Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con il suo libro Complexity and Contradiction in Architecture, l’architetto americano Robert Venturi getta le basi per la fondazione della corrente architettonica chiamata “postmoderna”. A suo avviso l’architettura deve filtrare tipi e modelli dal serbatoio della storia con l’applicazione rigorosa del metodo della rivisitazione. Successivamente, con il libro Learning from Las Vegas, tale orientamento teorico riscopre la cultura americana popolare e le sue strategie di comunicazione.
Robert Venturi
Il riscatto degli oggetti banali in architettura
La giustificazione principale per l’uso di oggetti banali nell’ordine architettonico è la loro esistenza reale: sono ciò che abbiamo. Gli architetti possono lamentarsene o tentare di ignorarli, o anche tentare di abolirli, ma essi non se ne andranno; oppure non se ne andranno per lungo tempo, perché gli architetti non sono in grado di sostituirli (né sanno con che cosa sostituirli) e perché questi elementi banali vengono incontro agli attuali bisogni di varietà e di comunicazione.
R. Venturi, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Bari, Dedalo, 1980
Nel 1962, prima ancora che nascesse la corrente architettonica del postmoderno, Robert Venturi aveva scritto la sua opera fondamentale Complexity and Contradiction in Architecture che verrà pubblicata dal Museum of Modern Art di New York solo più tardi, nel 1966 (trad. it 1980). Il libro propone un’interpretazione dell’architettura che, rifiutando i canoni del movimento moderno, tende verso la rivalutazione critica del passato. Già nel titolo vengono esposti i principi teorici di base: complessità e contraddizione intrinseche al fenomeno architettonico, aperta contestazione del concetto di less is more teorizzato da Mies van der Rohe, profeta del movimento moderno.
Venturi rimprovera al movimento moderno due errori fondamentali: il primo è quello di ignorare la polivalenza del linguaggio architettonico, il secondo quello di limitarsi all’essenzialità delle forme e alla neutralità della composizione. “Mies, per esempio, costruisce splendidi edifici solo perché trascura molti degli aspetti di un edificio, se affrontasse un maggior numero di problemi le sue architetture non sarebbero così grandi”, scrive Venturi citando Paul Rudolph.
Venturi individua una serie di parole chiave: “ambiguità”, “duplice significato”, “unitarietà difficile”, “polifunzionalità”, atte a legittimare il nuovo punto di vista con il supporto di oltre duecento esempi tratti dalla storia dell’architettura: dal manierismo romano a Le Corbusier. Per ogni epoca sussiste un denominatore comune: indipendentemente dal luogo, dalla tradizione, dalle esigenze di rappresentanza, dalle richieste del committente, o anche dalle teorie architettoniche dominanti, rimangono espressioni costanti nella progettazione e nella realizzazione di un edificio, l’ambiguità, l’ironia e la tensione. Queste caratteristiche devono sempre sintetizzarsi in una composizione unitaria, in un insieme che è obbligato a perseguire “la difficile unità dell’inclusione piuttosto che la facile unità dell’esclusione. More is no less – constata Venturi, anzi – Less is a boring”.
Robert Venturi, nato a Philadelphia, si reca in Italia a studiare l’architettura romana per ben due volte. Un primo breve viaggio lo compie nel 1948, un altro dal 1954 al 1956 grazie ai finanziamenti dell’Accademia Americana a Roma. Venturi rimane talmente affascinato dall’architettura manierista da inserire il disegno di Porta Pia, realizzato da Michelangelo, sulla copertina del suo libro-manifesto. La teoria di Venturi, però, non si nutre soltanto di esempi provenienti dal passato. Gli anni della sua elaborazione coincidono infatti con il fiorire della pop art in Inghilterra e negli Stati Uniti, la cui rivalutazione estetica delle merci, dei prodotti del consumismo massmediatico e delle icone simboliche della cultura nazionale come la bandiera “a stelle e strisce” celebrata da Jasper Johns, viene assorbita quasi interamente nel progetto venturiano. All’iniziale ammirazione per la cultura popolare seguirà più tardi un’analisi approfondita i cui risultati appariranno nel libro Learning from Las Vegas del 1972.
Dopo aver completato gli studi a Princeton, Venturi, prima di mettersi in proprio nel 1951, lavora per alcuni mesi nello studio di Louis I. Kahn, suo maestro durante gli anni dell’università. Il grande architetto è ammirato dal giovane talento, poiché è riuscito, con il suo lavoro, a ristabilire una fertile connessione tra il presente e l’architettura del passato pur mantenendo la propria autonomia stilistica.
