Altman, Robert
Regista e produttore cinematografico statunitense, nato a Kansas City il 20 febbraio 1925. Raffinato sperimentatore di originali soluzioni narrative e tecniche, a partire dagli anni Settanta ha rappresentato una figura chiave del cinema statunitense, elaborando una personale frammentazione dei generi cinematografici classici e imponendosi come autore della rappresentazione di un'America 'amara', riattraversata nei luoghi e nei miti più tipici. I suoi film, nei quali emerge un profondo malessere esistenziale, risultano segnati da un senso di nostalgia e al contempo animati da una critica disincantata nei confronti delle istituzioni più consolidate (il mondo dello spettacolo, la famiglia, l'ambiente militare). Di frequente emarginato dalle strategie produttive hollywoodiane (negli anni Ottanta era stato quasi dimenticato), A. ha portato avanti con coerenza la sua inesauribile ricerca stilistica, nell'ambito della quale ha spesso utilizzato il piano-sequenza per esprimere una visione della realtà come flusso ininterrotto, corale, in cui il singolo personaggio perde la centralità. Fondamentale il complesso lavoro effettuato sulla colonna sonora intesa come specchio di emozioni momentanee, ma anche teso a evidenziare le potenzialità del suono per sfruttare l'ambiguità della sua natura diegetica ed extradiegetica. Tra i premi che hanno sancito il prestigio di A. a livello internazionale, la Palma d'oro per il miglior film con M*A*S*H (1970; M.A.S.H.) e il premio per la miglior regia con The player (1992; I protagonisti), ottenuti a Cannes; l'Orso d'oro a Berlino per Buffalo Bill and the Indians, or sitting Bull's history lesson (1976; Buffalo Bill e gli indiani) e il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia per Short cuts (1993; America oggi). Ancora a Venezia, nel 1996, ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera. Dopo aver studiato nella scuola locale di St. Peter, dove ricevette un'educazione cattolica, nel 1943 entrò alla Wenthworth Military Academy a Lexington nel Missouri. Alla fine del servizio militare rimase in California ove ebbe la possibilità di lavorare nel cinema, scrivendo soggetti per produzioni minori. Realizzati alcuni documentari, nel 1957 girò il suo primo lungometraggio, The delinquents, incentrato sulle bande giovanili e ispirato al cinema 'ribelle', tipico degli anni Cinquanta, e il documentario The James Dean story. L'opera, che venne esclusa dalla selezione degli Oscar in quanto accusata di aver sfruttato commercialmente l'immagine dell'attore da poco scomparso, piacque invece ad Alfred Hitchcock che offrì ad A. un contratto per collaborare alla sua serie Alfred Hitchcock presents (1957-58). Tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta il regista diresse quindi circa un centinaio di episodi per alcune serie televisive nazionali: U.S. Marshall, The troubleshooters, Roar-ing twenties, Bonanza e Combat. Il lavoro per la televisione rappresentò per A., come per altri cineasti statunitensi della sua generazione o di quella successiva (da Sidney Lumet a Robert Mulligan a John Frankenheimer), l'importante opportunità di esplorare le possibilità della tecnica e di acquisire una più solida professionalità. Nel 1968 iniziò la sua personale esplorazione dei generi cinematografici che lo portò immediatamente a superare gli schematismi troppo serrati che i diversi modelli presentavano, operando in Countdown (1968; Conto alla rovescia) un'originale commistione tra dramma e fantascienza. Fu proprio a partire da quest'opera che ebbero inizio gli scontri di A. con i produttori: Jack Warner, infatti, non esitò a escluderlo dalla fase di montaggio. L'anno seguente con That cold day in the park (1969; Quel freddo giorno nel parco), costruì un film claustrofobico di seduzione e di ossessione (una donna di mezza età di Vancouver che manifesta attenzioni morbose nei confronti di un giovane vagabondo cui ha offerto riparo), riuscendo a esprimere un'inquietudine soffocante in un thriller dove il desiderio diventa sinonimo di morte. Con il successivo M*A*S*H, che ottenne un considerevole successo commerciale e fu all'origine di una popolare serie televisiva, A. iniziò la sua opera di dissacrazione ed erosione dall'interno del genere bellico, ambientando il film in un campo militare durante la guerra di Corea. Grazie a un ritmo forsennato e a una progressiva destrutturazione delle forme narrative, A. spoglia il personaggio dalla sua posizione di centro gravitazionale del testo filmico, relegandolo spesso ai margini dell'inquadratura e privandolo comunque di ogni via di fuga per costringerlo a un perenne vagabondaggio. Appare così avviato il processo espressivo che caratterizzerà l'intera sua opera, puntato su uno sviluppo corale dell'azione, in cui i punti di vista risultano moltiplicati e la scena occupata da corpi, gesti, movimenti. Sempre nel 1970, nel realizzare Brewster McCloud (Anche gli