ROBERTI da Castello, Guido
ROBERTI da Castello, Guido (Guido da Castello). – Nacque probabilmente a Reggio (in Emilia) tra il 1233 e il 1238 (Malaguzzi, 1878, p. 19). Non se ne conosce la paternità. Fu comunemente noto come Guido da Castello, in quanto appartenente all’omonimo ramo della consorteria reggiana dei Roberti (gli altri erano quelli dei da Tripoli e dei da Forno), discendente dal consorzio familiare dei Figli di Manfredo.
Pochi sono i documenti storici che lo riguardano e nella maggior parte sono relativi al suo coinvolgimento nella vita politica reggiana della seconda metà del Duecento, quando i guelfi, dal 1252 incontrastati padroni di Reggio, nel 1284 si divisero in due fazioni: Superiori e Inferiori e i primi, corrispondenti ai Neri in Firenze, furono espulsi. Un documento bolognese di quello stesso anno elenca Roberti tra i 36 reggiani di quella parte, esuli nella città felsinea (Malaguzzi-Valeri, 1887, pp. 232-234). Come è stato con una certa plausibilità ipotizzato alcuni anni orsono (Comastri Martinelli, 1997, pp. 122 s.), forse fu in questo torno di anni che Dante Alighieri (presente a Bologna almeno nel 1286-87) poté incontrarlo o avere contezza di lui: infatti lo menzionò due volte nelle sue opere, nei decenni successivi, e forse lo incontrò nuovamente nel 1306.
La figura di Roberti appare oggi tutto sommato abbastanza evanescente, anche se di un certo rilievo a livello locale; ma l’Alighieri come è noto si riferisce a lui con grande apprezzamento (in Convivio IV, XVI, 6 e Purgatorio XVI, 121-126), e questo lascia pensare che il nobile reggiano abbia goduto di un credito notevole nella vita pubblica dell’Italia centro-settentrionale fra Due e Trecento.
Nel Convivio, scritto per questa parte attorno al 1306-08, Dante sostiene che «nobilitade» significa «perfezione di propria natura in ciascuna cosa», e contrapponendo Roberti ad Alboino della Scala combatte l’opinione secondo la quale essere «nobile» vale «essere da molti nominato e conosciuto». In Purgatorio XVI, scritto verosimilmente non molto prima del 1313, per bocca di Marco Lombardo Roberti è incluso con Corrado da Palazzo di Brescia e Gerardo da Camino di Treviso nella terna dei vecchi superstiti di una generazione, ispirata ai valori di virtù militare e di liberalità, già allora definitivamente tramontata e in netto contrasto con la decadenza della generazione presente. I primi commentatori della Commedia e la critica posteriore (Valente, 1984, p. 13; Malato, 2002, p. 258) hanno interpretato la definizione di Roberti – detto «francescamente, il semplice Lombardo» – come il riconoscimento «alla maniera francese» dell’onestà, della sincerità di Guido da Castello, contrapposte alla cattiva fama degli italiani in Francia. Più difficile è verificare ciò che scrive L’Ottimo sulla sua disponibilità e cortesia dimostrate nei confronti di «valenti uomini che passavano per lo cammino francesco, e molti ne rimise in cavalli ed armi, che di Francia erano passati di qua» (L’Ottimo commento, 1828, p. 292): questa prodigalità gli avrebbe procurato «tanta fama» Oltralpe.
