Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Noto soprattutto per i suoi libri di viaggio e i suoi racconti di avventura, Robert Louis Stevenson difende il valore dell’immaginazione nella narrativa, facendosi portatore di una visione onirica della letteratura, che si contrappone all’esperienza quotidiana. Fautore dell’estetica dell’intrattenimento, lo scrittore scozzese ha intrecciato nelle sue opere motivi autobiografici a interessi storici e riflessioni sul ruolo della produzione letteraria.
Nato a Edimburgo, in Scozia, nel 1850, Stevenson trascorre un’infanzia solitaria a causa della salute delicata: la tubercolosi lo costringe fin da piccolo a lunghi periodi a letto, allietati dai racconti dell’amata governante Cummy. Il padre è un ingegnere civile che si occupa della costruzione dei fari, così come il nonno; il giovane Stevenson però non intende seguire le loro orme, e abbandona gli studi di ingegneria per dedicarsi a quelli giuridici. Tuttavia, non praticherà mai nemmeno la professione di avvocato. Ben presto è evidente il suo desiderio di dedicarsi alla scrittura: questa scelta ardita va decisamente contro le aspettative della famiglia, di stretta osservanza calvinista. Più in generale, con i suoi atteggiamenti da ribelle bohèmien , egli rifiuta le ipocrisie del mondo borghese. Dal 1873 comincia a inviare saggi e racconti a riviste specializzate; grazie a Sidney Colvin, nel 1874 viene accolto nel Savile Club, dove si incontrano le personalità illustri della Londra letteraria del tempo.
Nonostante la salute malferma, viaggiare diventa presto il suo interesse principale; anzi, il viaggio costituisce il solo modo per sfuggire al clima delle isole britanniche, così poco consono per chi, come lui, ha seri problemi respiratori. Stevenson incomincia la sua carriera di scrittore proprio con due libri di viaggio, Un’escursione nell’entroterra (An inland voyage), 1878, che racconta un viaggio in canoa da Anversa al nord della Francia, e Viaggio a dorso di mulo nelle Cevennes (Travels with a donkey in the Cévennes), 1879. Gli spostamenti alla ricerca di un clima favorevole saranno continui: Stevenson elabora, nello stesso tempo, una vera e propria filosofia del viaggio come eterno movimento, determinato dall’irrequietezza, dal desiderio di evasione e di avventura.
Proprio durante un viaggio compiuto nel 1876 in Belgio e nel nord della Francia, conosce Fanny Osbourne, un’americana separata con figli, si innamora di lei e decide di seguirla in America. Questo incontro cambia completamente la sua vita, suscitando un certo scandalo in famiglia. Nel 1879, in cattiva salute e senza denaro, parte da Glasgow verso gli Stati Uniti sul piroscafo Devonia. Le sue impressioni della traversata atlantica e del successivo viaggio per raggiungere la California sono pubblicate postume nel 1895 con il titolo Emigrante per diletto (The amateur migrant), dove lo scrittore si muove tra distacco ironico e coinvolgimento emotivo. Nel 1880, appena Fanny ottiene il divorzio, Stevenson la sposa. Gli accampati di Silverado (The Silverado Squatters), 1883, narra la loro breve luna di miele a Calistoga, presso una miniera d’argento abbandonata. I protagonisti, Stevenson, la moglie, il figliastro e il cane, divengono personaggi da fiaba che prendono possesso di un regno incantato. In seguito tornano tutti insieme in Europa, prima in Scozia e poi sul Mediterraneo.
In questo periodo Stevenson pubblica molto: diversi volumi di saggi e l’opera che lo rende famoso, L’isola del tesoro (Treasure island), prima sulla rivista per ragazzi "Young Folks" (tra 1881 e 1882) e poi in volume (1883). L’isola del tesoro si affermerà come il modello di un romanzo d’avventura che rievoca il passato dei pirati e dei viaggi in mari sconosciuti. Dal settembre 1884 al luglio 1887 vive a Bournemouth, nel sud-ovest dell’Inghilterra. Nel 1885 esce la raccolta di poesie Il giardino dei versi (A Child’s garden of verses), comprendente rime giocose e nostalgiche distinate ai bambini. Nel 1886 compaiono Il ragazzo rapito (Kidnapped) e Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (The strange case of Dr Jekyll and Mr Hyde), che diviene un best-seller, consacrando la sua fama di scrittore. Nel 1887 spinto dai persistenti problemi ai polmoni, lascia la Gran Bretagna per non tornarvi mai più. Dopo un breve periodo trascorso in America, si reca nelle isole del Pacifico, nei "mitici" mari del Sud e nel 1890 si stabilisce definitivamente a Samoa, insieme alla moglie, dove acquista una proprietà a Vailima.
