Rivoluzione culturale
Campagna politica cinese, il cui nome completo è Grande rivoluzione culturale proletaria (Wuchan jieji wenhua da geming), lanciata da Mao Zedong durante il suo ultimo decennio di potere (1966-76). Mao intendeva rafforzare la sua autorità all’interno del Partito comunista (PCC), indebolitasi in seguito al fallimento della politica del Grande balzo in avanti (1958-61) e frenare il riformismo promosso dai pragmatici Deng Xiaoping (1904-97) e Liu Shaoqi (1898-1979). Nel corso dell’11° plenum dell’VIII Comitato centrale (1°-12 agosto 1966), con il pretesto di ripulire il partito dai «revisionisti controrivoluzionari», Mao incitò le nuove generazioni cinesi a ribellarsi contro i «quattro vecchi» (vecchie correnti di pensiero, vecchia cultura, vecchie abitudini e vecchie tradizioni), perché minavano la trasformazione della Cina in Paese socialista. Nell’agosto del 1966, assicuratosi il sostegno dell’Esercito popolare di liberazione (EPL) guidato da Lin Biao (1908-1971), inaugurò la fase aperta della rivoluzione attraverso un manifesto redatto da lui stesso (Bombardare il quartiere generale) e manifestazioni nella piazza Tiananmen (18 agosto-25 novembre). Gli studenti delle scuole inferiori e superiori, organizzati nelle strutture delle Guardie rosse (Hongweibing), risposero numerosissimi all’appello di Mao: i manifesti (dazibao) e le violenze contro i politici e i rappresentanti al potere pullulavano nelle province, nelle città e nelle unità di lavoro (danwei). Fu eliminata qualsiasi cosa avesse un legame con il «vecchio mondo», come il sistema scolastico-culturale, e i comitati di partito furono sostituiti da Comitati rivoluzionari gestiti da masse, partito ed esercito. Personaggi importanti del PCC furono accusati di minare lo spirito della rivoluzione proletaria, costretti all’autocritica, alle dimissioni e a trasferirsi – soprattutto gli intellettuali – nelle campagne più remote per essere «rieducati»; in caso di resistenza fu frequente il ricorso alla violenza fisica e armata. Le distruzioni delle Guardie rosse incitarono i rivali di Mao a organizzare propri eserciti per proteggersi. Lo scoppio di una guerra civile fu evitato grazie allo sviluppo di Comitati rivoluzionari (settembre 1968), al ridimensionamento delle Guardie rosse, costrette a rientrare negli istituti e nelle scuole (settembre 1967) e al ruolo dell’EPL, che riprese il controllo di Pechino, Shanghai e dei maggiori centri della Cina. Alla 12a Assemblea plenaria del Comitato centrale del partito (ottobre 1968), Liu Shaoqi fu destituito ufficialmente dalla sua carica di presidente della Repubblica. La fine della fase attiva della rivoluzione fu sancita dal IX Congresso del PCC (1°-24 aprile 1969), che designò Lin Biao come successore di Mao e diede importanti cariche politiche ai membri dell’EPL, senza tuttavia rinnegare l’accaduto sul piano teorico. In realtà, la fine della R.c. avviene secondo molti critici solo dopo la morte di Mao e l’arresto della «Banda dei quattro» nel 1976.