Va, rivesti San Gal prima che dichi
Quarto sonetto della ‛ Tenzone ' e secondo di Forese, replicativo del dantesco Ben ti faranno il nodo Salamone (v.; la lezione del Barbi Va, rivesti, poi riveduta in Va rivesti, è stata dal Contini corretta in Va' rivesti). Il sonetto ha l'aria d'ignorare le accuse vituperose lanciate dall'avversario (ghiottoneria, scioperataggine, insolvenza, ladroneccio), o di minimizzarle e ribatterle sotto l'unico profilo della povertà, che era accusa facilmente rintuzzabile e, assunta com'è a carico dell'intera famiglia donatesca (" se tu ci hai per sì mendichi / perché pur mandi a noi per caritate? ", vv. 5-6), ben si prestava all'inclemente comicità della terzina di chiusa.
" Da che pulpito ", contesta dunque Forese, " tu vai spandendo facezie sulla povertà altrui: meglio faresti a ‛ rivestire ' l'ospizio di mendicità che quest'inverno hai letteralmente spogliato con le tue richieste di soccorso. E se ci stimi così sprovveduti, perché continui a bussare da noi? E chi non sa che attingi, per sfamarti, a grembiate dal castello di Altrafonte (v.)? Ma, se Dio ti conservi Tana e Francesco (i due più giovani fratellastri, nati da Lapa seconda moglie di Alighiero) che t'aiutano a sbarcare il lunario, tu potrai certo fare in modo (" lavorare " del v. 9 traduce, secondo il Barbi, la locuzione notarile latina " laborare ut " o " quod ") di non ridurti a comunella con quello spiantato di Belluzzo. La tua via è segnata: sarai ricoverato da vecchio all'Ospizio di Porta Pinti (fondato, vedi caso, da un Donati, e di cui i Donati sono tuttora patroni); e già ti vedo, Alighieri in farsetto (senza lucco, dunque, o mantello: in camicia, diremmo oggi; ma farsata può anche valere " cuffia imbottita "), sedere fra due pezzenti, a desco, innanzi alla scodella comune ". (Per il cognome Alighier, usato qui, con sarcastica enfasi, a indicare un singolo della famiglia, il Barbi cita plausibilmente Boccaccio Decam. IX 4, dove Cecco Angiolieri, nel discorso di Fortarrigo, è detto semplicemente " Angiulieri ").
Non privo di efficacia nel piglio sprezzante di avvio, il sonetto, nell'impaccio delle sue oscurità e col corto respiro del suo tema (l'insistita mendicità dell'antagonista poeta), si raccomanda appena all'icastica riuscita della chiusa.
L'impianto narrativo del primo sonetto di Forese ha qui ceduto luogo, sull'esempio di D., all'attacco diretto: senza modifiche apprezzabili dello schema metrico.
Discussa è la lezione del v. 9 e dubbia l'interpretazione dei vv. 10 e 11: il Belluzzo sembra da identificare con Bello di Bellincione, zio di D. - detto in documenti del 1246 e 1270 Belluzz(i)us - che il Barbi suppone, per forza di contesto, caduto in miseria, benché risulti, se non proprio ricco, non certo un fallito (v. anche ALIGHIERI, bello).
Per la tradizione manoscritta, per le diverse interpretazioni della tenzone e per la bibliografia, v. TENZONE CON FORESE.