ACCIAIUOLI, Roberto
Figlio di Donato e di Maria di Piero Pazzi, nacque a Firenze il 7 nov. 1467. Destinato in un primo tempo alla carriera ecclesiastica e nominato da Sisto IV protonotario apostolico, si dedicò invece alla vita politica. Nel 1503 fu tra gli ambasciatori inviati dalla Repubblica fiorentina a Roma, per presentare il giuramento di obbedienza al nuovo papa Giulio II. Nel 1505, dubitandosi che Gonzalo de Córdoba fosse fautore dell'impresa antifiorentina di Bartolomeo d'Alviano, i Dieci di Balía inviarono l'A. a Napoli presso Gonzalo (il gonfaloniere Pier Soderini avrebbe voluto mandarvi il Machiavelli); battuto l'Alviano dai Fiorentini, Gonzalo promise all'A. che non sarebbe intervenuto se essi non avessero molestato Pisa, ma sentito che avanzavano verso questa città, rispedì l'A. a Firenze, con la minaccia di trovarsi a Pisa entro pochi giorni, minaccia che peraltro non ebbe seguito. Nel 1506, al ritorno del papa a Roma, l'A. vi fu di nuovo inviato ambasciatore. Nel settembre 1510, andò, ambasciatore residente, alla corte francese, dove restò sino alla metà del 1514; dal 1513, era stato nominato anche nunzio ordinario. Durante il suo soggiorno in Francia, l'A. si adoperò specialmente per evitare il progettato accordo tra Francia e Spagna, sulla base del matrimonio di uno dei due nipoti del Re Cattolico, Carlo o Ferdinando, con la figlia del Re Cristianissimo, Renata, che avrebbe portato in dote i diritti della Francia sul ducato di Milano, oltre che la rinunzia a Napoli. Fece perciò intravvedere al re di Francia la possibilità di un futuro appoggio di Leone X per il ricupero di Milano, mentre gli garantiva la mediazione papale contro le minacce degli Inglesi e degli Svizzeri. Dopo il suo rientro in patria, inviato di nuovo ambasciatore a Roma nel 1515, continuò di qui la sua opera, volta a stabilire uno stretto accordo tra il papa e il re di Francia. Moderato fautore dei Medici, fu nel 1514 membro del Consiglio dei Settanta e nel 1515nella Balia istituita per riorganizzare lo Studio di Pisa; divenne successivamente capitano di Livorno, podestà di Pistoia, gonfaloniere di giustizia nel 1518 e priore di libertà nel 1522. Salito al soglio pontificio nel 1523 Clemente VII, l'A. fu tra gli ambasciatori inviati a Roma per felicitare il nuovo papa. Questi, tre anni dopo, lo inviò come suo nunzio ordinario in Francia e contemporaneamente lo fece nominare ambasciatore di Firenze. Nominato nel febbraio 1526, arrivò in Francia solo nel giugno.
Aveva inizialmente il compito di concludere le trattative della lega antimperiale tra la S. Sede e la Francia, già avviate dal suo predecessore, il nunzio straordinario G. F. Capi, detto Capino da Capo; doveva nello stesso tempo fare il possibile per ottenere l'ingresso di Enrico VIII nella lega, o almeno i suoi soccorsi, tenendosi a tale scopo in contatto col nunzio in Inghilterra, Gambara, e far in modo di conservare l'alleanza fra l'Inghilterra e la Francia, che avrebbe costituito insieme una garanzia e una remora verso eccessive pretese, per il re di Francia; doveva infine evitare accordi separati tra questo e la Spagna.
Conclusasi la lega di Cognac (maggio 1526), tra la Francia, la S. Sede, Venezia, Firenze e Milano, prima ancora che l'A. giungesse (nel giugno) in Francia, ebbe l'incarico di far mettere in pratica al più presto possibile le clausole della lega: era necessario o tagliare tutti i ponti con Carlo V, o negoziare con lui una pace, ma per conto di tutti i confederati, che salvaguardasse la possibilità di liberare i figli del re di Francia tenuti come ostaggi, di recuperare Milano e di garantire la sicurezza d'Italia. L'A. fondò la sua azione diplomatica soprattutto sulla richiesta al re di Francia di aiuti militari ed economici immediati per il papa. Truppe furono effettivamente inviate, nel settembre 1526,al comando del marchese di Saluzzo, ma intanto Clemente VII era stato costretto a chiedere una tregua, con la promessa di ritirare le sue truppe dalla lega. Le continue tergiversazioni della Francia e del papa, l'inazione dei confederati, i successi dei comandanti imperiali, mentre Ferrara si dichiarava per Carlo V e Firenze minacciava di rivoltarsi, andavano preparando la catastrofe del Sacco di Roma. Nella gravità della situazione, l'A. vide con chiarezza che l'unico partito per uscirne poteva essere una pronta azione militare.