Tra i commentatori della Commedia, Benvenuto Rambaldi da Imola dedica ai Roberti, a Reggio e a Roberti particolare attenzione e si mostra informato sulla realtà reggiana. È il più preciso sulla distinzione in tre rami della consorteria; confronta la fiorente situazione della città agli inizi del secolo con la desolazione offerta dalla medesima dopo il sacco del 1371 (Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum..., a cura di J.Ph. Lacaita, 1887, III, pp. 448 s.); menziona il comportamento militare dei nobili reggiani al tempo di Enrico VII (1311; ibid., pp. 118 s.). Nello specifico, riguardo a Roberti viene ribadita l’interpretazione in chiave francese di ‘semplice Lombardo’ e la fama che in Francia egli avrebbe goduto. «Licet tunc alii essent potentiores in terra illa», Rambaldi presenta poi Roberti come una sorta di assertore del governo repubblicano e del bene comune, lo definisce «liberalis» e afferma che Dante venne ospitato da lui nella sua casa reggiana, qualificandolo inoltre come «pulcer inventor in rhytmo vulgari» (ibid., p. 449). La presunta ospitalità reggiana concessa da Guido da Castello a Dante, legata all’eventuale amicizia tra i due, è stata recepita, in chiave nobilitante, dalla storiografia locale, che la data variamente al 1311 (G. Ferrari, 1873, p. 12), o al 1306, finita la signoria estense (Malaguzzi, 1878, p. 32), e arriva a ubicare la casa di Roberti teatro dell’incontro (Saccani, 1924, pp. XLV s.); quest’ultima data per la possibile ospitalità reggiana a Dante è stata anche di recente autorevolmente riproposta (Santagata, 2012, p. 395), sulla base appunto di Benvenuto da Imola.
Ancor meno attendibili sono le notizie date dallo storico cinquecentesco reggiano Guido Panciroli (Rerum historicarum, 1847, pp. 244 s.), secondo il quale l’amicizia tra Roberti e Dante sarebbe nata a Verona, alla corte di Cangrande della Scala, dove più volte Guido da Castello sarebbe stato invitato. La dubbia affidabilità di Panciroli è provata dal fatto che, stando al suo racconto, a Verona sarebbe stato ospitato e accolto anche il cronista reggiano (mai esistito: Chronicon regiense, a cura di L. Artioli, C. Corradini, C. Santi, 2000, p. LXXXII) Sagacio Muti della Gazzata, che avrebbe descritto il palazzo, le stanze, gli usi dello Scaligero. Il racconto di Panciroli potrebbe essere stato un’amplificazione dettata da intenti laudativi (Varanini, 1994, pp. 319-321).
Anche sull’asserita capacità poetica di Guido da Castello, in contrasto con quanto affermato da Dante nel De vulgari eloquentia che a Reggio «nullum invenimus poetasse» (I, XV, 4), non si dispone di elementi certi. Il pur possibile scambio di identità con Guido da Polenta da parte di Benvenuto da Imola (Zenatti, XVI, 1902, p. 54, n. 26), contrasterebbe con la conoscenza dell’ambiente reggiano sopra notata. Probabilmente «un clima di ospitalità cortese non alieno dal gusto della poesia», come sostenuto da Eugenio Chiarini (1984, p. 867), potrebbe aver contraddistinto la personalità di Guido da Castello, che si presenta in tutta la tradizione storico-letteraria come quella di un uomo al di sopra delle parti. Non meno labile, infine, e fondata solo sull’indicazione specifica rapportata a un componimento poetico oggi definitivamente espunto dal catalogo dantesco, l’ipotesi di Guido da Castello come «alchimista», avanzata alcuni anni orsono da Riccardo Finzi (1966, pp. 25-27). In sostanza, alla fine resta poco o nulla di positivamente accertato.
Nel gennaio del 1290 Obizzo d’Este, acclamato signore di Reggio, volendo pacificare il clima politico interno, richiamò i fuoriusciti: Roberti rientrò così in città. Lo attestano due documenti del 1290: uno (18 luglio) nel quale egli, indicato tra i più ragguardevoli appartenenti alla parte dei Superiori, prestò, assieme ad altri, la propria fideiussione per il pagamento versato dal Comune di Reggio; l’altro (9 agosto) in cui cedette al procuratore dello stesso Comune ogni suo diritto e usufrutto su possessioni e beni a lui locati dal Comune, ricevendo cento lire imperiali di bolognini grossi e rinunciando a tutte le disposizioni fatte a suo favore dal Comune medesimo (Liber grossus, a cura di F.S. Gatta, 1962, V, pp. 202-209).