Robert Louis Stevenson
L’isola del tesoro
L’aspetto dell’isola, quando l’indomani mattina salii sul ponte, era completamente cambiato. Sebbene la brezza fosse del tutto cessata, avevamo percorso un buon tratto durante la notte, e adesso eravamo col mare in bonaccia, circa mezzo miglio a sud-est della piatta costa orientale. Boschi grigiastri ricoprivano gran parte della superficie. Questa tinta uniforme era interrotta, nella zona più bassa, da strisce di sabbia gialla e da un gran numero di alberi altissimi della famiglia dei pini, che ora isolati, ora a gruppi, sovrastavano gli altri; ma il colore dominante era monotono e triste. Le colline si ergevano spoglie sopra la vegetazione con le vette di nuda roccia. Avevano tutte una forma bizzarra e il Cannocchiale, la più alta dell’isola di trecento o quattrocento piedi, era forse quella con l’aspetto più strano, poiché si innalzava ripida quasi da ogni lato, poi sembrava improvvisamente mozzata in cima, come un piedistallo dove collocare una statua.
L’Hispaniola rollava sul mare gonfio con gli ombrinali sommersi, le rande squassavano i bozzelli, il timone sbatteva qua e là, e tutta la nave scricchiolava, gemeva e sussultava come una macchina diabolica. Io dovevo tenermi stretto ai paterazzi, e il mondo girava vorticosamente davanti ai miei occhi; perché, sebbene fossi un marinaio abbastanza esperto durante la navigazione, quello stare immobili a farsi sballottare come una bottiglia era una cosa che non ho mai sopportato senza avere la nausea, soprattutto di mattina, a stomaco vuoto.
E a quel punto entrammo tutti nella caverna. Era un ambiente ampio e arioso, con una piccola sorgente e una pozza d’acqua limpida sovrastata da felci. Il suolo era sabbioso. Davanti a un grande fuoco stava coricato il capitano Smollett; e in un angolo lontano, a tratti illuminato dai guizzi delle fiamme, scorsi grandi mucchi di monete e cataste quadrangolari di lingotti d’oro. Era il tesoro di Flint, che eravamo venuti a cercare da così lontano e che era già costato la vita a diciassette uomini dell’Hispaniola. Quante altre vite ancora fosse costato per essere accumulato, quanto sangue e sofferenze, quante belle navi colate a picco, quanti uomini coraggiosi costretti a camminare bendati sulla tavola, quanti colpi di cannone, quanta menzogna, vergogna e atrocità, nessuno saprebbe dirlo. Eppure su quell’isola c’erano ancora tre uomini – Silver, il vecchio Morgan e Ben Gunn – che avevano avuto la loro parte in quei crimini, e ognuno di loro aveva sperato invano di ricevere la propria parte di ricompensa.
– Entra, Jim – disse il capitano. – Sei un bravo ragazzo, a modo tuo, Jim; ma non credo che tu e io torneremo a navigare insieme. Sei troppo viziato per i miei gusti. Siete voi, John Silver? Cos’è che vi porta qui, marinaio?
– Ritorno al mio dovere, signore – rispose Silver.
– Ah! – esclamò il capitano, e non aggiunse altro.
R. L. Stevenson, L’isola del tesoro, trad. it. di L. Maione, Milano, Feltrinelli, 2010
Quando Stevenson incomincia a dedicarsi alla letteratura, la tradizione del romanzo vittoriano suddiviso in tre volumi ormai volge al termine. Profondamente convinto del valore artistico del romanzo, lo scrittore si cimenta anche nei cosiddetti generi narrativi popolari, come i resoconti di viaggio, i racconti fantastici o gotici, le favole, ottenendo sempre un grande riscontro di pubblico. Stevenson si inserisce nel momento cruciale in cui il romance , ossia la narrazione d’avventura non realistica, rivendica la sua dignità di fronte a forme ritenute più moderne; opponendosi a Henry James, fautore di una concezione aristocratica e alta del romanzo, sostiene che il romance risponde pienamente alle esigenze dei tempi presenti, essendo una forma di intrattenimento necessaria, capace di attingere a una dimensione mitica dell’esistenza.