In una memoria indirizzata al re il 17 dipc 1526 egli tracciava un quadro esauriente delle condizioni politiche d'Italia, additando a Francesco II rimedi necessari alla salvezza del paese: occorreva che il re riaffermasse al papa il proposito di venirgli rapidamente in aiuto, gli rimettesse intanto una somma di 40.000 scudi, con promessa di dargliene altri 60.000 entro tre mesi, e inviasse in Italia 10.000 Svizzeri, apprestandosi egli stesso a guidare un esercito oltral'pe, nel marzo ell'anno seguente, se la pace non fosse stata nel frattempo raggiunta. Su questi motivi l'A. insistette presso il re nei giorni seguenti, facendogli intravvedere il pericolo che il papa, trovandosi in angustie, stringesse una pace separata e abbandonasse la lega; nello stesso tempo, faceva presente al papa che un suo eventuale ritiro dalla lega non ne avrebbe compromesso l'esistenza.
Le promesse di Francesco I essendo rimaste senza pratica attuazione, e avendo perciò il papa di nuovo iniziato trattative con gli inviati imperiali per un'altra tregua, l'A. si trovò a dover fronteggiare la reazione del re di Francia: sopravvenne però la notizia che il cardinal Trivulzio aveva di sua iniziativa attaccato le truppe imperiali, costringendole a rientrare nel Regno di Napoli. Ben presto, tuttavia, il papa riprese le trattative con gli Imperiali, che dovevano poi concludersi nel marzo 1527 con la firma di una tregua, e l'A., in evidente imbarazzo, riuscì però a trarne pretesto per formulare sempre più urgenti richieste di soccorsi a Francesco I. Ma stabilita la tregua, nonostante gli sforzi dell'A. tesi a dimostrare al re la responsabilità di Venezia negli avvenimenti romani e a convincerlo ad accedere alla tregua stessa, che avrebbe condotto tutti i confederati di Cognac o a una pace onorevole o a una guerra decisa, Francesco I non perdonò a Clemente VII la defezione e arrivò al punto di far arrestare, per via, un corriere inviato dall'A. al Gambara. Dopo il Sacco di Roma del maggio 1527 e la prigionia del papa, l'A. partecipò alle consultazioni promosse dal cardinal Wolsey, lord cancelliere d'Inghilterra, per provvedere alla liberazione del papa e al governo della Chiesa nella grave situazione venutasi a creare. Scoppiata a Firenze la rivolta antimedicea e instauratasi la Repubblica, l'A. si trovò in posizione difficile, rappresentando egli due potenze, quella papale e quella fiorentina, che avevano ormai rotto la loro unità di azione politica.
Rientrato a Firenze, l'A. fu oggetto dei sospetti e degli attacchi della Repubblica. Si ritirò a vivere nei suoi possedimenti di Val di Pesa, ma non avendo potuto pagare il "balzello", istituito, in sostanza, per colpire i partigiani dei Medici, fu temporaneamente imprigionato nel Bargello: non gli furono neppure rimborsate le spese sostenute durante la sua legazione in Francia. Accesasi più violenta l'ostilità contro l'aristocrazia filomedicea, essendosi conosciuto il trattato di Barcellona stipulato nel 1529 tra Clemente VII e l'imperatore, e essendo cominciato l'assedio della città, l'A. fu di nuovo arrestato: riuscì però a fuggire, rifugiandosi a Lucca. Poco tempo dopo, si recò a Volterra, che si era ribellata alla Repubblica, e vi fu riconosciuto quale commissario pontificio, mentre si adoperava, agli ordini di Clemente VII, per ridare al papa il governo di Firenze: fu per questo dichiarato "rubello" della Repubblica e i suoi beni furono confiscati. Rientrato dopo la caduta di Firenze, in un primo tempo coadiuvò, con il Vettori e il Guicciardini, l'opera di Baccio Valori, che aveva assunto di fatto il governo della città in nome del papa.
