Regista cinematografico francese (Bromont-Lamothe, Alta Loira, 1907 - Parigi 1999). Già nel primo film Les anges du péché (La conversa di Belfort, 1943) emerge chiaramente il senso religioso del rapporto tra libertà e grazia, che sarà uno dei temi prediletti da Bresson. Con Le journal d'un curé de campagne (dall'omonimo libro di Bernanos, 1951), lo scontro tra personaggio e ambiente diviene un evidente elemento costante della sua opera; non a caso molti anni dopo si rifarà allo stesso scrittore con Mouchette (1967). La tensione della volontà individuale trova quasi sempre ostacoli; talora (Un condamné à mort s'est échappé, 1956) c'è posto per la speranza, qualche volta interviene la sublimazione religiosa come ne Le Procès de Jeanne d'Arc (1962), più spesso c'è la presa di coscienza del limite individuale come in Pickpocket (1959), oppure prevale l'impossibilità di uscire dal proprio ambiente (Une femme douce, Così bella, così dolce, 1969, da Dostoevskij). Se prende i toni della parabola (Au hazard Balthazar, 1966) B. lo fa per descrivere le varie fasi di estensione del male; anche il ripiegamento nel sogno, come in Quatre nuits d'un rêveur (1971), si colora di pessimismo. Talora il film descrive il fallimento di un tentativo (l'amore di Lancillotto e Ginevra, in Lancelot du Lac, 1974), su uno sfondo di morte e sconfitta. Se si rivolge ai nostri giorni, il lucido sguardo bressoniano vede una generale spinta verso l'autodistruzione, delle persone e dell'ambiente (Le diable probablement..., 1977). Nel 1983 ha diretto L'argent.