Acciaiuoli, Roberto
Nacque a Firenze il 7 novembre 1467, figlio di Donato e di Maria di Piero Pazzi. Destinato alla carriera ecclesiastica e nominato da Sisto IV protonotario apostolico, si dedicò invece all’attività politica, sia durante la Repubblica fiorentina (1494-1512) sia dopo il ritorno al potere dei Medici. Le testimonianze del rapporto fra A. e M. si diradano dopo il 1512, ma l’amicizia persiste, condivisa anche da Francesco Vettori che in una lettera a M. del 16 aprile 1523 si riferisce ad A. come «Roberti nostri» (Lettere, p. 385).
La carriera politica trentennale di A. è costellata di incarichi e di responsabilità di diverso peso. Nel 1503 fu tra gli ambasciatori inviati dalla Repubblica fiorentina a Roma per presentare il giuramento di obbedienza al nuovo papa Giulio II. Nel 1505, poiché era sorto il sospetto che Gonzalo de Córdoba fosse fautore dell’impresa antifiorentina di Bartolomeo d’Alviano (→), i Dieci di Balìa inviarono A. a Napoli presso il condottiero spagnolo (anche se il gonfaloniere Piero Soderini avrebbe voluto mandarvi M.). Di nuovo ambasciatore a Roma nel 1507, nel settembre 1510 A. si recò come ambasciatore residente alla corte francese, dove restò sino alla metà del 1514, nonostante il mutamento di regime. Nominato nunzio pontificio da Leone X, si adoperò per evitare che si realizzasse un accordo tra Francia e Spagna, temuto dal papa. Dopo il rientro in patria, A. fu inviato ambasciatore a Roma nel 1515 e qui continuò a lavorare per l’intesa tra il papa e il re di Francia. Ricoprì varie cariche cittadine (nel 1514 membro del Consiglio dei Settanta; nel 1515 nella Balìa istituita per riorganizzare lo Studio di Pisa; poi capitano di Livorno, podestà di Pistoia, gonfaloniere di giustizia nel 1518 e priore di libertà nel 1522).
Nel 1526 fu inviato in Francia da Clemente VII come nunzio ordinario (contemporaneamente venne nominato ambasciatore di Firenze). Vi giunse nel giugno, quando si era già conclusa la lega di Cognac (maggio) tra Francia, Stato della Chiesa, Venezia, Firenze e Milano. A. doveva cercare di far attuare quanto prima possibile le clausole della lega: era necessario o tagliare tutti i ponti con Carlo V o negoziare con lui una pace – ma per conto di tutti i confederati – che salvaguardasse la possibilità di liberare i figli del re di Francia tenuti come ostaggi, di recuperare Milano e di garantire la sicurezza dell’Italia. Le tergiversazioni della Francia e del papa, l’inazione dei confederati, i successi dei comandanti imperiali, mentre Ferrara si dichiarava per Carlo V e Firenze minacciava di rivoltarsi, andavano preparando la catastrofe del Sacco di Roma. Nella gravità della situazione, A. vide con chiarezza che l’unico partito utile era una pronta azione militare. In questo periodo, A. ricevette da Francesco Guicciardini la lettera (18 luglio 1526) contenente il celebre ‘ritratto’ di M. che «starassi a ridere degli errori delli uomini poi che non li può correggere» (R. Ridolfi, Vita di Francesco Guicciardini, 1982, p. 197); A. rispondeva, il 7 agosto, con realistiche considerazioni sulla difficoltà di tradurre in pratica le idee militari di M. (P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, 1877-1882, 2° vol., 19274, p. 542).
In una memoria indirizzata al re il 17 dicembre 1526, A. tracciava un quadro esauriente delle condizioni politiche dell’Italia, additando a Francesco I i rimedi necessari alla causa della lega: occorreva che il re riaffermasse al papa il proposito di venirgli rapidamente in aiuto, gli rimettesse intanto una somma di quarantamila scudi, con promessa di dargliene altri sessantamila entro tre mesi, e inviasse in Italia diecimila svizzeri, apprestandosi egli stesso a guidare un esercito oltralpe, nel marzo dell’anno seguente, se la pace non fosse stata nel frattempo raggiunta.
