SCHUMANN, Robert Alexander
Compositore di musica, nato a Zwickau, piccola città della Sassonia, l'8 giugno del 1810; morto a Endenick, presso Bonn, il 29 luglio del 1856. Nato di famiglia borghese, se non ricca, agiata, lo Sch. non ebbe mai a dover lottare, come tanti altri grandi artisti, contro la povertà. Favoriti dalla sua condizione sociale i frequenti contatti di lui con altri artisti, e in genere con gente colta, non ebbe neppure a dover superare grandi difficoltà per far conoscere e stimare il suo ingegno e le opere del suo ingegno. E incontrò fino dai primi anni della sua vita d'artista numerosi amici che gli diedero consolazione di affetti e che, col loro caldo consenso e con la loro ammirazione, lo confortarono e lo incitarono a maggiormente operare. E se il più profondo e più intenso amore che egli sentì per una donna - il solo suo grande amore - fu per lungo tempo crudelmente e ostinatamente avversato e combattuto dal padre di lei, esso fu però un amore corrisposto e finì per trionfare di ogni ostacolo, e della donna amata fece la compagna della vita di lui per sedici anni, dal 1840 al '56. Un solo invincibile nemico ebbe lo Sch., un nemico incorporeo: la malattia nervosa che lo dominò, più o meno, durante tutta la sua vita, e che per tre volte lo assalì con tremenda violenza, le due prime indebolendolo senza abbatterlo, la terza traendolo nel gorgo della follia, dove già s'era inabissata la sorella di lui, morta pazza a 19 anni.
Il padre dello Sch. era un libraio editore, intelligente e di tendenze artistiche; la madre, figlia di un medico, era donna d'intelligenza forse comune ma di sensibilità acutissima e morbosa. Quando lo Sch. ebbe 18 anni, il padre, che aveva sempre favorito la sua spiccata inclinazione per la musica permettendogli, purché seguisse regolarmente gli studî classici, di dedicarsi per diletto allo studio di essa, era morto da due anni: la madre, che forse aveva più sensibilità musicale del marito ma che più volte si era dimostrata contraria alla musica considerata come attività professionale, mandò il figlio a Lipsia perché frequentasse all'università i corsi di diritto. Ma appunto a Lipsia lo Sch. incontrò F. Wieck (il padre di quella Klara che doveva poi diventare sua moglie), il musicista che lo decise a dedicare all'arte le migliori forze del suo ingegno.
Quando lo Sch. cominciò a studiare con Wieck, sonava già bene il pianoforte. Col nuovo maestro intensifica i suoi studî, nell'intento di diventare un vero e proprio pianista. Ma nel 1830, in seguito a sforzi inconsulti e irragionevoli tentati per acquistare la perfetta indipendenza nel movimento delle dita, si accorge di avere irrimediabilmente compromesso l'energia del quarto dito della mano destra, e deve rinunciare ai suoi sogni di concertista; rivolge allora ogni suo pensiero e ogni sua attività all'arte della composizione: gran ventura - da un'apparente sventura - per lui e per la musica. Intraprende serî studi di teoria e pratica dell'armonia, del contrappunto, della fuga (per i quali aveva prima manifestato avversione), legge e studia le opere dei grandi maestri del passato e quelle dei contemporanei, s'interessa di problemi di estetica (e comincia a scrivere articoli di critica), frequenta i concerti del Gewandhaus e le esecuzioni musicali della chiesa di San Tommaso, e compone.
Alla preferenza dimostrata dai musicisti compositori all'inizio della loro carriera per un determinato genere di composizione noi non vogliamo attribuire un significato troppo grande: ma essa è indubbiamente indizio delle più istintive aspirazioni e delle più naturali possibilità e spesso dei limiti del loro ingegno. Lo Schubert cominciò componendo canzoni (Lieder), il Wagner cominciò col concepire opere di teatro, lo Sch. cominciò col concepire opere per pianoforte. Nel 1830 egli termina la composizione dei Papillons (ne aveva scritti alcuni pezzi l'anno precedente), ed ha la gioia di poterli subito pubblicare, insieme con le Variazioni sul nome di Abegg. Le numerose testimonianze d'interesse e di ammirazione che le sue prime composizioni gli procurano lo incoraggiano a continuare con maggior fervore: e fra il '31 e il '33 scrive gl'Intermezzi op. 4, gli Studî sui Capricci di Paganini e la Toccata. E intanto concepisce il disegno di fondare una rassegna musicale per poter servire anche con la parola, con la critica, oltre che con opere musicali, la causa della vera arte, e per poter combattere contro i falsi artisti, i mercanti dell'arte, ecc. I collaboratori della rassegna saranno i Davidsbündler, i compagni di Davide, che combatteranno contro i Filistei. Per suo conto, lo Sch. crea tre personaggi fantastici di differente natura - Florestano, Eusebio, Maestro Raro; per non parlare di altri secondarî - che completandosi a vicenda saranno, nella sua intenzione, l'espressione della personalità di lui (su questo punto dovremo tornare in seguito) e saranno i portavoce dei suoi amori e dei suoi entusiasmi, delle sue repugnanze e dei suoi sdegni.
