tavola (Vienna, Dom- und Diözesanmus.), che raffigura di tre quarti il duca Rodolfo IV di Asburgo (1358-1365), si doveva trovare sulla sua tomba. È evidente la somiglianza di questo r., realizzato nel 1360, con la statua dello stesso personaggio nel duomo di St. Stephan a Vienna. Poiché le tavole con i r. del sovrano francese e di quello austriaco mostrano scarse analogie nell'impostazione e nelle dimensioni, è probabile che esse costituiscano la testimonianza per il sec. 14° di un'ampia e varia tradizione di r. portatili di regnanti dipinti con tratti fisionomici individualizzati. Non è noto se a quest'epoca esistessero r. di carattere privato. Già nel 1336 Francesco Petrarca nel Canzoniere (RVF, LXXVII-LXXVIII) elogiava un r. della sua amata Laura, che sarebbe stato dipinto da Simone Martini. Si può tuttavia pensare che sia stata la poesia ad anticipare le possibilità pittoriche dell'epoca; in ogni caso non se ne sono conservati esempi.Come primi r. individuali (e addirittura autonomi) di epoca postantica sono spesso considerati, ma a torto, i busti dell'imperatore Carlo IV (1355-1378) e della sua famiglia, così come anche quelli dei vescovi, dei reggitori della fabbrica e degli architetti (1377-1380) sui pilastri del triforio inferiore del duomo di S. Vito a Praga, realizzati da Peter Parler e dalla sua bottega. Il ciclo di busti non costituisce però una galleria di r. autonomi, ma una forma particolare di memoria, analoga alle tipologie del r. del fondatore e del r. dell'artista. Esso doveva celebrare quei personaggi che si erano resi meritevoli nella costruzione del duomo ed era probabilmente legato al culto di questi defunti. Anche numerosi altri r. di Carlo IV in pittura, scultura e oreficeria, realizzati in forma di immagini devozionali, sono improntati, sebbene a grandi linee, alla riconoscibilità.La tendenza al r. individualizzato è ancora più evidente nella coeva scultura e miniatura francese della cerchia di Carlo V (1364-1380); come a Praga, l'individuazione fisionomica era limitata ai membri della casa regnante e alla cerchia dei funzionari della corte e aveva per questo un carattere chiaramente 'cortese', anche nel caso in cui i personaggi raffigurati indossassero gli abiti borghesi dei dotti. Per quanto concerne Carlo V, sia nelle numerose immagini dedicatorie delle opere miniate, per es. la Bible historiale del 1372 (Aia, Rijksmus. Meermanno-Westreenianum, 10 B 23, c. 2r), sia nelle statue, come quella del sovrano e di Giovanna di Borbone (Parigi, Louvre), sia nella sua effigie funebre (1364-1366), opera di André Beauneveu, nella parigina Saint-Denis, si ritrova, pur con differenze, la stessa riconoscibile fisionomia. La ritrattistica in tali termini riguarda scultori dei Paesi Bassi come Jean de Liège, André Beauneveu e, in ambito borgognone, Claus Sluter, i quali posero le basi su cui si fondarono i primi esempi su tavola di r. dipinto nederlandese-borgognone, a partire da quelli di profilo della cerchia dei fratelli Limburg.
Per r. di memoria e di rappresentanza si intende quello che ha lo scopo di commemorare un individuo, senza necessariamente essere finalizzato alla somiglianza. Nel Medioevo la possibilità di venire raffigurati era data soprattutto dal r. memoria, che ricordava il defunto oltre la morte ed era rivolto alla vita nell'aldilà. All'interno di questa categoria si annovera una serie di singole tipologie funzionali, le quali non sempre possono essere nettamente distinte le une dalle altre: r. votivi, devozionali, del donatore/fondatore, dedicatori, dell'autore (o dello scriba o dell'artista), in serie, ufficiali (monete, sigilli, effigi e monumenti). Appartiene a questa categoria anche il r. funebre, che costituiva per un individuo la più frequente possibilità di essere ricordato in un ritratto. La variante con caratteri individualizzati somiglianti è, come aspetto particolare, da considerare in modo indipendente dalle generali categorie funzionali e, in linea di principio, può rientrare in ciascuno dei gruppi citati.
Poiché nell'offerta votiva r. e dono sono in genere reciprocamente collegati, non è sempre possibile attuare una distinzione secondo criteri funzionali tra r. votivo e r. del donatore/fondatore. A differenza di quanto avviene con il r. del donatore/fondatore, un'immagine votiva non commemora la partecipazione a un'opera, ma trasferisce in immagine un desiderio personale di essere ricordati nella preghiera, oppure un voto, oppure l'adempimento dello stesso. L'antica tradizione dell'immagine votiva a figura intera, oppure della riproduzione di membra e organi dal carattere votivo, fu osteggiata dalla Chiesa, in particolare agli esordi del cristianesimo, ma non al punto di estinguersi del tutto. Generalmente le immagini votive avevano un valore materiale (metalli nobili, cera, armature, armi), spesso nel peso equivalente a quello di colui che esprimeva il voto. Poiché tali r. erano di valore pecuniario, non se ne sono affatto conservati esempi. Il duca normanno Ragenarius, alla metà del sec. 9°, ammalato, in prossimità della morte, implorò la salvezza da s. Germano e, per rafforzare il valore della preghiera, inviò a Parigi una statua d'oro (Beutler, 1964, p. 27). Spesso le statue donate avevano un peso equivalente a quello di bambini, desiderati, nati, oppure salvati, come testimonia per es. la figura d'argento di Bennone, poi vescovo di Osnabrück (1068-1088), che fu portata a Roma dai suoi genitori (Lehmann-Brockhaus, 1955-1960, nr. 2558).Un r. poteva anche costituire un'alternativa all'adempimento di un voto. Così per es. Salomone, re dei Bretoni, nell'871 invece di intraprendere un pellegrinaggio a Roma per adempiere a un voto, vi inviò una statua d'oro delle sue dimensioni, con una preziosa corona (Beutler, 1964, p. 25). È inoltre possibile che la statuetta bronzea proveniente da Metz (Parigi, Louvre), che rappresenta un sovrano a cavallo (Carlo Magno o Carlo il Calvo), unica per l'epoca carolingia, abbia fatto parte in origine di un contesto votivo.Innumerevoli sono gli esempi di figure realizzate in cera, dello stesso peso di colui che aveva espresso il voto. Nel 1276 e nel 1284, il re Edoardo I d'Inghilterra offrì una figura di cera del suo stesso peso (Brückner, 1966, p. 63); un'altra di papa Gregorio IX (1227-1241) dovette essere eretta nella chiesa di Notre-Dame a Parigi (Reinle, 1984, p. 18). A Chartres, a Parigi e in altri luoghi della Francia, nei secc. 13° e 14° vennero esposte nelle chiese, come doni votivi, statue di cavalieri con armatura e ornamenti (metallo, stoffa, pelle e cera su un nucleo di legno).
Raffigurazioni di personaggi in atto di preghiera, che non possono essere definite con certezza immagini votive oppure non hanno i caratteri di r. del donatore/fondatore, possono essere definite immagini devozionali. I confini di tale delimitazione sono però naturalmente fluttuanti e dipendono da quanto oggi è noto riguardo alle circostanze in cui tali opere vennero prodotte. Particolarmente ricca è l'iconografia devozionale nelle pitture su tavola del Tardo Medioevo, molte delle quali costituiscono segni della devozione privata. Un tipo specifico di immagine di questo genere è costituito dalla statua destinata al monumento funebre oppure all'epitaffio, la quale, segno di una 'devozione perenne', diventa una tipologia di r. dell'età moderna. Nel libro di preghiere dell'imperatore Carlo il Calvo, dell'850 ca. (Monaco, Schatzkammer der Residenz), il committente e fruitore dell'opera è rappresentato in ginocchio davanti al Crocifisso (cc. 38v-39r). Nella produzione orafa si trovano esempi che è possibile annoverare sia tra i r. votivi sia tra quelli devozionali, come la perduta figura dell'imperatrice Costanza d'Altavilla (1154-1198) in trono, rivestita in argento, opera di Nicola di Verdun, un tempo a lato di una figura di S. Pietro nel duomo di Worms. L'offerta che Enrico III re d'Inghilterra fece nel 1234 del suo r. rivestito in argento alla chiesa di Bronholm dedicata alla Santa Croce, oppure il r. della regina, mirante alla somiglianza, commissionato per il reliquiario di s. Edoardo a Westminster nel 1236, rendono evidente come, con queste opere, sia andata interamente perduta un'intera categoria di r. della quale si ha un'eminente testimonianza nel Tardo Medioevo: per es. una preziosa opera di oreficeria, il Goldenes Rössel, nella parrocchiale di Altötting, in Germania, donato dalla regina Isabella al proprio sposo nel 1404, rappresentante Carlo VI di Francia (1368-1422) inginocchiato davanti a una Madonna, mentre il suo scudiero attende in posizione subordinata con un cavallo bianco.I r. dei papi a Roma - come la figura di Innocenzo III (1198-1216), in atteggiamento di adorazione nel mosaico absidale dell'antica basilica di S. Pietro (Roma, Mus. di Roma e Gall. Com. d'Arte Moderna), oppure il r. del suo successore Onorio III (1216-1227), in proskýnesis ai piedi di Cristo nel mosaico absidale di S. Paolo f.l.m. - fanno dell'immagine devozionale un atto pubblico, ma possono essere anche letti come 'immagine del donatore' oppure come 'immagine di rappresentanza'. Nel corso del Tardo Medioevo la devozione del sovrano si poteva risolvere anche in forme di raffigurazione di tipo privato. Ne ha lasciato numerose testimonianze la devozione dell'imperatore Carlo IV. Nel piccolo ambiente della cappella di S. Caterina del castello di Karlštejn si trova sulla parete la coppia imperiale in atto di pregare la Vergine con il Bambino, in atteggiamento di intimità familiare. Il tramite privilegiato di questa espressione è costituito dalla tavola, che può acquisire caratteri molto peculiari, come quella con la Vergine dell'arcivescovo Jan Očko di Vlašim (Praga, Národní Gal.), la quale mostra, nel registro