PINGET, Robert
Scrittore e drammaturgo francese di origine svizzera, nato a Ginevra il 19 luglio 1919. Completati gli studi in patria e laureatosi in giurisprudenza, emigrò (1946) a Parigi, dove tra l'altro s'iscrisse all'Ecole des Beaux Arts e frequentò gli ambienti artistici e letterari, entrando in contatto con alcuni degli scrittori che proprio in quegli anni inauguravano la stagione del nouveau roman. La prima opera narrativa di P., i racconti Entre Fantoine et Agapa (1951), venne immediatamente, e frettolosamente, classificata dalla critica come significativo prodotto della nuova scuola, per l'evidente privilegio concesso ai moduli più consueti del nouveau roman: la frammentarietà della comunicazione che caratterizza la vita contemporanea, la temporalità della narrazione portata a dilatazioni estreme, l'assenza quasi totale di un plot. In realtà, al di là di un comune rifiuto del romanzo tradizionale e al di là di affinità stilistiche e strutturali che costituiscono l'indubbio risultato di una personale fruizione dei principi ispiratori della nuova scuola francese − scuola cui non a caso P. ha sempre rifiutato di appartenere come effettivo −, la produzione narrativa di P. possiede caratteristiche di stile e di dettato quasi certamente più alte e durevoli − soprattutto perché meno programmatiche − di quelle presenti nelle opere ben più acclamate di un Robbe-Grillet o di una Sarraute. Respinte le frustranti limitazioni del plot, P. imposta deliberatamente tutta la narrazione sulla falsa sostanzialità della denotazione. Ne deriva una rappresentazione puramente oggettiva dei personaggi e degli ambienti, descritti minutamente in ogni minimo particolare. In assenza di connotazioni che cementino questi elementi oggettivi tra loro, il lettore non riesce a entrare in contatto con essi se non per quello che essi appaiono: un ammasso di nozioni senza ordine logico, quale appunto è secondo P. la vita.
Così è per le molte storie ambientate in una immaginaria provincia compresa fra le comunità di Fantoine e Agapa, luogo che torna ripetutamente nelle opere di P., sempre esattamente e puntigliosamente descritto, al punto che "un volonteroso lettore munito di matita potrebbe quasi certamente disegnare la mappa dell'intera regione solo seguendo le indicazioni offerte dal testo" (Updike 1983). Ai lettori P. non offre altro stabile punto di riferimento, né in questo libro d'esordio né nei successivi romanzi (Mahu ou le matériau, 1952, ma scritto prima del 1950; Le renard et la boussole, 1953; Graal Filibuste, 1956, ripubblicato nell'integrale stesura originaria nel 1966; Baga, 1958; Le fiston, 1959; Clope au dossier, 1961). La notorietà giunse a P. con L'inquisitoire (1962; trad. it., 1966), che ottenne il prestigioso Prix des Critiques. Il romanzo è imperniato sull'interrogatorio di un vecchio sordo (l'inquisitore gli pone le domande per iscritto), già domestico di alcuni ''signori'' dal cui castello è scomparso il segretario. La testimonianza, interrotta più volte e più volte deviata da altre testimonianze, assume contorni sempre più sfuggenti fino a diventare del tutto vaga e inattendibile. Un buon successo riscosse anche Quelqu'un (1965; trad. it., 1969), cui andò il Prix Fémina, e che alcuni critici giudicarono il più originale di P.: protagonista ne è il comproprietario d'una pensione di periferia, che sta redigendo un trattato di botanica e a un tratto si accorge di avere smarrito una sezione di appunti; da quel momento in poi il narratore-scrittore, in parallelo con il trattato, compila una relazione accurata dell'indagine che va conducendo per ritrovare il materiale perduto: e poco a poco la relazione assumerà proporzioni enormi, soffocando in pratica il trattato scientifico.
Nelle opere successive P. ha mostrato una decisa tendenza ad accentuare alcune componenti della propria narrativa − la perversione, la violenza, la morte − fino ad allora in secondo piano o comunque limitate dalla costante presenza di due qualità esorcizzanti, la disposizione ironica e la leggerezza sottilmente e scaltramente fantasiosa dell'invenzione. In Le Libera (1968) e in Passacaglia (1969) chiacchiere, malignità e indagini d'ogni tipo finiscono per annebbiare se non addirittura cancellare i contorni di una realtà che sembrava invece palpabile e facilmente attingibile, la realtà macabra ed evidente di due corpi martoriati: nel primo romanzo quello di un bambino di dieci anni, strozzato o annegato, la cui concretezza sembra alla fine da mettere addirittura in dubbio; nel secondo, quello di un adulto gettato in una discarica, e che sembra essere il cadavere dello scemo del paese, o quello del postino, o anche, semplicemente, uno spaventapasseri. Con L'apocryphe (1981) P. ha abolito ogni parvenza di rapporto fra alcuni agglomerati narrativi − un probabile decesso, un inventario di mobili, la descrizione di un cambio di stagione − per puntare invece quasi esclusivamente alla dimostrazione di quanto il linguaggio sia responsabile dell'alterazione della verità. Le opere più recenti di P. (Monsieur Songe, 1982; L'ennemi, 1984; Le harnais, 1984; Charrue, 1985; Du nerf, 1990; Théo ou le temps neuf, 1991), pur interessanti per l'inesausta ricerca sperimentale, non hanno aggiunto elementi sostanzialmente nuovi alla figura dello scrittore.
Vicino a quello di Beckett, il teatro di P. impiega poche attrezzature sceniche e pochissimi attori, per meglio focalizzarne il tema centrale: l'isolamento e l'alienazione dell'individuo tentato di dar forma e senso a un mondo che è soltanto assurdità. Tra le opere più interessanti: Lettre morte (1960), adattamento del romanzo Le fiston; Ici ou ailleurs (1961; trad. it., 1965), basata su Clope au dossier; Architruc e L'hypothèse (1961; trad. it., 1965); Identité e Abel et Béla (1971); Paralchimie (1973); Un testament bizarre et autres pièces (1986).
Bibl.: L. Lesage, The French novel: an introduction and a sampler, Filadelfia 1962; R.M. Henkels jr., R. Pinget: the novel as a quest, Tuscaloosa (Alabama) 1979; J. Updike, R. Pinget, in Hugging the shore: essays and criticism, New York 1983, pp. 417-23; R. De Feo, Lost voices, imaginary cities, in The Nation, 237, 1 (2 luglio 1983); AA.VV., in Etudes littéraires, 19, 3 (inverno 1986-87; numero interamente dedicato a P.); AA.VV., in Critique, 43 (1987); M. Praeger, Les romans de R. Pinget. Une écriture des possibles, Lexington (Kentucky) 1987.