Ma nel 1833 lo Sch. è assalito dal primo violentissimo attacco di nevrastenia: il 17 d'ottobre, dopo un periodo di estenuanti eccitazioni e di estenuate malinconie, tenta di gettarsi da una finestra. Sul principio del '34 la crisi morbosa è passata, ed egli riprende la sua attività intensissima e quasi febbrile. E nell'aprile esce il primo fascicolo della Neue Zeitschrift für Musik da lui diretta. Guerra al cattivo gusto e al mercantilismo (attacchi feroci contro Meyerbeer), esaltazione devota dei grandi maestri del passato, generosa esaltazione dei migliori musicisti contemporanei: Berlioz, Chopin, Mendelssohn, Liszt; ammirazione più avaramente misurata per Wagner e i suoi seguaci, che alcuni anni più tardi saranno da lui chiamati, con ironia non scevra di spregio, gli Evangelisti di Weimar.
Dal 1834 al 1840 furono sei anni di vita intensissima e di fervidissima e felice attività. Nuove preziose conoscenze e amicizie di artisti, consensi sempre più numerosi e ammirazione via via crescente e tributi di onore (perfino la nomina a dottore, honoris causa, pervenutagli dall'università di Jena) confortano lo Sch. nella fiducia in sé stesso, e lo spronano a lavorare con sempre maggior ardore. Una dopo l'altra, quasi senza interruzione, egli scrive, in sei anni, le sue opere forse più perfette: il Carnaval, la Fantasia op. 17, i Davidsbündler Tänze, le due Sonate op. 11 e op. 22, i Pezzi fantastici, gli Studî sinfonici, le Scene fanciullesche, le Kreisleriana, le Novellette op. 21, il Carnevale di Vienna, l'Umoresca, le tre Romanze op. 28 (tutta musica per pianoforte) e quattro fascicoli di Lieder, forse i suoi più belli. E nel '40 egli può finalmente sposare Clara Wieck, la figlia del suo maestro, trionfando dell'ostinata opposizione del padre di lei che per tre volte gliel'ha negata, perfino davanti al tribunale civile. (In quel dibattito, durato cinque anni, tra Wieck e Sch. - e non sempre Clara stette decisamente da una parte piuttosto che dall'altra - gli attacchi furono spesso da entrambe le parti eccessivi, come furono eccessive le reazioni: e una bella figura non fecero sempre neanche Sch. e Clara).
I quattordici anni dal '41 al '54, l'anno in cui lo Sch. ebbe il più tremendo accesso di follia e tentò per la seconda volta di uccidersi, non furono meno intensamente e fruttuosamente vissuti dei sei precedenti, ma furono assai più torbidi, più agitati, più penosi. Sensibilità sempre più acuita e tormentata, impressioni e reazioni sproporzionate alle cause (Sch. soffrì anche di gelosia contro la moglie, non in quanto essa era sua moglie, ma in quanto essa era musicista ammirata forse più di lui), e sempre più frequenti e più gravi e deprimenti gli accessi di sovraeccitazione nervosa o di malinconia, e i periodi d'insonnia accompagnata da allucinazioni, e le crisi di pianto e i terrori e le insofferenze dell'udito, e via dicendo. Roberto e Clara (che aveva già dato a suo marito due figli, e gliene diede poi altri quattro) vanno a stabilirsi, da Lipsia, a Dresda, dove egli arriva affranto da un recentissimo attacco del suo male. Nel '46 anche il soggiorno di Dresda è divenuto allo Sch. insopportabile, ed egli si trasferisce a Düsseldorf, che sarà l'ultima residenza da lui scelta.