La riflessione teorica di Stevenson sull’argomento va di pari passo con il periodo più fecondo della sua produzione romanzesca. Ad esempio, in Un’umile rimostranza (A Humble Remonstrance), del 1884, lo scrittore scozzese sostiene che il romanzo non esiste in quanto si avvicina all’esistenza quotidiana, piuttosto quando se ne distacca in maniera totale. Stevenson esalta dunque l’aspetto onirico, il "sognare a occhi aperti" (daydreaming). La componente ludica e la dimensione archetipica della narrazione sono fondamentali: in questo senso, il romance esprime una percezione mitopoietica della realtà. In particolare per Stevenson l’immaginazione infantile rimane un fondamento ineludibile della vita adulta; in polemica con Henry James, che sostiene di non aver mai cercato tesori nascosti, egli ironizza sul fatto che evidentemente James non è mai stato un ragazzo, perché tutti i ragazzi vanno alla ricerca di un tesoro.
Stevenson partecipa attivamente al dibattito sul romance della fine dell’Ottocento, accanto a Henry Rider Haggard (1856-1925), l’autore di Le miniere di re Salomone (King Solomon’s Mines), 1885, a Andrew Lang (1844-1912), antropologo e giornalista, esploratore delle tradizioni favolistiche e delle manifestazioni occulte, e a George Saintsbury (1845-1933), autorevole critico letterario. Pur facendo parte del movimento antirealistico che sfocerà alla fine dell’Ottocento nel decadentismo, Stevenson si distanzia dalle poetiche decadenti, nonostante la cura stilistica rigorosa e la fascinazione per il male; diversamente dai decadenti, teorici di una letteratura elitaria, Stevenson cerca sempre il successo presso il grande pubblico e non disdegna di avere i ragazzi tra i suoi lettori.
Mentre si trova in vacanza in Scozia nell’estate del 1881, costretto a rimanere in casa a causa della pioggia incessante, in compagnia del figliastro Lloyd, disegna, colora e annota la mappa di un’immaginaria isola del tesoro. A settembre comincia a scrivere la storia che segna l’inizio della sua popolarità.
Nella vicenda di Jim Hawkins, il ragazzo che lascia la casa e la madre per affrontare un lungo viaggio in terre lontane e vivere esperienze straordinarie su un’isola deserta, prevale il fascino del mistero e dell’avventura: ci sono le trame dei pirati nella locanda, il viaggio per mare pieno di imprevisti, l’isola dalle caratteristiche mutevoli, lussureggiante e malsana, luogo di fantasticherie ma anche di violenze, il tesoro mai completamente recuperato. Non bisogna dimenticare che il romanzo è ambientato nel Settecento, un’epoca in cui era ancora viva l’esperienza della pirateria. Il fatto che l’opera sia situata nel XVIII secolo, l’età in cui l’impero viene fondato, permette di delineare un percorso storico ideale rispetto alla fine dell’Ottocento, il periodo della massima estensione dell’Impero inglese, quello in cui vive Stevenson, ma anche del suo tramonto.
L’isola del tesoro propone il percorso archetipico della quest, del viaggio di iniziazione: nonostante il lieto fine, il soggiorno sull’isola ha però le caratteristiche di un incubo per il giovane protagonista. Il male e la doppiezza entrano nel personaggio dapprima innocente di Jim soprattutto attraverso la figura di Long John Silver, il pirata con una gamba sola, che si imbarca sulla Hispaniola come cuoco di bordo. Diversi sono i personaggi enigmatici e suggestivi, costruiti attorno a stereotipi: il bucaniere Bill, per esempio, con la sua sporcizia, la bottiglia di rum sempre appresso, il cieco Pew, i vari componenti della ciurma della nave. Il cuoco Silver ha uno statuto morale ambiguo, in quanto diventa genuinamente amico del ragazzo ed è il capo dei pirati che vorrebbero impossessarsi per conto proprio del tesoro. La suddivisione in due fazioni dei personaggi in cerca del tesoro, che si fronteggiano sull’isola, fa aumentare la tensione. Il ruolo di Jim è fondamentale per il trionfo dei personaggi positivi, che rappresentano il ceto borghese e quello aristocratico, alleati per acquisire le enormi ricchezze nascoste dal pirata Flint.