uccelli uccidono) il regista volle sperimentare una linea espressiva volta a rivoluzionare i modi classici della narrazione, abbattendo ancora una volta i confini tra i generi e incrociando le strutture del fantastico con le intonazioni della satira. In particolare, il personaggio di Brewster vive una serie di iniziazioni (il volo, il sesso) che A. narra con immagini di grande purezza espressiva. Il viaggio nei generi e il nostalgico riattraversamento degli spazi familiari in cui i miti americani vengono dissolti culmina in Mc Cabe and Mrs. Miller (1971; I compari), western crepuscolare che risulta connotato dall'uso estremo della tecnica dell'overlapping (fusione combinata di voci, suoni e rumori). Il film successivo, Images (1972), appare dominato da una componente visionaria che tuttavia A. non sempre mostra di saper controllare. La riproduzione visiva dello stato di follia che avvolge la mente della protagonista è infatti carica di una sovrabbondanza di segni lontana dall'angoscioso ed essenziale diario di una crisi di That cold day in the park. Notturno e segnato da una struggente malinconia è invece The long goodbye (1973; Il lungo addio), basato sull'omonimo romanzo di R. Chandler, che riattualizza efficacemente il personaggio di Marlowe. Con un'ambientazione che dagli anni Quaranta viene spostata alla California odierna, A. penetra nei luoghi (Malibu) e negli interni con uno sguardo che rievoca la cupa disperazione e il disincanto dei noir classici, assumendo un punto di vista a un tempo partecipato e funereo, mentre risultano accentuati il senso di impotenza e la trasgressione continua delle regole che, nel sostanziare la narrazione, segnano la fine (l'addio) di un genere. Dopo Thieves like us (1974; Gang), altra rivisitazione del mito dell'America rurale nel periodo della Grande Depressione, e California split (1974; California poker), che continua l'operazione di progressivo smembramento della sceneggiatura (in questo caso lasciando spazio all'esaltazione e alla momentanea euforia originate dal gioco d'azzardo), A. realizzò Nashville (1975), manifesto polifonico sulla definitiva crisi di identità e sulla perdita di innocenza della cultura americana. Lo spettacolo (un concerto di musica pop nel Tennessee) si fonde con la vita reale, riprodotta dalla macchina da presa con un atteggiamento finto-documentaristico, esplicitamente teso a svelare i meccanismi di una finzione totale e coraggiosamente anarchica. A. segue i protagonisti all'interno di uno spazio caratterizzato da una colonna sonora ricchissima (da I'm easy a It don't worry me) che accompagna e, al tempo stesso, abbandona i personaggi, isolandoli sulla scena. Ironico e dissacrante fu invece l'atteggiamento con il quale in Buffalo Bill and the Indians or Sitting Bull's history lesson il regista volle rileggere un personaggio mitico del western. Quest'opera costituisce un ennesimo capitolo della battaglia costantemente combattuta con i produttori; Dino De Laurentiis tagliò infatti il film di circa 20 minuti, spezzandone così la linearità visiva.
Fu a partire dalla seconda metà degli anni Settanta che il regista progressivamente aumentò il distacco tra il suo sguardo e la vicenda rappresentata, in un raffinato tentativo di oggettivare il vissuto e rendere più ampio l'orizzonte narrativo. Così Three women (1977; Tre donne) è al tempo stesso una vicenda 'intimista' d'ispirazione bergmaniana e uno spaccato della provincia statunitense; mentre A wedding (1978; Un matrimonio) risulta costruito come un affresco corale per rappresentare con lucido sarcasmo un'istituzione, sottoponendola a un processo di deformazione grottesca. Nel 1979 dopo Quintet, escursione nel thriller futuristico, A. realizzò A perfect couple (Una coppia perfetta) in cui la struttura della commedia sentimentale, riproposta senza alterarne gli elementi più tipici, gli consente di operare dall'interno una critica feroce nei confronti dei meccanismi che governano i rapporti familiari e sociali, vero attacco a un sistema consolidato e alle sue leggi. L'anno successivo diresse quindi Health e Popeye (Popeye ‒ Braccio di ferro). Il primo, una satira sul rapporto tra elezioni e mass media, venne bloccato dalla stessa casa di produzione, la Fox, e solo grazie al ricorso alle vie legali A. riuscì a ottenere la proprietà del film. Il secondo, che costituisce un'ennesima esplorazione di un mito (in questo caso il celebre personaggio dei fumetti creato da E.C. Segar), fu un'opera realizzata su commissione che subì i consueti tagli in fase di montaggio, affrontata da A. dopo che il progetto era già passato per le mani di Hal Ashby, Mike Nichols e Arthur Penn. A partire dagli anni Ottanta A. è sempre stato più attratto dalla ricchezza del linguaggio teatrale e dalle possibili contaminazioni con quello cinematografico, e ha avviato un lavoro indirizzato ad approfondire i possibili rapporti di scambio tra le due forme espressive