Membro della prima Balía nel 1530, l'anno dopo fu uno dei ventiquattro Accoppiatori eletti dalla Balía soprattutto per fare lo "squittino" generale: nel 1532, fu dei Dodici Riformatori dello Stato di Firenze, incaricati di elaborare la nuova costituzione, membro del Senato dei Quarantotto e uno dei primi quattro consiglieri di Alessandro de' Medici.
La posizione politica dell'A. in questo periodo, come risulta dal primo dei suoi Pareri, Discorso all'Arcivescovo di Capua circa al pigliare il verso di assicurare lo stato di Firenze dopo la guerra del 1530, scritto tra il febbraio e il marzo 1531 e pubblicato nel 1842, a cura di Gino Capponi, nell'Arch. stor. ital., era caratterizzata dall'idea di una lotta a fondo contro gli antichi partigiani della Repubblica: egli chiedeva più energiche epurazioni dei sospetti, l'istituzione di "balzelli" sugli avversari, suggerendo persino di spargere la voce di congiure antipapali in Firenze, per poter far accettare all'imperatore le epurazioni. Più moderato si rivelava nel secondo Parere, Informazione al duca Alessandro de' Medici sopra la maniera di governarsi in Firenze, scritto tra il gennaio e il febbraio 1532, e pubblicato anch'esso nel 1842 nell'Arch. stor. ital. Clemente VII aveva infatti invitato Francesco e Luigi Guicciardini, il Vettori e l'A., a dichiararsi sulla questione della riforma dello stato e a presentargli le relative proposte, nell'intento di giungere a un generale consenso per l'introduzione del principato. Mentre nei loro Pareri Luigi Guicciardini e il Vettori rappresentano il punto di vista di più decisa rottura con le passate istituzioni repubblicane, Francesco Guicciardini e l'A. si mostrano più legati alla tradizione, più desiderosi di mantenere una certa continuità col passato, pur pronunciandosi l'A. per il principato ereditario, che solo avrebbe potuto, a suo avviso, assicurare allo stato la necessaria stabilità, anche dopo la morte del papa, e però proponendo di affidare all'aristocrazia medicea le effettive leve del potere statale, mediante l'istituzione di due Consigli, uno formato da trenta o quaranta persone, l'altro da cento. Proponeva inoltre che si dovessero considerare tutti i cittadini giuridicamente e fiscalmente eguali, certo nell'intento di riconciliare ai Medici il favore di larghi strati della popolazione.
Alla morte di Alessandro de' Medici (6 genn. 1537) l'A., Francesco Guicciardini, il Vettori e lo Strozzi si accordarono per mettere Cosimo a capo dello stato fiorentino e firmarono l'atto di nomina il 9 gennaio: divenuto duca Cosimo, l'A. fu nel Consiglio degli Otto di Pratica. Ma avviandosi Cosimo verso il suo governo assoluto, l'A., che fra altre cose chiedeva la pacificazione con i fuorusciti, venne sempre meno consultato. Egli si spense, lontano ormai dagli affari pubblici, nell'agosto 1547.
Fonti e Bibl.: Oltre P. Litta, Fam. cel. ital., Acciaiuoli, tav. VI, v., tra irepertori e dizionari che ricordano l'A., E. Picot, Les ltaliens en France au XVIe siècle, Bordeaux 1901-18, pp. 142-143; H. Biaudet, Les nonciatures apostoliques permanentes jusqu'en 1648, Helsinki 1910, p. 100, e Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., I, col. 246; diverse notizie e alcuni dispacci da lui inviati durante le sue missioni diplomatiche si trovano ne I Diarii di Marino Sanuto, XI, Venezia 1884, coll. 844, 846; XVI, ibid. 1887, coll. 133-139 e passim; XVII, ibid. 1886, coll. 27-29 e passim; XL, ibid. 1894, col. 625 e passim; XLI, ibid. 1894, coll. 667-668 e passim:; XLII, ibid. 1895, coll. 91, 94, 112 e passim; XLIII, ibid. 1895, coll. 54, 95 e passim; XLIV, ibid. 1895, coll. 152, 255 e passim; XLV, ibid. 1896, col. 105; XLVI, ibid. 1897, col. 159; LII, ibid. 1898, col. 117; LIV, ibid. 1899, coll. 45, 507 LVI, ibid. 1901, coll. 196, 197 e passim.