La voce di Stevenson si afferma nel racconto dell’entusiasmo vitalistico dell’avventura, senza indietreggiare di fronte al male; non manca una riflessione sulla dimensione coloniale capitalistica, dal momento che il tesoro costituisce l’obiettivo da raggiungere per tutti i personaggi del romanzo, e dunque la ricchezza localizzata ai margini del mondo conosciuto costituisce una sorta di giustificazione dell’espansione britannica sui mari.
Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde recupera la dimensione onirica e gotica, concentrandosi sul tema del doppio; l’opera da una parte affonda le radici negli esperimenti scientifici e dall’altra in una visione gotica, che mette in crisi il perbenismo borghese. Il tema faustiano si ricollega al Frankenstein (1818) di Mary Shelley; nel romanzo stevensoniano si uniscono il motivo dello sdoppiamento e il genere della detective story. Jekyll rappresenta l’emblema dell’ordine patriarcale vittoriano, soggetto a repressioni e divieti. La speculazione sulla dualità manichea dell’uomo, creatura metà angelica metà distruttiva, viene ribadita attraverso la figura dell’avvocato Utterson, un osservatore tollerante delle contraddizioni della natura umana.
La storia di Jekyll/Hyde è quella di un uomo comune (o, meglio, di un intellettuale borghese) che dà libero sfogo al male che c’è in lui, abbandona la rispettabilità del suo ceto sociale per seguire piaceri illeciti, ma è anche la storia di uno scienziato che osa troppo e perde il controllo, che compie i suoi esperimenti su se stesso, provocando una metamorfosi della sua identità. La fascinazione dell’opera però poggia anche sulle molteplici descrizioni dei fatti e dei personaggi, affidate a testimoni diversi.
Stevenson ha avuto un ruolo importante anche nello sviluppo della short story, ossia del racconto: di questo genere, che ha trovato espressione in America, Francia e Russia dalla metà dell’Ottocento, Stevenson si può considerare l’iniziatore all’interno della tradizione britannica. Nel 1882 i suoi racconti brevi vengono raccolti nel volume Nuove mille e una notte (New Arabian Nights), basato sulla struttura della celebre raccolta di fiabe: i racconti appaiono trascritti da un manoscritto arabo. Stevenson ricorre alla finzione di un anonimo narratore arabo per introdurre le storie ambientate nella Baghdad dell’Occidente, cioè Londra. Lo scrittore scozzese scrive short stories durante tutta la sua carriera, specialmente nell’ambito del fantastico e del gotico, senza escludere la dimensione autobiografica.
Anche il romanzo storico è fra i generi frequentati da Stevenson, a partire da La freccia nera (The Black Arrow), pubblicato in volume nel 1888, nel quale la storia romantica a lieto fine di due giovani orfani viene proiettata sullo sfondo della guerra delle Due Rose tra York e Lancaster, con un taglio teatrale e drammatico. Sempre nell’ambito del romanzo storico si colloca Il signore di Ballantrae (The Master of Ballantrae), 1889, che però ha un minore successo commerciale. In quest’opera, Stevenson torna alla Scozia, sulle orme di Walter Scott, costruendo una nuova vicenda di doppi, basata sul conflitto tra i fratelli James e Henry. Lo scontro fra due fratelli scozzesi, uno sostenitore di Giorgio II di Hannover e l’altro della dinastia Stuart, sconfitta definitivamente a Culloden nel 1746, ripropone il motivo della dicotomia morale, all’interno della storia e del paesaggio scozzese. La tendenza a usare il paesaggio e la storia per evocare il genius loci conferisce alla vicenda, nonostante le caratteristiche storico-geografiche assai precise, i contorni del mito. Dunque, il conflitto fraterno, che si conclude tragicamente con la morte di entrambi i personaggi, assume una connotazione atemporale e leggendaria, pur ribadendo la dimensione storica degli eventi.