inferiore, il committente in preghiera presentato alla Madonna, posta nel registro superiore, da santi boemi di rango ecclesiastico. Al di sopra del committente, all'incirca alla stessa altezza della Madonna, sono raffigurati l'imperatore Carlo IV inginocchiato e il figlio Venceslao IV, con i loro santi protettori, Sigismondo e Venceslao, incoronati.Ancora più vicino alla devozione privata per il formato è il c.d. dittico Wilton (Londra, Nat. Gall.), che raffigura il re Riccardo II d'Inghilterra (1377-1399) inginocchiato davanti alla Madonna e alla sua corte celeste. Per la presenza dei re santi Edoardo ed Edmondo, essi pure incoronati, la scena può essere letta anche come Adorazione dei Magi. Da questo momento fino alla prima pittura su tavola nederlandese è possibile seguire le molteplici forme dell'immagine di devozione. Ciò riguarda anche i r. del committente sugli sportelli esterni delle grandi tavole d'altare, come il polittico dell'altare di S. Bavone a Gand (1432) dei fratelli van Eyck e raffigurazioni quali la Madonna del cancelliere Rolin (Parigi, Louvre) di Jan van Eyck, che allo stesso tempo costituiscono un r. del fondatore/committente. La maggior quantità di r. devozionali, cinquantasette figure dal carattere realistico, espressione di vari ceti sociali, si ritrova negli sportelli di un polittico di altare dedicato a s. Vincenzo (1471-1481), realizzato da Nuño Gonçalves (Lisbona, Mus. Nac. de Arte Antiga). Va considerata immagine dal carattere devozionale la citata statua di Enrico Scrovegni a Padova, destinata in origine alla tomba. Dalla Sainte-Chapelle che Jean de Valois, duca di Berry, fece erigere a Bourges a partire dal 1405 e dalla sua sepoltura provengono i resti di due statue inginocchiate del duca e di sua moglie Giovanna di Boulogne (ora nella cattedrale), che testimoniano, già nel 1416, l'esistenza di una forma di immagine devozionale dal carattere ufficiale che, come r.epitaffio, si ritrova fino all'epoca barocca nella tipologia della devozione eterna.Ritratti del donatore/fondatore. - Il r. del donatore/fondatore si distingue dall'immagine votiva per il fatto che l'opera commissionata è rappresentata nelle sue mani, in forma di riproduzione o di modello, e viene generalmente dedicata a una figura divina, a un santo, a una personificazione, o a un personaggio di rango elevato (v. Committenza). Per tale motivo si potrebbe anche parlare di immagine dedicatoria, anche se questo concetto è sostanzialmente limitato al caso particolare in cui l'opera commissionata o donata sia un codice.Elemento caratterizzante dell'immagine del donatore/fondatore è l'unione o il diretto collegamento del r. all'opera commissionata e la preferenza accordata a materiali durevoli. Spesso i donatori sono identificabili tramite iscrizioni, stemmi o attributi. Le immagini del donatore/fondatore conservate in gran numero, ma giunte anonime, non dovevano essere difficili da identificare all'epoca della loro realizzazione. Gli esempi così rappresentativi e differenziati dell'arte paleocristiana, quali si ritrovano nei mosaici di S. Vitale a Ravenna (ante 547), alludono a un ampio uso del r. stante del donatore nell'area dell'impero d'Oriente. Nell'abside, il vescovo Ecclesio presenta alla Vergine un modello della chiesa, mentre Teodora e Giustiniano con la corte si dirigono in due gruppi verso l'altare e offrono rispettivamente il calice e la patena. In precedenza era stato raffigurato con il modello della chiesa papa Felice IV (526-530), presentato a Cristo da santi, in posizione stante, nel mosaico absidale della chiesa dei Ss. Cosma e Damiano a Roma. Con quest'opera si apre a Roma una serie di raffigurazioni papali dello stesso tipo: tra le altre quelle di Pelagio II (579-590) a S. Lorenzo f.l.m., di Onorio I (625-638) a S. Agnese, di Pasquale I (817-824) a S. Cecilia, di Gregorio IV (827-844) a S. Marco. Sono inoltre numerosi i vescovi (Eufrasio nel mosaico absidale della basilica di Parenzo, 540 ca.), gli abati e altri chierici (pitture murali a S. Benedetto di Malles, sec. 9°; Desiderio da Montecassino, nel ruolo di committente, nell'abside di Sant'Angelo in Formis, 1058-1073) che tramandano il loro r. con in mano il modellino della chiesa.Anche i principi vennero ricordati nei r. come fondatori di chiese: su una placchetta d'avorio dell'antependium di Magdeburgo (New York, Metropolitan Mus. of Art), l'imperatore Ottone I (962-973) offre un modello di chiesa a Cristo in trono. Il re Guglielmo II (1172-1189) è raffigurato mentre presenta il modello del duomo di Monreale non soltanto sul mosaico di un pilastro di questa chiesa, ma anche su un capitello del chiostro. In casi sporadici il r. funebre ha anche la connotazione di r. del fondatore, per la presenza del modello di una chiesa tra le mani del defunto (Enrico il Leone nel duomo di Brunswick, fine sec. 12°-inizi 13°). Potevano essere tuttavia presentati anche oggetti liturgici (calici, patene, croci), oppure libri (dipinto murale di Turtura, presentata alla Vergine da santi, nella catacomba di Commodilla a Roma, 528), o parti di arredo (altare), o dell'edificio, come il portale (Galluspforte nel duomo di Basilea, 1180), così come avvenne anche occasionalmente per i documenti di donazione oppure per le sintetiche raffigurazioni di possedimenti donati.In alcuni casi anche in edifici pubblici, non a destinazione religiosa, si sono conservati i r. dei committenti, oppure di coloro che presero parte all'opera. È da ricordare il rilievo sul ponte di Giuditta a Praga (sec. 12°), nel quale una figura in ginocchio dedica il modello del ponte a un personaggio con la corona. In ambito comunale, inoltre, si assicurano una memoria di carattere profano le statue-r. del podestà Matteo da Correggio e del capitano del popolo Ermanno da Sassoferrato sulla fontana Maggiore di Perugia (1277).Il numero di rappresentazioni di donatori/fondatori conservate raggiunge il migliaio. L'atteggiamento di devozione, in ginocchio, che proseguì oltre i limiti del Medioevo, si ritrova occasionalmente già nell'Alto Medioevo, ma soltanto nel Tardo Medioevo divenne norma (Madonna dei Francescani di Duccio di Buoninsegna, inizi sec. 14°, Siena, Pinacoteca Naz.; il duca Filippo l'Ardito e la sua sposa sul portale della certosa di Champmol a Digione, di Claus Sluter, 1391).Una forma particolare di immagine del donatore/fondatore, dal carattere di 'monumento', è quella che cerca di nobilitare il significato di un luogo o di un'istituzione con la figura di un fondatore o di un promotore di elevata posizione. Di tal genere sono le statue dell'imperatore Ottone I e di Adelaide nel duomo di Meissen (1260 ca.), dell'imperatore Enrico II e di Cunegonda (con il modellino della chiesa) sul portale di Adamo nel duomo di Bamberga (Diözesanmus.).Anche i monumenti equestri, come il Cavaliere di Magdeburgo (1240 ca.; Magdeburgo, Kulturhistorisches Mus.), raffigurante l'imperatore Ottone I oppure Ottone II, o come il Cavaliere di Bamberga (1220-1237 ca.; Bamberga, duomo), identificato come Enrico II o s. Stefano, re d'Ungheria, potrebbero essere stati realizzati con la stessa finalità. Ciò è accertato per le citate dodici figure stanti nel coro occidentale del duomo di Naumburg, che commemorano, attualizzandoli, i fundatores e i donatori dell'11° secolo. Anche le statue di Ferdinando III il Santo (1217-1252) e della sua sposa Beatrice di Svevia con la vera matrimoniale, raffigurati nel chiostro della cattedrale di Burgos (1270), ricordano retrospettivamente e con nostalgia il sostegno offerto alla chiesa dalla coppia regale in occasione delle nozze (1219).In alcuni r. all'interno di edifici sacri i sovrani si trovano in una posizione così eminente, che la possibile funzione di queste raffigurazioni come r. del donatore/fondatore passa in secondo piano. Un chiaro esempio è costituito dall'immagine di un nobile con la spada a S. Benedetto a Malles (sec. 9°), posto a sinistra, accanto all'abside. È controverso se la figura in stucco di Carlo Magno, solo parzialmente conservata, in posizione analoga nella chiesa di S. Giovanni a Müstair, debba essere anch'essa ascritta all'epoca della fondazione carolingia. L'immagine di carattere ufficiale del sovrano nei manoscritti liturgici di lusso di epoca tardocarolingia e ottoniana accompagna per lo più donazioni imperiali di libri a importanti monasteri. Tali raffigurazioni hanno molteplici significati, non del tutto coincidenti con il concetto di immagine del donatore: infatti non soltanto evocano in modo solenne la presenza del sovrano nella liturgia, suscitandone il ricordo nella preghiera, ma, per il loro carattere regale che sembra esortare all'omaggio, potrebbero anche essere considerate r. ufficiali. Ne sono esempio l'Evangeliario di Lotario, dell'849-851 (Parigi, BN, lat. 266, c. 1v), la Bibbia di S. Paolo, dell'870 ca. (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia), con la raffigurazione di Carlo il Calvo in trono (c. 1r), oppure l'immagine dello stesso sovrano nel Codex Aureus di St. Emmeram (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000, c. 5v). Si rifanno a modelli carolingi le raffigurazioni in trono di epoca ottoniana, per es. quella nell'Evangeliario di Ottone III, del 1000 ca. (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453), con il sovrano e quattro Province dell'impero che gli rendono omaggio (cc. 23v, 24r), oppure quella nell'Apocalisse di Bamberga (Bamberga, Staatsbibl., 140), con l'Incoronazione di Ottone III a opera dei principi degli apostoli (c. 59v). Tale tradizione prosegue anche nelle rappresentazioni del successore Enrico II (1014-1024), per es. nel sacramentario che porta il suo nome (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4456, c. 11v).