Una delle prime realizzazioni del giovane Venturi, che potremmo definire l’incunabolo dell’architettura postmoderna, è l’abitazione per sua madre, My Mother’s House, a Chestnut Hill in Pennsylvania nel 1962, un’opera che realizza tutti gli obiettivi della nuova architettura. “In questa casa sono riconoscibili la contraddizione e la complessità: è semplice e complessa al tempo stesso, aperta e chiusa, grande e piccola”, scrive Venturi nell’appendice a Complexity and Contradiction in Architecture. La facciata principale dell’abitazione presenta una forma triangolare nella quale sono racchiusi il tetto, la porta d’ingresso e le finestre, in un accordo simmetrico regolato in maniera tale da esercitare una continua tensione su tutti i singoli elementi. Nella facciata posteriore quest’unità si spezza per lasciare spazio a una terrazza con una finestra palladiana su cui si innalza un tetto a più falde, inaspettatamente complesso. L’entrata, collocata al centro della parte anteriore, è accentuata da una trave e da un arco sconnesso, interrotto nel mezzo da un intaglio verticale. La “fessura” arriva fino alla sommità della casa e lascia intravedere una parte ulteriore della costruzione, accennando alla suggestiva complessità del progetto. La casa è inoltre percorsa da una doppia modanatura che ne enfatizza il perimetro orizzontale. Le finestre non sono semplicemente intagliate nelle superfici, ma risultano accentuate dagli infissi che fanno da cornici. Negli anni Sessanta, dopo quasi mezzo secolo di movimento moderno, queste soluzioni vengono giudicate scandalose. Anche l’interno dispone di una pianta che crea varie ambiguità, con una scala “cieca”che finisce nel niente ed entra in competizione con un grande camino per il posto centrale della casa.
La facciata anteriore riassume nel suo insieme ogni elemento indispensabile alla rappresentazione dell’idea di casa: “Il prospetto nella sua combinazione convenzionale di porte finestre, camino e veranda, crea una immagine che è quasi simbolo della casa”, scrive Venturi e, continuando a citare il suo maestro, afferma: “Kahn ha detto: ‘Un edificio è qualcosa che ripara’. Funzione ancestrale della casa è proteggere e fornire privacy, tanto psicologica che fisica.”
Contemporaneamente a My Mother’s House, l’architetto realizza a Philadelphia tra il 1960 e il 1964 la Guild House, una residenza per anziani. Nella disposizione dell’edificio utilizza un modello simmetrico perfetto, la scelta formale più duramente condannata dai modernisti a causa del suo carattere accademico. L’edificio, realizzato in muratura di mattoni rossi nel rispetto della tradizione locale, possiede molte tensioni e innumerevoli ambiguità, quali l’entrata a forma di imbuto sbarrata da una colonna massiccia e l’antenna dorata posta sulla sommità dell’edificio, per la quale l’autore stesso ha suggerito due possibili letture: “astrattamente come scultura”, oppure, “come simbolo delle persone anziane che trascorrono tanto tempo guardando la televisione”. Un’analoga ambiguità si percepisce in Guild House, titolo dell’insegna, la quale connota da un lato la dignità istituzionale, ma, da un altro la contraddice, evocando gli stilemi di un layout grafico commerciale e massificato.
In queste prime opere degli anni Sessanta i riferimenti storici rinunciano alle citazioni dirette, riproponendo piuttosto gli schemi compositivi analizzati in Contradiction and Complexity in Architecture. I riferimenti alle architetture del passato procedono di pari passo con la rielaborazione delle forme tradizionali, esonerandole dal loro compito originario, ma puntando decisamente alla connotazione intrinseca dell’archetipo rappresentato: l’arco sopra la porta d’entrata in My Mother’s House, per citare un esempio, non è più un elemento architettonico inteso nella sua funzione fondativa, ma resta un elemento decorativo, applicato sul muro soltanto per enfatizzare l’entrata.
Nel corso degli anni seguenti si delinea in Venturi un passaggio graduale da un primo periodo di citazioni meditate a una fase in cui il linguaggio diventa ridondante e decorativo, incline alle citazioni più ovvie e prevedibili. Alla base di questo cambiamento c’è prima di tutto una ricerca accurata e rigorosa in ogni ambito del folklore americano. Lo studio di Venturi, da cui nasce nel 1964 una società con l’architetto John Rauch (1930-), alla quale si aggiunge tre anni dopo la moglie di Venturi, Denise Scott Brown, presenta nel 1972 i risultati della loro ricerca in Learning from Las Vegas (trad. it 1985), un’altra bibbia del postmoderno. Al posto dei monumenti del passato fanno adesso il loro ingresso i manifesti pubblicitari, le insegne al neon dei negozi e i cartelloni stradali posizionati lungo la strip, la strada principale di Las Vegas. Questi aspetti della realtà urbana già molto amati dalla pop art, vengono estrapolati dal loro contesto in un ambito strettamente estetico, laddove l’atto creativo finiva per coincidere con la consapevolezza di tale metamorfosi e con il riscatto del banale quotidiano.
