ROBERTI, Ercole de', detto anche Ercole da Ferrara
Pittore. Ebbe anche il nome di Grandi e a un medesimo artista si riferiscono i documenti che si credette riguardassero due personalità distinte. La critica moderna ha attribuito lungamente il secondo nome a un artista ancora anonimo, che dipinse un gruppo di opere (v. grandi, ercole) da non confondere con quelle del vero Ercole Roberti Grandi. Inoltre le opere attribuite al supposto Ercole Grandi non hanno tutte una stessa paternità; i progetti per S. Maria in Vado e per un monumento non mai compiuto a Ercole I, si devono ad Ercole Roberti.
La data di nascita del Roberti è portata circa al 1450 dal R. Longhi, che vede gli esordî di lui nel Settembre nel Palazzo di Schifanoia (1470) e nella pala di S. Lazzaro ora a Berlino, finora attribuita a C. Tura e che egli crede commessa al Cossa e compiuta dallo scolaro, dopo che il Cossa partì per Bologna. Ercole presto seguì il Cossa ed egli appunto avrebbe dipinto - lo attesta il Vasari - negli ultimi anni di vita del maestro (fra il '75 e il '77) la predella, ora nella Pinacoteca Vaticana, per il polittico del Cossa, già nella Cappella Griffoni in S. Petronio. In questo primo gruppo di opere, a cui si aggiungono i Santi del Louvre e della coll. Duveen, ricongiunti dal Longhi alla pala Griffoni, vediamo affermarsi in modo coerente lo stile del R., che già si distingue da quello del Cossa e del Tura, a cui è più affine, per una eleganza lineare più sottile e preziosa, benché ancora chiusa in una stilizzazione rigida e astratta. Il R. era portato dal suo genio a ravvivare le stilizzate forme ferraresi di un soffio di più vitale umanità, a sciogliere le freddezze metalliche delle tinte in una più calda e ricca sostanza coloristica. Lo studio dei Veneti (Iacopo, Giovanni Bellini) lo spingerà decisamente verso questo nuovo orientamento, che è pienamente attuato nelle pale del 1480 per S. Maria in Porto in Ravenna, ora a Brera.
La luce solare si diffonde sui più ampî e distesi piani di colore, in una solenne armonia placida e conchiusa, nuova nella tormentata arte ferrarese. Il paesaggio che il R. sempre impronta a un senso di solitaria tristezza è di novatrice potenza per il trascolorare delle luci sulle acque e sul cielo al dileguarsi d'una tempesta.
In questa piena maturità artistica il R. si accinse all'opera sua maggiore, i celebrati affreschi (Crocifissione, Morte di Maria) della cappella Garganelli in S. Pietro di Bologna (1482-1486). Più che le copie frammentarie e mediocri di quest'opera perduta, ci mostrano la potenza drammatica della sua arte rinnovata altri due dipinti: le predelle per l'altare di S. Giovanni in Monte di Bologna (ora divisa fra Dresda e Liverpool) e il S. Giovanni di Berlino, nei quali ancora più chiari si scoprono gl'influssi belliniani.
Nel Battista è un'altra ampia visione di paese, rivelata e dominata dall'alto con potenza sintetica, di una tragicità silente e desolata, che qui trova perfetta rispondenza nella figura arsa e consumata dalla passione profilantesi sul cielo e sulle acque arrossate. Nella Predella il travolgente e continuo agitarsi delle linee, che definiscono con vibrante fermezza le forme tutte tese e lanciate nel moto, la fusione calda dei colori, l'accendersi e lo spegnersi delle luci sono mezzi attraverso cui il dramma si rivela con inusitata potenza. La tragedia si compone e si raccoglie nel gruppo della Pietà (Liverpool), delimitato da una linea angolosa e tormentata, entro una calda e densa atmosfera di luce morente, attraverso cui appare nel fondo, incerta e sfuggente, visione lontana di sogno, la brulicante scena del Calvario.
Dal 1486 fino alla morte (1496) il R. fu a Ferrara, pittore di corte, occupato in opere d'ogni genere, anche di architettura, e specialmente in molte decorazioni pittoriche nella reggia, tutte perdute. Quasi nulla perciò rimane di quest'ultimo periodo. Ultima opera fu forse la Deposizione, compiuta e rifatta dal Filippi nel '500, ora nella Pinacoteca di Bologna. Altre opere sicure: una Madonna a Berlino, due storie romane nella coll. Cook a Richmond, la Raccolta della Manna e un dittico (Presepe e Pietà) a Londra. (V. tavv. CXI e CXII).
Bibl.: A. Venturi, E. de' R., in Arch. st. dell'arte, II (1889), p. 339 segg.; id., Storia dell'arte ital., VII, iii, Milano 1914, p. 656 segg.; id., La pittura del Quattrocento nell'Emilia, Verona 1931, p. 49 segg.; F. Filippini, E. da Ferrara ed E. da Bologna, in Boll. Arte, 1917, p. 49 segg.; E. da Ferrara, Firenze 1922; C. Gamba, E. da F., in L'Esposizione della pitt. ferrarese del Rinascimento, Ferrara 1933, fasc. 2°; B. Berenson, Italian Picture of the Renaissance, Oxford 1932, p. 484; R. Longhi, Officina ferrarese, Roma 1935; G. Bargellesi, E. di Ferrara, in Rivista di Ferrara, II (1934), pp. 399-413; G. Gronau, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934 (con bibl.).