Il concetto di immagine dedicatoria viene utilizzato in questa sede soltanto nel caso in cui ci si riferisca all'immagine che attesta la donazione di un codice. A questo tipo di opera presero parte sempre più persone che meritavano quindi di essere raffigurate: il modello della raffigurazione prevedeva una posizione eminente per il destinatario del dono e una subordinata, spesso in atteggiamento di omaggio, per colui che dedicava l'opera - per lo più il committente del manoscritto -, in alcuni casi gli esecutori (scriba, miniatori) e, occasionalmente, anche l'autore. Il più antico esempio conservato è in un manoscritto di Dioscoride del 512 (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1), un codice di lusso che mostra, quale destinataria del manoscritto e dell'omaggio, la principessa bizantina Anicia Giuliana (c. 6v). Nella Bibbia di Viviano, dell'845-846 (Parigi, BN, lat. 1), l'abate di S. Martino di Tours, rappresentato nel gruppo dei suoi monaci (tra i quali si trova lo scriba), consegna il prezioso codice all'imperatore Carlo il Calvo in trono (c. 422v). Di gran lunga più frequente è però la dedicazione ai santi, come nell'Evangeliario di Hitda, dell'inizio del sec. 11° (Darmstadt, Hessische Landes-und Hochschulbibl., 1640), nel quale la badessa dona il codice a s. Valburga, patrona del monastero di Meschede (cc. 5v, 6r). Si può avere addirittura un'intera serie di immagini dedicatorie di codici, come nelle miniature a pagina intera del Sacramentario di Hornbach, del 983 ca. (Soletta, Zentralbibl., U 1), dove è raffigurato lo scriba Eburnant che dona il libro all'abate Adalberto; quest'ultimo lo porge a sua volta a s. Pirmino, fondatore del monastero; s. Pirmino lo porge quindi a s. Pietro e s. Pietro infine lo offre a Cristo (cc. 7v-10v).
Il r. dell'autore costituisce una delle modalità derivate dall'Antichità e intende fornire l'immagine di un autore insieme alla sua opera. Una tipologia consueta è quella del sapiente o dello scienziato seduto - come nel codice del sec. 6° del De controversiis agrorum di Agennio Urbico (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 36.23 Aug. 2°, c. 67v) -, spesso rappresentato nell'atto dello scrivere, così come sarebbero stati raffigurati in seguito gli evangelisti. L'altra tipologia è costituita dal busto-r. dell'autore all'interno di clipei ed è tramandata abbastanza fedelmente nelle copie carolinge di antichi scrittori, come nel manoscritto dell'820-830 con le commedie di Terenzio (Roma, BAV, Vat. lat. 3868, c. 2r), ma difficilmente ripresa in modo autonomo nel corso del Medioevo. Tra le rappresentazioni dei Padri della Chiesa come autori devono essere citati in particolare i r., sviluppati in forma di scena, di Gregorio Magno ispirato da una colomba e osservato nell'intimità, come in una carta singola miniata dal Maestro del Registrum Gregorii, del 1000 ca. (Treviri, Stadtbibl., 171a). È invece raro che siano rappresentati in epoca medievale gli autori contemporanei; è quindi singolare che Ildegarda di Bingen sia stata raffigurata nel perduto Liber Scivias, del 1170 ca. (già Wiesbaden, Landesbibl., fol. 1), oppure nel Liber divinorum operum, del 1230 ca. (Lucca, Bibl. Statale, 1942), con elementi che la caratterizzano come autrice e come visionaria. Costituiscono allo stesso tempo r. dell'autore e immagini ufficiali le raffigurazioni in trono di Federico II e del re Manfredi nel De arte venandi cum avibus, del 1260 ca. (Roma, BAV, Pal. lat. 1071, c. 5v). Nel codice di Manesse (Heidelberg, Universitätsbibl., Pal. germ. 848), le centotrentotto miniature di Minnesänger abbandonano gli schemi tradizionali dei r. degli autori in favore di rappresentazioni che testimoniano lo stato sociale di appartenenza e che si differenziano tra loro per elementi aneddotici. L'immagine dell'autore dotto, rappresentato con caratteri individuali nel suo ambiente di lavoro, è attestata da un ritratto di Francesco Petrarca come autore, in un manoscritto del De viris illustribus del 1400 ca. (Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibl., 101, c. 1v), che risale a perduti modelli del 14° secolo.
Le fonti attestano l'esistenza di r. nelle raffigurazioni di eventi storici nelle pitture dei palazzi (per es. al tempo di Carlo Magno nel palazzo di Ingelheim, all'epoca di Federico I Barbarossa nel palazzo di Hagenau e nel palazzo di Palermo, dove Enrico VI fece dipingere le gesta del padre), tuttavia nulla se ne è conservato. Nell'ambito della miniatura, nelle cronache e nelle vite si incontrano spesso r. che tramandano un avvenimento storico; così avviene nella Vita Mathildis di Donizone, del 1114 (Roma, BAV, Vat. lat. 4922), con la raffigurazione della contessa e dell'imperatore Enrico IV a Canossa (c. 49v).È noto da disegni posteriori (Roma, BAV, Barb. lat. 2738, cc. 104r, 105v) il dipinto murale nel palazzo papale romano del Laterano, con quattro papi vittoriosi nelle lotte per le investiture, commissionato da Callisto II prima del 1124 per la ricostruita cappella di S. Nicola. I pontefici trionfano sugli oppositori, chinati ai loro piedi. Il r. all'interno di una serie diventa rappresentazione di un evento storico nella scena in cui Enrico V consegna il documento del concordato di Worms (1122) al papa committente.Una notevole quantità di tipologie di r. è tramandata dal Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli, del 1196 ca. (Berna, Bürgerbibl., 120 II) - cronaca figurata in versi con gli avvenimenti del regno di Sicilia fino alla fine del regno normanno -, che il poeta dedicò al nuovo sovrano, l'imperatore svevo Enrico VI (1169-1197). Accanto al r. dell'autore e al r. dedicatorio si trovano rappresentazioni di avvenimenti storici, raffigurazioni di sovrani con carattere di 'rappresentanza', r. allegorici e caricature degli oppositori. Commemorazione di un avvenimento e nel contempo 'pittura infamante' è il dipinto murale con la Cacciata del duca di Atene da Firenze, del 1343 (Firenze, palazzo Vecchio, Stinche vecchie).
Il r. all'interno di una serie fornisce la possibilità di mostrare, in termini monumentali, la continuità di un'istituzione mediante la disposizione seriale di coloro che hanno rivestito lo stesso incarico. In quasi tutti i casi noti per il Medioevo, la norma che regola la serie è prioritaria rispetto al criterio di individualizzazione. Sono da citare a Roma le serie dei r. papali, perduti a eccezione di pochi resti, nelle navate di S. Paolo f.l.m. e dell'antica S. Pietro. Singolare è il ciclo dipinto della stirpe dei sovrani Přem'yslidi nella cappella di S. Caterina di Znojmo, in Boemia (1134). Si può ritenere oggi che le gallerie regali francesi del sec. 13° fossero nella maggior parte dei casi serie di sovrani merovingi, carolingi e capetingi (Parigi, Notre-Dame; Reims, cattedrale; Amiens, cattedrale), così come, in Spagna, quelli dei reali di Castiglia (Burgos, cattedrale). Di segno del tutto profano erano invece le statue di cinquantotto re francesi nella Grand'salle del Palais de la Cité di Parigi dell'epoca di Filippo IV il Bello (post 1299). Una serie, in linea di principio, analoga si trovava anche sulle vetrate delle finestre alte della navata mediana delle chiese gotiche (Reims, cattedrale; Reims, Saint-Remi; Strasburgo, cattedrale, in origine con ventotto sovrani tedeschi; Colonia, duomo). Sulle vetrate potevano anche essere raffigurate serie di vescovi (Reims, Saint-Remi). I reliquiari presentavano talvolta i predecessori del santo nella carica da questi rivestita, talaltra i successori (cassa di S. Annone, del 1180 ca., un tempo con la raffigurazione degli arcivescovi di Colonia, Siegburg, St. Michael; cassa di Carlo Magno, ante 1215, con le figure dei re tedeschi, Aquisgrana, Domschatzkammer). Fra le molteplici tipologie delle raffigurazioni genealogiche in pittura vanno citate almeno le tavole genealogiche della Chronica regia Coloniensis, posteriore al 1238 (Bruxelles, Bibl. Royale, 4609).