Nei riguardi del musicista, i tredici anni dal '41 a '54 furono quelli in cui egli estese la sua attività, sino allora limitata alla musica per pianoforte, a tutti gli altri campi della composizione musicale. In quei tredici anni egli infatti scrisse, oltre a parecchi fascicoli di Lieder e a numerosi pezzi per pianoforte, le quattro Sinfonie, il Concerto per pianoforte e orchestra e quello per violoncello e orchestra, i tre Quartetti per archi op. 41 e quello per archi e pianoforte op. 47, il Quintetto op. 44, i due Trii, e pezzi per coro e una Messa e un Requiem: e infine, per tacere di opere meno notevoli, un Oratorio profano - Il Paradiso e la Peri -, un'opera teatrale - Genoveffa -, e il Faust, che sta fra la cantata, l'oratorio e l'opera teatrale, e il Manfredo, che è insieme sinfonia, cantata e melologo.
Nella notte del 10 febbraio 1854 lo Sch. è assalito da una terribile crisi di allucinazioni che lo porta sino al delirio (ora vede angeli, ora demonî): tornato in sé vuol separarsi dalla moglie per timore di farle involontariamente del male, e si fa condurre al manicomio. Il 26 febbraio ne fugge, semivestito, e si getta nel Reno. Tratto in salvo, è condotto a Endenick, nella casa di salute del dottor Richarz, dove passa due anni fra alternative di totale smarrimento mentale e di coscienza e di calma, e dove il 29 luglio del '56, assistito da Clara - appena tornata da Londra, dove essa si era recata a dare alcuni concerti - si spegne. Fu sepolto a Bonn, nella chiesa di fronte alla Sternenthor.
Le opere. - Già altrove (v. schubert) si è pensato di poter definire lo Schumann come un profeta e un araldo - araldo consapevole - del romanticismo musicale tedesco. Un'affermazione di lui stesso, per bocca di Florestano, che parrebbe a tutta prima contraddire alla nostra definizione, la conferma invece autorevolmente. Egli infatti scrisse un giorno di non poter credere all'esistenza di una scuola musicale romantica perché "la musica è romantica in sé".
Difficile dire che cosa "romantico" volesse significare per lui e in genere per gli artisti tedeschi del suo tempo: meno difficile riuscire a dire, attraverso l'osservazione delle loro opere, che cosa il loro romanticismo fu, come si espresse. Fu opposizione alla realtà materiale e dispregio di essa quanto più essa fosse riconoscibile e definibile come tale; fu amore e culto di quel mistero che rimane sempre mistero anche quando abbia lasciato intravvedere qualche aspetto della sua essenzialità ultraterrena; fu ricerca e amore del fantastico (e dunque dell'esotismo) e perciò considerazione della fantasia come di una delle facoltà somme dell'uomo in genere e dell'artista in specie; fu gusto, anzi voluttà, della malinconia, della tristezza, della sofferenza, del dolore, che generati nell'artista (l'uomo per eccellenza) dal sentire inadeguate le umane facoltà a svelare e penetrare il mistero del mondo fantastico e ultrasensibile, dànno all'artista medesimo un maggior presentimento della bellezza e vastità e sublimità di codesto mondo; fu negazione (per incapacità?) di poter trovare, sentire, vedere nella comune vita degli uomini una pura, alta bellezza degna di canto, e perciò fu creazione, immaginazione di un mondo fantastico da potervisi involare, pur sapendo di non poterlo mai dominare e possedere, per consolarsi della pena di vivere questa vita mortale; oppure fu (e in ciò il romanticismo tedesco rivelò una delle sue debolezze) deformazione e travestimento della più comune realtà quotidiana perché e così che essa assumesse apparenze e significati trascendenti e mistici. Oggi si direbbe, da molti, che fu, insomma, proposito e tentativo di evasione dalla vita com'è, verso la conoscenza e la conquista di un'immaginaria vita superiore; una concezione morale non meno umana di tante altre, ma non certo eroica. In tale concezione romantica lo Sch. andò ancora più in là di coloro che erano stati i suoi inspiratori e i suoi maestri: Jean Paul e Tieck, Novalis e Federico Schlegel e Heine (dove Heine è più fantastico e più morbido) e Moore e Byron e altri.