Gli accurati studi di Ippolito Malaguzzi (1878, pp. 27-29) escludono, sulla base della documentazione reggiana, altre attestazioni documentarie di rilievo fino al 1315, quando Roberti venne incluso nel Liber focorum tra i proprietari di una casa (Tacoli, 1748, II, p. 90), nell’omonima via dei Roberti (detta poi del Cavalletto e oggi via Guido da Castello), nei pressi della principale piazza cittadina. È questa l’ultima testimonianza documentaria: la sua morte deve essere collocata, pertanto, a ridosso del 1315.
Fonti e Bibl.: N. Tacoli, Memorie storiche della città di Reggio di Lombardia, II, Parma 1748, p. 90; L’Ottimo commento della Divina Commedia…, II, Pisa 1828, p. 292; Guidi Panciroli Rerum historicarum patriae suae libri octo, Regii Lepidi 1847, pp. 244 s.; Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam […], a cura di J.Ph. Lacaita, Florentiae 1887, III, pp. 118 s., 448 s., V, p. 170; Liber grossus antiquus comunis Regii, a cura di F.S. Gatta, V, Reggio Emilia 1962, pp. 202-209; D. Alighieri, Commedia. Purgatorio, a cura di A.M. Chiavacci Leonardi, Milano 1994, pp. 485 s. n.; Chronicon regiense. La Cronaca di Pietro della Gazzata nella tradizione del codice Crispi, a cura di L. Artioli - C. Corradini - C. Santi, Reggio Emilia 2000, p. LXXXII; D. Alighieri, Commedia. Purgatorio, a cura di G. Inglese, Roma 2011, p. 211 n.; Id., Convivio, in Opere, a cura di G. Fioravanti, II, Milano 2014, pp. 686 s.
G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, I, Modena 1781, pp. 428-430; G. Ferrari, Guido da Castello e il XVI canto del ‘Purgatorio’, Reggio Emilia 1873; I. Malaguzzi, Guido da Castello e Dante Alighieri, Reggio Emilia 1878; I. Malaguzzi-Valeri, Frammenti storici, Reggio Emilia 1887, pp. 223-240; A. Zenatti, Il canto XVI del Purgatorio, Firenze 1902, pp. 54 s.; G. Saccani, Nuove ricerche sulla famiglia e sulla casa di Guido da Castello, in Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 3, VII (1924), pp. XLIV-XLVI; A. Balletti, Storia di Reggio nell’Emilia, Reggio Emilia 1925, pp. 128 s.; R. Finzi, Dante Alighieri e Guido da Castello, in Reggio ai tempi di Dante, Modena 1966, pp. 13-30; M. Mazzaperlini, Repertorio bio-bibliografico dei reggiani illustri, in Reggio Emilia. Vicende e protagonisti, a cura di U. Bellocchi, II, Bologna 1970, p. 412; E. Chiarini, Castello, Guido da, in Enciclopedia Dantesca, I, Roma 1984, pp. 866 s.; V. Valente, Francescamente, ibid., III, Roma 1984, p. 13; B. Delmay, I personaggi della Divina Commedia: classificazione e regesto, Firenze 1986, p. 192; G.M. Varanini, Propaganda dei regimi signorili: le esperienze venete del Trecento, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994, pp. 311-343; M. Comastri Martinelli, Reggio narrata da Matilde di Canossa al Cinquecento, Reggio Emilia 1997, pp. 122 s.; E. Malato, «Sì come cieco va dietro a sua guida/per non smarrirsi […]». Lettura del canto XVI del Purgatorio, in Rivista di studi danteschi, II (2002), pp. 225-261; M. Santagata, Dante. Il romanzo della sua vita, Milano 2012, pp. 157, 386, 395.