Come opera plastica tridimensionale oppure come pittura, un r. di carattere ufficiale può dimostrare, in contesto sia profano sia religioso, la dignità, il potere e la legittimità dell'autorità, anche se in alcuni casi entrano in gioco altre funzioni (donazione, devozione, giustizia). Tale raffigurazione si distingue dal r. all'interno di una serie per il concentrarsi dell'attenzione su una singola persona, identificabile grazie al nome e la cui attività è in diretta connessione temporale con la realizzazione del ritratto. In molti casi un tale r. pubblico è, nell'aspetto e nel significato, un monumento, come emerge in particolare quando la persona viene onorata da altri per un fatto meritevole tramite un'opera che ne conservi il ricordo. Il monumento equestre dell'Antichità - grazie alla statua bronzea di Marco Aurelio a Roma, variamente interpretata nel Medioevo, al Regisole di Pavia, oggi perduto, e a un cavaliere in bronzo che Carlo Magno aveva fatto trasportare da Ravenna ad Aquisgrana, anch'esso scomparso - rimase sempre presente nella coscienza del Medioevo.L'immagine del sovrano costituisce l'insegna del potere nelle monete e nei sigilli. L'uso di apporre il sigillo con la propria immagine ebbe origine nel Medioevo nell'831 con Ludovico II il Germanico. Come tipologia normale di r. nei sigilli si ha comunemente una riproduzione a figura intera del personaggio rappresentato, con le vesti proprie del ruolo, in posizione stante oppure in trono. Si ebbero però anche forme particolari di r., a mezza figura, con il busto visto di fronte o di profilo; spesso vi si aggiunse un'architettura a baldacchino. I r. di signori laici si distinguono da quelli dei principi ecclesiastici per l'abbigliamento e le insegne. All'interno di tale tipologia si tentò occasionalmente di far acquisire all'immagine un maggiore realismo. Una forma particolare è costituita dai sigilli di cavaliere della nobiltà dei secc. 13° e 14°, accanto ai quali si ebbero anche rappresentazioni dal carattere maggiormente individualizzato, senza armatura e senza armi.Quale efficacia abbia un r. come prova di potere viene spiegato da una cronaca di epoca carolingia dell'abbazia di Glanfeuil (Versus de eversione monasterii flonnensis; Beutler, 1964, p. 26). Il duca dei Bretoni Nominoe, insorto contro Carlo il Calvo, per dimostrare che non temeva l'imperatore, volle far erigere una splendida statua con la propria effigie sul timpano della chiesa. I monaci la portarono a Carlo e questi fece innalzare la sua statua in pietra bianca sul tetto della chiesa. L'imperatore Federico II volle installare, prima del 1239, al di sopra della porta fortificata del suo regno nell'Italia meridionale, sul ponte di Capua, sulla facciata che guardava verso lo Stato della Chiesa, il suo r. in trono, realizzato in pietra. La statua (Capua, Mus. Prov. Campano), della quale è conservato il torso, oltre a un calco in gesso della testa, si attiene alle immagini ufficiali dei sigilli, arricchendosi tuttavia con elementi di derivazione antica. Grazie alle figure allegoriche che lo accompagnavano (busto colossale femminile da una Capua fidelis o Giustizia e due giudici, forse Virtù; Capua, Mus. Prov. Campano), il r. del sovrano costituisce l'illustrazione dell'idea dello Stato che, come recitava l'iscrizione, favorisce coloro che sono fedeli, ma punisce con durezza i traditori. Sulla torre occidentale del duomo di Friburgo in Brisgovia si ritrovano quattro figure di principi seduti, tra le quali una con la spada del giustiziere sulle ginocchia: si tratta dei signori della città, gli Zähringer e gli Uracher, certamente Corrado I e i suoi tre figli, che stanno a segnare il luogo dove si amministrava la giustizia (1280 ca.). Risale alla stessa epoca la colossale figura in trono del re Carlo I d'Angiò (1266-1285) in Campidoglio (Roma, Mus. dei Conservatori), che, per il fatto stesso di trovarsi in un simile luogo, illustra la sovranità e la competenza giurisdizionale del re, in quanto detentore della carica di senatore romano.Gli esempi citati sembrano indicare che i r. ufficiali fossero molto diffusi, ma non è così; si tratta di casi particolari, come notavano anche i contemporanei. Ciò appare particolarmente chiaro nelle statue di papa Bonifacio VIII (1294-1303): vanno menzionate entrambe le raffigurazioni in trono lapidee sopra due porte della città di Orvieto (1297); nel 1301 venne portata a termine a Bologna una statua del papa in lamina di bronzo dorata (Bologna, Mus. Civ. Medievale). Verso la fine del suo pontificato a queste si aggiunse inoltre un r. colossale di marmo sulla facciata del duomo di Firenze (Firenze, Mus. dell'Opera di S. Maria del Fiore). Tali opere non furono commissionate dal personaggio rappresentato, ma testimoniano invece l'omaggio a Bonifacio VIII da parte di questi Comuni, in particolari circostanze storiche; nonostante ciò il papa venne accusato di idolatria. Il processo, intentato nel 1309 dal re di Francia Filippo il Bello contro il defunto papa, ebbe origine dalla (intenzionalmente) errata interpretazione di una donazione espiatoria di un r. d'argento del papa, fatto installare dal Capitolo e dal vescovo di Amiens sull'altare della cattedrale; tale r. non va considerato un idolo, ma deve essere classificato come forma particolare di r. votivo 'indiretto'. Le due statue colossali in trono dell'imperatore Carlo IV e del figlio Venceslao IV sulla facciata della torre del ponte di Carlo a Praga (post 1361) appaiono inserite, come statue di sovrani, all'interno di un ciclo di santi boemi. Sebbene tali figure siano individuabili per i simboli araldici e per le insegne, esse si differenziano del tutto dal r. di Carlo IV nel transetto sud della collegiata di Mühlhausen, in Turingia, dove l'imperatore e il suo seguito, ritratti in pietra in maniera illusionistica, si appoggiano sulla balaustra della galleria. Una particolare forma di presentazione, del tutto diversa da questa, venne scelta dal signore di Ferrara, Alberto V d'Este (m. nel 1393), per la facciata del duomo della città: accanto al testo della bolla papale con la concessione feudale, il nobile signore è rappresentato in vesti di pellegrino, in segno di devozione. È possibile che abbia avuto carattere di memoria anche il monumento (forse una statua su colonna) fatto erigere nel 1124 dalla città di Pisa per il suo console Rodolfo. È conservato anche il rilievo di cavaliere, di dimensioni minori rispetto al naturale, del podestà di Milano Oldrado da Tresseno nella facciata sud del broletto Nuovo, la cui iscrizione, datata 1233, gli attribuisce il merito di una vittoria sui catari.Anche la pittura poteva costituire il mezzo per rappresentare i sovrani. La grande tavola di Riccardo II di Inghilterra in trono (1377-1399), nell'abbazia londinese di Westminster, riproduce, in posizione frontale, il re con le sue insegne, senza i segni della devozione, anche se viene chiesto il ricordo nella preghiera. Guidoriccio da Fogliano, nel dipinto murale di Simone Martini che sovrasta l'ampia sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena, si pone come predecessore del condottiero-cavaliere del primo Rinascimento. La raffigurazione costituisce un omaggio della città al vittorioso capitano dopo la conquista di Montemassi e Sassoforte nel 1328.Come immagini ufficiali di carattere negativo vanno invece intese le 'pitture infamanti', tramandate soprattutto per il Trecento, di cui però non si sono conservati resti.Con effigie (effigies) si intende un manichino (mannequin) a grandezza naturale realizzato in legno oppure in qualche altro materiale leggero, che, ricoperto da vesti, poteva temporaneamente 'sostituire' una persona; in particolare le effigi potevano prendere il posto del defunto nel corso delle lunghe celebrazioni funebri, ma venivano utilizzate anche in altri contesti cerimoniali. Più raramente nel corso del Medioevo, ma soprattutto all'inizio dell'età moderna, ci si serviva di un simile sostituto nei processi in contumacia. In generale si può dedurre che l'effigie tendeva a essere somigliante alla persona che sostituiva. La diffusa usanza antica di far riprodurre le fattezze del defunto perché fosse presente nel corso delle festività non trovò alcun seguito nel Medioevo. Soltanto nel sec. 12° sembra che si sia giunti in casi sporadici a sostituire nel corso delle esequie il corpo del defunto con un'effigie; in tal senso il testamento del vescovo Corrado II di Worms stabiliva per es. che, per ciascuna messa in suffragio e nell'anniversario della ricorrenza, un manichino vestito con i paramenti vescovili venisse posto sul trono vescovile, per il tempo della celebrazione liturgica (Illert, 1965-1966). In Inghilterra, dalla morte del re Edoardo II (1327), nel corso delle cerimonie funebri regali furono utilizzati r. in legno scolpito: "ymaginem de ligno ad similitudinem dicti domini Regis Edwardi deffuncti" (Brückner, 1966, p. 70). Il rigido manichino di legno di Edoardo III (m. nel 1377) si conserva nell'abbazia di Westminster, così come un consistente numero di immagini analoghe, sempre più realistiche, la cui produzione giunse fino al 18° secolo.