Nel loro libro Venturi, Rauch e Scott Brown (VRSB) commentano e classificano scientificamente le tipologie di icone pubblicitarie, anche con una forte dose d’ironia quando, ad esempio, riconoscono che “l’agglomerato del Caesar’s Palace e della strip nel suo insieme si avvicina allo spirito, se non allo stile, del tardo Foro Romano con le sue eclettiche aggiunte. L’insegna del Caesar’s Palace con le sue classiche e plastiche colonne, è percepita emozionalmente più come etrusca che come romana e il suo basamento è arricchito da centurioni romani, laccati come hamburger di Oldenburg”. Sequenze fotografiche, tabelle, piante e fumetti che illustrano l’architettura sono gli strumenti con i quali VRSB analizzano il sistema e i fenomeni della strip, arrivando alla conclusione che, nella cultura popolare, l’informazione segnaletica ha ormai sostituito la riconoscibilità del luogo. L’architettura stessa, grazie a questo “simbolismo dimenticato della forma architettonica” (sottotitolo del libro), tradotto in forma di decorazioni applicate o scritte, non ha più compiti comunicativi, ma funge solamente da supporto per le insegne, diventando strumento d’informazione. Due tipologie vengono infine stabilite da VRSB: il decorated shed (“capannone decorato”), con il quale l’architettura comunica mediante le insegne applicate o accostate a un edificio convenzionale, e il duck (“papera”), con cui l’architettura allude, tramite la sua forma espressiva, alla propria funzione, come il chiosco in forma di papera, una tipologia figurativa ritenuta dal gruppo “assai poco importante, nonostante essa pervada l’architettura moderna”.
Con la ristrutturazione del magazzino Basco a Bristol in Pennsylvania nel 1978, Venturi e Rauch creano un vero decorated shed. All’edificio preesistente, una scatola lunga e bassa con un antistante parcheggio gigante, vengono applicate delle lettere di colore rosso a caratteri cubitali, alte 10 metri, che riproducono il nome dell’azienda e forniscono una presenza monumentale a un fabbricato del tutto anonimo. Una soluzione simile è di nuovo proposta dai due architetti nel progetto per il padiglione americano all’Expo di Siviglia nel 1989, dove la struttura dell’edificio espositivo viene coperta da un mega-schermo su cui sventola una bandiera americana virtuale. In altre occasioni l’influenza della pop art si fa ancora più intensa. Nell’ampliamento dell’Allen Art Museum a Oberlin in Ohio (1973-1976), Venturi, Rauch e Scott Brown collocano all’esterno una colonna dorica di dimensioni esorbitanti, rivestita d’assicelle con uno stravagante capitello arrotondato, tanto da guadagnarsi l’ironica denominazione di “Mickey Mouse Ionica” (Charles Jencks). Nella zona interna, vicino all’ingresso della biblioteca, posta addirittura un libro gigantesco, alto quasi due metri, una sorta di mega scultura pop, che nasconde i sistemi di controllo per la sicurezza.
Grazie a Denise Scott Brown, studiosa di urbanistica e di sociologia urbana, lo studio di Venturi si apre a nuove e complesse problematiche. Secondo il motto “La strip va quasi bene”, l’intervento urbanistico postmoderno non deve mirare al grande intervento di trasformazione, ma piuttosto alla lieve modifica morfologica di piccola scala, col fine di inglobare nella pianificazione anche le strutture preesistenti. I piani dello studio VRSB tentano di mantenere la disordinata vitalità della strip e il suo pluralismo culturale, ricorrendo spesso alle risorse dell’arredo urbano, come per esempio nel piano per la Hennepin Avenue a Minneapolis nel 1980, dove riflettori a forma di alberi, collocati in maniera regolare lungo la main street, hanno il compito di creare alcuni punti fermi nel caos vitale della strip stessa. Le idee che stanno alla base dell’urbanistica postmoderna, sperimentate dallo studio VRSB, hanno individuato delle funzioni e dei valori validi ancora oggi.
Alla fine degli anni Settanta VRSB si avvicinano sempre di più alla decorazione, con affermazioni come “Il cartello è più importante dell’architettura”. Sostengono che il connotato specifico di ogni edificio è il rivestimento, il “trattamento epidermico”, come si può constatare dall’osservazione del magazzino basco o del padiglione americano per Siviglia. La struttura e l’interno invece costituiscono un semplice fatto costruttivo, pertinente all’ingegneria edile. Con questa tendenza verso la “decorazione applicata” l’opera dello studio VRSB riesce sì a recuperare tutti i significati che sarebbero andati persi, ma, al tempo stesso, corre il rischio di cadere nella trivialità. Robert Venturi sancisce con la sua opera l’inizio e la fine dell’architettura postmoderna. Gli schemi compositivi delle epoche precedenti, tradotti in una nuova architettura declinano nel corso degli anni, “imparando da Las Vegas”, verso uno sterile decorativismo, che implicherà la fine dell’intero movimento.