Sia Il ragazzo rapito (Kidnapped) che il suo seguito Catriona (1893) sono di ambientazione scozzese: David Balfour, il protagonista, è un altro giovane eroe, al centro di una storia edificante, sulle tracce dickensiane del ragazzo di grandi speranze che entra infine in possesso dell’eredità che gli spetta. Lo zio cerca infatti di eliminarlo senza riuscirci: prima rapito, prigioniero su un brigantino, poi in fuga nelle Highlands scozzesi, David riuscirà a salvarsi. Nel romanzo che segue, alle vicende storiche, che riguardano ancora la guerra civile tra i sostenitori della dinastia Stuart e gli Hannover, si accompagna la love story tra David e Catriona, che servirà a riappacificare le fazioni nemiche.
L’ultimo romanzo di Stevenson, incompiuto, Weir di Hermiston (Weir of Hermiston), 1896, è ambientato nella Scozia del XVIII secolo, ma scritto lontano da lì, a Samoa. Al centro, vi è la relazione tra un padre autoritario e un figlio che cerca di affermare la sua identità: si tratta di una narrazione ancora irrisolta, che si colloca tra il romanzo di formazione, la leggenda scozzese e una rielaborazione del tema del doppio, con evidenti riferimenti autobiografici.
L’esperienza delle isole del Pacifico, dei loro colori e delle loro forme, cambia l’esistenza di Stevenson: durante il periodo trascorso a Samoa, egli si divide tra l’attività di scrittore e l’impegno verso la conoscenza degli indigeni e delle loro tradizioni. Qui muore all’improvviso, per emorragia cerebrale, nel 1894 e qui viene sepolto, celebrato come "Tusitala", ossia "cantore di storie", "narratore", dagli indigeni. Stevenson giustifica il suo trasferimento con i persistenti motivi di salute, ma non ottiene la guarigione neppure nei mari del Sud, pur rivivendo le vicende dei grandi viaggiatori del Pacifico e liberandosi dalle costrizioni della vita borghese. Le emozioni provate a contatto con paesaggi e figure di un mondo da lui considerato ancora primitivo vengono riflesse dalla sua scrittura; gli indigeni vengono visti come eredi della nobiltà dell’uomo non contaminato dalla civiltà, con l’interesse del naturalista e dell’antropologo dilettante.
Non più in viaggio, ma in esilio volontario, Stevenson continua a dedicarsi alla letteratura; in particolare nel 1892 pubblica Attraverso le pianure (Across the plains), l’anno successivo Gli intrattenimenti delle notti sull’isola (Island nights’ entertainments), in cui è incluso il racconto La spiaggia di Falesà (The beach of Falesà), che narra le relazioni difficili dei bianchi presenti sull’isola e il carattere superstizioso degli indigeni. Il racconto, dall’epilogo tragico, si concentra sulla rivalità fra due personaggi bianchi, Wiltshire e Case, legati agli interessi commerciali sviluppati nel Pacifico e sul rapporto ambiguo da loro instaurato con gli indigeni.
La spiaggia di Falesà e altri racconti mettono al centro figure di europei sradicati e corrotti, che si sono stabiliti nel Pacifico. Anche Il riflusso della marea (The ebb tide), 1894, si concentra sui reietti, i "dannati" dei mari del Sud, individui che in conflitto con l’ambiente d’origine trovano la loro collocazione ideale nei più remoti avamposti dell’impero coloniale, dove i codici comportamentali del mondo borghese si fanno sentire in maniera minore. Pur essendo un romanzo d’avventura, Il riflusso della marea denuncia senza mezzi termini i guasti del colonialismo. Nelle narrazioni legate all’esperienza del Pacifico sono incluse anche figure femminili, solitamente assenti nei precedenti racconti stevensoniani. Nella raccolta Nei mari del Sud (South sea tales), pubblicata nel 1896, una qualità saggistica di alto livello appare approfondita dalla consapevolezza del paesaggio e dell’atmosfera: i mari del Sud per Stevenson rappresentano soprattutto l’incontro con la meraviglia, la magia e il mito, ma sono anche oggetto di osservazione minuziosa.
Nell’ultimo periodo della sua vita lo scrittore scozzese si dedica anche a opere letterarie e storiche, che, quasi paradossalmente lo rimettono in contatto, immaginativamente, con la Scozia, e scrive un gran numero di lettere ad amici e conoscenti, l’unico collegamento che gli è rimasto con la vita e la cultura europea. La leggenda che si crea attorno alla figura dello scrittore esiliato, come attorno ad altri artisti europei esuli in Polinesia, per esempio il pittore Paul Gauguin, si consolida e si arricchisce dopo la sua morte.