Si è già accennato dianzi ai tre principali personaggi fantastici che lo Sch. in quanto scrittore creò, per manifestare attraverso la loro differente personalità i suoi proprî sentimenti e pensieri: Florestano, Eusebio (fratelli, come fu già da altri osservato, di Vult e Walt dei Flegeljahre di Jean Paul), e Maestro Raro. Florestano, uomo e artista generoso, pronto allo slancio, all'impeto, ad ogni audacia, e che "presente tutto ciò che di nuovo e di straordinario è per venire"; Eusebio, malinconico sognatore e idillico adoratore della bellezza pura; e Maestro Raro, artista non da meno degli altri due in quanto ad amore per l'arte e a nobiltà d'intenzioni, ma agli altri superiore per saggezza, per equilibrio mentale, per solidità di principî e perché, se è disposto a comprendere e accettare l'arte nuova, non può non ammetterla se non in congiunzione e continuazione della grande arte del passato.
Che noi sappiamo, i biografi dello Sch. e i critici dell'opera di lui hanno sempre considerato Florestano ed Eusebio come espressione del dualismo schumanniano tra sensibilità, o sentimento, e pensiero, o volontà. A parer nostro le personificazioni delle due forze che nello spirito dello Sch. furono quasi sempre in opposizione e spesso in conflitto, sarebbero piuttosto Florestano e Maestro Raro. Per natura, per istinto, lo Sch. era Florestano: Maestro Raro avrebbe voluto esserlo. Quando vi fu tra i due conflitto, gli slanci stupendi ma sregolati e inconsiderati di Florestano furono sempre fiaccati, mortificati dal freddo raziocinare di Maestro Raro. Dualismo che non pervenne mai a un'aarmonia risolutiva e pacificatrice, ma dualismo rimase, con un vincitore e un vinto.
Noi non diremo, come già il Draeseke, che lo Sch. cominciò la sua carriera da artista di genio e la finì da artista di talento soltanto. Ma crediamo si possa dire che lo Sch. maggiore è proprio quello delle opere per pianoforte e dei primi fascicoli di Lieder, tutte opere che egli scrisse nei primi quindici anni della sua attività di compositore. Quello è lo Sch. veramente grande, e diremmo che è tanto più grande quanto più le composizioni sono brevi (i Davidsbündler Tänze, le Scene Fanciullesche, i Pezzi fantastici, e così tante altre opere simili, sono, come ognun sa, raccolte di pezzi brevi, ognuno in sé compiuto e dagli altri indipendente). Perché le composizioni brevi sono interamente di Sch.-Florestano: e sono commisurate, in quanto estensione, a quello slancio iniziale che in Florestano era appassionato, ardente, impetuoso come in nessun musicista era stato mai prima, come forse in nessuno fu mai più, ma che appunto per essere tutto ardore e impeto non poteva essere prolungato - senza menzognero artificio - oltre il limite impostogli dal naturale inevitabile rapido esaurimento della sua forza iniziale. Le composizioni per pianoforte o per canto e pianoforte che ora si sono citate, e così altri pezzi brevi composti dallo Sch. negli anni successivi, sono perfette, perché in esse non v'è dualismo vero e proprio: in esse canta soltanto quel Florestano "dai riccioli svolazzanti" che non poteva concepire la musica se non come "linguaggio dell'animo" (quello che ascoltando la Creazione di Haydn diceva di sentir nascere l'erba); il dualismo si manifesterà, a tutto danno dell'opera d'arte, quando a lato di Florestano si alzerà Maestro Raro a dire, per esempio: "la fuga è cosa dei grandi Maestri soltanto". E Florestano allora si turberà, si farà meditabondo, e si metterà a scrivere fughe o lunghe opere strumentali (di Eusebio non parliamo: esso non interviene fra i due se non per dare a ognuno di essi il conforto della sua simpatia amichevole).
Lo Sch. minore è, a parer nostro, quello delle opere più vaste: non solo quello della Genoveffa o del Paradiso e la Peri o del Faust (opere che pur racchiudono, specialmente il Faust, pagine bellissime), non solo quello delle quattro Sinfonie e dei Concerti per pianoforte e orchestra e violoncello e orchestra, ma anche quello della maggior parte delle opere di musica da camera. Nelle quali Sinfonie ed opere di musica da camera (compresi il Quintetto e i due Trii) sono quasi sempre felicissimi, bellissimi, ardenti d'ispirazione, gl'inizî dei varî tempi, le esposizioni dei varî temi (canta Florestano), ma sono quasi sempre artificiosi, faticosi, freddi gli svolgimenti (Maestro Raro insegna e conduce). E lo stesso linguaggio armonistico, che nei brevi pezzi per pianoforte e in molti Lieder (si pensi a quei capolavori che sono Il noce o Notte di primavera o Il fiore di loto o il Canto della sera o I due granatieri) è tutto mirabilmente fresco e vivo e nuovo, diventa nelle composizioni vaste scolastico e comune, e del tutto privo di quell'imprevisto di modulazioni e di inaudite combinazioni armoniche che fa vive e vibranti le elaborazioni tematiche non solo di un Beethoven ma anche di uno Schubert, e farà non meno vive, poi, le elaborazioni tematiche di quel Brahms del quale lo Sch. fu il generoso entusiasta araldo.