Diversi carteggi, scambiati dall'A. nel periodo in cui fu in Francia nunzio pontificio e ambasciatore fiorentino, si trovano in G. Ruscelli, Delle lettere di Principi, le quali si scrivono da principi, o a principi, o ragionano di principi, I, Venetia 1581, pp. 201-203, 207-209, 218-219, 220-222, 226-227 e passim; in Delle lettere del conte Baldessar Castiglione, a cura di P. Serassi, II, Padova 1771, pp. 64-65,85-86 e passim, dove sono lettere del Castiglione, allora nunzio in Spagna, all'A.; nei Carteggi di Francesco Guicciardini, a cura di P.G. Ricci, VI, Roma 1955, pp. 95-96; VIII, ibid. 1956, pp. 166-170, 197-198, 275-276, 331-332 e passim, dove sono le istruzioni date all'A, come ambasciatore di Firenze da Francesco Guicciardini; ma il grosso della sua corrispondenza diplomatica fu prima pubblicato da A. Desjardins, Négociacions diplomatiques de la France avec la Toscane, II, Paris 1861, pp. 520-521, 588-608, 843-987 e passim, con imperfezioni e lacune, e poi in un'ottima edizione da J. Fraikin, Nonciatures de France, Nonciatures de Clément VII, I, Paris 1906, pp. VVI, LV-LXXXVII e passim.
Notizie sull'A, ambasciatore danno le Letters and Papers, Foreign and Domestic, of the reign of Henry VIII, IV, 1, pp. 1008, 1009, 1015, 1024; IV, 2, pp. 1059, 1099-1100, 1101-1104, nelle lettere del protonotario Gambara e del datario Giberti, e il Calendar of Letters, Despatches and State Papers, relatingto the negociations between England and Spain, III, 1, pp. 661, 682, in due lettere scritte all'imperatore; cfr. pure il Catalogue des Actes de François Ier, IX, Paris 1907, pp. 120, 124. Dell'A. parlano il Guicciardini, nelle sue Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, pp. 171, 277, 280, 293, e nelle Ricordanze,a cura di R. Palmarocchi, Bari 1936, pp. 65,80; gli altri storici fiorentini del '500 come F. de' Nerli, Commentarj dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno 1215 al 1537, I, Trieste 1859, p. 108 e passim; II, ibid. 1859, pp. 11, 56, 94 e passim; e B. Varchi, Storia fiorentina, Colonia 1721, pp. 87, 385, 599 e passim ;gli studi sulla vita politica di Firenze e sul Guicciardini, F.-T. Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis jusqu'à la chûte de la République (1434-1531), II, Paris 1889, p. 482; III, ibid. 1890, pp. 117-118, 134-135, 362-363 e passim; F. Nitti, Leone X e la sua politica, Firenze 1892, p. 42; E. Zanoni, Vita pubblica di Francesco Guicciardini, Bologna 1896, pp. 337-340, 388-391, 578-580 e passim; A. Rossi, Francesco Guicciardini e il governo fiorentino dal 1527 al 1540 (con nuovi documenti), I, Bologna 1896, pp. 8-9, 69-70 e passim; II, ibid. 1899, pp. 14-15, 220 e passim; C. Roth, L'ultima repubblica fiorentina, Firenze 1929, pp. 101, 150, 470 e passim; A. Valori, La difesa della repubblica fiorentina, Firenze 1929, pp. 58, 171 e passim; V. De Caprariis, Francesco Guicciardini dalla politica alla storia, Bari 1950, pp. 67, 95, nonché L. v. Pastor, Storia dei Papi, VI, 1, Roma 1926, pp. 61-62, e passim; VI, 2, ibid. 1929, pp. 197, 199, 208 e passim.
Importante è la recente opera di R. v. Albertini, sul pensiero politico della Firenze della prima metà del '500, Das florentinische Staatsbewusstsein im Uebergang von der Republik zum Prinzipat, Bern 1955, pp. 183-185, 187-197, 279 e passim. I due Pareri dell'A. sono stati pubblicati fra i Discorsi intorno alla riforma dello Stato di Firenze (1522-32), in Arch. stor. ital., I (1842), pp. 446-452: su di essi, e sul problema della loro datazione, si veda il lavoro di F. Gilbert, Alcuni discorsi di uomini politici fiorentini e la politica di Clemente VII per la restaurazione medicea, in Arch. stor. ital., XCIII, 2 (1935), pp. 10-12, 21-22 e passim.