Le promesse di Francesco I rimasero senza seguito; il papa tornò a trattare con gli inviati imperiali e A. si trovò a dover fronteggiare la reazione del re di Francia. Nel marzo 1527 il papa firmò la tregua con Carlo V: A., in evidente imbarazzo, riuscì però a trarne pretesto per formulare sempre più urgenti richieste di soccorsi a Francesco I. Ma questi, irritato per la doppiezza di Clemente VII, arrivò al punto di far arrestare, per via, un corriere inviato da A. al diplomatico pontificio Uberto Gambara. Dopo il Sacco di Roma del maggio 1527, A. partecipò alle consultazioni promosse dal cardinal Thomas Wolsey per provvedere alla liberazione del papa e al governo della Chiesa nella grave situazione venutasi a creare.
Scoppiata a Firenze la rivolta antimedicea e instauratasi la seconda Repubblica, A. si trovò in posizione difficile, rappresentando egli due potenze, quella papale e quella fiorentina, che avevano ormai rotto la loro unità di azione politica. Rientrò quindi in patria, dove fu oggetto dei sospetti e degli attacchi dei repubblicani. Si ritirò a vivere nei suoi possedimenti di Val di Pesa, ma, non avendo potuto pagare il balzello istituito per colpire i partigiani dei Medici, fu temporaneamente imprigionato nel Bargello. Dopo un successivo arresto, riuscì a fuggire a Lucca. Poco tempo dopo, si recò a Volterra quale commissario pontificio e fu dichiarato ribelle dalla Repubblica assediata.
Dopo la capitolazione, coadiuvò Baccio Valori, che governava di fatto in nome del papa: membro della prima Balìa nel 1530, l’anno dopo fu uno dei ventiquattro accoppiatori eletti per fare lo ‘squittino’ generale: nel 1532, fu dei dodici riformatori dello Stato di Firenze, quindi membro del senato dei Quarantotto e uno dei primi quattro consiglieri di Alessandro de’ Medici.
La posizione politica di A. in questo periodo, come risulta dal primo dei suoi Pareri (Discorso all’Arcivescovo di Capua circa al pigliare il verso di assicurare lo stato di Firenze dopo la guerra del 1530, scritto tra il febbr. e il marzo 1531, pubblicato nel 1842, a cura di Gino Capponi, in «Archivio storico italiano»), era caratterizzata da una dura ostilità agli antichi partigiani della Repubblica. Più moderato si rivelava nel secondo Parere (Informazione al duca Alessandro de’ Medici sopra la maniera di governarsi in Firenze), scritto tra il gennaio e il febbraio 1532, e pubblicato anch’esso nel 1842 in «Archivio storico italiano».
Clemente VII aveva invitato l’A. a presentargli le relative proposte per la riforma dello Stato, nell’intento di raccogliere un largo consenso all’instaurazione del principato. Quando, ucciso Alessandro de’ Medici (6 genn. 1537), divenne duca Cosimo, l’A. fu ammesso nel Consiglio degli Otto di pratica, ma con ruolo marginale. Si spense nell’agosto 1547.
L’amicizia fra A. e M. è attestata dalle lettere private che i due si scambiano fra il 1500 e il 1510.
Poiché la maggior parte delle missive machiavelliane antecedenti al 1513 non ci è pervenuta, per un’esiguità di materiali già lamentata da Giuliano de’ Ricci (cfr. O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, 1883-1911, 1° vol., p. 633), disponiamo solo di otto lettere di Acciaiuoli. Spedite da Roma nel 1500, 1507 e 1508, e da Blois nel 1510, esse attestano la confidenza e la complicità tra i due amici all’insegna di un linguaggio spesso ironico e allusivo, non privo di riferimenti alle «cose vane» (si pensi alle cortigiane Janna e Riccia citate nella lettera da Blois del 7 ott. 1510, Lettere, p. 244), ma anche ricco di raccomandazioni relative a minute faccende («E vi ricordo che fondiate bene le cose vostre [...] Pure, voi siate prudenti et esaminerete ben tutto», lettera da Roma del 5 luglio 1508, Lettere, p. 175). In particolare, il grado di fiducia riposto da M. nelle doti pratiche di A. emerge dalla risposta di quest’ultimo inviata da Roma il 4 dicembre 1507 alla spinosa richiesta di M. di reperirgli un successore al troppo spregiudicato don Micheletto per la guida delle milizie fiorentine. A. è probabilmente il destinatario della copia autografa del primo Decennale, Bibl. Seminario Arcivescovile di Firenze, ms. C.VI.27 (cfr. E. Scarpa, L’autografo del primo Decennale, «Studi di filologia italiana», 1993, 51, pp. 149-80).
Bibliografia: G. Verucci, Acciaiuoli Roberto, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1° vol., Roma 1960, ad vocem (con indicazione di fonti e letteratura critica).