Riguardo alle opere orchestrali dello Sch., la critica più recente ha voluto spesso temperare, se non del tutto respingere, il giudizio sfavorevole già da molti espresso sullo scarsissimo senso che Sch. ebbe dell'orchestrazione. Che di orchestra egli avesse ben poca esperienza ancora nel '41, quando scrisse la prima Sinfonia, è cosa dimostrata dalle correzioni che furono dovute fare all'orchestrazione di essa anche da altri musicisti. Ma non solo quella Sinfonia, sibbene anche le altre tre, e anche le partiture del Paradiso e la Peri e del Faust dimostrano che egli aveva un senso orchestrale limitato, molto meno "naturale" e meno ricco non solo di quello di Beethoven e di Schubert, ma anche di quello di Mendelssohn, orchestratore sobrio e non molto colorito ma, pur nella sua classica compostezza, vario e pittoresco.
(Sia detto qui di passaggio, e solo per non voler evitare un argomento che molti han trattato attribuendogli grande importanza: noi non vogliamo affatto far dipendere il maggiore o minor valore delle opere schumanniane dall'essere state esse concepite e scritte in periodi di maggiore o minor salute e benessere fisico. Se mai, noi pensiamo che anche la malattia nervosa di cui Sch. ebbe a soffrire non fu che un segno di più della sua personalità di uomo e di artista).
Vedere lo Sch. maggiore, lo Sch. veramente grande, nelle opere pianistiche e nei Lieder piuttosto che nelle opere orchestrali e in quelle di musica da camera, è voler troppo limitare la grandezza di lui? Non si può crederlo. E a non crederlo ci conforta il giudizio espresso durante ormai quasi un secolo, non a parole ma col maggiore o minor plauso e consenso, dal pubblico di tutti i paesi: il quale indubbiamente si è sempre più commosso udendo, per esempio, le Scene fanciullesche o i Pezzi fantastici o I mirti che non udendo il Faust o l'una o l'altra delle quattro Sinfonie.
La grandezza di certi poeti, per esempio quella di Saffo, è espressa da un esiguo numero di opere o di frammenti di opere: e non perciò essa è meno immortale. Ci sono dello Sch. forse duecento dei circa seicento pezzi che egli scrisse (divisi in 148 op. numerate e una decina senza numero) dei quali ognuno basterebbe a farlo stimare ed amare come un grande e puro poeta della musica.
Dell'opera musicale di Sch. v'è un'edizione completa in 35 volumi - l'ultimo dei quali riveduto da Brahms - pubblicato dalla Casa Breitkopf und Härtel: e v'è un catalogo tematico (sino all'op. 143) edito dalla Casa Schubert e C. In Italia la Casa Ricordi ha pubblicato in varie riprese la maggior parte delle opere pianistiche e dei Lieder (con traduzioni del testo poetico in generale poco felici!). Gli scritti critici si trovano raccolti in 3 volumi pubblicati dalla Casa Reclam di Lipsia. V'è una traduzione italiana di alcuni di essi R. Sch. Scritti sulla musica e i musicisti, Milano 1925.
Fondamentale, sulla vita e l'opera dello Sch.: J. von Wasilewsky, R. Sch., Dresda 1858, Bonn 1880, Lipsia 1906. Si vedano anche: H. Abert, R. Sch., Berlino 1910, alcune pagine della quale opera si trovano in A. Della Corte, Ant. della storia della musica, Torino 1929; W. Dahms, Sch., Berlino 1922; Schneider e Mareschal, Sch., sa vie et ses øuvres, Parigi 1905 e, ottimo, V. Bachs, Sch., Parigi 1926. Eccellente il saggio di Philipp Spitta in Grove's Dictionary of Music and Musicians.