che segnerà tutta la seconda parte della sua produzione. Trasferitosi infatti a New York dalla California nel 1981, si è dedicato alla realizzazione di alcune regie teatrali e quindi alla trasposizione per il cinema di testi per il teatro. L'indagine serrata e intensa che restituisce in tutta la sua soffocante complessità la struttura di un cinema 'da camera' e avvia un'analisi spietata degli aspetti del mito, è esplosa quindi in Come back to the 5 & dime, Jimmy Dean, Jimmy Dean (1982; Jimmy Dean, Jimmy Dean), opera tratta dal testo teatrale di E. Graczyk, in cui il senso di struggente nostalgia per un corpo divenuto segno emblematico e consegnato all'immortalità nella memoria dei singoli pervade quello che si rivela un approfondito e, al contempo, partecipato ritratto dell'universo femminile. L'impianto teatrale, qui volutamente enfatizzato tanto che lo stesso spazio da filmare si struttura sulle dimensioni del palcoscenico, è riproposto in Streamers (1983), tratto dalla pièce di D. Rabe, in cui, come nel precedente, il ricorso alla telecamera, oltre che alla macchina da presa, consente ad A. di seguire in tutte le sfumature la recitazione degli attori. Ambientato in un campo d'addestramento militare, presenta un'alta densità di elementi realistici che viene altresì sostanziata di spessore metaforico. In Fool for love (1985; Follia d'amore), altro ritratto della provincia statunitense dall'omonimo testo teatrale di Sam Shephard (che è anche uno dei protagonisti), le unità di luogo, tempo e azione sono amplificate e contraddette da un originale uso degli spazi. Nel 1987 per Beyond therapy (Terapia di gruppo), claustrofobico film sulla psicoanalisi basato su un copione di C. Durang, A. è stato costretto a ricostruire l'ambientazione newyorkese a Parigi per gli ormai inevitabili dissidi con la produzione. È stato poi autore della sequenza 6 del film collettivo Aria (1988), dedicato alla messinscena di opere liriche, e di Vincent et Théo (1990; Vincent e Theo) sul rapporto tra il pittore Van Gogh e suo fratello. All'inizio degli anni Novanta A. ha ritrovato nelle sue opere quell'energia e quella coralità coinvolgente che avevano caratterizzato la sua migliore produzione degli anni Settanta. Il cinico ritratto del mondo cinematografico offerto in The player costituisce la velenosa vendetta contro l'industria hollywoodiana. Il film si apre con un lungo piano-sequenza che rende omaggio a Touch of evil di Orson Welles e si avvale della presenza di alcune star (tra cui Julia Roberts, Bruce Willis, Nick Nolte, Jack Lemmon, Anjelica Huston) disposte a recitare a paga sindacale. I meccanismi che consentono la simulazione di un universo 'vasto', dove più vicende separate, sul modello di Nashville, s'incrociano o sono tangenti tra loro e in cui lo sguardo di A. si pone a una distanza sempre maggiore, vengono amplificati in Short cuts. In quest'ultimo, ispirato da nove racconti e da una poesia di R. Carver e percorso da numerosi omaggi al cinema europeo (il delirio ludico e l'apocalisse felliniani di La dolce vita), frammenti di storie individuali vengono assunti a metafore sociali dell'America contemporanea, mentre il complesso lavoro effettuato sul suono e sul montaggio consente di creare collegamenti tra luoghi e personaggi diversi e lontani. Sullo stesso schema a incastro volutamente dispersivo di questi due film, A. ha quindi realizzato Prêt-à-porter, noto anche come Ready to wear (1994), nel quale con feroce cinismo svela ipocrisie e contraddizioni dell'ambiente della moda, tracciando un pungente ritratto del 'carnevale umano' che ogni anno, a Parigi, affolla la settimana del prêt-à-porter. L'opera, a tratti discontinua, è carica di autoironia nei richiami cinefili (Marcello Mastroianni e Sophia Loren che ripetono lo spogliarello di Ieri, oggi, domani) e di una potenza distruttiva che si concretizza nel finale con le modelle nude sulla passarella. Nel 1996 ha poi diretto Kansas City, malinconico omaggio alla musica jazz e al gangster film, ambientato nella sua città natale, mentre il successivo The gingerbread man (1998; Conflitto di interessi), tratto da un romanzo di J. Grisham, ha costituito una stanca incursione nell'ambito del filone giudiziario. Con Cookie's fortune (1999; La fortuna di Cookie) è invece riuscito a offrire un'immagine del Sud degli Stati Uniti filtrata attraverso un'impostazione teatrale ricca di leggerezza e arricchita da un ritmo sfrenato che coinvolge tutti i personaggi. Il successivo Dr. T & the women (2000; Il dottor T e le donne), pervaso da uno spirito grottesco con cui viene descritto un universo femminile ormai incomprensibile, sembra invece sostanziarsi esclusivamente di un'amara disillusione. Nel 2001 ha realizzato Gosford Park, ancora un graffiante ritratto corale, ambientato nell'Inghilterra degli anni Trenta e giocato sulle differenze di classi e caratteri.
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