Il monumento funebre costituisce l'occasione di gran lunga più diffusa per un personaggio di assicurarsi tramite il r. una memoria oltre la morte. Se si contano anche le figure incise, si giunge per il Medioevo a un corpus di decine di migliaia di esempi e a un numero originario di opere nell'ordine di centinaia di migliaia. D'altra parte deve essere sottolineato che dalla fine dell'epoca tardoantica fino al tardo sec. 11° le tombe restarono prive di immagini; le uniche eccezioni sono state rinvenute nel 1977 nel Saint-Georges ad Ainay, in Belgio: si tratta del sarcofago di una nobile merovingia del sec. 7°, sul cui coperchio può vedersi la defunta a figura intera con un pastorale, tra motivi a intreccio. Due iscrizioni la identificano con Sancta Chrodoara.Le caratteristiche tipiche di un'immagine funebre medievale sono in genere: la figura intera, la riproduzione molto particolareggiata dell'abbigliamento - con notevole attenzione alle vesti connesse al ruolo svolto e agli elementi che ne individuano la dignità -, oltre a un'iscrizione che non soltanto riporta il nome e il rango del defunto, ma spesso anche l'origine e il giorno della morte. Quest'ultimo elemento aveva la funzione di offrire un ulteriore punto di riferimento per il ricordo annuale. Le lastre funebri, anche quelle con la figura realizzata con tecniche bidimensionali o in bassorilievo, si trovavano nel Medioevo a livello pavimentale e venivano calpestate. Soltanto nel caso di sepolture particolari, come le tombe dei donatori, le lastre venivano sollevate al di sopra del livello del pavimento oppure veniva reso interamente visibile il sarcofago. Di questo genere di sepoltura fanno parte le tombe con figure giacenti scolpite. La posizione verticale delle lastre tombali si ebbe soltanto in epoca tardogotica, a seguito della mancanza di spazio negli ambienti della chiesa e del chiostro, completamente occupati da tombe. I r. funebri sono quindi costituiti per il Medioevo da figure giacenti, come risulta evidente per la presenza del cuscino che, a partire dall'inizio del sec. 13°, venne posto sotto la testa del defunto. Le immagini funerarie appaiono d'altro canto stanti, spesso accennano persino un passo, e anche il ricadere del panneggio obbedisce alla forza di gravità, come avviene appunto per una persona stante. Il giacere e lo stare in piedi sono quindi riuniti in un'unica rappresentazione, in un'ambivalenza però coerente e intenzionale. La duplicità di significato della posizione riguarda anche il grado di realtà del ritratto. Da un lato le attestazioni della dignità della posizione, riferite come attributo, trasformano il defunto rappresentato in una persona nell'esercizio delle sue funzioni, che per i suoi diritti terreni appare immobilizzata in una 'vita eterna' terrena. Dall'altro gli occhi, per lo più ben aperti, i volti, spesso di aspetto giovanile e sereno, il corpo intatto, privo di ferite e deformità, non di rado anche le figure di angeli che compaiono, alludono a un primo stato di felicità eterna. Si vogliono chiaramente intendere entrambe le cose. La tendenza a una raffigurazione ideale non individualizzata, come venne espressa in particolare nei r. funebri gotici (per es. a Fontevraud l'effigie di Eleonora d'Aquitania, morta più che ottantenne nel 1204), trovava probabilmente il suo fondamento nell'idea che le anime in cielo avessero l'età di Cristo, ovvero trentatré anni. In questo modo gli autori medievali (per es. Ottone di Frisinga, m. nel 1158; Chronica sive Historia de duabus civitatibus; MGH. SS rer. Germ., XLV, 1912) tentarono di fornire una spiegazione al problema della vita corporea dopo la morte. Una tale tendenza non fu tuttavia legge universalmente valida; vi furono sempre eccezioni e, a uno sguardo più attento, sottili differenziazioni, che per lo meno alludevano all'età e all'aspetto del defunto. La somiglianza ritrattistica nelle immagini funebri, ipotizzata talvolta a partire dal sec. 13°, fu più frequente a partire dalla seconda metà del 14° e nel 15° venne normalmente perseguita. Ambiziosi monumenti venivano spesso eretti quando ancora il loro possessore era in vita, come testimonia la tomba di Bonifacio VIII di Arnolfo di Cambio, di cui tra i frammenti rimasti è compreso il r. del papa (Roma, S. Pietro in Vaticano, Grotte). Se si volessero raggruppare i r. funebri da un punto di vista funzionale, analogo a quello adottato per i r. nel loro complesso, andrebbero classificati nella maggior parte dei casi come r. ufficiali, in molti come r. di devozione, in misura minore come r. del fondatore. Una così precisa suddivisione è tuttavia impraticabile, sicché bisogna accontentarsi di ordinare il numero quasi sterminato di esempi da un punto di vista cronologico e regionale e nel contempo riferirli solo ad alcune particolari forme funzionali.Un alto contenuto di rivendicazione politica viene manifestato dal primo r. funebre del sec. 11°: si tratta di una lastra tombale in bronzo dell'antiré tedesco Rodolfo di Svevia (Merseburg, duomo), ucciso nel 1080 in battaglia dai suoi oppositori. Il pretendente al trono presenta tutte le insegne della dignità imperiale, anche se non fu mai incoronato re. Il r. funebre doveva essere inteso come monumento politico tale da istituire una memoria che aiutasse a compensare la delusione del partito. All'inizio del sec. 12° si ritrova quindi in ambito tedesco un numero consistente di r. funebri in pietra di principi che - come nella lastra bronzea di Rodolfo di Svevia circondata da una cornice piatta - accennano solamente la figura in un rilievo che a malapena emerge al di sopra della cornice. Di questo genere sono, tra le altre, le tombe dei fondatori della famiglia comitale di Nellenburg nel duomo di Sciaffusa, una serie di badesse dell'alta nobiltà nell'abbazia di Quedlinburg e un r. di fondatore con modello della chiesa nella parrocchiale di Hesse, in Lotaringia. Venne inserito all'incirca in questo stesso periodo in una struttura architettonica a baldacchino il r. funebre in stucco di Widuchindo (m. nell'807), duca dei Sassoni, a Enger, in Vestfalia. Il bronzo, materiale particolarmente pregiato, venne utilizzato per la lastra tombale di due arcivescovi di Magdeburgo, Friedrich von Wettin (m. nel 1152) e un suo successore, forse Wichmann (m. nel 1192).Unico per forma è il primo r. funebre in Francia, quello dell'abate Isarno (m. nel 1048; Marsiglia, Mus. Borély), della fine del sec. 11°, proveniente da una cappella dell'abbazia di Saint-Victor a Marsiglia. La figura dell'abate si trova all'interno di una cavità ricavata dal coperchio del sarcofago in marmo a forma di vasca, come se vi si potesse guardare all'interno. Il corpo dell'ecclesiastico è coperto da una grande tavola con iscrizione e se ne possono vedere soltanto la testa e i piedi; questo tipo di immagine funebre risale a modelli antichi. Al 1100 ca. può risalire la lastra tombale, gravemente danneggiata, di s. Memmio nella chiesa di Saint-Memmie presso Châlons-sur-Marne, nella quale i motivi della cornice ricordano una fascia a intreccio. Nella chiesa di Bruay-sur-l'Escaut, presso Valenciennes, la sepoltura notevolmente ambiziosa di s. Farailde presenta ai lati della santa due figure femminili di dimensioni minori e raffigura l'elevatio dell'anima nell'arcata del baldacchino. Nell'abbazia di Saint-Faron a Meaux si trovava un monumento della metà del sec. 12° destinato a un nobile carolingio venerato come un santo. Sul sarcofago, oggi scomparso, ma conosciuto attraverso un'incisione di Mabillon (Annales Ordinis S. Benedicti, II, Paris 1704, pp. 376-377), giacevano Uggeri il Danese e il suo compagno Benedikt. Il sarcofago era inserito in una nicchia, realizzata come un portale figurato ad archivolti. Una particolare forma di r. funebre, che si trovava nella chiesa abbaziale di Saint-Remi a Reims, si conserva oggi in modo frammentario (Reims, Mus. Saint-Remi): due figure in trono di sovrani, appartenute alle tombe del re Luigi IV d'Outremer (m. nel 954) e di suo figlio Lotario (m. nel 986), dovettero essere realizzate intorno al 1130, a quanto attesta lo stile.R. funebri di sovrani giacenti si diffusero soltanto con il rinnovamento delle tombe merovinge nella parigina Saint-Denis, a opera di Luigi VII intorno al 1160-1170. È conservata la lastra di Childeberto, che, per la presenza di un modello nelle mani, ha nel contempo anche la funzione di immagine del fondatore. Una singolarità dei r. funebri francesi è l'uso dello smalto e del metallo, come nella lastra piatta (1160-1170) a Saint-Denis con il r. della regina merovingia Fredegonda, realizzato da un insieme di pietre tagliate, divise le une dalle altre da traverse di metallo. Per l'alta nobiltà si imposero in misura sempre più rilevante figure in metallo su un fondo di smalto, in parte preparato a Limoges. Il primo esempio è di dimensioni molto inferiori rispetto a quelle naturali e mostra Goffredo Plantageneto (m. nel 1151), conte d'Angiò, con la spada sguainata su uno sfondo colorato, con motivi a giglio (Le Mans, Mus. de Tessé). Tra i r. in metallo del sec. 13°, conservati in numero ridotto, uno degli esempi più ricchi è costituito dalla tomba del figlio di Luigi IX, Jean de France (m. nel 1243; Parigi, Saint-Denis), proveniente da Royaumont, che nella sua forma originaria mostrava, sulla parete posteriore dell'arcosolio della tomba, un r. dipinto a figura intera di dimensioni più grandi del normale, in vesti di falconiere. Nella cattedrale di Amiens si conservano, senza però la decorazione policroma, le figure giacenti in bronzo di due vescovi della città. Quella di Evrard de Fouilloy (m. nel 1222) - con le plastiche forme corporee, l'arcata triloba concepita come elemento architettonico, l'aspide e il basilisco calpestati - può essere considerata come esempio emblematico di una tipologia di raffigurazione tombale del Gotico maturo, diffusa in molte regioni dell'Europa nel corso del sec. 13°, per es. la lastra di bronzo dell'arcivescovo Konrad di Hochstaden (m. nel 1261) nel duomo di Colonia. Nelle tombe nobiliari, invece, leoni oppure cani - che incarnavano le virtù del defunto piuttosto che un vizio sconfitto - sostituivano gli animali calpestati, come nella tomba doppia, del 1330 ca., per i duchi Gottfried e Otto, fondatori nel sec. 12° del monastero premostratense di Cappenberg.In Inghilterra i r. funebri si affermarono nella prima metà del sec. 12°, all'incirca contemporaneamente alla Francia. Tra i r. funebri inglesi va citato il caratteristico tipo con gli stemmi che, nell'atto di sguainare la spada, incrocia una gamba sull'altra come in un affondo, per es. in un'opera del sec. 13° nella New Temple Church di Londra. Un caso particolare è rappresentato dalla sepoltura della famiglia reale inglese nell'abbazia di Fontevraud: Enrico II Plantageneto (m. nel 1189), Eleonora d'Aquitania, Riccardo Cuor di Leone (m. nel 1199) e altri membri della famiglia dei Plantageneti sono ritratti come composti per l'eternità nella bara. Contrariamente alla prassi consueta i loro occhi sono chiusi e mancano gli elementi propri della posizione stante. Essi sono rappresentati come dormienti, anche se Eleonora ha tra le mani un libro aperto. Sono invece totalmente dipendenti dalla tipologia ritrattistica parigina della fine del sec. 13° le figure giacenti in metallo di Enrico III (m. nel 1272) e di Eleonora di Castiglia (m. nel 1290), nell'abbazia di Westminster a Londra, fuse dopo il 1292 da William Torel.In Italia i r. funebri sono sconosciuti fino alla seconda metà del 13° secolo. Le rare eccezioni, come il r. sulla tomba di papa Lucio III (m. nel 1185) nel duomo di Verona, si spiegano con influssi provenienti dal Nord delle Alpi. Il primo r. funebre autonomo fa parte di una serie di tombe di papi e di cardinali, poste al di sotto di un alto baldacchino a parete, e venne realizzato dal romano Pietro di Oderisio per papa Clemente IV (m. nel 1268) a Viterbo, dove è attualmente conservato nella chiesa di S. Francesco. Nonostante il papa fosse francese, non furono importate tanto forme francesi, quanto piuttosto venne sviluppato un elaborato concetto di tomba e di r., che riprendeva motivi propri dell'architettura e della decorazione funebre di Roma. Alla nuova tipologia elaborata appartengono gli occhi