Rivoluzione messicana
I contadini poveri contro i privilegi dei proprietari terrieri e della Chiesa
Iniziata nel 1910, la Rivoluzione messicana fu una delle maggiori rivoluzioni del Novecento. Durò un ventennio ed ebbe quali principali obiettivi la formazione di un regime costituzionale democratico e la riforma agraria. Mobilitò le grandi masse dei contadini poveri e fu assai sanguinosa
A partire dal 1876 il Messico era caduto sotto il potere autoritario, trasformatosi in aperta dittatura, del generale Porfirio Díaz. In tale periodo il paese aveva conosciuto un processo di relativa modernizzazione economica i cui frutti erano andati però quasi esclusivamente a vantaggio delle classi alte urbane e dei proprietari terrieri, con l’esclusione delle masse popolari e in particolare dei contadini, in gran parte Indios. Nel 1910, Francisco Madero, un ricco proprietario creolo progressista, chiamò le masse popolari e i proprietari più illuminati all’insurrezione, che dilagò rapidamente. Il regime di Díaz crollò e Madero nel 1911 venne eletto presidente.
Quando la rivoluzione scoppiò, il Messico aveva una popolazione intorno ai 15 milioni di abitanti, di cui circa tre quarti vivevano nelle campagne. La proprietà delle terre era nelle mani di poco più di 800 grandi latifondisti e di circa 400 mila piccoli e medi proprietari, di fronte ai quali stavano 12 milioni di peones, braccianti che conducevano una vita miserabile, brutalmente sfruttati e sottoposti a continue violenze.
Di fronte al fatto che le correnti rivoluzionarie più radicali, guidate da Emiliano Zapata, agitavano lo spettro della riforma agraria, le forze conservatrici guidate dal generale Victoriano Huerta fecero assassinare Madero e nel 1913 occuparono la capitale. Contro Huerta mossero le truppe dei generali Venustiano Carranza e Álvaro Obregón e le formazioni irregolari di Zapata e Francisco (Pancho) Villa, che sconfissero Huerta, il quale lasciò il Messico nel 1914. Carranza formò allora nel 1914 un governo costituzionalista, inteso a dare al paese una costituzione e la libertà politica e a inaugurare un corso di riforme sociali. Villa e Zapata, tuttavia, continuarono la lotta con l’obiettivo di dare la terra ai contadini poveri. Il Messico piombò nel caos. Le masse popolari si divisero: mentre gli operai appoggiavano i costituzionalisti, i contadini poveri seguivano Zapata e Villa (che si sarebbe poi trasformato in un vero e proprio bandito).
Nel 1917 Carranza fu eletto presidente e varò una costituzione assai avanzata che sanciva la laicità dello Stato, il matrimonio civile, la sottrazione dell’insegnamento primario alla Chiesa cattolica, la nazionalizzazione delle miniere, l’avvio della riforma agraria, i diritti politici e civili, il carattere legale dei sindacati. Il che però non valse ad assicurare la pace interna. Zapata, rimasto su posizioni radicali, venne assassinato nel 1919, lo stesso Carranza cadde vittima di un attentato nel 1920 e Villa fu a sua volta assassinato nel 1923.
Tra il 1920 e il 1924 la presidenza venne retta da Obregón e tra il 1924 e il 1928 dal generale Plutarco Elías Calles. Nel 1928, subito dopo la sua rielezione a presidente, Obregón cadde sotto i colpi di un fanatico cattolico. Questi presidenti avviarono importanti riforme politiche e sociali, in un clima di scontro violento con la Chiesa cattolica, privata dei suoi privilegi e delle sue proprietà. Durante la sua presidenza, Calles si fece garante dell’attuazione della Costituzione. La riforma dell’istruzione e la riforma agraria suscitarono la reazione dei cattolici e dei latifondisti, i quali promossero un’insurrezione (detta dei cristeros) che venne duramente repressa. Calles riorganizzò inoltre l’esercito nazionale e fondò il Partito nazionale rivoluzionario (poi denominato Partito rivoluzionario istituzionale). Quando nel 1928 egli lasciò la presidenza, la Rivoluzione messicana poteva dirsi conclusa.