chiusi e i tratti aspri dal carattere realistico, che rendono la figura una riproduzione del defunto. La veste non risponde alla diversa gravità della posizione giacente, ma mancano i motivi propri della posizione stante. I tratti che individuano l'età e il carattere realistico furono determinanti anche in seguito nella maggior parte dei monumenti funebri di alti prelati della Curia, così come avviene per il monumento funebre a muro, conservato in modo frammentario e un tempo su più livelli, del cardinale Guglielmo De Braye (m. nel 1282) in S. Domenico a Orvieto, realizzato da Arnolfo di Cambio (v.). L'immagine del defunto, con le fattezze proprie della vecchiaia, rompe il dualismo della rappresentazione delle effigi funebri del Nord (con l'eccezione di Fontevraud). Nonostante la preziosità del marmo, lo zoccolo del sarcofago, realizzato come quello di un monumento, e la messa in scena dello sfarzoso letto tramite i diaconi che aprono la cortina, il r. costituisce una dimostrazione di devozione e di memento mori. Coerentemente, nel monumento funebre italiano, alla violenza della morte sono anteposte, a un più alto livello, la speranza, l'intercessione o l'attesa della beatitudine. La tomba del cardinale di Orvieto costituisce uno dei primi e pienamente compiuti monumenti del genere. Tale schema si conserva intatto nella tomba del papa Benedetto XI (m. nel 1304) nel S. Domenico di Perugia, che mostra nella zona superiore del monumento una seconda raffigurazione del defunto, vivente, in procinto di ottenere la beatitudine, inginocchiato di fronte alla Vergine e raccomandato dai santi. La visibilità di una figura giacente, in un monumento funebre a parete di tipo italiano, è sempre fortemente limitata. È certamente per questo motivo che il r. nella zona al di sopra del sarcofago è potuto diventare il vero e proprio punto focale. Così per es. nel duomo di Firenze il vescovo Antonio degli Orsi (m. nel 1320), inginocchiato davanti a Cristo e presentato dalla Madonna nel rilievo anteriore del suo sarcofago, è raffigurato soltanto in dimensioni ridotte. Egli è però nuovamente rappresentato in trono e in dimensioni conformi al naturale sul sarcofago, non come vivente, ma come defunto in posizione seduta.La figura nel piano superiore della tomba si trasformò coerentemente nel corso del Trecento in una figura vivente riprodotta nel suo ruolo secondo un'impostazione monumentale. In questo modo, nel S. Francesco di Cortona, è stato rappresentato il vescovo Ranieri Ubertini da Cortona (m. nel 1348) al di sopra del talamo funebre. L'espressione più ricca di questa concezione del sepolcro su più livelli, da leggere in maniera anagogica, si ritrova nelle tombe napoletane, come quella del re Roberto d'Angiò (m. nel 1343) a S. Chiara. Il defunto non è rappresentato meno di quattro volte: in trono tra i suoi successori sul lato anteriore del sarcofago (immagine della continuità terrena), come cadavere consunto dall'età sul sarcofago (la caducità), come immagine di rappresentanza di dimensioni maggiori del reale in trono nel piano al di sopra del sarcofago (riferimento al ruolo ricoperto e immagine-monumento), in ginocchio in preghiera al cospetto della Madonna (speranza nella vita celeste), presentato dai santi, immagine della fiducia nel Giudizio universale, che trova una corrispondenza nel Cristo giudice nel timpano.I più spettacolari tra i monumenti nobiliari del Trecento sono le tombe degli Scaligeri a Verona, opere che sono allo stesso tempo monumenti funebri ed equestri, non pensati per ambienti interni, ma concepiti per uno spazio esterno. Cangrande della Scala (m. nel 1329) è rappresentato, secondo forme convenzionali, come defunto sul letto funebre. Dalla sommità del baldacchino funebre sorge un'alta piramide, sulla quale il principe armato e sorridente, sul suo cavallo da battaglia, mostra la spada sguainata. Il dualismo tra morte e vita, tra caducità e potere deve qui essere letto, nonostante l'imago pietatis sul sarcofago, soprattutto come un'immagine della continuità del potere terreno e come memoria. Punta estrema del culto del potere nel Medioevo va considerato il monumento funebre di Bernabò Visconti (m. nel 1385), realizzato nel 1363, quando egli era ancora in vita (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica). Al posto della figura del giacente, sul sarcofago è stata collocata la statua del duca a cavallo, ben eretto sulle staffe. La tomba era stata concepita come monumento libero, al di sopra di alte colonne dietro l'altare maggiore della chiesa di S. Giovanni in Conca a Milano e appariva come posta sopra l'altare. Oltre agli alti prelati e alla nobiltà, l'unico gruppo sociale che, a partire dal Trecento, dette testimonianza di sé tramite ambiziosi monumenti funebri è quello dei professori. Secondo la tipologia consueta, il lato anteriore del sarcofago è caratterizzato da una scena con il defunto in cattedra, rappresentato nell'esercizio delle proprie funzioni, mentre insegna agli studenti. Nel monumento funebre del grande giurista Cino da Pistoia (m. nel 1337), nella cattedrale della città, la scena consueta viene ampliata da un gruppo di sculture sul sarcofago, al centro delle quali, in grandi dimensioni, è rappresentato in trono Cino, che disputa con un gesto vivace, mentre sei suoi colleghi, in dimensioni molto ridotte, sono raffigurati di lato, in posizione stante, mentre annuiscono. Dal punto di vista strutturale il modello con cui tale gruppo risulta, più che con ogni altro, indebitato, è il monumento funebre di Arrigo VII (m. nel 1313), opera di Tino di Camaino, con l'imperatore in trono tra quattro consiglieri di minori dimensioni (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana).
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P.C. Claussen
In epoca protobizantina, la pratica del r., diretta eredità della tradizione romana, riguardò principalmente gli imperatori. I r. esistevano sin dall'epoca costantiniana (statua colossale di Barletta, sec. 4°), ma acquisirono un carattere propriamente bizantino solo a partire dal 6° secolo. Più che di un r. vero e proprio, nel senso attuale del termine, si trattava di una sorta di documento ufficiale che certificava la salita al trono di un imperatore, sottintendeva la sua presenza e la sostituiva in alcune cerimonie in cui riceveva gli onori spettanti all'imperatore stesso, al pari del quale era considerato sacro. La presenza del r., che presiedeva in assenza del basiléus regnante, era altresì necessaria nella procedura giudiziaria e nei giochi del circo; esso compariva sui pesi, sui punzoni, sui sigilli e sulle monete, e veniva inoltre affisso sullo stendardo (labarum) degli eserciti. Per queste funzioni non era necessaria alcuna somiglianza fisica del r. con l'imperatore, ma piuttosto la rappresentazione fedele del costume e delle insegne del potere del sovrano. Si trattava del lóros, della croce-scettro, della corona e della sfera, simbolo del potere supremo.I r. protobizantini appartengono a diverse categorie e possono rappresentare il basiléus a mezzo busto all'interno di un clipeo - come accade nei dittici consolari, dove appare sorretto da personificazioni della Vittoria al di sopra del r. del console in piedi -, oppure ancora accompagnato da dignitari, come nel mosaico con Giustiniano e il suo seguito in S. Vitale a Ravenna (sec. 6°), di fronte al quale è posto il pannello raffigurante l'imperatrice Teodora con la sua corte. Tra i secc. 4° e 6°, l'imperatore venne anche rappresentato a cavallo, come nell'avorio Barberini, del sec. 6° (Parigi, Louvre). Altri r. trionfali mostrano l'imperatore nella sua loggia dell'ippodromo, acclamato dagli spettatori, mentre riceve l'omaggio dei prigionieri, come nel caso del bassorilievo della base dell'obelisco di Teodosio I (fine sec. 4°) a Costantinopoli. Questi r., essenzialmente a carattere trionfale appunto, riflettono da una parte l'ideologia bizantina, che vedeva nell'imperatore un essere superiore, scelto da Dio, e dall'altra il modo in cui queste idee erano realmente vissute nella vita pubblica del mondo bizantino.Dopo l'iconoclastia, a partire dalla seconda metà del sec. 9°, il r. imperiale tese a 'cristianizzarsi'. L'accento trionfale risulta meno predominante e in alcuni casi è sostituito dalla rappresentazione della pietà o della virtù del sovrano. Così, in un mosaico sul portale principale del nartece della Santa Sofia a Costantinopoli, Leone VI (886-912) è raffigurato in proskýnesis davanti al Cristo-Saggezza, suo sovrano, in presenza della Vergine orante e dell'arcangelo Gabriele, raffigurati a mezzobusto, con riferimento ai sermoni sull'annunciazione scritti dall'imperatore; Maria forma anche una Déesis con il Cristo e intercede in favore dell'imperatore. In un altro mosaico nella tribuna settentrionale della Santa Sofia, eseguito nel 912, l'imperatore Alessandro tiene la sfera in una mano e l'akakía (un fazzoletto contenente terra, per ricordare al sovrano la sua mortalità) nell'altra, dando così prova della propria umiltà.Il r. più frequente in epoca mediobizantina è quello del donatore - un imperatore, un re, un nobile o un vescovo - rappresentato nell'atto di offrire un codice o il modello di una chiesa a un personaggio sacro. Un mosaico (databile al 989 o al 1019) che rientra in questa tipologia è conservato nel vestibolo meridionale della Santa Sofia a Costantinopoli e mostra l'imperatore Costantino che offre il modello della sua città alla Vergine con il Bambino in trono; dall'altro lato Giustiniano I le presenta il modello della chiesa. Questi due imperatori, la cui presenza contemporanea è anacronistica, dal momento che vissero in due secoli diversi, hanno un valore essenzialmente simbolico e rappresentano l'immagine ideale del sovrano, al tempo stesso glorioso e virtuoso. Tale volontà di fare del basiléus un modello di virtù è ancora più evidente in un manoscritto del sec. 11° contenente la raccolta delle Omelie di Giovanni Crisostomo (Parigi, BN, Coislin 79, c. 2r), in cui l'imperatore, indentificato dall'iscrizione come Niceforo III Botaniate (1078-1081), è accompagnato da due piccole personificazioni della Verità e della Giustizia, poste dietro il trono.Le imperatrici si associano spesso ai doni fatti dall'imperatore, come in due grandi pannelli musivi nella tribuna meridionale della Santa Sofia di Costantinopoli: il primo mostra Costantino IX Monomaco (1042-1055) e l'imperatrice Zoe ai lati del Cristo; il secondo, eseguito intorno al 1118, raffigura la Vergine con il Bambino con Giovanni II Comneno (1118-1143) da una parte e l'imperatrice Irene dall'altra. In entrambe queste composizioni, severe e simmetriche, l'imperatore tiene un apokómbion (borsa che contiene almeno tre chili d'oro), mentre alla sua sposa è affidata una carta in cui sono enumerate le donazioni dell'imperatore alla grande chiesa. I volti, anche se idealizzati e stilizzati, sono segnati da qualche tratto individuale, mentre i corpi scompaiono completamente sotto le vesti rigide, sovraccariche di pietre preziose.A partire dal sec. 9°, i r. dei membri del clero divennero più numerosi. Nella Santa Sofia di Costantinopoli non solo furono rappresentati nel santuario quattro vescovi canonizzati, ma una sala attigua alle tribune era decorata da diciotto figure di vescovi (pervenute frammentarie) rivolte verso una Déesis. Altre categorie di donatori compaiono nei manoscritti: la celebre Bibbia di Leone sakellários (Roma, BAV, Reg. gr. 1), del sec. 9°-10°, mostra il patrizio ed eunuco Leone nell'atto di genuflettersi e offrire la sua Bibbia alla Vergine, posta su di un piedistallo, mentre Cristo benedice dall'alto dei cieli. Per un privato doveva essere evidentemente più facile finanziare la copia di un manoscritto piuttosto che non erigere una chiesa e da ciò deriva la maggiore varietà nei r. presenti sulle miniature di epoca mediobizantina. Tuttavia al sec. 12° risale la rappresentazione dell'ammiraglio Giorgio di Antiochia, tra altri r., ai piedi della Vergine nella chiesa della Martorana di Palermo (1143-1151), da lui fondata.A partire dal sec. 13° e durante la rinascenza paleologa (secc. 13°-15°), il r. conobbe una straordinaria fioritura nel mondo bizantino. Una delle cause fu certamente l'affermarsi delle correnti umaniste, che accordavano maggiore importanza all'individuo. Si ampliò notevolmente la sfera sociale di appartenenza dei donatori: alcune chiese furono edificate da funzionari, piccoli notabili, preti o anche cittadini comuni, in regioni isolate. La diffusione del r. fu inoltre favorita dall'affermarsi in Serbia di una dinastia giovane e ambiziosa.Accanto alle numerose innovazioni, due tipi di r., già noti in precedenza, conobbero una particolare diffusione nel corso della rinascenza paleologa: i r. familiari e Cristo che incorona il sovrano. Nel sec. 12° l'Incoronazione venne rappresentata nella Martorana di Palermo, con Cristo in piedi che pone la corona sul capo del re normanno Ruggero II, raffigurato in dimensioni più piccole. Nel sec. 14° in Serbia (chiese dei monasteri di Studenica, Lesnovo e Dečani) sono i sovrani, rappresentati con o senza famiglia, che occupano tutto il campo pittorico, mentre Cristo, minuscolo, in alto, regge una o due corone.Il r. familiare è frequentemente attestato nei secc. 13°-15°, come nella chiesa del monastero di Dečani (ca. 1350), ove compaiono il re Stefano Dušan, la moglie Elena e il figlio Stefano Uroš, o in un vangelo bulgaro (Londra, BL, Add. Ms 39627). Su due carte di questo manoscritto (cc. 2v, 3r), lo zar di Bulgaria Giovanni Alessandro (1331-1371) si fece rappresentare con la moglie (entrambi benedetti dalla mano divina) e con i sei figli, allineati secondo uno schema severo e geometrico, in cui i sontuosi vestiti appaiono resi in maniera quasi calligrafica, tanta è la cura per i più minuti dettagli. Un'altra miniatura conserva un r. familiare nel quale è rappresentata la preghiera esaudita dei personaggi raffigurati: si trova nel vangelo armeno della regina Keran, del 1272 (Gerusalemme, Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2563, c. 380r), e mostra il re, la regina e i loro quattro figli inginocchiati al di sotto di una Déesis; la Vergine leva una mano in preghiera verso Cristo mentre con l'altra indica la famiglia e la sua preghiera sembra essere esaudita dal momento che raggi d'oro scendono dall'aureola di Cristo verso ciascun membro della famiglia reale, suggerendo che la protezione divina è stata loro accordata.Il r. dinastico, il cui scopo era di mostrare la continuità del potere conferito da Dio a una famiglia, esisteva già nel sec. 10°, poiché negli affreschi della chiesa di Çavuçsin, in Cappadocia, sono rappresentati l'imperatrice Teofano, il suo sposo Niceforo Foca (963-969), Barda Foca e Leone Foca, rispettivamente padre e fratello di Niceforo, così come un personaggio di cui non viene indicato il nome. Una forma sintetica di r. dinastico si ritrova in Georgia all'epoca della regina Tamara (1184-1213), tra la fine del sec. 12° e gli inizi del successivo. Negli affreschi della chiesa di Kincvisi (1207), questa regina appare preceduta dal padre, il re Giorgio III, e seguita dal figlio Laša, in preghiera dinanzi a Cristo in trono (più piccolo di loro), che li benedice.È tuttavia innegabile che questo tipo di r. si sviluppò in maniera particolare in Serbia nel 13° e nel 14° secolo. Così, nella chiesa della Trinità a Sopočani (1265) sono raffigurati i membri della dinastia serba che si tengono per mano nell'atto di presentarsi al re Milutin e al fondatore della dinastia, Stefano Nemanja, che doveva presentarli alla perduta immagine di Cristo. In Serbia (chiese del monastero di Gračanica, del 1321-1322, e del monastero di Matejić del 1356-1360) venne inoltre creata un'altra forma di r. dinastico, l'albero genealogico della dinastia dei Nemanja, esemplato sull'albero di Iesse, che illustra la genealogia di Cristo.I r. funerari si trovano nel mondo bizantino a partire dal sec. 13°, come nel caso di un sarcofago scolpito nella chiesa di S. Teodora ad Arta, in cui la despótissa Teodora (m. nel 1270 ca.), sposa di Michele II Ducas, e suo figlio Niceforo appaiono sotto un arco trionfale, fiancheggiati da due angeli. I r. funerari più celebri si trovano negli affreschi del parekklésion meridionale del S. Salvatore di Chora (Kariye Cami) a Costantinopoli (ca. 1320): i defunti sono raffigurati in gruppi di personaggi stanti all'interno di quattro arcosoli scolpiti.In epoca paleologa, alcuni r. di imperatori e di re furono talvolta associati a scene storiche e religiose, come rappresentazioni di concili ecumenici - per es. nel monastero di Gelati, in Georgia (sec. 13°), o in un manoscritto del 1347-1354 con le opere teologiche di Giovanni VI Cantacuzeno (Parigi, BN, gr. 1242, c. 5v) -, di concili nazionali (concilio di Simeone Nemanja nella chiesa di S. Demetrio a Peč, in Serbia, 1338-1346), delle ultime stanze dell'inno Acatisto (monastero di Markov, in Macedonia, 1366-1371, stanza 23), dello stikerón di Natale (nella Theotokos Peribleptos a Ochrida, 1295; nella chiesa dell'Ascensione a Žiža, in Serbia, 1309-1316), della morte di un componente della famiglia reale (chiesa della Trinità di Sopočani, Morte della regina Anna Dandolo, 1265).Anche se nei secc. 13° e 14° nello stile pittorico bizantino fecero la loro comparsa il volume, il modellato e a volte perfino dei tipi fisiognomici comuni, i r. dei sovrani rimasero legati all'astrazione e alla smaterializzazione dei corpi del passato. Ciò derivava dalla concezione che si aveva dell'imperatore nel mondo bizantino, adottata senza riserve dai popoli slavi e caucasici. L'eccezione a questa regola è costituita dal r. di un imperatore non più in carica, rappresentato nelle vesti di un monaco, alla fine della vita. Il citato manoscritto di Giovanni VI Cantacuzeno mostra un doppio r. dell'autore come imperatore e come monaco, sormontato da tre angeli, che simboleggiano la Trinità; il volto del monaco, dai tratti irregolari, sembra un autentico r. (c. 123v).Potrebbero essere citati altri esempi di questo tipo, ma generalmente non si tratta di sovrani. Così, nella chiesa di Haghios Christos a Verria (1315), in Grecia, nella parete meridionale un piccolo monaco anonimo è inginocchiato ai piedi di alcuni santi; la condizione molto umile e la sua probabile presenza effettiva nella chiesa durante i lavori hanno permesso al pittore di dipingere un volto ispirato all'osservazione diretta.
Bibl.: S. Radojčić, Portreti srpskih vladara u srednjem veku [I r. dei sovrani serbi nel Medioevo], Skopje 1934; T. Velmans, Le portrait dans l'art des Paléologues, in Art et société à Byzance sous les Paléologues, "Actes du Colloque, Venise 1968" (Bibliothèque de l'Institut hellénique d'études byzantines et postbyzantines de Venise, 4), Venezia 1971, pp. 93-148; id., Un témoignage sur la société: les images des contemporains, in La peinture murale byzantine à la fin du Moyen Age (Bibliothèque des CahA, 11), Paris 1977, pp. 69-97; I. Spatharakis, The Portrait in Byzantine Illuminated Manuscripts, Leiden 1976; K. Wessel, s.v. Kaiserbild, in RbK, III, 1978, coll. 722-853; C. Jolivet-Levy, Images du pouvoir dans l'art byzantin à l'époque de la dynastie macédonienne 867-1056, Byzantion 57, 1987, pp. 441-470.
T. Velmans
In numismatica, il termine r. viene utilizzato generalmente solo per r. fisionomici, quali furono quelli dei dinasti ellenistici e degli imperatori romani o, più tardi, i r. del Rinascimento, mentre non si parla di r. per monete emesse tra il sec. 5° e la metà del 15°, periodo in cui non furono prodotti, a parte rare eccezioni, r. 'autentici' sulle monete. Il termine r., comunque, può essere accompagnato da elementi di specificazione come 'autentico' o 'convenzionale', che indicano una percezione critica da parte dell'osservatore. Prima della formazione di una disciplina numismatica critica, tuttavia, ogni effigie monetale era considerata come un vero e proprio r. (Haskell, 1993, pp. 13-41).Per la maggior parte, dunque, i r. monetali di epoca medievale non sono autentici r., ma essenzialmente rappresentazioni simboliche, così come, del resto, molti dei r. monetali antichi, ben lontani dall'essere una riproduzione fedele dei caratteri individuali del personaggio rappresentato. Il carattere prevalentemente simbolico appare sottolineato anche in un passo di Tommaso d'Aquino, secondo cui "nummisma sive moneta propria ornamentum est regis et regni et cuiuslibet regiminis, quia in ea repraesentatur imago regis ut caesaris [...]: unde in nulla re tanta potest esse claritas memoriae eius [...] quantum nummisma" (De regimine principum, I, 23). E di 'memoria' iconografica si può parlare, per es., per i r. ufficiali di Federico II (1198-1250; Claussen, 1995, p. 74).Fu essenzialmente con Costantino il Grande (306-337) e con la tetrarchia che il r. imperiale si trasformò e si diffusero i tipi convenzionali dell'imperatore giovane senza barba e dell'imperatore anziano con barba, baffi e fronte corrugata (Bruun, 1991). Nella monetazione tardo-imperiale e in quella bizantina prevalgono poi le raffigurazioni frontali, che rendono ancor più difficili le notazioni individuali (Grierson, 1982, pp. 29-30). Tuttavia, non sempre i busti imperiali bizantini furono esenti da trattazioni individuali, anche se queste si basarono spesso su differenti tagli di barbe e capelli, che del resto potevano anche variare per uno stesso personaggio.Gli imperatori bizantini non furono raffigurati con la barba fino a Foca (602-610), il quale si fece rappresentare con una vistosa barba a punta; e anche se il cronista Giorgio Cedreno (sec. 11°-12°) riferisce che Foca non portava la barba (Head, 1982, p. 38), questa nuova immagine, tanto diversa dalle precedenti, dovrebbe essere considerata senz'altro come frutto di una direttiva imperiale, scelta non a caso per diffondere un tipo del tutto nuovo, probabilmente con notazione fisionomica, e destinato a impressionare i sudditi. Del resto, le barbe non sono permanenti e anche Carlo II il Calvo (823-877) è raffigurato con capelli (Nelson, 1992, p. 13). Gli imperatori del sec. 7° cercarono di distinguersi gli uni dagli altri e di tener conto dell'età, segnata da barba di lunghezza crescente; notevole è il caso di Eraclio (610-641) e dei suoi discendenti. I capelli - spariti i pendenti della corona, sostituita dal diadema - acquisirono importanza e furono trattati in vario modo. In età iconoclasta dominarono busti stereotipi senza alcuna personalizzazione, mentre qualche elemento di caratterizzazione ricomparve con gli imperatori della dinastia macedone, a partire dalla seconda metà del sec. 9° (Grierson, 1982, p. 193).Passando alle monete occidentali, si possono premettere altre osservazioni di carattere generale: il r., realistico o meno, è una espressione sovrana per eccellenza, così come l'emissione di moneta. Non vi sono r. sulle monete comunali, che scelsero a simbolo prevalentemente un santo; il r. è, quindi, dei re o dei tiranni. L'effigie di pontefici, rara sui denari altomedievali, si diffuse solo a partire da Bonifacio VIII (1294-1303) e nella zecca provenzale di Pont-de-Sorgues, mentre a Roma si battevano monete 'comunali' a nome del Senato (Ladner, 1941-1984; Muntoni, 1972, p. 24). L'unico doge che osò porre il suo r. sulle monete della Repubblica di Venezia fu Nicolò Tron (1471-1473), suscitando però la riprovazione della cittadinanza (Papadopoli, 1907, p. 19). Anche a Gaeta, poco prima del novembre 1123, un proposto r. monetale trovò forte opposizione e il duca normanno fu costretto a rinunciarvi e a proclamare l'immobilità della moneta locale (Travaini, 1995, p. 337; 1997): benché non si possa parlare di 'repubblicanesimo' a Gaeta in questo periodo, né si possa essere certi che la protesta non fosse rivolta al cambiamento della moneta in sé, pure la menzione dell'imago del duca è importante. I duchi normanni di Puglia e i conti di Sicilia avevano dalla fine del sec. 11° posto la propria effigie sulle monete, curando allo stesso modo l'indicazione del proprio nome e del titolo, e spesso del numero ordinale in caso di omonimie (Ruggero II, Guglielmo II), ma nulla di personale è visibile su tali immagini sovrane, basate su tipi convenzionali di derivazione bizantina (Travaini, 1995).Le monete dell'Europa barbarica mostrano la progressiva deformazione del tipo classico, con punte di grande effetto, come nel medaglione di Teodorico (493-526), oggi a Roma (Mus. Naz. Romano), dai baffi ben delineati, in alcuni tipi anglosassoni di ispirazione antica, nelle monete longobarde o visigote di forte schematismo, e, più tardi, nelle prime monete di Kiev (Grierson, Blackburn, 1986; Grierson, 1991, pp. 22-28, 57). Una delle deformazioni più sorprendenti del busto antico diademato di profilo è nel tipo francese di Blois-Chinon, poi diffuso a Chartres e in molte altre zecche (secc. 11°-12°), dove il profilo assume la forma di una L rovesciata (Mayhew, 1988, p. 34).Spesso le monete medievali ripetono gli stessi tipi, immobilizzandoli per decenni, copiandoli da una zecca all'altra, così che uno stesso r. resta invariato e usato da diversi sovrani con il solo cambiamento della legenda. Ma vi sono anche casi in cui perfino il nome rimase immobilizzato: per es. nel tipo inglese short cross, emesso a nome di Enrico II (1154-1189) dal 1180 fino al 1247 (Grierson, 1991, p. 90).Carlo Magno (768-814) si ispirò chiaramente all'Antico per il suo busto monetale, ma i baffi sono un suo elemento personale. Lo stesso tipo fu usato dai suoi successori, anche se prevalsero poi tipi monetali senza r.: notevoli sono l'aureo di Ludovico il Pio (814-840) e le sue imitazioni in Frisia (Grierson, Blackburn, 1986, nrr. 748-761; Grierson, 1991, pp. 39-41).Le uniche due monete medievali per le quali si è parlato di r. in senso proprio appartengono entrambe al regno di Sicilia: si tratta dell'augustale di Federico II e del reale di Carlo I d'Angiò (1266-1285), che per peso e standard era comunque ancora un 'augustale'. Il busto classico federiciano, spesso citato come prototipo della medaglia rinascimentale, non nasce isolato, ma in un contesto di riscoperta dell'Antico e giustamente deve essere confrontato con altri r. ufficiali che mostrano un imperatore giovane (Kowalski, 1976; Claussen, 1995). Sui denari del regno, però, Federico compare in varie forme tradizionali medievali, alcune ispirate a tipi dell'Oriente latino e del regno di Gerusalemme, altre comuni in Germania, in un caso anche non coronato, mentre il tipo coronato sul grosso di Vittoria del 1247, pur essendo tradizionalmente medievale, può essere considerato come una vera sfida ai Comuni che Federico combatteva (Travaini, 1989; 1993). Il r. di Carlo I d'Angiò sul reale d'oro è molto vicino a quello della statua arnolfiana sul Campidoglio (Roma, Mus. dei Conservatori; Kowalski, 1974). Ma, a parte questi casi, l'effigie monetale dei sovrani medievali restò fortemente schematica. In età gotica prevalsero i seguenti tipi: busto frontale con corona fogliata e lunghi capelli; sovrano o pontefice seduto frontalmente in trono con scettro e globo o altri attributi, come la spada sulle ginocchia dei re serbi; sovrano stante in una architettura più o meno elaborata. Gli attributi parlano del sovrano e sono anche più rappresentativi dei suoi caratteri individuali (Schramm, 1928).L'avvento delle signorie in Italia settentrionale preparò il terreno al ritorno del r. monetale nel senso più classico, come espressione di una forte autocoscienza del principe. Quasi precursore ne è il busto di Giovanni di Boemia (1330-1335) sulle monete di Parma (Corpus Nummorum Italicorum, IX, 1925, p. 404) e Cremona (ivi, IV, 1913, p. 194). La rinascita del r. vero e proprio è stata preparata nell'Italia settentrionale da alcuni timidi tentativi: una barba inusualmente annotata su un grosso veneziano di Antonio Venier (1382-1400; Londra, J. Porteous Coll.); le 'protomedaglie' create nel 1390 a Padova per Francesco II Novello da Carrara (1390-1404), ispirate all'Antico e opera dei fratelli Sesto (Stahl, 1993; Stahl, Waldman 1993-1994; Desnier, 1995); la testa di profilo di Pandolfo III Malatesta (1404-1421) sul soldo di Brescia (Corpus Nummorum Italicorum, IV, 1913, p. 84).
Bibl.:
Fonti. - Tommaso d'Aquino, Tractatus de regimine principum (de rege et regno), in id., Opera omnia, a cura di S.E. Fretté, XXVII, Paris 1875, p. 367; Corpus Nummorum Italicorum, IV, Lombardia. Zecche minori, Roma 1913; IX, 1, Emilia. Parma e Piacenza, Modena e Reggio, Roma 1925 (rist. anast. 1970).
Letteratura critica. - N. Papadopoli, Le monete di Venezia, II, Da Nicolò Tron a Marino Grimani, 1472-1605, Venezia 1907; P.E. Schramm, Die deutschen Kaiser und Könige in Bildern ihrer Zeit, 751-1152 (Veröffentlichungen der Forschungsinstitute an der Universität Leipzig, 1), 2 voll., Leipzig 1928 (München 19832); G.B. Ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters (Monumenti di antichità cristiana, s. II, 4), 3 voll., Città del Vaticano 1941-1984; F. Muntoni, Le monete dei papi e degli stati pontifici, I, Roma 1972; H. Kowalski, Die Realen Karls I. von Anjou, Schweizerische Numismatische Rundschau 53, 1974, pp. 119-161; id., Die Augustalen Kaiser Friedrichs II., ivi, 55, 1976, pp. 77-150; P. Grierson, Byzantine Coins, London 1982; C. Head, Imperial Byzantine Portraits. A Verbal and Graphic Gallery, New Rochelle (NY) 1982; P. Grierson, M. Blackburn, Medieval European Coinage, I, The Early Middle Ages (5-10 Centuries), Cambridge 1986; N. Mayhew, Coinage in France from the Dark Ages to Napoleon, London 1988; L. Travaini, Un grosso federiciano di zecca incerta: Vittoria 1247?, Rassegna di studi del civico museo archeologico e del civico gabinetto numismatico di Milano 43-44, 1989, pp. 137-142; P. Bruun, The Source Value of Imperial Coin Portraits (the Fourth Century A.D.), in id., Studies in Costantinian Numismatics (Acta Instituti Romani Finlandiae, 12), Roma 1991, pp. 151-155; D.A. Bullough, Imagines regum and their Significance in the Early Medieval West, in Carolingian Renewal. Sources and Heritage, Manchester-New York 1991, pp. 39-96; P. Grierson, Coins of Medieval Europe, London 1991; J.L. Nelson, Charles the Bald, London 1992; F. Haskell, History and its Images: Art and the Interpretation of the Past, New Haven-London 1993; L. Travaini, Hohenstaufen and Angevin Denari of Sicily and Southern Italy: their Mint Attribution, Numismatic Chronicle, s. VII, 153, 1993, pp. 91-135; A. Stahl, A Fourteenth Century Venetian Coin Pattern, in Moneta e non moneta, "Atti del Convegno internazionale di studi numismatici, Milano 1992", Rivista italiana di numismatica e scienze affini 95, 1993, pp. 597-604; A. Stahl, L. Waldman, The Earliest Known Medalists: The Sesto Brothers of Venice, American Numismatic Journal, s. II, 5-6, 1993-1994, pp. 167-188; M. McCrory, Coins at the Courts of Innsbruck and Florence. The Numismatica Cabinets of Archduke Ferdinand II of Tyrol and Grand Duke Francesco I de' Medici, Journal of the History of Collections 6, 1994, pp. 153-172; P.C. Claussen, Creazione e distruzione dell'immagine di Federico II nella storia dell'arte. Che cosa rimane?, in Federico II, immagine e potere, a cura di M.S. Calò Mariani, R. Cassano, cat. (Bari 1995), Venezia 1995, pp. 68-81; J.L. Desnier, ''Novità alla corte dei Carraresi''. L'arte della medaglia (1390), Quaderni Ticinesi. Numismatica e antichità classiche 24, 1995, pp. 363-377; S. Pennestri, Storia, memoria, collezionismo e il concetto di ''storia metallica'' tra XVI e XIX secolo, in Uomini, libri, medaglieri. Dalla storia metallica di casa Savoia alle raccolte numismatiche torinesi, Bollettino di numismatica 24, 1995, pp. 15-21; L. Travaini, La monetazione nell'Italia normanna (Istituto storico italiano per il Medioevo. Nuovi studi storici, 28), Roma 1995; id., Progetti mai realizzati: due ritratti monetali di Gaeta del 1123 e 1229 (Circolo numismatico Mario Basile. Quaderno di studi, 22), Formia 1997, pp. 30-36; The Image of the Individual, "Atti del Convegno, Warburg Institute-British Museum, London 1995" (in corso di stampa).